8 luglio 1709
Lo zar Pietro I il Grande sconfigge le truppe di Carlo XII segnando il declino della potenza svedese.
POLTAVA
La Russia del XVII secolo, violenta e ancora arroccata su tradizioni barbariche, ma anche solida e tenace, venne perfettamente rappresentata da Pietro I "il Grande" Romanov. Figlio dello Zar Alessio Michajlovic, salì al trono ad appena dieci anni, insieme al fratellastro Ivan V e sotto il controllo della sorellastra Sofia. Morto Ivan, Pietro tolse i poteri alla sorellastra nel 1689, iniziando una vita dissoluta ma anche ricca di successi.
Dimostrò subito le sue grandi passioni per il mare e per l'esercito, creando la prima flotta russa nel 1696 e riprendendo la guerra contro i turchi, culminata con la conquista della fortezza di Azov, sul Mar Nero. Nel 1697 si unì ad una missione diplomatica in occidente(in incognito), lavorò da operaio in cantieri olandesi ed inglesi per apprenderne personalmente le tecniche di costruzione, e, una volta richiamato in patria per sedare la rivolta degli Sterlizzi nel 1698, si dedicò a reclutare specialisti per l'apertura di nuovi cantieri in Russia e riordinò l'esercito zarista, alla maniera "occidentale", affidandolo ad ufficiali stranieri che lo avrebbero portato all'agognato sbocco sul mar Baltico, all'annessione di Baku e della costa meridionale del mar Caspio.
Ma le sue riforme continuarono, sempre ostacolate dall'aristocrazia e dal Clero, in una direzione più assolutistica e di stampo occidentale. Riformò fisco ed amministrazione statale, sottopose la chiesa ortodossa sotto la propria autorità, aprì scuole pubbliche per la formazione degli impiegati nella pubblica amministrazione, fondò l'Accademia per le Scienze e le arti, creò compagnie di commercio privilegiate e industrie protette dallo stato stesso ed infine fondò la città di Pietroburgo.
Le sue riforme non vennero mai viste di buon occhio dall'aristocrazia visto che, pur accontentata con ulteriori proprietà terriere, vedeva il suo rango integrarsi con quello della burocrazia; mentre la situazione dei contadini andava sempre di più orientandosi in una dimensione di veri e propri servi della gleba, che, col passare dei secoli, creerà tensioni sociali di ampio respiro.
Carlo XII fu costretto a salire sul trono di Svezia alla morte del padre, nel 1697, appena quindicenne, per non lasciare la maggiore potenza del Nord Europa senza un re.
Sfortunatamente per lui, si ritrovò al potere quando le mire espansionistiche della Russia vennero dirette sul Baltico. D'altra parte, Carlo XII dimostrò di essere estremamente qualificato dal punto di vista tattico: era in grado di cogliere la situazione sul campo in un attimo e di decodificare con innata facilità le mosse nemiche, prendendo decisioni nel minor tempo possibile.
Dotato di enorme carisma, era assai apprezzato dai suoi soldati, per i quali era il simbolo stesso del proprio paese. Ai suoi contemporanei appariva, con il suo stile di vita austero e con l'incuranza dei cerimoniali di corte, più come un asceta-guerriero che come un re, portandosi sempre in prima fila durante le battaglie.
Le sue grandi qualità carismatiche e soprattutto tattiche, si fermavano però solo alla singola battaglia. In effetti dopo la vittoria di Narwa, dimostrò di non aver capito quale era la tattica di "terra bruciata" alla quale lo stavano sottoponendo i russi, dando la dimostrazione di non essere strategicamente perfetto , in delle vere e proprie campagne militari che non comportassero solo ed esclusivamente degli scontri armati, ma che venivano integravate da rifornimenti, marce tattiche e situazioni di guerriglia.
Dopo la sconfitta di Poltava, si rifugiò presso i turchi fino al 1714, nella speranza di poterli riattivare contro i russi. Inteso il loro disappunto nel riprendere tale azione militare, fece ritorno in patria dove dovette ricominciare a lottare per ristabilire il predominio svedese in tutta la regione scandinava.
Morì nel 1718, durante l'assedio di Fredrikshald, quando aveva completato la conquista di buona parte della Norvegia.
POLTAVA
La situazione Baltica visse sull'alternanza al potere delle nazioni racchiuse tra le coste orientali della Danimarca, fino a quelle occidentali delle attuali Lettonia, Estonia e Lituania. Protagoniste di primo piano furono, nel periodo antecedente alla battaglia di Poltava, la Svezia e la Russia mentre tra le comprimarie vi erano Danimarca, Prussia e Polonia.
La Svezia aveva consolidato la sua potenza e il suo prestigio a partire dall'ingresso nella guerra dei trent'anni del re luterano Gustavo Adolfo nel 1630, che, nel tentativo di arginare l'imperatore Federico II, trovò vittoria e morte combattendo nella battaglia di Lutzen contro il Wallenstein(1632), dopo aver sbaragliato a Lipsia l'esercito di Tilly.
La politica di espansione di Gustavo Adolfo venne interrotta per l'ascesa al trono della figlia Cristina, che si dedicò al consolidamento della Svezia quale potenza dominante nell'area baltica e oltre. In effetti, i domini della corona svedese si erano allargati alle città tedesche di Brema, Stettino e Stralsund, senza contare i territori di Finlandia, Carelia, Livonia, Estonia e Ingria che ne completavano l'assetto territoriale. L'espansione svedese venne favorita anche dalla diplomazia francese, che sperava di aver trovato un argine alla Germania e all'Impero, ma che comunque riservava dei dubbi sulle effettive potenzialità di un paese relativamente povero e con solo un milione e mezzo di abitanti.
I successori di Cristina dissiparono ogni dubbio sulle capacità del paese scandinavo. Carlo X, negli anni che vanno dal 1654 al 1660, sconfisse la coalizione di Polonia, Danimarca, Brandeburgo e Russia; Carlo XI rafforzò l'assolutismo in Svezia, inoltre riformò esercito e legislazione, mentre toccò a Carlo XII, nel 1697, riconfrontarsi sul campo contro la vecchia coalizione di nemici. Il giovane regnante scandinavo si rivelò assai deciso sconffiggendo i russi a Narwa e i danesi di Federico IV, inoltre depose il re di Polonia Federico II, ponendovi al suo posto il futuro suocero di Luigi XV di Francia, Stanislao. Per completare il quadro mancava solo la sconfitta definitiva dell'avversario più minaccioso: la Russia dello Zar Pietro il Grande.
Nonostante la netta sconfitta di Narwa (1700) Pietro il Grande era ben lungi dall'essere sconfitto definitivamente. Divenuto Zar nel 1697, Pietro I Romanov aveva consolidato la potenza russa sul Mar Nero(estromettendo quella turca) con la conquista di Azov, aveva consolidato le frontiere orientali respingendo le saltuarie offensive delle popolazioni della steppa e aveva iniziato il processo di modernizzazione burocratica dello stato russo, nel tentativo di "avvicinarsi" alle potenze occidentali.
Dopo la già citata presa di Azov (1696), lo Zar si accordò con il sultano turco per un accordo trentennale di tregua, che gli diede la possibilità di organizzarsi per fronteggiare meglio la minaccia svedese. Prese d'assedio la città svedese di Narwa con 40.000, ritenendo che le truppe di Carlo XII avrebbero impiegato molto tempo prima di superare i danesi e di giungere in soccorso degli assediati: Ma con sua grande sorpresa 8.000 svedesi giunsero, protetti anche da una tempesta di neve che ne occultò l'arrivo, a soli 9 km dalle truppe russe, prima che queste riuscissero a prendere la città. Nonostante l'incredibile disparità numerica tra i due eserciti, gli svedesi riuscirono a mettere in fuga i russi, portando i due regnanti a due conclusioni diametralmente opposte: lo Zar ebbe dimostrazione dell'estrema efficienza militare svedese; Carlo XII iniziò a sottovalutare pesantemente i Russi considerandoli deboli ed obsoleti militarmente.
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Nel momento in cui Carlo XII riprese le attività militari contro Federico II, sovrano di Polonia e Sassonia, lo Zar Pietro sfruttò il tempo concessogli per riorganizzarsi e conquistare i territori all'estuario della Neva, oltre a saccheggiare la città di Narwa. Una volta che anche Federico II venne sconfitto, i russi si trovarono da soli a dover combattere contro gli svedesi. Pietro il Grande decise di iniziare un lento ritiro delle proprie truppe dalle zone appena conquistate, lasciando "terra bruciata" agli svedesi che nel frattempo si erano fermati in Slesia.
Nella stessa Slesia la permanenza svedese ebbe breve durata, viste le ripetute incursioni tartare ordinate dallo Zar al confine tra la Russia e la Slesia stessa, ma soprattutto perchè la Slesia era ancora un territorio imperiale. Per non crearsi "noie" aggiuntive, Carlo XII decise di muovere verso il fiume Vistola, nel 1707, seguito da 24.000 cavalieri e 20.000 fanti. Il primo bilancio di questa spedizione in terra russa comportò la conquista di Grodno in inverno e l'avanzamento fino a Minsk ai primi di Giugno. Da questa posizione mosse verso il villaggio di Borisov, dove riuscì a distruggere letteralmente un esercito di ben 16.000 russi che gli si era opposto.
Il giorno 8 Luglio dello stesso anno, Carlo XII era già accampato sul Dnepr, nei pressi della città di Mogilev, in attesa del generale Lowenhaupt con i suoi 16.000 uomini e soprattutto con i suoi 7.000 carri di rifornimenti, indispensabili vista la tattica della "terra bruciata" adoperata dai russi, che rischiava di far morire di fame l'esercito scandinavo.
Nel frattempo, a Mogilev, Carlo XII ricevette in udienza anche il capo elettivo dei Cosacchi, Mazepa, che prometteva i frutti dei ricchi raccolti cerearicoli dell'Ucraina e il supporto militare di 30.000 cosacchi , se il re svedese avesse appoggiato la causa dell'indipendenza ucraina contro lo Zar. In un primo tempo sembra che l'offerta non fosse seriamente presa in considerazione da Carlo, ma quando i rifornimenti di Lowenhaupt tardarono ad arrivare, le truppe svedesi ricevettero l'ordine dal loro sovrano di muovere verso sud, ossia verso i ricchi raccolti ucraini.
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Già dopo la conquista di Azov, Pietro il Grande concepì l'idea di fondare una nuova capitale sulle rive della Neva, per spostare il centro del suo impero verso occidente, mossa con valenze non solo politiche, ma anche socio-istituzionali.
Pietroburgo nacque quindi sulle fondamenta di un antico villaggio di pescatori finlandesi, circondato da una serie di paludi e gelide foreste. Ma l'apparente inaccessibilità del territorio non ritardò l'inizio e lo svolgimento dei lavori, che procedettero con una rapidità fuori dal comune. Molta dell'effettiva forza lavoro russa venne reperita anche a forza e tanti operai coinvolti nella creazione i questa nuova capitale, perirono durante i lavori o per le lunghe distanze che dovevano colmare per reperire i materiali di costruzione.
Ma in effetti i veri ideatori e creatori della città russa vennero dall'occidente e dall'Italia in particolare. Ingegneri ed architetti italiani erano sulle buste paga dello Zar e di tutti i dignitari della corte russa, che dovevano trovarsi una nuova dimora nella nuova capitale confacente al loro rispettivo rango e al loro censo.
Opere come il Palazzo d'inverno e alcune delle altre residenze nobiliari affacciate sulla Neva, crearono un'ambiente affascinante e uno dei più suggestivi ambienti fluviali d'Europa, senza tralasciare le attività commerciali della "città di Pietro" che si svilupparono ben presto e con grandi profitti. Le finalità della nuova capitale furono tutte raggiunte e il risultato risultò all'altezza degli Zar fino alla fine della dinastia Romanov nel 1918.
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Caratteristica peculiare, e difetto congenito del re Carlo XII di Svezia, era basare tutta la sua tattica militare non su dati oggettivamente inconfutabili, quanto lasciarsi trasportare dalla fantasia.
Dopo aver posizionato il proprio campo ad Horki, Carlo calcolò che il generale Libeker avrebbe preso, con non troppa difficoltà, Pietroburgo attaccando dalla Finlandia, mentre il generale Lowenhaupt avrebbe raggiunto il re stesso con i suoi 7.000 carri pieni di viveri e munizioni. Mai, fino ad allora, previsione fu tanto errata. Libeker venne duramente sconfitto e ricacciato in territorio amico sino a Viborg, mentre le colonne di Lowenhaupt furono intercettate e distrutte dalle truppe di Pietro nei pressi di Propoisk. Solo nell'ultima sconfitta menzionata, gli svedesi lasciarono sul campo 8.000 uomini, 700 prigionieri e 17 cannoni.
Ma neanche queste notizie, portate dai pochi superstiti che raggiunsero l'accampamento del re, fecero calare l'inguaribile "ottimismo" di Carlo XII, che pensava di poter ancora contare sull'appoggio cosacco assicuratogli da Mazepa. Ma quando Baturin, la città più ricca di viveri della regione, fu presa dai russi e Mazepa giunse ad Horki con appena 2.000 cosacchi, il quadro fu veramente chiaro al re scandinavo.
La primavera del 1709 trovò gli svedesi a corto di approvvigionamenti, cosa che li costrinse a muoversi verso Poltava, piccola roccaforte nella quale i russi avevano accumulato una buona quantità di viveri e munizioni. A dispetto di quanto immaginato da Carlo, la resistenza della cittadina fu ferrea e lasciò il tempo allo Zar Pietro di arrivare in soccorso degli assediati.
Lo Zar arrivò il 20 giugno e pose immediatamente il proprio campo fortificato in attesa dell'arrivo del suo avversario.
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Ivan Stepanovich Koledinskyj, venne educato alla corte del re di Polonia e presto venne riconosciuto come Atamano(il comandante) del suo popolo: i cosacchi.
Lottò per tutta la vita affinchè potesse essere riconosciuta la libertà e l'indipendenza dell'Ucraina, contesa tra turchi , russi e polacchi. In un primo momento decise di schierarsi con l'esercito zarista, sia durante la spedizione russa ad Azov, che nelle prime fasi della guerra di Pietro I contro la Svezia. Improvvisamente, ed inspiegabilmente, decise di stringere un accordo segreto con gli svedesi con la promessa di garantire agli scandinavi vettovagliamenti e rinforzi. Venne seguito da 2.000 cosacchi soltanto, visto che la maggior parte della sua gente si rifiutò di seguirlo contro lo Zar.
Scomunicato dal Patriarca russo e sconfitto a Poltava, cercò rifugio presso gli ottomani; morì poco tempo dopo la battaglia forse suicida.
Personaggio complesso e dalla mentalità difficilmente codificabile, Mazepa, riuscì con i suoi clamorosi voltafaccia, ad inimicarsi la sua stessa gente ed ottenere il risultato esattamente contrario al suo sogno: l'assorbimento ucraino e cosacco all'impero russo.
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Tra il XVII e il XVIII secolo si verificarono, sui campi di battaglia europei, una serie di vittorie delle armate svedesi che segnarono una sorta di egemonia militare scandinava, con delle caratteristiche ben precise.
In effetti, le vittorie appena menzionate, sono state ascritte ai regnanti svedesi Gustavo Adolfo(Guerra dei Trent'anni, 1618-1648), Carlo X (Prima Guerra del Nord, 1655-1660) e Carlo XII(Seconda guerra del Nord, 1700-1721) ma fu solo uno tra questi tre a rinnovare veramente lo stile di "combattimento alla svedese".
La piccola rivoluzione in ambito militare delle truppe svedesi risale al primo dei re sopra menzionati: Gustavo Adolfo di Svezia. Egli per primo comprese che, il sistema detto "Nassau", in cui lunghe file di fucilieri si alternavano al tiro e alla ricarica eseguendo il fuoco a raffica, poteva diventare decisivo, e lo introdusse quale asse portante dell'addestramento delle fanterie del suo regno.
Il "sistema Nassau" non fu l'unica novità introdotta da Gustavo Adolfo nell'esercito svedese. Bandì tutte le truppe mercenarie, guadagnando in affiatamento e affidabilità degli uomini; divise il regno in distretti, ognuno dei quali avrebbe fornito un uomo per l'esercito ogni dieci validi; si interessò in prima persona dell'addestramento ed equipaggiamento standard dei suoi reggimenti.
Inoltre, accostò ad ogni reggimento di fanteria una porzione di artiglieria leggera, detta "cannoni di cuoio", che doveva risultare rapida e veloce nel tiro almeno quanto i reggimenti che accompagnava. Un terzo della forza totale del reggimento era rappresentato dai picchieri e venne reintrodotto l'uso della carica della cavalleria, armata di sciabola e pistola.
Dalla descrizione appena portata si evince come le modifiche introdotte da Gustavo Adolfo fossero quantitativamente e qualitativamente importanti. Gli eserciti svedesi, anche se di dimensioni ridotte, garantivano un fuoco a raffica che talvolta aveva cadenza doppia rispetto agli avversari; erano dotati una mobilità estrema, di una discreta coesione tra i reparti e soprattutto portavano ad un notevole risparmio di rifornimenti, soprattutto se paragonato a quanto precedentemente investito per gli obsoleti eserciti mercenari.
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L'esercito russo poteva contare, prima della battaglia di Poltava, su ben 61 battaglioni di fanteria, 23 reggimenti di cavalleria e ben 100 cannoni a supporto dei 42.000 uomini totali a disposizione dello Zar Pietro I.
Un particolare non trascurabile nelle file russe, era rappresentato dallo spirito nazionale, aumentato dopo la sconfitta di Narwa(risalente a nove anni prima) e rafforzato dall'energia della religione ortodossa, che dipinse come "eretico" l'invasore protestante svedese.
Partiti in 44.000 dalla Svezia, gli scandinavi si ritrovarono solo in 24.000, compresi i cosacchi di Mazepa, a combattere per il re Carlo XII. Le linee svedesi potevano quindi contare su solo 24 battaglioni di fanteria e 41 di cavalleria, oltre ad una decina di cannoni. Fame, malattie e marce assai forzate, avevano decimato le truppe scandinave.
Ma la netta inferiorità numerica non spaventò l'arrogante re Carlo XII, che proprio in situazioni come queste amava esaltarsi. A Poltava ,comunque, il suo "ottimismo" superò nettamente la misura, e l'aver pesantemente sottovalutato il valore militare russo gli costerà molto caro.
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Sin dall'antichità, si era diffuso l'uso di distinguere le truppe con delle divise: si pensi alle tuniche bianche degli assiri, o ai mantelli rossi degli spartani, o addirittura ai colori che distinguevano le legioni romane e le truppe bizantine.
Nel momento in cui le armate aumentarono notevolmente di numero e si divisero per specialità, si rese necessario l'utilizzo delle uniformi non solo per distinguere gli amici dai nemici, ma anche per distinguere i singoli reggimenti che componevano le proprie armate.
Nel XVI secolo, iniziò l'utilizzazione di sciarpe, nastri in vita e coccarde portate sul cappello per distinguere le proprie truppe. I colori che venivano usati rispecchiavano quelli della dinastia per la quale si combatteva:rosso per gli imperiali spagnoli ed austriaci; giallo per gli svedesi; bianco per i russi; blu per i francesi e così via. Il processo di formazione degli eserciti permanenti consolidò questa pratica, a partire dal 1620 circa, in particolare in stati come Austria, Inghilterra, Francia e Svezia.
La prima testimonianza che abbiamo dell'uso delle uniformi risale al 1645, quando il Marchese di Gallas (comandante in capo imperiale), ordinò ben 600 divise di colore grigio pallido e definì nei dettagli le dimensioni e le forme per i recipienti delle polveri da sparo.
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Lo Zar Pietro il grande era sicuramente meno raffinato, dal punto di vista militare, del suo avversario svedese Carlo XII, ma non per questo era meno pragmatico.
In considerazione della superiorità scandinava dal punto di vista qualitativo, nessun particolare doveva essere lasciato al caso sul versante russo, a partire dalla scelta del campo di battaglia. Pietro il Grande posizionò il proprio accampamento subito davanti al fiume Vorskla, costringendo gli svedesi ad attraversare, per raggiungerlo, una parte di campo senza vegetazione posta tra due boschi di difficile transito. La fascia di terreno che avrebbero attraversato le truppe di Carlo XII, fu fortificata da Pietro con sei fortini in tronchi d'albero in linea orizzontale e altri quattro in linea verticale, in modo tale da creare una frattura obbligata nelle linee scandinave.
Un'ulteriore fattore giocava a favore e soprattutto all'insaputa dei russi: la ferita che Carlo XII subì in una scaramuccia precedente e che non gli consentiva di dirigere le operazioni delle proprie truppe nella loro interezza.
Il terreno "obbligato", precedentemente studiato e attrezzato dal nemico, avrebbe indotto qualsiasi altro generale ad un'attesa per l'attacco avversario, ma il re svedese, per sua sfortuna, non la pensò alla stessa maniera.
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La polvere da sparo, unico agente esplosivo noto all'epoca, era assai difficile da reperire. Gran parte della sua composizione era formata dal salnitro, assai raro in natura.
I paesi che ne erano sprovvisti, utilizzavano i nitrati originati da ogni tipo di deiezioni umane ed animali, visto che tale era la loro origine. Si otteneva il salnitro grattando dalle stalle e dalle latrine, oltre ad un numero piuttosto elevato di chiese rurali, i cui pavimenti si rivelarono piuttosto "ricchi" di tale composto, visto il numero di persone dedite all'agricoltura e all'allevamento che le frequentava.
Ma la polvere da sparo era solo una delle voci economiche che la guerra del tempo portava via con sè. L'arte militare, con l'evolversi di fortificazioni ed armi da fuoco, si indirizza sempre di più verso una guerra di logoramento, più che continuare la guerra di annientamento dei secoli precedenti. Con le battaglie sempre meno decisive e gli assedi sempre più lunghi, le guerre venivano decise dalle possibilità economiche di una delle due parti. Chi era in grado di sostenere i costi della guerra più a lungo poteva assicurarsi la vittoria.
Per avere esempi in merito basti pensare che il re di Francia Luigi XIV destinava alle sue truppe il 75% dei suoi introiti annuali e lo stesso Zar Pietro il Grande arrivò fino ad investire l'85% delle sue entrate a scopo bellico.
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L'esercito svedese inziò il poprio schieramento nella notte tra il 7 ed l'8 luglio 1709. In considerazione dell'inferiorità numerica, gli uomini di Carlo XII avrebbero dovuto muovere ed attaccare con largo anticipo i russi che, nel frattempo, avevano già disposto buona parte delle loro attrezzature campali. Carlo XII scelse di lasciare al campo i pochi cannoni rimastigli per non rallentare le truppe, di schierare le cavallerie al seguito delle fanterie e di lasciare alcune guarnigioni a difesa delle trincee lungo la Vorskla. Lo schieramento svedese prevedeva che l'ala destra muovesse sotto il comando del generale Roos, la riserva centrale era a disposizione del Lowenhaupt, mentre il re scandinavo con il feldmaresciallo Rehnskjold si posizionarono al comando dell'ala sinistra. L'obbiettivo primario svedese era di accerchiare le ridotte "spartiacque" ed annientarle nel più breve tempo possibile.
Da parte sua lo Zar si limitò a posizionare parte delle proprie truppe in linea, dietro alle ridotte "orizzontali", lasciando al campo il grosso dell'esercito.
A causa della scarsa visibilità e della disposizione delle fortificazioni russe, l'offensiva svedese non avanzò in maniera omogenea. L'ala sinistra scandinava, al comando di Carlo XII, superò di slancio le ridotte e mise in fuga le fanterie e le cavallerie zariste che si trovò di fronte.
Al contrario, l'offensiva dell'ala destra si bloccò nel tentativo di di impadronirsi di ognuno dei fortini russi, dando il tempo ad una parte delle truppe russe rimaste all'accampamento di prenderli di spalle. I 10.000 zaristi sopraggiunti distrussero completamente l'ala destra svedese e il generale russo Rensel riuscì a prendere Roos prigioniero. In quel momento, Carlo XII si era bloccato, con le truppe al suo seguito, fra l'accampamento russo e i fortini di cui aveva tralasciato la conquista. La sua sosta fu dettata dalla vista di truppe in arrivo che credeva fossero quelle di Roos, mentre in realtà erano i 10.000 di Rensel che stavano avanzando contro di lui. Convinto di poter sferrare l'attacco finale con l'esercito praticamente intatto, mandò a chiamare le artiglierie e i cosacchi di Mazepa, ricevendo la notizia della disfatta di Roos in un secondo momento. Aggiornato sulla distruzione della parte destra del suo esercito, il re svedese decise di chiamare in suo soccorso le riserve di Lowenhaupt, il quale, sembra ricevette l'ordine esattamente opposto, visto che non si mosse dalla sua posizione originaria.
Di certo, le riserve di Lowenhaupt non avrebbero cambiato le sorti di uno scontro che era stato ormai deciso, in favore russo, dalla sosta di Carlo. Ben 40.000 russi si schierarono tra gli svedesi e l'accampamento lungo la Vorskla , mentre le artiglierie zariste ne proteggevano l'avanzata contro i soli 4.000 svedesi.
Eroicamente, gli svedesi avanzarono disposti in sei file di fanteria con le cavallerie ai lati, contro un nemico di dieci volte numericamente superiore: la metà degli scandinavi fu falciata delle artiglierie, mentre i sopravvissuti, dopo aver addirittura sfondato la prima linea russa, cozzarono inesorabilmente contro le altre linee di rincalzo.
Pochissimi svedesi tornarono vivi al loro campo, la maggior parte venne inghiottita dalla soverchiante massa di combattenti russi, oppure venne raggiunta dalle inesorabili sciabole della cavalleria zarista.
Nella mischia che si venne a formare, Pietro I, vista la sua enorme statura, venne colpito da ben tre pallottole, di cui una venne deviata dal crocifisso che portava al collo.
Carlo XII, venne messo in salvo da un gruppo di ufficiali dopo che 21 dei suoi 24 tra attendenti e portatori vennero uccisi da un colpo di cannone.
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Alla fine della giornata gli svedesi avevano perso circa 9.000 uomini oltre a 2.800 prigionieri al Feldmaresciallo Rehnskjold ed altri altissimi ufficiali. I russi contarono, da parte loro, 1.300 caduti.
Il feldmaresciallo Rehnskjold, fu addirittura ospite del banchetto offerto dallo Zar Pietro subito dopo la fine della battaglia. Si narra che durante il pasto, lo Zar stesso promosse un' ironico brindisi in onore degli svedesi "maestri dell'arte della guerra", al quale lo stesso feldmaresciallo replicò tristemente "voi oggi li avete ben ringraziati".
Con molto ritardo Pietro ordinò la carica delle proprie truppe contro quelle in ritirata di Carlo XII, che nel frattempo avevano già abbandonato il campo e si dirigevano verso il Dniepr. Il giorno successivo il re, con una piccola scorta, attraversò il fiume e si rifugiò in territorio turco, presso il quale sperava di poter riaccendere il conflitto in chiave anti-russa.
Il comando delle truppe rimaste andò a Lowenhaupt che, il 10 luglio, si arrese con i 12.000 svedesi rimasti al generale russo Meshnikov.
Nessuno svedese partito per quella spedizione fece più ritorno a casa.
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Se agli occhi dei cronachisti contemporanei, la battaglia di Poltava era solo uno dei vari conflitti che si svolgeva sui campi europei da quasi 2 secoli, oggi, lo stesso scontro, appare come una tappa storica per le vicende dell'intera Europa.
La vittoria russa segnò la dominazione dello Zar su Ucraina, Baltico e la riduzione del regno Polacco, portando nello scacchiere politico, economico e militare europeo un protagonista di prim'ordine. Ma l'avvicinamento "geografico" all'Europa, comportò anche una serie di variazioni nella condotta politica di Pietro I stesso. Lo Zar accelerò il processo di rinnovamento istituzionale e sociale del suo paese per avvicinarsi all'occidente, dovuto soprattutto al grande supporto datogli dalla sua nuova classe dirigente(installata non a caso dopo la vittoria di Poltava) di stampo "europeo".
A questo punto Pietro venne dichiarato "Padre della Patria e Imperatore" e nell'anno 1721 nasceva ufficialmente la Russia.
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Dopo la battaglia di Poltava Pietro si ributtò nello scontro contro i turchi. Ma la sconfitta subita sul campo gli costò, stranamente, solo la restituzione di Azov, senza altre condizioni a sfavore russo.
Carlo XII ebbe quindi la conferma che, anche se fosse riuscito a vincere a Poltava, e potesse contare sul supporto turco, avrebbe avuto assai lontani gli eventuali rinforzi dalla Svezia, così come la marcia islamica non avrebbe dato il supporto adeguato alla marcia scandinava verso Mosca.
In conclusione, anche se fosse uscita vincitrice da quello scontro, la potenza svedese non avrebbe mai potuto sostenere il conflitto con lo Zar nè da un punto di vista economico, nè sotto il profilo demografico.
Pubblicato il 31/01/2005
Bibliografia:
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999