18 Giugno 1815
Le forze britanniche e prussiane sconfiggono definitivamente Napoleone. Con la disfatta di Bonaparte prosegue la Restaurazione sancita dal Congresso di Vienna.
WATERLOO
Figlio di Carlo e Letizia Ramolino, nacque ad Ajaccio il 15 agosto 1769, morì a Longwood, nell'isola di S. Elena, il 5 maggio 1821. Collegiale ad Autun, Brienne, Parigi, fu poi luogotenente d'artiglieria (1785) e tentò in seguito la fortuna politica e militare in Corsica (nel 1791 era capo-battaglione della guardia nazionale ad Ajaccio, nel febbraio 1793 condusse il suo battaglione di guardie nazionali nella spedizione della Maddalena, miseramente fallita, nell'aprile-maggio 1793 prese posizione, con il fratello Luciano, contro P. Paoli, per cui dovette fuggire in Francia). Comandante subalterno nel blocco di Tolone (ottobre 1793), si acquistò il grado di generale e quindi il comando dell'artiglieria dell'esercito d'Italia. Sospettato di giacobinismo per l'amicizia con A. Robespierre, subì un breve arresto; destinato a un comando in Vandea, rifiutò e fu radiato dai quadri (aprile 1795). Divenuto amico di P. Barras conobbe presso di lui Giuseppina de Beauharnais (che sposò il 9 marzo 1796); e per incarico di Barras difese energicamente la Convenzione contro i realisti (13 vendemmiale). Ottenne così il comando dell'esercito dell'interno, poi di quello d'Italia. Presa l'offensiva (9 aprile 1796), batté separatamente (Montenotte, Millesimo e Dego) gli Austro-Sardi, costringendo questi ultimi all'armistizio di Cherasco (28 aprile 1796), quelli, dopo le vittorie di Lonato, Arcole, Rivoli, e la resa di Mantova, ai preliminari di pace di Leoben (18 aprile 1797). Occupata la Lombardia, ricostituisce sul modello francese le repubbliche di Genova e di Venezia e toglie al papa la Romagna (armistizio di Bologna, 23 giugno 1796; trattato di Tolentino, 18 febbraio 1797). Poi, col trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), conferma alla Francia il Belgio e le annette le Isole Ionie, ponendo fine all'indipendenza di Venezia, il cui territorio passava all'Austria (ad eccezione di Bergamo e Brescia incorporate nella nuova Repubblica Cisalpina). Preposto, a Parigi, a una spedizione contro le isole britanniche, la devia verso l'Egitto, ove sbarca il 2 luglio 1798 e vince alle Piramidi, in Siria (ma è fermato a S. Giovanni d'Acri), ad Abukir (dove la sua flotta era stata, il 1° agosto, distrutta da Nelson). Tornato in Francia con pochi seguaci (9 ottobre 1799), vi compie, un mese dopo (18 brumaio), un colpo di stato, con la dispersione del Consiglio dei Cinquecento e la sostituzione del Direttorio con un collegio di tre consoli, assumendo egli stesso il titolo di primo console. Ripresa la guerra contro i coalizzati, valica le Alpi (primavera 1800), vince a Marengo (14 giugno 1800) gli Austriaci costringendoli alla pace di Lunéville (9 febbraio 1801), cui seguono profonde modificazioni territoriali in Italia (annessione alla Francia di Piemonte, Elba, Piombino, Parma e Piacenza; costituzione del regno di Etruria); conclude con l'Inghilterra la pace di Amiens (25 marzo 1802). Console a vita (maggio 1802), sfuggito alla congiura di G. Cadoudal (1803), assume su proposta del senato la corona d'imperatore dei Francesi (Notre-Dame, 2 dicembre 1804) e poi quella di re d'Italia (duomo di Milano, 26 maggio 1805). Nei tre anni di pace (rotta, però, con l'Inghilterra già nel maggio 1803), spiega una grande attività ricostruttiva: strade, industrie, banche; ordinamento amministrativo, giudiziario, finanziario accentrato; pubblicazione del codice civile (21 marzo 1804; seguirono poi gli altri); creazione di una nuova nobiltà di spada e di toga; concordato con la S. Sede (16 luglio 1801). Formatasi, per ispirazione britannica, la 3ª coalizione (Inghilterra, Austria, Russia, Svezia, Napoli), la flotta franco-spagnola è battuta a Trafalgar (21 ottobre 1805) da quella inglese comandata da Nelson, ma Napoleone assedia e batte gli Austriaci a Ulma (15-20 ottobre), gli Austro-Russi ad Austerlitz (2 dicembre) e impone la pace di Presburgo (26 dicembre 1805: cessione di Venezia e altre terre austriache alla Francia e ai suoi alleati tedeschi). Assegna il Regno di Napoli (senza la Sicilia) al fratello Giuseppe, quello di Olanda al fratello Luigi, e forma la Confederazione del Reno (luglio 1806). Alla 4ª coalizione (Russia, Prussia, Inghilterra, Svezia) oppone le vittorie di Jena e Auerstedt (14 ottobre 1806) sui Prussiani, l'occupazione di Berlino e Varsavia, le vittorie sui Russi a Eylau (od. Bagrationovsk, 8 febbraio 1807) e Friedland (14 giugno) cui segue la pace di Tilsit (8 luglio 1807), vera divisione dell'Europa in sfere d'influenza tra Francia e Russia con l'adesione della Russia al blocco continentale contro l'Inghilterra (bandito il 21 novembre 1806), e con la formazione del granducato di Varsavia (al re di Sassonia) e del regno di Vestfalia (al fratello Girolamo). Messo in sospetto dall'atteggiamento della Spagna, la occupa (dal maggio 1808) e ne nomina re il fratello Giuseppe (sostituendolo a Napoli col cognato Gioacchino Murat); ma la guerriglia degli Spagnoli, indomabile, logora lentamente le sue forze militari, mentre la lotta contro la Chiesa (occupazione di Roma, febbraio 1808; imprigionamento del papa Pio VII, 5 luglio 1809) gli sottrae popolarità presso ampi settori sociali. Debella quindi, non senza fatica, in Baviera (19-23 aprile 1809) e a Wagram (6 luglio) la 5ª coalizione, capeggiata dall'Austria, e impone la pace di Schönbrunn (14 ottobre 1809), che segna l'apogeo della potenza napoleonica, per gli ampliamenti territoriali che il trattato e i successivi provvedimenti portano all'Impero francese e ai suoi satelliti. Coronamento della pace, dopo il ripudio della prima moglie, sono le nozze (1° aprile 1810) con Maria Luisa d'Austria e la nascita (20 marzo 1811) del "re di Roma". La Russia, allarmata per le mire napoleoniche, aderisce alla 6ª coalizione: Napoleone la invade (24 giugno 1812), vince a Borodino (7 settembre), occupa Mosca (14 settembre); ma la città è in preda alle fiamme e Napoleone è costretto a iniziare verso la Beresina una ritirata disastrosa, poi vera fuga, mentre governi e popoli di Russia, Prussia e infine d'Austria (10 agosto 1813) si sollevano contro di lui. Né l'offensiva ripresa nella Sassonia (maggio 1813), né le trattative con i coalizzati gli giovano; la sconfitta di Lipsia (16-19 ottobre 1813) lo costringe a sgombrare la Germania e a difendersi sul suolo francese (inverno 1813-14). Il 31 marzo 1814 gli Alleati occupano Parigi e il 6 aprile Napoleone abdica senza condizioni accettando il minuscolo dominio dell'isola d'Elba, ove giunge il 4 maggio 1814. Ma, sospettando che lo si voglia relegare più lontano dall'Italia e dall'Europa, sbarca con poco seguito presso Cannes (1° marzo 1815) e senza colpo ferire riconquista il potere a Parigi (20 marzo). Il tentativo dura solo cento giorni e crolla a Waterloo (18 giugno 1815). Dopo l'abdicazione (22 giugno), Napoleone si rifugia su una nave inglese: considerato prigioniero, è confinato, con pochi seguaci volontari, nell'isola di S. Elena, dove a Longwood, sotto la dura sorveglianza di Hudson Lowe, trascorre gli ultimi anni, minato dal cancro, dettando le sue memorie. Le sue ceneri furono riportate nel 1840 a Parigi, sotto la cupola degli Invalidi. La sconfitta definitiva di Napoleone ebbe per la Francia gravi conseguenze: occupata per tre anni dalle potenze nemiche, fu obbligata a pagare esose indennità di guerra; dopo un periodo di relativa pace sociale visse lo scoppio del malumore e della vendetta del mondo cattolico.
Feldmaresciallo prussiano, nato a Rostock il 16 dicembre 1742, morto a Krieblowitz (Slesia) il 12 settembre 1819. Nel 1760, ufficiale di cavalleria nell'esercito svedese, fu fatto prigioniero dai Prussiani, e da quel momento passò a prestar servizio nella cavalleria prussiana, dove raggiunse il grado di capitano. Nel 1771, ammogliatosi, si ritirò dal servizio attivo, che riprese alla morte di Federico II (1787). Tre anni dopo era colonnello. Fece le campagne contro la Francia rivoluzionaria e fu promosso maggior generale nel 1794, tenente generale nel 1801, governatore di Münster nel 1803. Partecipò attivamente alla campagna del 1806, e alla battaglia d'Auerstädt guidò una gloriosa carica di cavalleria, che però non fu coronata da successo. Perduta dai Prussiani la battaglia, il Blucher coprì la ritirata del corpo del Hohenlohe, e quando questi capitolò, riuscì a sfuggire per il Mecklemburgo. Inseguito, tentò di resistere con ogni mezzo, violando anche il territorio neutrale della città libera di Lubecca; ma alfine, ridotto senza munizioni e senza viveri, si arrese coi 6000 uomini che gli erano rimasti. Dopo la pace di Tilsit (1807) ebbe impiego prima al Ministero della guerra e fu poi governatore della Pomerania; ma la politica francofila della Prussia non consentì d'impiegare in comandi un uomo come il Blucher, noto odiatore di Napoleone.
Iniziatesi nuovamente nel 1813 le ostilità fra Prussia e Francia, il Blucher entrò in campagna alla testa di un'armata, ottenne sul corpo del Macdonald la vittoria di Katzbach, e liberò la Slesia dai Francesi. Forzò il passaggio dell'Elba, battendo i corpi dei marescialli Ney e Marmont, ed ebbe parte gloriosa nella battaglia di Lipsia. Queste vigorose e ardite azioni gli meritarono la promozione a feld-maresciallo e il nomignolo di "Maresciallo Avanti" (Marschall Vorwärts). Inseguendo i Francesi, passò il Reno il giorno di capo d'anno del 1814. Nella campagna d'invasione della Francia, il Blucher comandò un'esercito di 6 corpi d'armata, dei quali 2 russi. Alla battaglia di La Rothière si trovò di contro Napoleone in persona. Più volte sorpreso e battuto dall'imperatore - che nella disperata difesa del suolo francese parve moltiplicare la potenzialità del suo genio militare - il Blucher, cambiando linee di operazione, riuscì nondimeno ad avvicinarsi a Parigi. Questo successo accrebbe ancora la sua fama di ardito ed esperto condottiero. A vittoria ottenuta, il re di Prussia lo colmò di onori e di benefici (ducato di Wahlstatt e feudo di Trebnitz) e gl'Inglesi lo nominarono dottore "honoris causa" dell'università di Oxford. Dopo il ritorno di Napoleone dall'Elba, quantunque in età di 73 anni, comandò l'armata prussiana destinata a operare nel Belgio, in accordo con l'armata inglese del Wellington. Battuto da Napoleone a Ligny (16 giugno 1815) all'inizio della campagna, egli riuscì ad evitare di essere tagliato fuori e separato dagl'Inglesi, sicché poté giungere sul campo di battaglia di Waterloo, in tempo per decidere della vittoria che abbatté definitivamente la potenza napoleonica. Per premiarlo, fu creata una decorazione esclusivamente a lui destinata. Soldato nel senso più rude della parola, il Blucher ebbe per sua caratteristica principale la tenacia dei propositi e la fede nella rivincita, serbata anche nelle ore più grigie, quando le armi prussiane parvero ai più definitivamente prostrate.
Duca d'Elchingen, principe della Moscova, maresciallo di Francia, nato a Sarrelouis il 10 gennaio 1769, fucilato a Parigi il 7 dicembre 1815. Di modeste origini, insofferente di vita sedentaria, abbandonò lo studio di notaio presso il quale era scrivano e si arruolò diciottenne in un reggimento di ussari regi. Scoppiata la rivoluzione e passato al nuovo regime, conquistò le spalline di ufficiale durante la guerra del 1792. Due anni dopo, avendo condotto brillantemente in guerra gruppi di squadroni, fu promosso colonnello di cavalleria. Nel 1797 raggiunse il generalato, continuando a distinguersi come capo di grande audacia. Dopo Hohenlinden (1800) fu inviato dal Primo Console a Berna, con una missione diplomatica ch'egli assolse con pieno successo. Nel 1803 Comandante di corpo d'armata, fu l'anno seguente compreso da Napoleone nella prima lista dei marescialli dell'impero. Partecipò, coprendosi di gloria, alle campagne di Germania e di Polonia (1805, 1806, 1807) e nel 1808 fu nominato duca d'Elchingen e inviato alla guerra di Spagna in sottordine ad A. Masséna. Il disaccordo manifestatosi fra i due grandi capi, obbligò l'imperatore a richiamare il Ney ebbe il comando di un corpo della Grande Armata durante la campagna di Russia; alle sue qualità di audace manovratore furono principalmente dovute le vittorie di Smolensk e della Moscova. Durante la disastrosa ritirata il Ney si prodigò in azioni di retroguardia, riuscendo a evitare il completo sfacelo dell'esercito. Alla fine della campagna ebbe il titolo di principe della Moscova. Fu instancabilmente alla testa delle sue truppe durante le successive campagne di Germania (1813) e di Francia (1814). Aderì ai Borboni dopo l'abdicazione dell'imperatore, ma quando Napoleone riapparve, dall'isola d'Elba, sul suolo francese, il Ney dopo un momento di titubanza, eccitato da un invito rivoltogli per lettera dall'antico capo, si schierò dalla parte di questo e prese parte, al comando di un corpo d'armata, alla campagna del Belgio. Sul campo di Waterloo cercò invano la morte. Alla seconda restaurazione fu dai Borboni accusato di tradimento e sottoposto a un consiglio di guerra. Dichiaratosi, questo, incompetente, il Ney fu fatto comparire - come pari di Francia - dinnanzi alla Camera alta costituita in corte di giustizia, condannato a morte e fucilato. Sul luogo dell'esecuzione gli fu eretta poi una statua di bronzo.
Generale e uomo di stato inglese, nato a Dublino il 29 aprile 1769 (non, come credeva egli stesso, il 10 maggio), morto a Walmer Castle (Kent) il 14 settembre 1851. Dopo avere studiato a Eton, completò i suoi studi all'Accademia militare di Angers, in Francia, e nel 1786, ritornato in Inghilterra, entrò come insegna nel 73° fanteria. Tenente colonnello nel 1793, combatté contro i Francesi in Olanda sotto il duca di York. Nel 1796, già colonnello, s'imbarcò per l'India, dove lo raggiunse il fratello Riccardo, nominato, nel 1797, governatore generale; e nel 1799 contribuì alla sconfitta di Tippu Sahib. Nel 1802 era maggior generale e con 12 mila uomini sconfisse ad Assaye 40 mila Maratti, segnando il tracollo della loro potenza. Nel 1805 tornò in Inghilterra ed entrò alla Camera dei comuni; fu segretario per l'Irlanda e prese parte nel 1807 alla spedizione di lord Cathart contro la Danimarca e negoziò la capitolazione di Copenaghen. Promosso tenente generale, fu messo a capo dell'esercito che doveva aiutare l'insurrezione della Penisola Iberica contro Napoleone; entrato nel Portogallo, batté i Francesi di H.-F. Delaborde a Roliça (17 agosto 1808) e quelli di A. Junot a Vimeiro (21 agosto). Comandante in capo delle forze inglesi e portoghesi nel 1809, sorprese il maresciallo N.-J. Soult a Oporto e, penetrato in territorio spagnolo, vinse a Talavera de la Reina il maresciallo Victor (27-28 luglio), vittoria per la quale gli fu conferito il titolo di visconte Wellington. La rapida marcia di Soult e M. Ney da Salamanca all'Estremadura lo costrinse a valicare il Tago; Wellington resistette a Bussaco alle forze di Masséna, di cui fermò l'avanzata a Torres Vedras; nel 1812 riprese la marcia in avanti, espugnando Ciudad Rodrigo, prendendo per assedio Badajoz e riportando su A.-F.-L. Viene de Marmont a Salamanca una vittoria che gli permise di entrare in Madrid; ma il ritorno offensivo dei Francesi, dopo un tentativo non riuscito del Wellington di impadronirsi di Burgos, l'obbligò di nuovo a ritirarsi su Ciudad Rodrigo; soltanto il 13 giugno 1813, dopo avere riorganizzato l'esercito spagnolo e avere ricevuto importanti rinforzi, poté sbaragliare a Vitoria i Francesi comandati da Giuseppe Bonaparte e dal maresciallo J.-B. Jourdan. Dopo un nuovo tentativo infruttuoso di Soult, battuto a San Sebastiano e a Pamplona, Wellington entrò in Francia e sconfisse di nuovo Soult a Baiona e a Tolosa (10 aprile 1814); fu allora nominato duca di Wellington Ambasciatore a Parigi nel 1814 e plenipotenziario al Congresso di Vienna nel febbraio 1815, riprese la spada alla notizia del ritorno di Napoleone dall'isola d'Elba, ed ebbe il comando delle forze alleate dell'Inghilterra, del Hannover, dell'Olanda, del Brunswick e dell'Assia Nassau. Il 18 giugno stroncò a Waterloo l'offensiva brillantemente iniziata da Napoleone, indi marciò su Parigi con Blücher, ed ebbe il comando del corpo di occupazione degli alleati rimasto in Francia dopo la restaurazione borbonica sino al 1818. La nazione inglese, riconoscente, gli donò nel 1817 Apsley House e Strathfieldsaye (Hampshire), acquistati per sottoscrizione popolare. Alla morte del duca di York, nel 1827, Wellington, l'"Iron Duke", fu nominato comandante in capo dell'esercito britannico, carica confermatagli a vita nel 1842.
La fama del Wellington è legata alla vittoria di Waterloo; ma occorre ricordare che la seconda parte della sua vita si svolse nel campo politico e non militare. Già inviato al congresso di Aquisgrana (1818), col Castlereagh, e poi a quello di Verona (1822), nel gennaio 1828 fu incaricato di costituire il governo, dopo la morte di G. Canning. Il ministero Wellington ebbe un orientamento nettamente conservatore, in pieno contrasto con la politica del Canning; ad esso tuttavia si dovette per merito del ministro dell'Interno Robert Peel, la figura più notevole del gabinetto, l'Emancipation Act (1828), che poneva sullo stesso piano cattolici e protestanti in Irlanda. Invece, quando, un anno più tardi, l'agitazione per la riforma elettorale fu posta in pieno alla camera dei Lords, Wellington si oppose recisamente a qualsiasi riforma; e, di fronte alla forza del movimento, dovette dimettersi (novembre 1830). Tornò al governo due volte: dal novembre 1834 all'aprile 1835, nel ministero Peel, come ministro degli Esteri; dal settembre al giugno 1846, nel secondo ministero Peel, come ministro senza portafoglio. Fu sepolto a St Paul con pompa degna della nazione e dell'uomo.
Grouchy era forse il miglior comandante di cavalleria d'Europa dopo Murat e il defunto Lasalle, nonstante un certo burocraticismo che contraddistingueva la sua azione di comando. Per la prima volta a Waterllo avrebbe condotto in battaglia ben due corpi d'armata.
Napoleone, promuovendo Maresciallo di Francia Grouchy, di nobile origine, intendeva umiliare i dinasti. Costui nel 1813 aveva addirittura ricoperto l'incarico di comandante della guradia del corpo personale di Napoleone, il Bataillon sacrè, costituito esclusivamente da ufficiali. Napoleone, quindi, passò sopra, come per Ney, al fatto che Grouchy avesse accettato di servire il Borbone , prima del suo ritorno dall'esilio all'Isola d'Elba.
Nelle fasi precedenti Waterloo, l'avanzata dei suoi corpi di cavalleria procedette spedita e sicura. A Ligny sconfisse i Prussiani ma poi, anziché mettersi in cammino per il campo di Waterloo, avrebbe perso tempo in attesa di un ordine che gli arrivò a battaglia ormai quasi finita. Napoleone gli imputera, forse ingiustamente, la responsabilità per la sconfitta.
Dopo Waterloo, Grouchy dimostrò grande abilità nel disimpegnare le proprie truppe, riconducendole a Parigi attraverso una serie di audaci combattimenti. Luigi XVIII lo esiliò: visse negli Stati Uniti, poi amnistiato, rientrò in patria e, nel 1831, fu ripristinato nel suo grado da Luigi Filippo. Fino alla morte fu tormentato dalle polemiche per la sua condotta a Waterloo.
WATERLOO
Lo zelo precoce delle armate rivoluzionarie francesi era stato trasformato, nel tempo, in un'arma formidabile, afferrata saldamente nelle mani di un solo uomo: Napoleone Bonaparte. Egli non aveva esitato ad utilizzarlo nel perseguimento dei fini nazionali e personali, e per la gloria della Francia e della repubblica. Dopo la sconfitta di Lipsia (1813), dove, al riparo di strutture militari, Napoleone aveva lasciato a trascorrere l'inverno gli ultimi superstiti della disastrosa campagna di Russia del 1812, era rimasta dell'invincibile Armèe un irriducibile nucleo superstite di grognards ("brontoloni" come affettuosamente Napoleone chiamava i suoi soldati ), che continuava a dimostrare ancora il suo valore, opponendosi fino all'impossibile alla marea dilagante degli eserciti alleati che, provenendo sia dai Pirenei che dal Reno, stavano ultimando l'occupazione del territorio nazionale francese.
Mentre ancora non si erano spenti gli ultimi focolai dei combattimenti, Talleyrand ed il Maresciallo Marmont, d'un tratto, quasi a tradimento, consegnarono Parigi ai Cosacchi. Napoleone che si trovava a Fontainebleu, era in procinto di marciare immediatamente con le truppe a sua disposizione verso la capitale per l'estrema difesa, ma la notizia del passaggio del Maresciallo Marmont al nemico e il netto rifiuto opposto da Ney all'ordine di muovere le truppe, lo convinsero alla "impossibile trattativa".
Era il 4 aprile del 1814: due giorni dopo, egli sarebbe stato costretto a firmare un'abdicazione incondizionata, chiudendo la campagna del 1814 e con essa l'Impero. In realtà un nuovo drammatico atto si sarebbe svolto di lì a poco.
Lo choc per il bando sull'Isola d'Elba, decretato nei suoi confronti, fu assoluto per l'imperatore, tanto che Napoleone, a Fontainebleau, bevve una fiala avvelenata che aveva sempre portato con sé e che gli aveva evitato la cattura in Russia. Ma anche se il veleno lo ammalò gravemente, l'efficacia diminuì nel corso del tempo, ed entro il 14 aprile stesso il Bonaparte stava abbastanza bene per congedarsi dalla sua amata Guardia Imperiale in una scena commovente che ha toccato tutti i cuori. In divisa da generale, e con i suoi caratteristici cappello e cappotto, diede un addio in lacrime, piangendo sui colori della Guardia prima di entrare nella carrozza che doveva portarlo via con queste parole: «Adieu mes enfants! Mes voeux vous accompagneront toujours!».
Il suo viaggio, in incognito, accompagnato dalla paura per la sua vita minacciata dalle folle e dai suoi nemici, aveva come direzione il sud della Francia, e poi oltre, via mare fino alla piccola isola dell'Elba. Il terrore del continente, un tempo dominatore dell'Europa intera, da Lisbona a Mosca, era ormai padrone di un semplice isolotto nel Mediterraneo, e al suo comando, al posto della Grand Armée - che contava intorno a mezzo milione di uomini - vi era una guardia personale di appena 1.000 uomini. Così ridotto, una volta all'Elba, Napoleone deve essere scivolato ancora di più nella disperazione. Il governo francese gli negò anche i due milioni di franchi di reddito annuo che gli aveva promesso, mentre a Parigi la sua prima moglie, l'imperatrice Giuseppina, morì prematuramente di difterite. Ma il peggio doveva ancora arrivare: la sua seconda moglie, Marie Louise, era stata trasferita in Austria, dove la sua natura impressionabile e altamente sensuale le permise di cadere velocemente preda dei progressi del suo nuovo aiutante di campo, il generale Conte Neippberg, e, forse, peggio di tutto, non gli venne permesso di vedere suo figlio, il re di Roma. Ad aggiungere al danno la beffa, molti degli ex marescialli di Napoleone andavano utilizzando la stessa ricchezza e titoli che gli aveva elargito per intrattenere, con stile sontuoso, gli stessi nemici che avevano causato la sua rovina. Anche Josephine aveva spudoratamente intrattenuto lo zar Alessandro a Parigi. Così, bandito sulla piccola isola, Napoleone si muoveva irrequieto, cambiando più volte la sua residenza, frustrato per la sua prigionia e annoiato dalla routine noiosa dell'Elba, la monotonia della giornata rotta solo dai pasti e da qualche partita a carte. Il venale principe di Talleyrand, che aveva contribuito a progettare la caduta finale di Napoleone a Parigi, aveva le sue spie ovunque sull'isola, tanto che a volte si spiavano addirittura a vicenda per errore. Essi seguivano costantemente le orme di Napoleone producendo continuamente rapporti diffamatori per Talleyrand che non perdeva tempo a far pubblicare dalla stampa borbonica.
Dopo una raffica iniziale di energiche riforme da proporre per l'isola, Napoleone rimase ben presto a corto di cose da fare all'Elba. Il suo stile di vita divenne sempre più sedentario: i momenti cruciali della sua giornata erano ora costituiti dall'arrivo di frammenti di notizie che gli pervenivano dalla Francia, dovevano essere la sua unica consolazione, dal momento che le cose non andavano affatto bene per il nuovo re Borbone, Luigi XVIII. Il sollievo per la fine della guerra, inizialmente sentito molto positivamente dai francesi, che lo associavano al ritorno dei Borboni, lasciò ben presto il posto alla grande insoddisfazione e alla visione dei vecchi parassiti borbonici tornati dall'esilio per lasciare lo sgradito segno dell'oppressione sulla nazione e per manipolare il sistema per i propri fini. Nel frattempo, mentre Luigi, appena incoronato, spendeva generosamente i sessanta milioni di franchi del tesoro accumulato da Napoleone, i veterani delle guerre che avevano dato la loro gioventù e la loro salute per la nazione, venivano lasciati a soffrire in disgrazia. La viola - simbolo adottato dai bonapartisti - si re-iniziava a vedere discretamente indossato sui capelli delle signore, o sui risvolti degli abiti delle giacche degli uomini.
Nel frattempo, la coalizione dei nemici di Francia a malapena arrivava fino alla fine della guerra. Litigi e risentimenti scoppiarono presto tra gli alleati al Congresso di Vienna, mentre si spingevano sempre più in là per il proprio vantaggio nazionale e scambiavano i destini di stati minori come piccola merce per il cambiamento nella riorganizzazione dell'Europa. Il fronte degli alleati antinapoleonici si ruppe quindi, e gli stati minori divennero ostili alla coalizione stessa. Anche Talleyrand era a Vienna, e lì perse l'opportunità di smuovere ulteriormente la situazione antinapoleonica, chiedendo che Napoleone fosse trasferito lontano dall'Europa, nelle Azzorre, o peggio. Le Indie Occidentali e S. Helena furono entrambe proposte, ed entro la fine del 1814 Napoleone sapeva che la Gran Bretagna e la Prussia avevano concordato in linea di principio per muoversi contro di lui, e che la silenziosa acquiescenza della Russia doveva finire solo per una questione di tempo prima che Napoleone dovesse lasciare anche l'Elba. Ma, nel frattempo, i disordini in Francia dimostravano che una piccola finestra d'opportunità per Napoleone si stava aprendo. Un'azione decisiva poteva forse riunire di nuovo la nazione francese sotto di lui per vendicarne l'orgoglio e ristabilirne la gloria; d'altra parte, Napoleone aveva ben poco da perdere. Da sempre ferocemente opportunista, e con il governatore dell'Elba assente, il 1 marzo 1815 Napoleone sbarcò nel sud della Francia: si aprivano i più famosi 100 giorni della storia.
WATERLOO
Un percorso volutamente lento fino a Parigi via Nizza e Grenoble diede il tempo a Napoleone per ricostruire ed estendere il suo sostegno popolare in Francia. Il suo seguito, abbastanza sottile inizialmente a Nizza, divenne sempre più solido man mano che il Bonaparte avanzava verso Parigi, tanto da aumentare nei numeri, sempre più importanti, sia a Grenoble, ma soprattutto a Lione. Eserciti interi vennero inviati per catturarlo, ma bastava un suo carismatico appello per far sì che nessun colpo venisse sparato da quelle armate, e permettergli di entrare a Parigi, in trionfo, il 20 marzo 1815. Tuttavia, nonostante il sostegno popolare che stava raccogliendo nuovamente in Francia, Napoleone era ancora lontano dal definire sicura la sua posizione. I fin troppo recenti orrori della guerra non erano ancora stati dimenticati. Madri in lutto, ancora addolorate per i loro figli perduti, così come le mogli, per i propri mariti defunti, e con esse, gli alleati ancora in pressione, seppur riuniti a Vienna, fecero sì che la Camera dei Deputati a Parigi rimase cauta e poco convinta dell'azione di Bonaparte. Malcontenti, presenti nelle aree pro-Borboni di Francia, sfociarono in rivolte in Vandea, nel mese di marzo e per essere arginate solo a giugno; Napoleone non aveva più chiaramente l'autorità assoluta degli anni precedenti. Qualcosa doveva essere fatto in fretta se non si voleva perdere lo slancio che si andava ricostituendo dopo il suo ritorno in Francia.
Durante la sua carriera non era mai stato lento ad adottare soluzioni militari per i problemi internazionali, ma ora, Napoleone aveva bisogno di tempo per stabilizzare la situazione. Le sue prime aperture politiche avevano infatti lo scopo di dare una parvenza di pace in Europa, con condizioni generose per gli Alleati; ma nel frattempo, si preparava a mobilitare le sue forze. Ancora prima di raggiungere Parigi, gli Alleati trovarono un insolito, e frettoloso consenso, nel mettere le loro differenze da parte e dichiarare guerra a Napoleone il 25 marzo, impegnando congiuntamente 600.000 uomini per garantirsi la sua caduta finale. Il rifiuto delle condizioni di pace proposte dava a Napoleone la giustificazione morale di cui aveva bisogno per iniziare la sua campagna, e di fronte all'eventualità di una nuova invasione, la popolazione francese si preparava per la guerra in un clima misto tra confusione, attività ed eccitazione. Una rapida vittoria avrebbe, senza ombra di dubbio, riconfermato la posizione politica di Napoleone all'interno del paese, rafforzato la sua reputazione militare ed inviato un forte avvertimento ai suoi nemici a cui sarebbe rimasto da scegliere se impegnarsi in una terribile guerra oppure cercare una pace accomodante con l'imperatore dei francesi. In realtà, viste le divergenze già in piedi a Vienna, anche un modesto successo poteva bastare per distruggere la coalizione che si era mossa contro di lui. Indipendentemente da queste considerazioni, per avere qualche possibilità di successo, Napoleone doveva comunque sconfiggere le armate alleate separatamente, prima che potessero convergere in una forza travolgente.
I tempi d'operazione sarebbero stati fondamentali dal punto di vista militare, visto che, dei cinque eserciti mobilitati contro di lui, solo quelli di Blucher e Wellington erano schierati ad una breve distanza dalla Francia entro la fine di maggio, e anche questi erano sparsi, sottilmente, su una vasta area, cosa che offriva a Napoleone la possibilità di attacchi a sorpresa utilizzando la superiorità numerica nel confronto "individuale". Quale bonus, per la riuscita di questo piano, se il Bonaparte fosse riuscito a sconfiggere Wellington, probabilmente l'intero mercato azionario britannico si sarebbe trovato in difficoltà viste le spese già affrontate nel decennio precedente per arginare Napoleone stesso, portando in crisi il governo britannico, e facendo perdere alla coalizione una Gran Bretagna che spesso andava incontro agli alleati sia dal punto di vista militare, ma anche sotto il profilo economico. Inoltre, sconfiggendo Blucher e Wellington e prendendo il controllo dei Paesi Bassi, Napoleone sarebbe riuscito, secondo il principio collaudato delle guerre rivoluzionarie, ad esportare i problemi interni alla propria nazione in un paese vicino. Avrebbe anche aumentato immediatamente il materiale umano a sua disposizione, in questi paesi in gran parte di orientamento pro-francese, e avrebbe incoraggiato gli stati tedeschi e polacchi ad unirsi ancora una volta con lui, come già avveniva prima della guerra che portò le armate alleate in territorio francese. A rafforzare questo concetto basti pensare che agli inizi della mobilitazione antinapoleonica, l'ammutinamento nell'esercito prussiano aveva causato defezioni di circa 14.000 Sassoni.
WATERLOO
Così erano chiamati, affettuosamente, i coscritti francesi del 1813 e degli anni successivi, fino a Waterloo. I giovani coscritti francesi furono chiamati "Marie-Louise" (dal nome della seconda moglie di Napoleone) perché ancora imberbi.
Al fine di aumentare i soldati e poter così infoltire l'esercito Napoleone fece ampio ricorso alla coscrizione obbligatoria estendendola alle classi più giovani. Per incrementare gli effettivi dell'esercito o per compensare le perdite, Napoleone fece ricorso con sempre maggiore frequenza alle coscrizioni, che andavano a pescare tra gli uomini compresi tra i diciotto e i quarant'anni, i quali avevano obbligo di farsi registrare; la leva era per classi annuali, e lo stato endemico di crisi militare in cui versò la Francia nell'ultimo periodo del regime napoleonico indusse l'imperatore a chiamare alle armi in anticipo le classi degli anni successivi, gettando nella mischia ragazzini di quindici anni.
Giovanissimi, impreparati e mal equipaggiati, avrebbero fatto il loro dovere fino allo stremo delle loro forze. Sia nel 1814, che nel 1815, infatti, il numero dei disertori francesi avrebbe segnato i minimi storici.
Cosa convinceva a combattere e a morire dei giovani diciottenni appena aperti all'esperienza del mondo? Ancora oggi è difficile e penoso scriverne. Forse essi, come Philippe-Paul de Ségur, credettero che «nulla fosse insignificante in quel genio prodigioso e in quegli avvenimenti titanici, senza i quali non sapremmo fino a che punto possano giungere la forza, la gloria e la sventura umana».
WATERLOO
La qualità delle truppe che stavano per affrontarsi fra la Belle Alliance e Mont-Saint-Jean era relativamente omogenea. L'Europa del 1815 era in guerra da più di vent'anni, e attraverso quell'esperienza tutti gli eserciti avevano imparato il mestiere al livello più alto, finendo per assomigliarsi. Un po' come accadrà nel 1918 e nel 1945, il divario tattico fra gli eserciti più avanzati, com'era a quell'epoca il francese, e gli eserciti più conservatori, come l'inglese, era ora molto meno ampio di quanto non fosse all'inizio delle guerre rivoluzionarie. Le truppe francesi erano ancora capaci di marciare più velocemente e manovrare con maggior disinvoltura di quanto non riuscisse a fare chiunque altro, ma non si trattava più d'un divario sufficiente a decidere l'esito di una battaglia. Una differenza importante nasceva invece dal modo di reclutamento delle truppe, che era essenzialmente il frutto d'una decisione politica. Gli eserciti del 1815 si trovavano nel bel mezzo del passaggio dal reclutamento professionale, tipico dell'Ancien régime, alla coscrizione obbligatoria che avrebbe caratterizzato gli eserciti nazionali del futuro. La Francia rivoluzionaria era stata la prima ad adottare il principio della coscrizione universale (o quasi), per cui tutti i giovani in età di leva erano soggetti alla chiamata; anche se di fatto, ogni anno, se ne arruolava soltanto una minoranza, per mezzo di una procedura di sorteggio. In generale, sotto l'Impero venivano chiamati centomila coscritti all'anno, il che significava estrarne a sorte all'incirca uno su sette; gli ultimi coscritti che raggiunsero in massa i reparti furono quelli del 1814, la cui chiamata era stata anticipata all'anno precedente. L'esercito ricostituito da Napoleone al ritorno dall'isola d'Elba era dunque composto in maggioranza da soldati che avevano almeno una campagna alle spalle, anche se agli occhi dei veterani, i coscritti del '14 (i «Marie-Louise») sembravano sempre dei ragazzini. Oltre alla Francia, l'unico regno che praticava la coscrizione obbligatoria era la Prussia, dove il risveglio nazionale dovuto alle guerre di liberazione del 1813-14 aveva permesso al governo di far passare il principio rivoluzionario del servizio militare universale. Visto che il potenziale umano a disposizione non era abbondante (la Francia, in quel momento, vantava una popolazione che superava di gran lunga quella della maggior parte delle nazioni europee), ogni anno veniva estratto a sorte un coscritto su cinque. Ma proprio perché la coscrizione era stata adottata così di recente, i sudditi che avevano più di vent'anni non erano mai passati attraverso il servizio di leva, e il re non poteva permettersi di non utilizzare questa risorsa. Perciò la Prussia aveva organizzato a fianco dell'esercito regolare una milizia territoriale, o Landwehr, composta da civili sorteggiati su base provinciale, che si sottoponevano a un addestramento periodico, inquadrati da ufficiali prestati dall'esercito regolare o richiamati in servizio dalla pensione.
I diversi contingenti nazionali che costituivano l'eterogeneo esercito di Wellington erano invece lo specchio di organizzazioni statali che per ragioni politiche non potevano permettersi di adottare la coscrizione obbligatoria. Negli eserciti d'Inghilterra, dei Paesi Bassi, di Hannover, del Brunswick e del Nassau, i reparti di linea erano costituiti da professionisti che firmavano per servire parecchi anni o ancora più spesso a vita, arruolati da ufficiali reclutatori che battevano il paese allettando i volontari con il pagamento d'un premio in contanti. Nell'esercito inglese, il cui bacino di reclutamento coincideva con le isole britanniche, la stragrande maggioranza dei volontari erano sudditi del re, sicché l'esercito conservava una spiccata connotazione nazionale. I re dei Paesi Bassi e dell'Hannover e i principi tedeschi minori, che avevano appena ripreso possesso dei loro territori dopo la lunga parentesi dell'occupazione francese, costituirono invece i loro reggimenti di linea arruolando soldati di mestiere, spesso appena congedati dall'esercito francese o da quello del regno napoleonico di Westfalia. All'interno di questa coesione di eserciti, nazionali e mercenari, va sottolineata la differenza fra truppe di linea e milizia, ossia la più importante, sul piano dell'efficienza, che si potesse riscontrare sul campo di battaglia di Waterloo. Improvvisati e poco addestrati, i reparti della milizia, anche se inquadrati da ufficiali e sottufficiali di mestiere, avevano inevitabilmente un livello di preparazione e di coesione morale inferiore a quello delle truppe regolari. Forse meno marcato fra i prussiani, per il forte spirito nazionale che animava comunque gran parte della loro Landwehr, questo divario era particolarmente sensibile negli altri eserciti continentali; ed è una delle ragioni per cui il duca di Wellington, valutando l'esercito che era stato messo ai suoi ordini, l'aveva giudicato «un esercito infame, molto debole e male equipaggiato».
WATERLOO
L'esercito inglese, come accennato in precedenza, era interamente composto di professionisti, ma questo non comportava affatto implicazioni elitarie di alcun genere; il mestiere del soldato, infatti, malpagato e sottoposto a una durissima disciplina, non era granché apprezzato nel Regno Unito, anzi era una vocazione decisamente proletaria. Non a caso un'alta percentuale di arruolati era costituita da irlandesi, giacché l'Irlanda, sovrappopolata com'era di contadini miserabili, era da sempre il maggior fornitore di carne da cannone degli eserciti di Sua Maestà. I battaglioni di fanteria che Wellington schierò a Waterloo, fatta eccezione per alcuni reggimenti scozzesi dal reclutamento marcatamente regionale, comprendevano in genere una percentuale fra il 20 e il 40 per cento di irlandesi. Ma l'esercito britannico non era del tutto privo della presenza inglese sul campo di Waterloo. Durante le guerre napoleoniche, anche i britannici erano rimasti a corto di uomini, e anche se potevano far affidamento sui serbatoi irlandesi e scozzesi, gli alti ufficiali di sua maestà dovettero far ricorso alla milizia: ossia agli uomini sorteggiati localmente che entravano nei reggimenti territoriali e su cui si esercitavano forti pressioni affinché, dopo aver completato l'addestramento, firmassero per entrare fra i regolari, sicché a Waterloo molti reggimenti erano costituiti per più di metà da uomini che si erano arruolati dopo un'esperienza nella milizia. È opinione comune che queste reclute abbiano prodotto, statisticamente, un certo innalzamento nell'origine sociale e nell'educazione della truppa, che ora comprendeva anche qualche giovane di famiglia piccoloborghese e dotato d'una certa istruzione. A questi uomini dobbiamo il racconto che ci descrive la vita nell'esercito di Wellington, scritti peraltro in condizioni di uomini di truppa non solo di ufficiali. Tuttavia, la grande maggioranza dei soldati era ancora composta da disoccupati che non avevano trovato un altro modo per campare. Le poche statistiche disponibili mostrano che circa la metà, prima di arruolarsi, erano stati braccianti agricoli, e gli altri operai tessili o apprendisti artigiani. In una società classista come quella inglese, questa origine proletaria spalancava un abisso fra gli ufficiali e i loro uomini: il duca di Wellington, che non era un uomo di sentimenti democratici, affermò un giorno senza mezzi termini che l'esercito inglese era reclutato fra «la schiuma della terra». Agli occhi dei francesi, i soldati inglesi ubbidiscono ciecamente, se sbagliano sono puniti colla frusta, e in libera uscita si ubriacano come non si è mai visto fare a nessun altro; i sottufficiali sono ottimi, «non salgono mai più in alto e trovano la cosa del tutto naturale, tanto l'idea di classe è innata nella loro testa». Quanto agli ufficiali, «sono per lo più molto coraggiosi, ma abbastanza ignoranti del loro mestiere, perché l'educazione inglese non è indirizzata verso la professione delle armi. Per di più sono aristocratici in tutte le loro maniere, scostanti e altezzosi». Sul piano sociale, insomma, l'impressione che i francesi si fanno degli inglesi e del loro esercito è senza appello: «gli ufficiali, tutti della classe dei nobili o dei gentlemen, erano ubbiditi senza discussione dai soldati, tutti della classe dei proletari», ricorda un veterano di Napoleone.
La modernità, suggeriva di trattare più umanamente la truppa, stava appena cominciando a nascere nella società inglese; ma, in effetti, la Gran Bretagna era ancora il paese dove si poteva essere condannati a morte per più di sessanta reati diversi, e dove capitava tutti i giorni che donne o ragazzi fossero impiccati per il furto d'un frutto. Si capisce che nei ranghi dell'esercito gli ufficiali, soprattutto quelli della vecchia scuola, mantenessero la disciplina con estrema spietatezza: per infrazioni anche banali un soldato poteva essere condannato a centinaia di frustate, che diventavano mille o duemila nei casi più gravi, ed erano somministrate col gatto a nove code fino allo svenimento della vittima. Ancora nelle settimane precedenti a Waterloo parecchie condanne di questo genere vennero eseguite in pubblico, fra il disgusto dei civili belgi e lo sgomento delle autorità locali, che intervennero presso i comandi inglesi per invitarli a limitare queste dimostrazioni di barbarie. Parzialmente differente è il discorso per il rango degli ufficiali. Fra quelli di grado inferiore dei reggimenti inglesi c'erano anche molti figli di impiegati e negozianti, esponenti della laboriosa borghesia urbana che creava la ricchezza dell'Inghilterra; costoro però facevano difficilmente carriera e invecchiavano come tenenti o tutt'al più capitani, non avendo i soldi per pagarsi l'avanzamento. Abitualmente, infatti, la promozione si otteneva acquistando quella che in inglese si chiama tuttora una commission, e che si traduce malamente con «grado»: giacché si tratta piuttosto di un incarico di comando, paragonabile a quegli uffici pubblici che in tutte le monarchie d'Ancien régime si vendevano al miglior offerente. L'acquisto di un grado era a tutti gli effetti un investimento, dal momento che quando s'era stancato della vita militare qualunque ufficiale poteva rivendere la sua commission. Il ministero si limitava a sanzionare la compravendita, e a verificare che nessuno potesse saltare uno o più passaggi: era comunque necessario occupare tutti i gradi, uno dopo l'altro, per poter procedere nella gerarchia. Ma i ricchi avanzavano egualmente molto in fretta, acquistando una commission di grado superiore appena se ne offriva una in un reggimento qualsiasi. Arthur Wellesley, non ancora duca di Wellington, era alfiere a diciott'anni e tenente colonnello a ventiquattro: in sei anni aveva avuto cinque promozioni, tutte a pagamento, ed era passato attraverso sette reggimenti diversi, senza aver mai prestato un solo giorno di servizio in guerra. Ma la promozione per merito non era sconosciuta nell'esercito di Sua Maestà, ed è possibile citare qualche caso stupefacente di ascesa dai ranghi: Sir John Elley, colonnello delle Royal Horse Guards, che fu ferito a Waterloo mentre prestava servizio nello stato maggiore di Wellington, era il figlio d'un portinaio, ed era entrato nell'esercito come soldato semplice. Il criterio seguito dal ministero era di applicare la promozione al merito soltanto per sostituire gli ufficiali caduti in battaglia, dal momento che in quel caso i posti si liberavano da sé senza che fosse necessario rimborsare nessuno. Se si considera che nel 1815 l'esercito inglese combatteva ininterrottamente da molti anni, e che le battaglie nella Penisola Iberica erano costate un pesantissimo tributo di sangue, è lecito pensare che a Waterloo ci fosse una percentuale di ufficiali promossi per merito molto più alta rispetto a qualche anno prima, o a qualche anno dopo. Va precisato che il meccanismo delle nomine era del tutto diverso per i comandanti di brigata, di divisione e di corpo d'armata, i quali, non trattandosi d'una commission che potesse essere acquistata, ma di un incarico temporaneo conferito per la durata d'una campagna, erano scelti con la prudenza propria in questo campo delle monarchie d'Ancien régime, ed erano dunque di solito uomini maturi, anche se non anziani: l'età media dei comandanti di corpo e di divisione nell'esercito inglese a Waterloo era di 44 anni e mezzo. L'unica eccezione era il principe d'Orange, figlio del re dei Paesi Bassi, cui era stato affidato il comando d'un corpo, per evidenti ragioni politiche, benché avesse solo 23 anni, secondo un'abitudine anch'essa diffusa nelle vecchie monarchie.
Nel complesso, comunque, il secco giudizio che il duca di Wellington e i veterani francesi davano dell'esercito inglese non riguardava affatto la sua efficienza militare. Per quanto proletario e semianalfabeta, il soldato inglese, ben nutrito di carne e birra, riscaldato col gin, e intimamente persuaso della propria superiorità razziale sulla marmaglia straniera che si trovava ad affrontare, era un magnifico combattente, come può immaginare chiunque abbia visto in azione gli hooligans del calcio. Il paragone non è irrispettoso, dal momento che lo stesso Wellington ammise «la frequenza e l'enormità» dei delitti commessi dai suoi soldati contro la popolazione civile, e aggiunse che non sapeva spiegarselo «se non col fatto che abbiamo molti uomini che hanno abbandonato le loro famiglie a far la fame, per la tentazione di poche ghinee con cui ubriacarsi». A sua volta, il generale francese Foy, sulla base dell'esperienza fatta in Spagna, scrive che «il soldato inglese è stupido e intemperante», ma aggiunge che questo è un vantaggio: «una disciplina di ferro trae partito da alcuni dei suoi difetti, e neutralizza gli altri», sicché in definitiva «la forza principale dell'esercito inglese viene dal fatto che masse di uomini ignoranti si lasciano condurre ciecamente da uomini più illuminati di loro». Il duca di Wellington sarebbe stato certamente d'accordo, e il suo commento spregiativo che abbiamo riportato all'inizio si conclude in realtà con un ambiguo elogio del soldato britannico: «Detto fra noi, i nostri amici sono la schiuma della terra. La gente dice che si arruolano spinti da una bella vocazione militare: tutte chiacchiere; non esiste niente del genere. Alcuni dei nostri uomini si arruolano perché hanno messo incinta la ragazza; altri perché sono ricercati; molti di più per la smania di ubriacarsi; è difficile immaginare una collezione simile, e in realtà c'è da meravigliarsi che siamo riusciti a farne della gente così in gamba».
WATERLOO
L'esercito francese, a differenza di quello britannico, era reclutato sulla base della coscrizione universale, e presentava un volto completamente diverso da quello nemico. Certo, anche se l'obbligo di presentarsi al sorteggio di leva gravava in teoria su tutti i cittadini maschi, una moltitudine di esenzioni, favori e corruzioni, insieme al diritto perfettamente legale di pagarsi un rimpiazzo se si avevano i soldi per farlo, garantiva che il peso della coscrizione gravasse soprattutto sul proletariato rurale; e tuttavia l'esercito poteva e voleva considerarsi rappresentativo dell'intera società, in un modo che sarebbe stato inconcepibile per gli inglesi. Lo stesso Wellington osservava: «Un esercito francese è composto molto diversamente dal nostro. La coscrizione richiama un'aliquota di ogni classe; non importa se è tuo figlio o il mio: tutti devono marciare». Inoltre, le idee egualitarie della Rivoluzione, rimaste vive nell'esercito durante la Restaurazione, e perfettamente conciliabili col culto dell'imperatore, si rispecchiavano in particolare negli ufficiali, che in maggioranza erano soldati o sottufficiali promossi per merito: si è calcolato che circa i tre quarti di tutti gli ufficiali che servirono sotto Napoleone erano stati promossi dai ranghi. A titolo di confronto, nell'esercito inglese l'equivalente percentuale oscillava fra il cinque e il dieci per cento.
Ai livelli più elevati, l'esercito di Napoleone contava anche un gran numero di ufficiali di carriera che avevano già servito sotto l'Ancien régime e provenivano dalla vecchia nobiltà; ma l'imperatore non faceva nessuna differenza fra costoro e quei loro parigrado che erano saliti dal nulla, e che ai vecchi tempi sarebbero stati probabilmente i lacchè o gli attendenti dei primi. Tanto per fare qualche esempio, il conte d'Erlon, comandante del I corpo, era un soldato semplice al tempo della monarchia, e allo scoppio della Rivoluzione fu promosso al grado di caporale; fra i suoi quattro comandanti di divisione, Marcognet era figlio d'un vero conte, proveniva dalla nobiltà rurale della Vandea ed era già stato ufficiale prima della Rivoluzione, al pari di Durutte, che era stato addirittura condannato a morte come monarchico sotto il Terrore; ma il terzo, Donzelot, era un soldato semplice del re che era stato promosso ufficiale al tempo di Robespierre, e il quarto, Quiot, s'era arruolato volontario a sedici anni nel 1791, nel pieno della Rivoluzione. Largamente interclassista e formato in gran parte da gente d'umile origine, il corpo degli ufficiali di Napoleone a Waterloo non era però più così giovane come in passato. Soprattutto nei ranghi più elevati, l'età media non si distingueva da quella di eserciti ben più conservatori come quello inglese. I 26 comandanti di corpo e di divisione che combatterono a Waterloo avevano un'età media di 44 anni e mezzo, esattamente la stessa dei loro parigrado inglesi. Passiamo ora a considerare la qualità dell'esercito che Napoleone condusse a Waterloo: secondo alcuni quest'armata, i cui soldati erano tutti francesi, era la migliore che l'imperatore avesse comandato da molti anni. In teoria, i soldati avrebbero dovuto essere tutti quanti veterani di almeno una campagna, dal momento che i coscritti del 1815 non fecero in tempo a raggiungere i reparti; eppure parecchie testimonianze assicurano che in molti reggimenti c'era comunque una forte percentuale di soldati giovani, che non erano mai stati esposti al fuoco. Il giudizio più condivisibile è probabilmente quello di Henry Houssaye, storico ottocentesco che, dopo aver analizzato una massa enorme di documenti e testimonianze, concluse così: «Napoleone non aveva mai avuto in mano uno strumento di guerra così temibile, né così fragile».
Le opinioni dei contemporanei, per lo più negative, sono viziate dal fatto ch'essi scrivevano sotto l'impressione della catastrofe. Il capitano Duthilt osservò che troppi reggimenti erano stati costituiti amalgamando uomini che avevano combattuto a lungo su fronti diversi, che non si conoscevano fra loro e non potevano avere piena fiducia nei loro ufficiali; i soldati che avevano sperimentato le sconfitte degli ultimi anni e poi avevano servito i Borboni, e ancor più i prigionieri reduci dall'Inghilterra o dalla Russia, avevano perduto molto del loro entusiasmo. Desales, che comandava l'artiglieria del I corpo, scrisse: «Avevo un personale piuttosto numeroso; ad eccezione degli ufficiali, e di qualche sottufficiale, tutta questa gente non era né molto istruita, né molto agguerrita. C'era un abisso fra loro e i nostri vecchi soldati del campo di Boulogne». Ma quando i nemici se li trovarono di fronte, li giudicarono agguerriti più che a sufficienza. Come disse un ufficiale inglese, a chi gli chiedeva se a Waterloo si era trovato di fronte alla Vecchia Guardia: «mi spiace molto di non essere stato informato sull'identità dei nostri avversari. Potevano essere la Vecchia Guardia, la Giovane Guardia, o magari neanche Guardia per niente; ma quel che è certo è che erano lì, e sembravano abbastanza pericolosi e abbastanza cattivi da poter essere qualsiasi cosa».
WATERLOO
L'esercito della Prussia, che sotto Federico il Grande era considerato il migliore d'Europa, aveva subìto una drastica riorganizzazione nel corso delle guerre napoleoniche, dopo che Napoleone l'aveva annientato nel 1806. Il nuovo esercito, benché assai più piccolo del precedente, aveva dimostrato un discreto livello di efficienza durante le guerre di liberazione del 1813-14. La Prussia non aveva soltanto adottato il sistema francese del servizio di leva obbligatorio, ma l'aveva modernizzato, introducendo il principio per cui i coscritti che avevano finito il loro servizio militare rimanevano in organico, e potevano essere richiamati in caso di guerra per costituire dei reggimenti della riserva. Inquadrati da ufficiali e sottufficiali di professione, questi reggimenti erano bensì meno efficienti di quelli di linea, ma nell'insieme altrettanto affidabili; trasformati in breve tempo da sudditi a cittadini attraverso la ventata di rinnovamento delle guerre di liberazione, i contadini tedeschi, e in parte polacchi, che costituivano il grosso delle reclute continuavano a essere ottimi soldati come ai vecchi tempi. A inquadrarli era un corpo di ufficiali ancor sempre tratto nella sua totalità dalla nobiltà terriera, e che conservava un forte legame col vecchio esercito prussiano di Federico il Grande: a Waterloo, quasi tutti gli ufficiali prussiani dal rango di capitano in su erano in servizio da prima del 1806. È comunque significativo constatare che nell'esercito di Blücher l'età media dei comandanti di corpo e di divisione era la stessa che abbiamo riscontrato presso gli eserciti di Napoleone e di Wellington, ossia 45 anni; a conferma, ancora una volta, della tendenza al livellamento che caratterizzava tutti gli eserciti dell'epoca. E anche qui l'unico generale veramente giovane era un principe del sangue, il principe Wilhelm, figlio del re, che a diciott'anni comandava la cavalleria del IV corpo, e che sarebbe vissuto abbastanza a lungo da diventare imperatore del nuovo Reich tedesco nel 1871.
Alla vigilia di Waterloo, tuttavia, l'esercito prussiano era soggetto a quella che possiamo ben chiamare una crisi di crescenza. Il Congresso di Vienna aveva riportato il regno di Prussia al rango di grande potenza europea e aveva notevolmente allargato i suoi confini, mettendo a disposizione dell'esercito un ampio bacino di reclutamento; il cui materiale umano era tuttavia meno affidabile di quello delle vecchie province. Nello stesso momento il governo prussiano aveva deciso di inquadrare nell'esercito di linea i reggimenti di riserva, nonché le numerose formazioni di volontari (Freikorps) costituite durante le guerre di liberazione, e diversi reparti tedeschi passati dal servizio napoleonico a quello prussiano. Questa moltitudine di formazioni, di efficienza diseguale e vestite con le uniformi più diverse, vennero trasformate sulla carta in reggimenti di linea prussiani, ma la loro riorganizzazione era appena cominciata quando il ritorno di Napoleone costrinse la Prussia a concentrare il suo esercito in Belgio. Ben 25 reggimenti di fanteria, dei 31 che comprendeva allora l'esercito prussiano, erano agli ordini di Blücher nel giugno 1815. Ma di quei 25 solo 7 erano reggimenti di vecchia tradizione, già esistenti prima del 1813, con organico stabile e rivestiti di uniformi regolari. Altri 10 erano reggimenti della riserva, appena rinumerati come reggimenti di linea, ma ancora in parte vestiti con vecchie uniformi donate dall'Inghilterra, o con uniformi francesi preda di guerra. Due reggimenti avevano costituito in precedenza la fanteria del granducato di Berg, ed erano stati incorporati tali e quali, con le loro uniformi bianche di taglio francese. Altri due provenivano dalla Legione Russo-Tedesca, costituita dai russi nel 1812 con prigionieri di guerra delle nazionalità più svariate, e vestivano ancora l'uniforme russa verde scuro. Altri tre reggimenti, infine, erano stati costituiti rifondendo i reduci dei Freikorps, le superstiti truppe del regno napoleonico di Westfalia e rimpiazzi reclutati nelle province renane di nuovo acquisto. Come scrive il più recente storico della partecipazione prussiana, e tedesca, alla battaglia di Waterloo, Peter Hofschroer, «l'esercito messo in campo dal regno di Prussia nel 1815 era, in termini di qualità del materiale umano, equipaggiamento e coerenza organizzativa, probabilmente il peggiore che la Prussia abbia mai impiegato nell'intero corso delle guerre rivoluzionarie e napoleoniche». Un discorso a parte è da fare per la milizia, o Landwehr, che nel 1815 fornì ben 18 reggimenti di fanteria e 17 di cavalleria all'esercito in Belgio. Rispetto alle milizie di altri paesi, la Landwehr prussiana aveva una qualità un po' più alta, giacché la maggior parte dei suoi reggimenti aveva già partecipato alle guerre di liberazione, e ancora nel 1815 molti dei miliziani presenti nei ranghi erano di fatto dei veterani. In fin dei conti la fanteria della Landwehr era sì inferiore sul campo alla fanteria di linea, ma non così nettamente come in altri eserciti; meno facile è dare un giudizio positivo sulla cavalleria della milizia, che giudiziosamente altri paesi evitarono di organizzare, giacché la cavalleria aveva bisogno di un addestramento molto più intensivo per essere davvero utilizzabile in battaglia. Ma per i generali e forse soprattutto per i politici prussiani, in quella tarda primavera del 1815, la quantità contava molto di più della qualità.
WATERLOO
Passati in rassegna quelli che vengono comunemente ricordati come i protagonisti principali di Waterloo, ossia le armate britannica, francese e prussiana, dobbiamo ricordare che sul campo di Waterloo vi erano anche altri eserciti in campo (quelli del regno dei Paesi Bassi, dell'elettorato di Hannover, dei ducati di Brunswick e di Nassau), che insieme alla cosiddetta King's German Legion, formata da tedeschi al servizio inglese, fornivano quasi due terzi delle truppe al comando di Wellington. Tutti questi eserciti avevano in comune la caratteristica d'essere stati costituiti, o ricostituiti, da pochissimo tempo. Il Belgio e l'Olanda erano stati annessi da Napoleone alla Francia e avevano recuperato la loro indipendenza soltanto nel 1814, dopodiché, il Congresso di Vienna aveva provveduto a unificarli in un unico regno. Il nuovo esercito poteva contare su un discreto bacino di reclutamento, perché Belgio e Olanda avevano fornito ogni anno a Napoleone il dovuto contingente di leva, e moltissimi ufficiali originari dei due paesi avevano fatto carriera negli eserciti della Rivoluzione e dell'Impero. Assorbendo quei veterani, l'esercito dei Paesi Bassi si assicurò quadri eccellenti, che però avevano combattuto troppo a lungo agli ordini di Napoleone perché la loro fedeltà non suscitasse qualche sospetto. E in verità si possono capire quei timori di fronte a biografie come quella di Jean-Baptiste Van Merlen, che comandava una brigata di cavalleria a Waterloo: arruolato volontario a quindici anni fra i rivoluzionari belgi insorti contro la dominazione austriaca, poi fuggiasco in Francia, sottotenente nell'esercito francese a diciannove anni, veterano della guerra di Spagna dove s'era distinto proprio contro gli inglesi come comandante di cavalleria, nominato generale e barone d'Impero nel 1812, Van Merlen, come molti altri ufficiali belgi e olandesi, si trovava per la prima volta a combattere contro quell'esercito francese che era stato il suo per tutta la vita.
Non si avevano gli stessi dubbi di fedeltà, o di antibonapartismo per quanto riguarda gli eserciti dell'Hannover e del Brunswick. Ricostituiti entrambi nel 1813, dopo che i due principati avevano riguadagnato la loro indipendenza dai francesi; entrambi erano formati da reclute, inquadrate da professionisti che avevano combattuto in Spagna al servizio inglese, ma anche da ufficiali e sottufficiali del disciolto regno napoleonico di Westfalia. Alle truppe regolari lo Hannover aveva affiancato una Landwehr, la cui organizzazione non era però ancora effettiva al ritorno di Napoleone dall'isola d'Elba, e dovette essere completata frettolosamente in pochi mesi. La truppa di entrambi gli eserciti, nel 1815, era piuttosto giovane e inesperta; i brunswickesi in particolare, nonostante la loro minacciosa uniforme nera e la testa di morto che campeggiava sugli shakò di alcuni reparti, colpirono gli ufficiali inglesi soprattutto per la loro eccessiva giovinezza («erano tutti dei perfetti bambini», osservò il capitano Cavalié Mercer). Nell'esercito del Brunswick l'età media dei comandanti di compagnia era di ventott'anni e quella dei comandanti di battaglione di trenta, età basse per gli standard dell'epoca; per di più, a causa delle gravi perdite subite a Quatre Bras, nella giornata di Waterloo diversi battaglioni erano comandati da un capitano, e una delle brigate da un maggiore. Molto diverso era il caso di una forza mercenaria come la King's German Legion (più brevemente KGL), formata nel 1803 con ufficiali e soldati dell'esercito dello Hannover che erano fuggiti in Inghilterra quando i francesi avevano invaso il loro paese, e che re Giorgio aveva mantenuto al proprio servizio. Nel corso degli anni la Legione aveva combattuto con Wellington in Spagna, acquisendo un'elevata professionalità, tanto che i suoi reparti erano considerati a tutti gli effetti pari ai migliori reparti inglesi.
In aggiunta agli alleati del fronte inglese, bisogna ricordare le truppe di Nassau. Napoleone aveva mantenuto al suo servizio due reggimenti di fanteria reclutati in quel ducato renano, che si erano battuti bene incorporati nell'armata francese di Spagna. Uno di questi reggimenti, il 2° Nassau agli ordini del colonnello von Kruse, aveva disertato passando agli inglesi nel dicembre 1813, quando Wellington aveva ormai invaso la Francia meridionale; e un anno e mezzo dopo faceva ancora parte dell'esercito alleato in Belgio. L'altro reggimento, il 1° Nassau, era stato disarmato e internato dai francesi in Spagna, ma nel corso del 1814 i suoi uomini erano ritornati in patria, e intorno a un nucleo di quei veterani von Kruse aveva ricostituito il reggimento, reclutando volontari e un battaglione di milizia. Un terzo reggimento, chiamato di Orange-Nassau, era stato reclutato dal sovrano del principato omonimo, che confinava col ducato di Nassau, partendo anche in questo caso da quadri che avevano servito Napoleone in Spagna.
Questi reggimenti, che complessivamente contavano oltre 7000 uomini, e cioè più di un decimo dell'esercito di Wellington, non costituivano però un contingente unitario; la loro situazione, andava a complicare l'eterogeneo quadro dell'esercito alleato, appesantendo ulteriormente la sua struttura di comando.
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Con il ritorno di Napoleone dall'Elba, la Francia Imperiale si trovava ad affrontare una grave minaccia, analoga a quella precedente a Valmy.
Gli alleati (Inglesi, Russi, Austriaci e Prussiani), con un pò di tempo a disposizione, avrebbero potuto, infatti, mobilitare fino ad un milione di uomini. Occorreva quindi che la Francia aumesse subito l'iniziativa dell'attacco per battere separatamente i quattro eserciti nemici alle frontiere: in breve tempo, Napoleone fece affluire truppe francesi alla frontiera nord-occidentale, costituendo al cosidetta "Armata del Nord."
Il piano francese prevedeva la consueta "manovra centrale" con Ney sull'ala sinistra, Grouchy alla destra, e Napoloene stesso al comando dei Corpi d'Armata della riserva centrale, fra i quali era inclusa anche la temibile Guardia Imperiale.
Tutta l'armata del Nord, superata la Sombre, si sarebbe dovuta incuneare tra l'esercito inglese e quello prussiano, impedendone il compattamento. Per batterli separatamente, Napoleone avrebbe utilizzato i Corpi d'Armata della riserva centrale in maniera che essi gravitassero ora su uno ora sull'altro fronte.
L'esecuzione del piano, semplice e geniale allo stesso tempo, avrebbe richiesto generali dello stampo di quelli dei "vecchi tempi", ma , purtroppo per i transalpini, di ufficiali di grande esperienza in Francia ne erano rimasti assai pochi. Sulle sorti della campagna di Waterloo, comunque, contarono non soltanto gli errori, ma anche e soprattutto il caso: quel che accadde a Quatre Bras, a Ligny, a Waterloo costituisce, dunque, la più tragica smentita del pensiero di Bonaparte, secondo il quale per il "genio" non esiste né sorpresa né caso, poiché egli tutto sa calcolare e predisporre.
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L'Armata del Nord disponeva di 200.000 uomini; 124.00 di questi formavano 175 battaglioni, 180 squadroni e 50 batterie di artiglieria, che si erano potuti radunare ed organizzare in appena 30 chilometri quadrati, senza che il nemico se ne accorgesse.
Appena oltre la frontiera settentrionale vi erano già due Armate nemiche: una inglese e una prussiana. Quella inglese comandata da Wellington, il trionfatore della campagna di Spagna, era incautamente distribuita su un vasto territorio della frontiera verso il Nord, contando 133 battaglioni, 109 squadroni e 34 batterie.Dei suoi 67.000 uomini 31.000 erano inglesi; per il resto, l'esercito era completato dalle truppe olandesi del Duca D'Orange, da continenti Belgi Nassau e del Brunswick. L'armata prussiana, condotta dal vecchio ed energico von Blucher, si trovava più a sud di quella inglese ed era anch'essa dislocata su un territorio piuttosto vasto. Era costituita da 136 battaglioni, 137 squadroni e 41 batterie.
L'Armata francese mosse il 14 giugno su un fronte di marcia di appena 5 chilometri. I primi ad avventurarsi in ricognizione furono i cavalieri della riserva, i quali, fino al momento dell'avanzata, erano stati disposti lungo la frontiera, per impedire un'eventuale fuga di notizie. Dall'accuratezza delle loro informazioni, raccolte durante la ricognizione, sarebbe dipesa la scelta tattica di Napoleone. Il movimento procedette in modo sufficientemente spedito ed ordinato, nonostante Ney avbanzasse troppo lentamente in direzione degli inglesi su Quatre-Bras, importante nodo stradale per Bruxelles. Il giorno 15, le avanguardie della destra francese di Grouchy presero contatto con consistenti reparti prussiani. Von Blucher, a questo punto , concentrò immediatamente tutte le sue truppe in avanti, esattamente come Napoleone aveva previsto e in parte sperato. Questa mossa, infatti, scollegava i prussiani dagli inglesi, e per di più, conduceva i Prussiani dritti nelle fauci della tenaglia francese.
Wellington, da parte sua, anzichè spingere le proprie truppe verso sud per ricongiungersi ai Prussiani, le schierò verso ovest, offrendo il debole fianco sinistro all'avanzata di Ney. Il mattino del 16 dopo aver letto i rapporti militari, Napoleone poteva dichiarare: «questa sera avremo nelle nostre mani duecento cannoni prussiani». In Realtà non andò così perché Ney, malgrado gli ordini ricevuti, anziché prendere immediatamente Quatre-Bras e convergere a destra, alle spalle dei prussiani, si fece impelagare in una serie di schermaglie contro striminzite forze degli anglo-olandesi. La sua incapacità di leggere la battaglia avrebbe consentito ai Prussiani, sonoramente battuti, di ritirarsi a Ligny con un esercito ancora efficiente. Von Blucher perse nello scontro solamente 21 cannoni, 16.000 uomini e altri 9.000 che disertarono; così all'alba del 17, Napoleone fu costretto a disporre l'inseguimento dei Prussiani superstiti in ritirata.
Grouchy, scelto come responsabile di quest'operazione d'inseguimento, per errore si mise sulla pista delle colonne dei disertori che rifluivano verso Liegi, anziché inseguire l'esercito di Blucher, in ritirata verso nord. Napoleone, inconsapevole di questo decisivo infortunio occorso a Grouchy, valutava che fosse giunto il momento di regolare la partita con "monsieur Villainton".
Nella notte precedente a Waterloo, infatti, Bonaparte, disponendo di 71.00 uomini suddivisi in cinque Corpi d'Armata, nonché di una cavalleria e di un'artiglieria senz'altro superiori a quelle del nemico, era convinto di poter spazzare l'armata di Wellington da Mont St. Jean nella mattinata, per potersi gettare sui Prussiani. Contrariamente alle aspettative di Napoleone, però, gli uomini del generale inglese opposero un'ostinatissima resistenza.
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«Napoleone mi ha ingannato!Ha guadagnato 24 ore di marcia su di me!». Così esplose il duca di Wellington quando, al ballo della duchessa di Richmond, seppe della effettiva manovra realizzata da Napoleone. Al suo ospite, che gli chiedeva cosa intedesse fare, rispose di aver ordinato all'Armata di concentrarsi a Quatre-Bras; «ma non lo fermeremo là, e, se andrà così , dovrò combatterlo qui» aggiunse, indicando su una cartina la posisione di Waterloo.
Le dimensioni del campo di battaglia erano assai anguste rispetto allo spazio che avrebbero richiesto le manovre dei cinque Corpi d'Armata di Napoleone: solamente due miglia di profondità per quatro di larghezza. Il. terreno era attraversato al centro della strada Chalroi-Bruxelles e, trasversalmente, da un'altra strada che conduceva a Wavre, da dove sarebbero poi giunti i Prussiani. La stretta piana si stendeva tra un costone meridionale, già occupato dai Francesi, ed un altro, poco elevato, tenuto dagli uomini di Wellington, a settentrione.
L'inizio della battaglia era stabilito per le nove del mattino, ma l'imprevisto, sotto l'aspetto di un temporale notturno, aveva trasformato il terreno in un pantano che impedì l'immediata messa in batteria dei pezzi d'artiglieria francesi, obbligando così Napoleone a rinviare l'attacco per le 11:30. La linea inglese, schierata lungo il costone settentrionale immediatamente dietro la sua cresta, rimaneva protetta contro la micidiale artiglieria francese.
Con funzione di avamposti, altre truppe inglesi erano piazzate, sulla destra, tra i frutteti e nella fattoria di Hougoumont, e al centro, in quella di La Haie Sainte. Napoleone aveva in prima schera il corpo d'armata di d'Erlon, circa al centro del settore destro. Altre truppe erano collocate sulla sinistra, di fianco e di fronte ad Hougoumont. La Guardia imperiale e le cavallerie di riserva si trovavano in posizionemolto arretrata.
Come prima azione offensiva, Napoleone dispose un bombardamento preliminare e assalti diversivi sulla fattoria di Hougoumont, fortificata dagli inglesi. L'azione era stata affidata alle due divisioni del principe Gerolamo e del generale Roy, con l'intento di indurre Wellington a sguarnire le proprie posizioni centrali per rafforzare la propria destra. Alla fine le posizioni britanniche sarebbero cadute, ma dopo aver dissanguato e distolto cospicue forze francesi dal loro obiettivo principale della collina. Ancora un errore per colpa dell'inesperienza dei generali, in questo caso del principe Gerolamo, fratello dell'Imperatore.
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«La forza morale più dell'entità numerica decide la vittoria». Questa idea espressa da Napoleone fin dal 1798, è alla base della costituzione della Guardia Imperiale, un corpo d'elitè nel quale affluivano i migliori della Grande Armata.
Come qualsiasi altro corpo, la Guardia disponeva di reparti di fanteria, cavalleria ed artiglieria, ma le somiglianze terminano qui. Se infatti le altre truppe erano spesso dal Corso dimenticate al freddo o alla fame, per la Guardia egli trovava sempre (perfino durante la tremenda ritirata di Russia)il tempo ed il modo di sfamarla, vestirla, pagarla ed incentivarla.
Negli ultimi anni dell'epopea , la Guardia era ormai diventata un esercito nell'esercito. Essa garantiva il potere di Napoleone in patria,e le spettava l'onore dell'ultimo assalto vittorioso, dopo che gli altri reparti avevano logorato le posizioni nemiche. Forse per questo i suoi componenti erano tanto valorosi in battaglia, quanto invidiati ed odiati dal resto delle truppe.
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All'una del pomeriggio, quando il I Corpo d'Armata di d'Erlon si apprestava all'attacco principale al centro, contro Mont St. Jean e La Haie Sainte, comparvero in lontananza, oltre i boschi, i 30.000 prussiani del IV Corpo d'Armata di von Bulow, guidati dal maresciallo von Blucher in persona: Grouchy non era riuscito ad intercettarli e, per di più, la manovra dalla posizione centrale era fallita per il ritardo nell'inizio della battaglia.
Nonostante tutto, l'Imperatore era convinto di poter annientare Wellington abbastanza rapidamente per potersi rischierare contro il nuovo nemico ancora lontano. Inoltre non disperava che Grouchy, nelle vicinanze, potesse ritrovare il luogo della battaglia seguendo il rombo del cannone e intervenire tempestivamente nello scontro con le sue divisioni di cavalleria.
L'attacco, inizialmente promettente, si risolse invece in un mezzo disastro. I reparti francesi, preceduti dai loro"schermagliatori", fanteria leggera che avanzava fuori dai ranghi in ordine sparso con il compito di infastidire il nemico con tiri di precisione, risalirono la china dispoti in "colonnes de bataillon par division", una formazione densa, antiquata e lenta: ogni divisione muoveva con otto o nove battaglioni dispiegati l'uno dietro l'altro, e così potevano sparare soltanto gli uomini della prima fila del primo battaglione, in tutto 200. Ancora oggi non si riesce a spiegare il motivo di questa scelta di Napoleone sul campo di Waterloo, quando già da anni le truppe francesi erano solite attaccare dispiegate in "colonnes de division par bataillon", una formazione molto più agile e manovriera dell'altra.
Gli inglesi, invece, erano disposti alla "vecchia maniera", con tutti i battaglioni dispiegati uno accanto all'altro su due sole linee di fucilieri (secondo alcuni, a Waterloo le file erano tre). Tutti i fanti inglesi, quindi, potevano sparare senza alcun impaccio, facendo convergere il fuoco da più lati sulla densa massa dei francesi. Il fuoco della loro fucileria era ininterrotto, perché, mentre una linea sparava, l'altra (o le altre due) ricaricava. Le formazioni dell'Imperatore erano perciò destinate ad essere falciate una riga dopo l'altra, prima dall'artiglieria che sparava a mitraglia e poi dalla fucileria. L'unico rischio per Wellington sarebbe stato che i soldati inglesi si sarebbero lasciati prendere dal panico, ma d'altra parte, considerando la forte produzione di fumo delle polveri da sparo dell'epoca, dopo la prima scarica i fanti britannici non potevano vedere più la massa francese attaccante.
Di solito un fante ben addestrato dell'epoca napoleonica riusciva a tirare tre colpi al minuto col suo fucile a pietra focaia.Due soldati posti in riga uno dietro l'altro erano dunque in grado di fare fuoco sei volte al minuto, una pallottola ogni dieci secondi in media. Se si moltiplica tale numero per le migliaia di fucili impiegati dai Britannici sulla collina, si può avere un'idea della tempesta di piombo che si abbatteva sui battaglioni francesi. Naturalmente la massiccia artiglieria francese con il suo fuoco d'appoggio avrebbe potuto scompaginare le lunghe ma esili file dei fucilieri britannici; Wellington, però, aveva schierato le sue truppe dietro il crinale della collina, in maniera da tenerle nascoste alle batterie avversarie, e le spinse allo scoperto solo quando i nemici erano ormai giunti a tiro utile dei fucili, cioè a circa 200 metri.
In questa situazione, se le colonne francesi, pur sopportando perdite sanguinosissime, si fossero mantenute compatte, avrebbero facilmente spezzato le linee inglesi; ma ciò non avvenne, anche perché le truppe di Napoleone a Waterloo non erano più costituite dai veterani delle campagne precedenti, ma da giovani coscritti (i Marie-Louise) o da uomini in età troppo avanzata:in entrambe i casi si trattava di soldati privi dell'esperienza o della presenza fisica necessarie a combattere saldamente. Così, dopo aver ottenuto alcune marginali vittorie in prossimità di una cava di ghiaia, le truppe di D'Erlon mostrarono i primi segni di disordine. E allora si riversò su di loro la formidabile carica della Union Brigade di Ponsonby e della cavalleria di Somerset.
Come un torrente in piena gli Scots Greys, così chiamati per il colore del manto dei loro cavalli, sbucarono dalla "sottile linea rossa" e si avventurarono sugli inesperti e frastornati francesi. In pochi attimi dilagarono il panico e la strage. Nell'inseguimento, però, gli Scots si spinsero oltre il dovuto. Non più della metà di essi rientrò viva nelle linee di partenza. I marescialli francesi che avevano combattuto contro gli inglesi in Spagna, sapevano già per esperienza che le loro cavallerie «avanzano sfrenate come se si trovassero ad una caccia volpe». Napoleone, invece, lo scoprì soltanto quel giorno.
Tra le ore 16 e le 17 avvenne il secondo episodio cruciale della battaglia: la carica sulla collina dei 5.000 lancieri, cacciatori e corazzieri per ordine e sotto la guida personale del maresciallo Ney, che interpretò un movimento inglese verso le retrovie come un accenno di ritirata, mentre si trattava solo dei feriti che venivano sgomberati dal campo sui carri delle munizioni. Così, mentre Grouchy, non avendo ricevuto o compreso il pur chiaro ordine di accorrere a Waterloo che Napoleone si era affrettato a rinnovargli (comportamento inconcepibile dal momento che negli eserciti dell'epoca vigeva la massima universale di marciare sempre verso il rombo del cannone), continuava a cercare von Blucher nella direzione sbagliata, privando Napoleone dell'apporto delle sue divisioni, Ney scatenava un "assalto finale" dalle conseguenze nefaste.
L'impeto della prima ondata di cavalieri venne salutato da un'ovazione generale, alla quale, immediatamente, seguì un fatto straordinario ma non inconsueto per le battaglie dell'epoca: praticamente tutte le cavallerie francesi, tra le quali i pur disciplinatissimi lancieri polacchi della Guardia, si avventarono sui quadrati inglesi ritenendo che fosse giunto il grande momento. Ai primi 5.000 seguirono altri 10.000 cavalieri francesi, a ondate successive. Alle cariche di Ney, Wellington si preparò schierando i suoi uomini in quadrati: ogni quadrato era disposto con la fila più esterna di uomini in ginocchio con il calcio del fucile piantato saldamente a terra per creare una selva di baionette che sventrava i cavalli, e le altre file più interne, in genere due, in piedi a sparare.
Questa particolare formazione, che la fanteria assumeva per resistere ai travolgenti attacchi delle cavallerie, le consentiva di difendersi egregiamente anche se accerchiata, potendo contare anche sul rifiuto istintivo dei cavalli a calpestare l'uomo. I cavalieri, dunque, non potendo guidare direttamente il loro cavallo contro i quadrati nemici per travolgerli, dovevano galoppare loro intorno sciabolando e scaricando a bruciapelo le pistole. L'episodio della carica di Ney si risolse finalmente con il contrattacco della cavalleria inglese di Uxbridge, che rigettò gli ormai esauriti cavalli francesi giù dalla collina e riconquistò i pezzi d'artiglieria inglese che erano caduti in mano nemica ma che non erano ancora stati messi fuori uso per incuria o mancanza di tempo.
Mentre Ney vedeva le sue possibilità di vittoria diminuire di minuto in minuto, i Prussiani proseguivano la loro lenta marcia di avvicinamento, inutilmente contrastati dalle riserve che Napoleone aveva inviato loro alla spicciolata. Grouchy continuava a non comparire. A rallentare i Prussiani avrebbe provveduto la guardia imperiale: a Palncenoit, per esempio, la carica alla baionetta di due soli battaglioni della Vecchia Guardia era bastata a mettere in rotta ben 14 battaglioni nemici! Il fianco destro era, almeno per il momento, stabilizzato. L'imperatore aveva ancora a disposizione otto o nove battaglioni di granatieri della Guardia appartenenti alla riserva strategica dell'Armata, veterani scelti sui quali si poteva fare affidamento assoluto: se questi fossero riusciti a spezzare l'ostinata difesa inglese, Napoleone avrebbe potuto, nonostante tutto, riuscire ancora vincitore. I tamburi della Guardia iniziarono a battere. En Avant! Napoleone stesso accompagnò i suoi soldati fino a 660 metri dalle linee nemiche.
Gli occhi di tutto l'esercito erano fissi su di loro mentre i tamburi ritmavano il pas de charge. Artiglieri e fucilieri inglesi li attendevano, occultati dietro rigogliosi campi di grano, niente affatto impressionati dallo spettacol. Per loro si sarebbe trattato di resistere ad un assalto come ad un altro, l'avrebbero affrontato e respinto come tutti i precedenti. Di quest'ultimo attacco dei vecchi moustaches("baffoni") abbiamo diverse e contrastanti cronache. Tutte però si concludono con un univoco dato:«la garde recule!» (la guardia arretra) fu il grido che si levò dall'intero attonito, incredulo esercito francese. L'Armata francese ristette per un attimo, atterrita. Accortosi di ciò - dicono i cronisti- Wellington gettò in aria il suo cappello. A questo segnale 40.000 inglesi si riversarono da Mont St. Jean verso la piana e l'Armée francese si disintegrò.
Alle nove di sera, superata l'ultima disperata resistenza della Guardia, Wellington e von Blucher si incontrarono, a battaglia ormai finita, alla taverna detta "La Belle Alliance": mai nome di luogo fu più adatto. Napoleone, in quel momento, era in fuga sotto la protezione dei quadrati del I Reggimento dei granatieri, l'èlite dell'esercito: praticamente, tutto quanto gli rimaneva ancora in efficienza dell'Armata del Nord, insieme ad alcuni reparti di Cacciatori della Guardia. Le perdite di entrambe gli schieramenti a Waterloo furono spaventose: 15.100 gli inglesi, 7.000 i Prussiani e 25.000 Francesi, ai quali furono catturati ulteriormente 8.000 uomini e 220 cannoni.
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L'avvicinarsi della cavalleria francese dovette essere uno spettacolo impressionante. Così lo ricordava l'alfiere Gronow, del I Reggimento Foot Guard inglese: "Neppur uno dei presenti che sopravvissero potè mai in seguito dimenticare la spaventosa grandiosità di quella carica. Si scorgeva in distanza qualcosa che sembrava un'enorme lunga linea in movimento che, continuando ad avanzare, risplendeva come una tempestosa onda marina quando riflette la luce solare. La schiera a cavallo avanzò finché giunse assai vicina, mentre la terra stessa pareva vibrare sotto i colpi degli zoccoli. Si poteva pensare che niente avrebbe potuto resistere all'urto di questa terribile massa in movimento. Erano i famosi corazzieri, quasi tutti vecchi soldati che si erano distinti sulla maggior parte dei campi di battaglia europei. In un tempo incredibilmente breve furono a 20 metri da noi gridando "Vive L'empereur!". L'ordine "prepararsi a ricevere la cavalleria" era stato dato, ogni uomo della prima fila si inginocchiò e una muraglia sfolgorante di acciaio, tenuta insieme da salde mani, si oppose alla furia dei corazzieri".
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Waterloo è un esempio eloquente di battaglia come"crocevia della storia": la Rivoluzione francese aveva spazzato l'assolutismo dell'Ancien Règime in patria e dimostrato la superiorità degli eserciti nazionali di coscritti su quelli professionali al servizio delle monarchie europee. Con Bonaparte la medesima rivoluzione aveva poi tradito i suoi ideali, trasformandoli sostanzialmente in una dittatura militare dagli intenti espansionistici, che non riconosceva agli altri popoli quei diritti e quelle libertà che un tempo aveva rivendicato per i francesi.
Dopo la sconfitta dell'esercito "rivoluzionario" francese a Waterloo, sembrò rinascere una nuova epoca d'oro per gli assolutismi vincitori, resi ancora più solidi dalla loro vittoria ideologica oltre che militare. Invece il seme era stato gettato, anche se involontariamente, proprio da Napoleone, e le idee dell'Ottantanove continuavano a germogliare: l'Ottocento non fu infatti il secolo della restaurazione, ma del liberalismo, ed il novecento con tutti i suoi travagli, sarà il secolo delle democrazie.
Detto questo è difficile ipotizzare cosa sarebbe accaduto in Europa nel caso di una vittoria Napoleonica a Waterloo. L'imperatore era già minato nel fisico ed ormai lo sosteneva soltanto la smisurata fiducia in se stesso. Intanto, il tradimento serpeggiava a Parigi e la Francia era stanca di guerre. L'offensiva del 1815 d'altra parte aveva un obiettivo limitato, la conquista del Belgio e forse anche dell'Olanda, per convincere le potenze europee ad intavolare delle trattative di pace ed accettare il fatto compiuto del ritorno di Napoleone in Francia. Gli stati della VII coalizione, inoltre, non si erano fatti intimidire dalla mossa dell'Imperatore, tant'è che il Congresso di Vienna continuò imperturbabile le sue riunioni come se nulla fosse successo.
Gli esercirti inglese e prussiano erano, infine, soltanto l'avanguardia delle colossali forze che l'Austria, la Prussia, la Russia, nonché la Svezia, avrebbero potuto mettere in campo nel giro di qualche mese. Si trattava, è vero, di eserciti che Napoleone aveva sconfitto a suo piacimento nel passato, ma che a loro volta lo avevano sbaragliato a Lipsia nel 1813. Insomma, è estremamente improbabile che le monarchie alleate avrebbero accettato una loro ipotetica sconfitta a Waterloo senza tentare la rivincita contro Napoleone: il suo impero non sarebbe durato comunque molto a lungo.
Pubblicato il 23/06/2009
Bibliografia:
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999
Andrea Frediani, Le grandi battaglie di Napoleone, Edizioni Newton Compton, 2002
Carle Vernet, Uniformes Napoléoniens, Parigi, Museo dell'Armata, Biblioteca dell'immagine, 2001
Alessandro Barbero, La battaglia. Storia di Waterloo, Economica Laterza, 4 edizione, 2005
Geoffrey Wootten, Waterloo 1815: The Birth of Modern Europe, Osprey Publishing, 1992