Ars Bellica

Battaglia di Poitiers

ottobre 732

Carlo Martello sconfigge Abd al-Rahaman frenando l'espansione musulmana verso l’Europa occidentale e dà inizio alla dinastia che conobbe il suo massimo splendore con Carlo Magno.

POITIERS

I due comandanti

Abd al-Rahman (? - 732)

La storiografia araba non attribuisce al condottiero musulmano Abdul Rahman Al Ghafiqi, conosciuto anche come Abd al-Rahman, un grande spazio, se non per riconoscergli unanimemente delle qualità in campo umano e di governo. Si sa per certo che nell'anno in cui invase la Francia per arrivare a Poitiers, era da poco stato eletto governatore della Spagna e, secondo uno dei più grandi storici del mondo islamico, Ibn Abd a-hakam, «Patì il martirio per l'islam dopo molte vittorie e bottini nel 114° anno dell'Egira (vedi Maometto)».
La sanguinosa sconfitta dell'esercito di Abd al-Rahman ha di certo convinto i regnanti Omayyadi dell'impossibilità di espandere i confini del loro impero oltre i Pirenei, ma sta di fatto che gli scontri tra franchi e musulmani non terminarono finché non verrà preso, dai primi, l'avamposto da cui partivano tutte le spedizioni arabe volte all'Europa, cioè Narbona. Una storiografia più attenta però sottolinea come la regressione a sud dei Pirenei degli eserciti musulmani coincida stranamente con la formazione di due flotte molto potenti, una destinata al Golfo del Leone, l'altra per il Golfo di Biscaglia di "proprietà" di Pipino III e di Carlo Martello, scaricando così Abd al-Rahman dalle responsabilità del blocco all'espansione araba.


Carlo Martello (689 - 22 ottobre 741)

Carlo Martello

Carlo Martello nacque nel castello di Heristal, sul fiume Mosa nell'attuale Belgio, attorno al 689, frutto dell'unione di Pipino II e di Alpiade, una sua concubina. Suo padre era il "maggiordomo" (o ministro) di Austrasia e Neustria, su i quali regnavano nominalmente i "re fannulloni" ma che in realtà avevano delegato tutto il potere di quelle regioni in mano ai "maggiordomi" come Pipino II.
Alla morte di Pipino II, gli eredi leggittimi erano troppo giovani per governare con l'autorità necessaria, infatti la Neustria si ribellò con l'appoggio di un'altro Stato, l'Aquitania, e, nel frattempo, le popolazioni germaniche si stavano avvicinando pericolosamente ai confini del regno. In questa situazione di pericolo, sia esterno che interno, venne richiesto l'aiuto di Carlo (futuro Carlo Martello) che, con un'azione immediata, debellerà sia i nemici in Neustria, che i germani che si erano spinti nelle terre dei franchi. Anche se non legittimamente (era figlio di una concubina di Pipino II) Carlo era rimasto l'unico vero "maggiordomo" dei territori francesi, ed approfitterà della vittoria di Poitiers per assicurarsi il controllo di tutti gli stati della antica Gallia romana. Nonostante le brillanti vittorie militari, Carlo si era da tempo reso conto che non bastavano dei semplici cittadini armati per vincere eserciti come quello islamico. Infatti, anche se gli costò le antipatie della Chiesa romana, Carlo confiscò alcuni beni dal clero locale per donarli ai suoi fidi, affinché questi si impegnassero a mantenere una attrezzatura e un addestramento (nonché un cavallo) militare di stampo quasi professionistico. Inoltre sottoponeva i suoi uomini ad un giuramento di fedeltà, che li avrebbe messi al servizio di colui che gli aveva "donato" quei fondi così preziosi.
Anche se non ebbe l'approvazione della Chiesa, Carlo Martello rafforzò il suo potere (e quello della sua famiglia) dal punto di vista militare, ma soprattutto gettò le basi per una nuova era che si andava ad aprire: quella del feudalesimo.

POITIERS

L'Islam

La civiltà islamica

Gli arabi, prima dello scontro di Poitiers e della ascesa di Maometto, erano divisi in varie tribù, dedite al paganesimo e sempre molto impegnate in faide interne scoppiate per futili motivi d'orgoglio, assai radicato nella cultura araba. Non avevano conosciuto veri e propri conquistatori, visto che le invasioni esterne erano in genere concentrate sulla costa e non si erano mai addentrate nella parte più ostica del territorio arabo: il deserto.
La vita di queste popolazioni quindi, doveva scorrere in maniera lenta e monotona scandita da piccole azioni di guerra rivolte contro tribù nemiche, che i poeti definivano Ayyàm al-'Arab ossia i giorni degli arabi, ma che tutto sommato dovevano avere un significato alquanto scarno.
Il profeta Maometto fece quindi leva sull'orgoglio, da sempre ostentato dal suo popolo, per farlo unire in una sola religione monoteista e renderlo saldo, sia in battaglia che nella religione, rispettoso delle religioni altrui, ma anche avido dei beni terreni. La morte dello stesso profeta nel 632, non cambiò di molto la linea seguita dal suo popolo che, in assenza della sua guida spirituale, si attenne, nei secoli successivi, alle regole scritte dallo stesso Maometto nel Corano (una specie di "Bibbia araba" nella quale sono descritte le regole da seguire per i musulmani in materie politiche, militari e civili).
In questo libro si stabilisce sopratutto che ci sia una fratellanza tra tutti i muslim cioè tra tutti i credenti nel vero Dio a prescindere dalla razza o dalla lingua; tutti i fedeli ad Allah (Dio in arabo), infatti, costituiscono una sola comunità, umma, che coincide con la "Casa della sottomissione"(Dar el-Islam), che comporta l'obbligo di reciproca assistenza e protezione.
Per il "musulmano modello" vi era, nel Corano, l'obbligo di diffondere la vera fede tramite la predicazione e il rispetto delle religioni altrui, nel caso che queste rispettino a loro volta la legge di Allah. Nel caso in cui quest'ultima ipotesi non si verificasse, cioè il regnante di un determinato paese non permettesse la diffusione dell'Islam, diventava lecita la gihad, meglio conosciuta come la guerra santa, dedita a distruggere ogni resistenza dei nemici di Allah.
In teoria, quindi, la "Casa della guerra" (Dar el-Harb) era da usare solo in casi di stretta emergenza, ma in pratica, alla morte di Maometto, tutti i territori che si trovavano al di fuori della "Casa della sottomissione" venivano automaticamente sottoposti alla "Casa della guerra" e conquistati con la forza delle armi, ignorando completamente la parte di predicazione e rispetto insegnata loro dal profeta. La gihad, in sostanza, diventava la giustificazione religiosa ai saccheggi da parte di quelle tribù arabe che già da tempo mettevano in atto, anche al di fuori dei loro confini territoriali, e il bottino conquistato assumeva un ruolo di dignità religiosa, aumentando le motivazioni dell'espansionismo arabo.

Le espansioni territoriali arabe

L'espansionismo arabo inizia un anno dopo la morte del suo profeta, ma soprattutto, coincide con la vittoria sull'impero bizantino e su quello persiano che, nel fronteggiarsi a vicenda (603-628), si erano indeboliti e resi facili prede degli arabi: nel 637, infatti, nei pressi di Bagdad, fu distrutto l'esercito persiano, mentre nel 674, Mu'awiya, il quinto califfo (cioè il quinto "successore"), strinse d'assedio Costantinopoli senza successo, così come senza successo si concluse il secondo assedio della stessa città avvenuto tra il 717 e il 718 (anche se c'è da considerare che dopo questi due attacchi l'impero bizantino non si riprenderà più).
In compenso, malgrado queste due disfatte, i valorosissimi cavalieri arabi conquistarono ad oriente tutti i territori fino all'India, a nord i territori di Siria, Persia e Palestina, mentre ad occidente conquistarono tutta l'Africa settentrionale, fino a stanziarsi nel 711 in Spagna, da dove posero lo sguardo sulle fertili pianure dei territori francesi.

POITIERS

Maometto

La storiografia musulmana lega la prima visione del profeta al 610 quando, si dice, aveva già quarant'anni, è quindi facile far risalire al 571 la data di nascita di Muhammad ossia "il lodato". Nel periodo seguente alle sue visioni, Maometto, come molti asceti cristiani, prese l'abitudine di compiere delle sorte di ritiri spirituali presso una caverna del monte Hira (vicino la Mecca), dove si dedicava alla meditazione.
Fu proprio in questa caverna che il profeta musulmano ebbe la prima delle sue visioni. Vide l'arcangelo Gabriele circondato da una luce fortissima mentre gli parlava dicendo: «Tu sei l'inviato di dio, il profeta di Allah». I primi messaggi che gli giunsero erano in realtà attacchi feroci ai ricchi mercanti della Mecca, che venivano esortati a essere più generosi ed umili donando una parte dei loro profitti a coloro che non avevano nulla. Ovviamente questo tipo di esortazione andava contro gli ideali delle classi più abbienti, creando attorno al profeta una iniziale avversione. Molto presto, però, attorno a lui si creò un nucleo di fedeli, che scriveva di tutte le visioni e le parole che gli venivano portate "dall'alto", andando quindi a formare il famoso Corano (da Cur-^an: "recitazione").

Corano
Un foglio di uno dei primi Corano, scritto in caratteri cufici (periodo abbaside, VIII-IX secolo)

Durante le predicazioni, i suoi fedeli vennero chiamati musulmani (da muslimun: "coloro che rimettono la propria anima a Dio") e perseguitati, poiché andavano contro alle religioni politeiste allora in vigore. Nel 622, quindi, Maometto fu costretto ad abbandonare la Mecca per stabilirsi, in esilio, a Yathrib (da questa data detta egirà "l'emigrazione", i musulmani fanno cominciare la nuova era), dove erano stanziate varie tribù nomadi che, grazie alla predicazione della "guerra santa" (la guerra mossa a tutti coloro che non accettano l'islam), reclutò moltissimi seguaci organizzandoli politicamente e militarmente. Dopo una serie di guerre, occupò la Mecca e ne distrusse tutti i suoi simboli antichi, proclamandola città santa dell'islam.
Maometto morì nel 632, ma gli arabi erano ormai uniti dalla religione e sotto il comando dei califfi (i suoi successori), conquistarono territori immensi che andavano dalla Spagna all'India.

POITIERS

I regni romano-barbarici

cartina2

Durante il V secolo l'impero romano d'occidente fu sconvolto da una serie di invasioni di natura germanica. I regni che si formarono dopo la caduta di Roma erano un miscuglio tra le popolazioni locali (ormai latinizzate) e i nuovi invasori. Tra i regni più importanti che nacquero da questi fatti vi è senz'altro il regno dei Franchi.
La sua popolazione non era proveniente da un solo ceppo, all' interno del regno dei Franchi vi erano le etnie dei Salii, dei Ripuarii e degli Sciambri, che occupavano la parte settentrionale della Gallia.
Il primo re storico di questo popolo fu Clodwig (Clodoveo) che, dopo aver conquistato il regno di Sigario, sconfisse gli Alamanni, assoggettò i Burgundi e scacciò i Visigoti oltre i Pirenei. Inoltre convertendosi al cristianesimo in forma cattolica anziché ariana, si assicurò le simpatie, non solo della chiesa romana, ma anche delle popolazioni celtiche locali, costruendo con questa abile politica un regno così potente da poter contrastare quello dei Visigoti in Spagna e degli Ostrogoti in Italia.
Come era consuetudine delle popolazioni germaniche però, il regno doveva essere spartito tra tutti i figli maschi (in questo caso quattro), indebolendo così il potere centrale e frazionando le forze. Al posto dell'antica Gallia romana andarono a formarsi 4 regni: l'Austrasia a nord-ovest, la Neustria a nord-est, l'Aquitania a sud-ovest e la Bugundia a sud-est. Queste "regioni" erano rette da ministri detti "maggiordomi" (dal latino maiores domi o maestri di palazzo) ufficialmente soggetti ai re merovingi ma praticamente signori indipendenti dei regni, nonché proprietari di immensi patrimoni fondiari.
Nel 687 Pipino II di Heristal, che era già maggiordomo d'Austrasia, sconfisse la Neustria e fu nominato ministro anche di quella regione. Alla sua morte il potere da lui accumulato passerà nelle mani di suo figlio Carlo Martello.

POITIERS

I re fannulloni

Gli ultimi re della dinastia Merovingia erano ormai diventati dei semplici simboli di potere; infatti il controllo vero lo avevano in mano i famosi "Maggiordomi" che, se inizialmente dovevano essere solo dei ministri dei re, ora erano i veri depositari del potere. Perciò i re vennero soprannominati dalla dinastia dei Pipinidi "fannulloni", proprio perché erano visti dai loro ministri e dai latifondisti con disprezzo e sufficienza.
Dopo la metà del VII secolo era infatti l'aristocrazia fondiaria che portava sulle sue spalle le funzioni del potere regio, difatti, con l'espansione araba nel mediterraneo, i commerci dei Merovingi si erano limitati, e quindi rimaneva come unica fonte di ricchezza economica e sociale l'agricoltura, dominata dall'aristocrazia fondiaria, particolarmente forte nella regione dell'Austrasia, la cui prosperità si basava sulla grandissima fertilità delle sue terre.
I sovrani, quindi, vennero facilmente spogliati dei loro poteri a beneficio di quei Maggiordomi che potevano assegnare terre, amministrare beni regi e perfino arruolare truppe consistenti. L'ultimo dei "re fannulloni" fu Childerico III, che morì nel 743, appena un anno prima della nascita di un certo Carlo che passerà alla storia come Magno.

POITIERS

Le motivazioni

Tra il 717 e il 718, le armate dell'Islam cercarono senza successo di conquistare Costantinopoli, capitale dell'impero bizantino. Si trattò di una sconfitta catastrofica per i musulmani, i cui eserciti (con lo scopo di diffondere la loro fede) si erano dimostrati praticamente invincibili nell'opera di conquista che aveva portato l'Islam dall'India alla Spagna. Anche se quella disfatta tenne i seguaci di Maometto fuori dell'Europa orientale per altri sette secoli, dovette incoraggiare altri musulmani a cercare di introdurre la loro dottrina seguendo una via diversa: dal Nord Africa alla Spagna, e da qui in Europa occidentale.
Durante gli ultimi decenni del VII secolo, le forze musulmane erano dilagate lungo tutte le coste del Mediterraneo meridionale e, nel corso del processo di conversione dei nemici vinti, li avevano assorbiti nell'esercito. In Nord Africa, i convertiti più convinti furono i Mori (chiamati Numidi dai Cartaginesi ai tempi di Annibale, i Berberi del Marocco attuale). Nel 710, Musa ibn Nusair, governatore musulmano della regione, decise di attraversare lo stretto di Gibilterra per saccheggiare la Spagna; non possedendo navi, però, si rivolse a Giuliano, un funzionario bizantino, il quale, spinto dal rancore che covava contro Roderigo, il re visigoto che governava la Spagna, gliene prestò quattro. Fu così che Musa poté trasportare 400 uomini, con cui razziò sufficiente bottino da sentirsi stimolato a ritentare l'impresa.
Nel 711, fece traghettare al di là dello stretto 7.000 uomini al comando di Tarik ibn Ziyad. Anche se l'obiettivo iniziale era stata un'incursione di più vaste proporzioni, la vittoria ottenuta da Tarik su Roderigo aprì la penisola iberica alle truppe musulmane. In meno di un decennio, i musulmani conquistarono gran parte della penisola iberica. Chiamarono il loro regno Al-Andalus. Il successore di Musa, Hurr, si spinse più in profondità e, attraversati i Pirenei, penetrò nella provincia di Aquitania tra il 717 e il 718. Costituiva il passaggio in quella che gli autori arabi chiamavano «la Grande Terra», un termine vago non solo per indicare la Gallia ma tutta l'Europa. Alcuni prevedevano che i loro eserciti avrebbero marciato direttamente su Costantinopoli, attaccando, per così dire, la capitale dell'impero romano d'Oriente alle spalle. I musulmani presero subito la città di Narbona, vecchia colonia romana ed eccellente base strategica. Nel 721, furono sconfitti fuori Tolosa, dove venne ucciso il loro comandante, As-Sanh ibn Malik governatore di Al-Andalus. La presenza di un ufficiale esperto e disciplinato, Abd Al-Rahman, che guidò un'ordinata ritirata a Narbona, evitò che la battuta d'arresto si trasformasse in una rotta. Poco dopo, gli arabi ripresero l'offensiva, espandendosi lentamente verso est nella valle del Rodano e attaccando città da Bordeaux a Lione. Alla metà degli anni '30 dell'VIII secolo, tutte le maggiori città della costa mediterranea francese tra i Pirenei e il Rodano si trovavano ormai in mano musulmana.
L'arrivo dei musulmani avvenne quando contrasti interni dividevano la popolazione gallica. Al di là dei Pirenei, il «regno» dei franchi era più simile a un coacervo di prìncipi litigiosi. Il gruppo predominante, i Franchi, era in crisi. Dopo la morte di Pipino II, avvenuta nel 714, il trono venne conteso tra il nipote legittimo e il figlio naturale. Oddone d'Aquitania colse l'occasione per sottrarsi al controllo franco e proclamò la propria indipendenza, provocando l'ira di Carlo Martello, il figlio illegittimo di Pipino salito finalmente al trono nel 719. Dopo avere sconfitto Oddone, Carlo si diresse al Reno per rendere sicuri i confini nord-orientali: fece guerra ai Sassoni, ai Germani e agli Svevi fino al 725.
Oddone, che si trovava tra gli aggressivi musulmani a sud e un ostile re franco a nord e ad est, preoccupato per il proprio futuro, strinse alleanza con un musulmano rinnegato di nome Othman ben abi Neza (per alcuni Munuza), che controllava una zona dei Pirenei settentrionali. Tale accordo irritò Abd al-Rahman, l'uomo che aveva salvato la situazione a Tolosa e nominato governatore della Spagna nel 729.
Il neo governatore musulmano godette di notevole popolarità tra i suoi per la sua liberalità e la sua freddezza sul campo di battaglia, organizzò subito una grande armata, raccogliendo truppe da ogni regione di sua competenza, chiamando perfino gli splendidi cavalieri berberi dall'africa settentrionale, e marciò contro Othman nel 731; dopo averlo vinto, decise di penetrare ulteriormente in Aquitania per allargare l'influenza islamica e, soprattutto, saccheggiare la ricca campagna.
Nel 732 i musulmani varcarono i Pirenei, Abd al-Rahman sconfisse Oddone nei pressi di Bordeaux e proseguì verso nord, in direzione di Tours, non lontano dal grande santuario di San Martino, una specie di sacrario nazionale dei franchi, famoso per la sua devozione e le sue ricchezze, distante poco più di 200 chilometri da Parigi. Non sarebbero andati oltre. Fra le città di Poitiers e di Tours, lungo la vecchia strada romana, incontrarono l'esercito dei franchi di Carlo Martello.
Oddone, infatti, chiese aiuto a Carlo che, conscio del pericolo che poteva rappresentare l'invasione araba, glielo concesse a patto che l'altro giurasse fedeltà e non tentasse mai più di sottrarsi nuovamente al dominio franco. Quindi radunò tutti gli uomini che poté tra i Franchi, i Longobardi d'Italia e i Sassoni, e marciò su Tours verso quella battaglia che gli avrebbe fruttato il soprannome di "martello" (in riferimento all'arma preferita del dio Thor della Saga scandinava) per la dimostrazione di forza dimostrata.

POITIERS

L'esercito dei Franchi

La formazione degli eserciti di origine germanica non prevedeva l'uso massiccio della cavalleria pesante, così come poi venne fatto invece in epoca feudale. A quei tempi solo pochi nobili potevano permettersi l'attrezzatura, un cavallo e le spese per il mantenimento del seguito che avrebbe dovuto accudirlo; non solo, questi pochi cavalieri allora presenti non usavano lance da urto (sfruttabili soprattutto se si era in carica), bensì semplici giavellotti o spade, limitando il ruolo del cavallo a semplice mezzo di trasporto del suo cavaliere.
In conseguenza alla diffusione della staffa usata dai cavalieri arabi durante le loro veloci incursioni, Carlo Martello ne introdusse l'uso nella sua cavalleria (ora più numerosa e organizzata) insieme alle picche da carica, una rivoluzione che cambierà l'arte della guerra in tutta Europa. Si ha notizia infatti, che le cavallerie franca e aquitana ebbero un ruolo fondamentale nella battaglia di Poitiers, sia nel contenere le cariche delle cavallerie islamiche sia nella fase di inseguimento.

Corano
Equipaggiamento di un tipico guerriero franco nobile, V-VI secolo: (1) Francisca, (2) Spatha, (3) Scramasax, (4) Elmo, (5) Umbone. Germanisches Nationalmuseum, Norimberga, Germania.

La parte principale dell'esercito franco era composta da tenaci fanti di diversa provenienza, un insieme di soldati di professione da lui comandati nelle campagne precedenti, e un'assortita moltitudine di miliziani poco equipaggiati e scarsamente addestrati. I franchi erano soldati duri, la maggior parte di loro era armata con i grandi e pesanti scudi detti "a goccia" e la tradizionale arma da lancio, l'ascia detta "francisca", che dopo essere stata lanciata doveva essere sempre recuperata in battaglia poiché, perderla in uno scontro era considerato un grave disonore. Gli alleati dei franchi si distinguevano così: i discendenti dei rudi Gepidi erano ricoperti di pelli d'orso e armati in modo eterogeneo; Alemanni e Bavari avevano in dotazione lunghe lance; i Sassoni impugnavano gli enormi spadoni a due mani; infine i Germani delle foreste più esterne, combattevano senza alcun tipo di protezione, con il corpo completamente dipinto di nero, brandendo delle grosse mazze lignee.

POITIERS

La cavalleria feudale

Fino alla metà del VII secolo la formazione dell'esercito dei franchi era ristretta all'uso delle sole fanterie, ma, con il tempo, la poca mobilità di queste ne faceva facili prede per le cavallerie nemiche. Ai guerrieri a piedi bisognava quindi affiancare dei reparti di cavalleria consistenti, ben addestrati e fidati.
Secondo quella che possiamo definire "la visione bellica" di Carlo Martello, non bastavano l'addestramento o la quantità delle cavallerie, era necessario qualcosa in più: infatti introdusse, anche nei suoi reggimenti a cavallo, l'uso della staffa, già in vigore negli Avari, Bizantini, Musulmani, Visigoti e Longobardi, che permetteva al guerriero in sella di sfruttare appieno la forza d'urto che esprimeva il cavallo lanciato al galoppo. Utilizzando la staffa il cavaliere aveva meno probabilità di cadere mentre combatteva e poteva caricare il nemico con la lancia tenuta in resta sotto il braccio per sferrare colpi di inaudita violenza, andando quindi a cambiare completamente le tattiche militari del tempo.
Il combattimento d'urto rese indispensabile un nuovo equipaggiamento del cavaliere, che doveva quindi essere più "pesante", più robusto: corazza a scaglie di ferro, lancia "impennata" fornita di sbarra di arresto alla base della cuspide d'acciaio, scudo assottigliato verso il basso per facilitarne il brandeggio mentre si stava a cavallo.
Il servizio militare era determinato in base al patrimonio terriero di cui si poteva disporre. Ogni uomo libero che disponesse di almeno quattro mansi di terra (il manso era un'unità agraria, e corrisponde a 13 ettari circa), era tenuto ad armarsi a sue spese e a combattere come fante; la cavalleria leggera era costituita da coloro che possedevano fino a 12 mansi; oltre questa soglia stavano coloro che potevano far parte della cavalleria pesante (numero limitato ma non troppo) che comportava l'acquisto e il mantenimento di un'attrezzatura particolarmente costosa.

POITIERS

L'arte militare dell'islam

Inizialmente le tribù arabe non avevano una vera e propria organizzazione militare, infatti basavano gran parte delle sorti della battaglia sull'impeto della fanteria e sull'abilità degli arcieri. La tattica preferita era quella dell'attacco repentino seguito da un'improvvisa ritirata (tattica molto rischiosa poiché si mostrano le spalle al nemico), che sfalda la compattezza dei ranghi avversari, i quali, tratti in inganno si portavano all'inseguimento per poi trovarsi alla mercè della cavalleria, che in queste condizioni poteva avere vita facile.
Questa tecnica di combattimento apparteneva originariamente all'antico popolo degli Sciti, che tramandarono quest'uso ai Persiani, dopo di loro ai Parti, quindi ai Sasanidi ed infine proprio agli arabi, che avevano come "innata" questa particolare tattica. A differenza delle popolazioni che li avevano preceduti, gli arabi grazie all'impiego di una delle più grandi razze di cavalli (il cosiddetto "cavalluccio arabo"), dotati di grande agilità e robustezza, introdussero l'uso di affiancare ai reparti di fanteria quelli di cavalleria, detti kurdus, nella tattica che chiamavano al-karr wa'l-farr, ossia un avanzamento-arretramento.
Per assicurarsi una perfetta riuscita di questo metodo di combattimento, era però necessaria una perfetta puntualità nei tempi d'esecuzione: l'arretramento doveva essere lento per dare una parvenza di realtà alla fasulla ritirata, mentre la carica delle cavallerie doveva essere rapidissima, in modo da non permettere al nemico di riorganizzare i ranghi; questa necessità di privilegiare la rapidità, andava a discapito della protezione dei guerrieri appiedati.
La quantità delle truppe reclutate da Abd al-Rahman doveva superare le centinaia di migliaia, secondo i cronisti cristiani, una cifra ovviamente esagerata; probabilmente il numero dei musulmani in campo non doveva superare le 80.000 unità, di cui solo pochi dovevano essere arabi a tutti gli effetti. Buona parte dell'esercito islamico doveva essere formato dalla cavalleria berbera, e da fanti ed arcieri provenienti dalle terre conquistate dagli arabi in africa settentrionale, ai quali spetterà il difficile compito di "occuparsi" della fanteria dei franchi. Contavano molto sul coraggio e l'ardore religioso che in parte compensava le scarse armature. La fanteria aveva adottato lo stile europeo di indossare pesanti armature ma forse con sentimenti contrastanti; dopotutto, una maledizione beduina richiamava le origini degli arabi come combattenti armati alla leggera: «Possa tu essere maledetto come il franco che indossa una corazza poiché teme la morte».

POITIERS

La battaglia

1. Gli schieramenti contrapposti

I due eserciti si avvicinarono l'uno all'altro all'inizio dell'autunno del 732. L'incontro avvenne in un luogo a sud di Tours, tra questa città e Poitiers, in mezzo alla confluenza di due fiumi, il Clain e il Vienne. Le fonti sono assai discordanti sull'esatta entità delle forze contrapposte: secondo i cronisti moderni, l'esercito musulmano annoverava tra i 20.000 e gli 80.000 uomini, mentre quello franco è stato descritto a volte numericamente superiore e a volte inferiore a entrambe le cifre. Le truppe musulmane avevano saccheggiato molte città e chiese, ed erano sovraccariche di bottino. Abd al-Rahman per combattere, avrebbe dovuto abbandonare il bottino, e sapeva che i suoi uomini si sarebbero rifiutati di farlo. Fortunatamente per lui, Carlo non attaccò, ma si limitò a rimanere a distanza, studiando i musulmani per circa una settimana (su questo le fonti sono tutte concordi). Abd al-Rahman approfittò dell'intervallo e inviò alcuni uomini a sud per nascondere il bottino dove lo avrebbero potuto recuperare una volta sconfitti i Franchi; nel frattempo, Carlo attendeva l'arrivo della milizia, che usava più per procurare provviste ai suoi soldati che come corpo combattente, e disponeva le truppe in modo da sfruttare le asperità naturali che offriva il campo di battaglia.
L'esercito cristiano attese il nemico schierandosi in un'unica formazione, robusta e profonda, in mezzo alla confluenza dei due fiumi in una posizione elevata per rallentare la carica nemica e con i fianchi protetti dai corsi d'acqua e dagli alberi. La linea era composta in modo da avere sul fronte la fanteria pesante dietro la quale erano schierati fanti armati di picche e giavellotti (alcuni storici la descrivono come una formazione a falange). Piccoli reparti di cavalleria erano posizionati sui lati esterni in seconda linea per evitare eventuali aggiramenti. Inoltre alla sinistra dello schieramento, in posizione arretrata e nascosto in un bosco, vi era Oddone d'Aquitania insieme alla sua cavalleria, pronto ad attaccare il fianco della formazione avversaria al segnale concordato.

poitiers1

Gli arabi invece si posizionarono in questa maniera: l'ala sinistra era formata da cavalleria leggera e si "appoggiava" al fiume Clain; la parte centrale, composta interamente da fanti ed arcieri, si era posizionata sulla antica via romana, mentre l'ala destra del fronte musulmano era schierata su una bassa collina. Dietro ad ognuna delle due ali vi erano posti due schieramenti di cammelli da trasporto: gli arabi infatti sapevano che l'odore pungente di questi animali poteva far imbizzarrire i cavalli dei franchi scompaginandone le schiere. La formazione iniziale era quella tipica a forma di mezzaluna, con le cavallerie un po' avanzate rispetto alle fanterie e disposte a tenaglia allo scopo di stringere il nemico sulle ali ed accerchiarlo.


2. Gli assalti della cavalleria musulmana

poitiers2

Dopo sette giorni di attesa, osservazione e, certamente, qualche colpo d'assaggio da entrambe le parti, Abd al-Rahman decise di dare battaglia: non conosciamo la data precisa dello scontro, alcune fonti cristiane affermano che la battaglia principale ebbe luogo l'11, il 18 o il 25 del mese di ottobre, mentre fonti musulmane riportano che Abd al-Rahman è morto il 25 ottobre durante il combattimento. Le fonti sullo svolgimento della battaglia sono limitate e per lo più formulate in termini poetici, quindi, difficili da decifrare. La maggior parte degli storici moderni concordano però sul fatto che i musulmani attaccarono per primi. Senza dubbio, Carlo conosceva il modo di combattere dei musulmani e disponeva di truppe ben addestrate per contrastarlo, era ben consapevole dei punti di forza e di debolezza arabi, i quali, invece, non sapevano quasi nulla dei franchi. Gli arabi, dunque, si lanciarono all'attacco per primi facendo partire le cavallerie berbere che si alternavano davanti alle linee dei fanti cristiani con una vera e propria pioggia di giavellotti, poi concentrando brevi, violenti e ripetuti assalti nelle zone del fronte avversario dove credevano possibile l'apertura di un varco.
Ai fanti cristiani, appesantiti e protetti dai loro enormi scudi, non restava altro che rimanere immobili sotto i colpi dei musulmani. In realtà l'immobilità della fanteria era una scelta, era infatti logico che i guerrieri appiedati, protetti dai loro alti scudi, non si sarebbero dovuti muovere di fronte alla cavalleria, se non (quando i cavalli erano ormai sfiancati) per inseguire il nemico in ritirata. I fanti cristiani, mantenendo un ordinamento a ranghi chiusi, rimasero completamente immobili nell'attesa che la cavalleria araba giungesse alla portata delle picche (o delle asce o degli spadoni sassoni), per andare a colpire prima i destrieri e poi, una volta appiedati, i cavalieri berberi, dotati solo di un'armatura leggera. Così Isidoro Pacense descrisse la solida formazione franca: «Gli uomini del nord erano immobili come un muro; sembravano saldati insieme in un baluardo di ghiaccio impossibile da sciogliere, mentre trucidavano gli Arabi con le spade. Gli Austrasiani (Franchi della frontiera germanica), dagli enormi arti e le mani di ferro, colpivano coraggiosamente nel cuore della battaglia». Fu questa dimostrazione di forza che meritò a Carlo il soprannome di Martello.
La battaglia continuò così per ore intere con assalti alternati delle fanterie africane e dei berberi a cavallo, ma contro i franchi non c'era niente da fare, né funzionò la solita tattica dell'improvvisa fuga seguita da un attacco repentino. Carlo Martello non cadde nel tranello musulmano e non lasciò andare i suoi guerrieri all'inseguimento delle truppe arabe nella loro tipica "finta ritirata".


3. L'attacco vincente di Carlo Martello

poitiers3

Resoconti di epoca posteriore riferiscono che la cavalleria musulmana si accanì senza risultato contro i franchi, mentre i giavellotti e le asce da lancio di questi colpivano duramente gli uomini e i cavalli che si avvicinavano. Poiché non conoscevano altra tattica, i musulmani continuarono ad attaccare senza riuscire a sopraffare i difensori e quando gran parte della cavalleria saracena era ormai caduta, Carlo Martello diede un segnale che fece sbucare, dal bosco in cui era nascosta, la cavalleria di Oddone che caricò il fianco destro dei musulmani travolgendolo e mettendolo in rotta. La forza d'urto della cavalleria franca era infatti spaventosamente superiore a quella della cavalleria leggera berbera. A questo punto cominciava l'avanzata compatta della fanteria che, abbandonate le posizioni di partenza, travolse tutto ciò che gli si poneva di fronte. I fanti musulmani, privi di corazzatura, non potevano reggere il corpo a corpo con i rozzi guerrieri del nord, pesantemente armati. Dallo scontro si passò quindi alla carneficina, che durò fino al tramonto quando anche Abd al-Rahman venne ucciso da un colpo d'ascia, infertogli forse dallo stesso Carlo Martello. Quando si sparse questa notizia gli arabi sopravvissuti scapparono rapidamente, lasciando sul terreno feriti e tende, ma soprattutto il bottino conquistato durante tutte le razzie in Aquitania.
La storiografia araba fornisce una descrizione dell'andamento della battaglia diverso da questo ma coincidente nella conclusione, infatti descrive come i combattimenti sarebbero stati sospesi al tramonto e ripresi all'alba; nel nuovo giorno i cavalieri berberi sarebbero riusciti a far breccia al centro nelle file dei franchi, ma, ad un tratto, si diffuse la voce che alcuni nemici si erano diretti all'accampamento arabo per impossessarsi del bottino islamico. A questo punto, molti musulmani, nel timore di perdere il frutto delle loro razzie, si sarebbero diretti verso l'accampamento stesso per proteggere il bottino, ma sfaldando, così, lo schieramento e facendo il gioco dei cristiani. Creasy (The Fifteen Decisive Battles of the World) cita una fonte islamica: «Ma molti musulmani temettero per la sicurezza delle spoglie che avevano ammassato nelle tende, e tra i loro ranghi cominciò a circolare la falsa voce che il nemico stava saccheggiando l'accampamento; perciò, numerosi squadroni di cavalleria si precipitarono a difenderlo». La vera ragione per cui gli arabi avrebbero perso a Poitiers (secondo gli stessi arabi), non fu da attribuirsi al valore dei franchi, bensì alla cupidigia dei musulmani stessi, che avrebbero dimostrato di essere poco credenti e quindi puniti dalla giustizia divina. Risulta comunque difficile credere che il campo musulmano fosse stato lasciato senza adeguata protezione.
Verso sera, i musulmani si ritirarono in direzione di Poitiers. Carlo tenne gli uomini uniti e non si lanciò all'inseguimento, pensando che la battaglia sarebbe ripresa il giorno seguente: nottetempo, però, gli islamici fuggirono. Il mattino successivo i franchi trovarono l'accampamento avversario vuoto.


4. Il bilancio delle perdite

Non esistono fonti accurate relative alle perdite subite dall'uno o dall'altro schieramento. Le cronache cristiane parlano di 1007 caduti tra i franchi e addirittura 375.000 tra gli arabi! Senz'altro queste sono cifre che peccano rispettivamente di difetto e di eccesso, fatto sta che l'ammontare delle perdite riscontrate dagli arabi doveva contare quasi tutto il contingente di partenza, tanto che lo scontro è ricordato dagli arabi come il: balat ashshuhadà ossia "il lastricato dei martiri della fede".

POITIERS

Le conseguenze storiche

I superstiti dell’esercito di Abd al-Rahman si ritirarono verso la Spagna, ma non furono gli ultimi musulmani ad avventurarsi al di là dei Pirenei in cerca di facili ricchezze. Tuttavia, la loro fu l’ultima importante invasione. Respinti dalle regioni francesi, gli arabi mantennero il dominio in Spagna ancora per molti anni, con un caposaldo, Narbona nei Pirenei, che verrà espugnato da Pipino III solo 27 anni dopo la battaglia di Poitiers. Narbona era il centro da dove partivano i tentativi di espansione musulmani verso la valle del Rodano. Da questa battaglia in poi, se si escludono i fenomeni di pirateria saracena nel mediterraneo, l'espansione araba subisce un brusco stop e comincia invece a ritirarsi nelle sue terre d'origine. Anche i contrasti interni ebbero il loro peso. Quando in Arabia scoppiarono le lotte tra le fazioni, gli effetti si avvertirono in tutto l’impero musulmano, non solo dividendo le forze combattenti, ma anche togliendo ai musulmani di Spagna qualsiasi guida religiosa dal Medio Oriente. All’espansione, perciò, sembrò preferibile il consolidamento.

Bataille de Poitiers
Bataille de Poitiers en octobre 732, dipinto di Charles de Steuben che raffigura un trionfante Carlo Martello (a cavallo) rivolto verso Abd al-Rahman (a destra)

Per Carlo Martello è il momento dell'espansione, conquisterà l'intero Mezzogiorno francese e lo sbocco sul Golfo del Leone. L'esito della battaglia di Poitiers rafforzò in lui la convinzione che era indispensabile, per una nazione forte, dotarsi di una cavalleria pesante. Nasceva l’epoca del cavaliere protetto da corazza e armato di una lunga lancia, una macchina da combattimento che fu a un tempo la conseguenza e la base del feudalesimo. D'altronde la fusione tra commendatio e comitatus (rispettivamente di origine tardo imperiale la prima e germanica la seconda) già spingeva in quella direzione dai tempi dei Merovingi. Con la commendatio ("accomodazione") i signori rurali potevano legare a sé, temporaneamente o a vita, i propri subordinati; con il comitatus, invece, si aveva più un legame di fedeltà, consacrato da un giuramento solenne tra il componente di un seguito armato e il suo comandante. Gli aristocratici cominciarono a esercitare diritti ereditari sulle loro terre, invece di essere nominati secondo le preferenze del re. Allo scopo di controllarli, Carlo Martello garantì loro territori come pagamento per i servizi resi in guerra. Con i cavalieri di Carlo Martello nasce, anche se su un piano quasi esclusivamente militare, una "relazione di vassallaggio", nuovo istituto che sarà la vera forza politica del nipote, anch’egli di nome Carlo e, successivamente, soprannominato Magno, e che avrebbe improntato tutta un'epoca: quella feudale.

POITIERS

Poitiers come svolta storica?

La battaglia di Poitiers è descritta dalla storiografia germanica come uno dei più esaltanti fatti d'arme nella storia, viene così descritta nel "Monumenta Germaniae Historica": «i fanti di Carlo Martello fronteggiarono l'urto della cavalleria nemica restando saldi come un muro e uniti come un blocco di ghiaccio» sottolineando, poi, come quella vittoria sia stata decisiva per non snaturare la vita e i costumi di un intero popolo, ottenendo così un risvolto nazionalistico.
La storiografia moderna è più cauta nei confronti di questo scontro, mentre quella islamica tende a sottolineare di più le sconfitte subite nella parte meridionale francese, che costrinsero gli arabi a rinunciare a Narbona e a rimanere confinati a sud dei Pirenei.
E' da ricordare che, se Poitiers "salvò" la Francia da una invasione musulmana, nessuna battaglia risparmiò la Spagna, a cui servì una lunghissima guerra di reconquista per tornare totalmente cristiana. Ma la battaglia di Poitiers entra a pieno diritto nella storia, perché segna la prima sconfitta dell'Islam in occidente, ci sarebbero state altre scorrerie, alcune vittorie e infine il disastro al fiume Berre. Mai più, dopo di allora, i Musulmani furono in grado di organizzare una spedizione tanto potente diretta verso il cuore dell'Europa.
Da parte sua, Carlo Martello, aveva dimostrato di essere un ottimo comandante, in grado di dare il giusto ordinamento al proprio esercito (che fermò l'ardita cavalleria islamica), dopo decenni in cui l'arte bellica sembrava essere sostanzialmente perduta. Di conseguenza, si potrebbe discutere se fu proprio Carlo Martello a salvare l’Europa a vantaggio del cristianesimo: in ogni caso, è certo che la sua vittoria assicurò ai Franchi il dominio della Gallia per più di cento anni.

POITIERS

E se avesse vinto Abd al-Rahman?

In effetti, la spedizione araba che aveva originato lo scontro a Poitiers non aveva certo le caratteristiche di conquista, ma solo quelle di esplorazione e ricerca di un facile bottino. Se i musulmani avessero vinto la battaglia, è difficile immaginare quale popolazione dell’Europa occidentale avrebbe potuto organizzare una resistenza. D’altra parte, le forze di cui Abd al-Rahman disponeva erano piuttosto limitate, e lo scisma religioso che si verificò poco dopo lo scontro avrebbe probabilmente messo fine alla sua campagna.
Anche supponendo che i Franchi uscissero sconfitti da questo scontro, non è facile credere che la permanenza araba al di qua dei Pirenei potesse avere lunga durata. Era troppa la distanza che avrebbe separato la madrepatria da queste "nuove terre", i cui popoli, viste le tradizioni, i costumi, le distanze razziali e gli interessi economici, difficilmente avrebbero ceduto all'Islam. Il processo di sviluppo, avviato nel nord della Francia in quegli anni, sarebbe stato solo rallentato, mentre i conflitti interni tra Omayyadi e Abbasidi avrebbero di lì a poco indebolito e paralizzato le energie dell'impero musulmano, con la conseguente perdita del controllo nelle regioni più lontane come quelle europee.
Senza la vittoria di Poitiers, però, sarebbe forse stata "risparmiata" dalla conquista araba la fiorente isola di Sicilia, che non avrebbe potuto dare vita a quello splendido connubio tra le architetture arabe e le "rudezze" di stampo prettamente normanno, che si aggiungeranno in seguito.


Pubblicato il 09/12/2004



Bibliografia:
Sir Edward Creasy, The Fifteen Decisive Battles of the World From Marathon to Waterloo, New York, Harper, 1851;
R. Ernest Dupuy – Trevor Dupuy, Encyclopedia of Military History, New York, Harper & Row, 1970;
J.F.C. Fuller, A Military History of the Western World, New York, Funk & Wagnalls, 1954-1956, vol. I;
Gregorio di Tours, Storia dei Franchi, Milano, Fondazione Valla, 1981;
Charles Oman, The Art of War in the Middle Ages, Ithaca, NY, Cornell University Press, 1953;
Robert (Editor) Cowley, Stephen E. Ambrose , John Keegan , David Mccullough , James M. Mcpherson , Robert Crowley, What If? the World's Foremost Military Historians Imagine What Might Have Been, G P Putnam's Sons, 1999
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999