6 Aprile - 24 Maggio 1453
Un altro esempio del millenario scontro tra oriente e occidente, che in questo caso segna il momento di massimo splendore della potenza turca.
COSTANTINOPOLI
Maometto II El Fatih (il Conquistatore), detto anche Humkar ("assetato di sangue"), parlava correttamente cinque lingue, e s'interessava di poesia e di filosofia. Volle visitare le rovine di Troia e amava farsi leggere le gesta di Alessandro Magno. Forse fu proprio da quelle letture che trasse lo spunto per il suo odio contro l'Occidente.
Nel 1451, appena ventunenne, Maometto II era già salito al trono succedendo al padre Murad II, il quale, nonostante i lunghi periodi trascorsi in guerra, era riuscito a riorganizzare l'amministrazione e a promuovere lo sviluppo delle scienze e delle arti, spingendo la sua "influenza" fino al punto di "sponsorizzare" la candidatura del futuro re dell'Impero Romano d'Oriente Costantino XI Paleologo.
Dopo essersi sbarazzato del suo unico fratello, il neonato Ahmed, edificò la fortezza di Rumeli Hisar sulla sponda europea del Bosforo per bloccare i rifornimenti dal Mar Nero alla città di Costantinopoli. Dopo la caduta della città, vi spostò la capitale rinominandola Istanbul, deformazione turca del greco stin bolin (in città), e riconsacrò come moschea la cattedrale di Santa Sofia.
In seguito l'invasione turca arrivò in Croazia, Bosnia e tutto il Peloponneso tranne Rodi. Maometto, consapevole delle divisioni interne degli stati occidentali, seppe approfittarne concedendo privilegi ai commercianti veneziani e greci, oltre a riconfermare quelli già detenuti in precedenza dai genovesi, ottenendo, grazie a dazi e tributi, una fortuna tale da poter costruire una imponente flotta.
Con Maometto II l'impero turco avrebbe raggiunto confini che erano detenuti in precedenza da Bisanzio stessa al tempo del suo massimo splendore. Morì improvvisamente nel 1481 mentre stava preparando l'invasione dell'Italia.
Figlio di Emanuele II Paleologo a ventisei anni sconfisse i Franchi della Morea, e riuscì a tenere quasi sempre a bada i Turchi in Beozia ed in Tessaglia. Dopo la contesa per il trono con il fratello Demetrio, divenne nel 1449 l'ultimo Imperatore Romano d'Oriente.
Nonostante l'Occidente si disinteressasse completamente della sorte di Costantinopoli, Costantino cercò di ricucire i rapporti tra la Chiesa cristiano-ortodossa d'Oriente e quella cattolica-romana d'Occidente per creare un fronte di solidarietà e salvare almeno la città, l'unica cosa che ormai restava dell'impero. Il suo popolo e il clero, però, erano ancora memori del saccheggio dei Crociati nel 1204 ai danni della città stessa, quindi non appoggiavano assolutamente questa sua iniziativa, così sia Venezia che la Chiesa di Roma si limitarono nel loro appoggio ai bizantini.
La resistenza di Costantino sulle mura della città fu, però, così tenace che i turchi furono tentati più di una volta di abbandonare l'assedio della città, l'ultimo dei basileus morì su una breccia alla testa di un manipolo di nobili mentre già irrompevano i giannizzeri.
Appartenente ad uno dei clan più potenti di Genova, formatosi dalla fusione di più famiglie commercialmente molto attive, rinunciò al suo originale cognome per prendere quello del palazzo dove risiedeva la loro agenzia (Palazzo Giustiniani, appunto), il comandante della difesa di Costantinopoli, Giovanni Giustiniani-Longo, era già podestà di Caffa al momento dell'offensiva turca.
Di propria iniziativa aveva raggiunto la città con due galere e 700 uomini, sfuggendo al poderoso blocco navale operato dai turchi. Tursun Beg, lo storico di Maometto II, racconta che "il capo dei demoni" sarebbe stato trafitto da un ghazi (soldato senza paga, che viveva solo del bottino di guerra) sul muro più esterno della città mentre si scatenava l'ultimo assalto. Per i Veneziani e per i Greci invece sarebbe stato lui a diffondere il panico tra gli assediati, diffondendo la falsa notizia che i turchi stavano già dilagando nella città; salvato a stento dai suoi mentre Costantinopoli crollava sarebbe stato condotto sull'isola di Chio dove successivamente morirà.
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La caduta della città di Costantinopoli è un nuovo esempio del millenario scontro tra due civiltà: quella occidentale e quella orientale, che, come nei miti greci, avrebbe causato una serie di lutti secolari e di infinite sciagure per la Cristianità. La "seconda Roma" era caduta, e un impero millenario con essa, mentre la "grande paura del mondo", cioè i turchi, si affacciava pericolosamente sul continente dopo aver distrutto l'ultimo baluardo cristiano che era stato posto tra Europa ed Asia: in parole povere sia Roma che Venezia che lo stesso Sacro Romano Impero vedevano ai loro orizzonti non più la croce di Cristo ma le verdi bandiere del profeta.
Il termine "turco" indica generalmente un insieme di popoli nomadi e allevatori, che abitavano in origine le steppe nord-orientali dell'Asia. La parola Turk ("forza") la troviamo per la prima volta nel V secolo d.C. circa, quando quei popoli si allearono con i Wei della Cina settentrionale contro i Juan-Juan che probabilmente li tenevano in regime di schiavitù.
Sconfitti questi ultimi i Turchi si impadronirono dei loro territori e i loro capi assunsero il titolo di Khagan o Khan che successivamente, crearono un vastissimo regno nell'Asia centrale, ma che viste le discordie interne (tipiche delle tribù nomadi) si dissolse ben presto; i Turchi vennero così sconfitti prima dalla dinastia T'ang nell'VIII secolo, e poi dagli Arabi nella battaglia del fiume Talas (751).
Il loro valore militare restò comunque immutato, il califfo al-Mu'tasim cominciò ad arruolare truppe presso la tribù dei Buyidi, che col tempo ereditarono la gestione del potere militare arabo anche se formalmente restavano mercenari. Nel 1055 un'altra tribù turca quella dei Selgiukidi rovesciò il potere dei Buyidi per impadronirsi definitivamente del potere, installandosi a Baghdad. Al califfo (a cui rimaneva il potere religioso e morale) si sostituì il "Sultano" cioè il "detentore del potere", quello assoluto: fu proprio uno dei primi sultani a sconfiggere a Manzikert l'esercito bizantino dell'imperatore Romano VI.
Da lì in poi i destini dei Turchi e dei Bizantini sarebbero stati sempre legati in un modo o nell'altro, anche se i Selgiukidi furono rovesciati dall'invasione Mongola di Hugalu, e sostituiti da un altra tribù turca, se possibile ancora più feroce, quella degli Ottomani, dal nome del loro primo signore Osman, in arabo Othman.
La guerra tra Impero Romano d'Oriente ed Ottomani, ad eccezione di brevi periodi di non belligeranza, non ebbe molte soste, e andò avanti con una serie di sconfitte degli Imperiali: caddero Nicea (1331), Pergamo, Nicomedia, la Tracia fu saccheggiata (1353), Gallipoli fu presa, e, nel 1359 i Turchi giunsero fino alle mura di Costantinopoli e conquistando anche Adrianopoli, in Tracia, dove spostarono subito la loro capitale.
Le capacità dei Turchi comunque non erano solo militari, seppero infatti approfittare delle rivalità dei popoli balcanici (Serbi, Greci, Bulgari) per consolidare il loro potere, in modo che la loro superiorità militare divenisse sempre più schiacciante. La crociata indetta da Urbano V nel 1363 (nella quale erano coinvolte Ungheria, Serbia, Bosnia e Valacchia) fallì, come fallirono gli altri tentativi di coalizzare le forze balcaniche contro la minaccia turca: con le sconfitte nel Kosovo di Serbia (1389) e di Varna (1444), nella quale morirono il re Ladislao d'Ungheria e il cardinale Cesarini, tramontò definitivamente ogni tentativo di resistenza organizzata unitariamente, mentre gli Ottomani proseguivano strappando Salonicco ai Veneziani e arrivando fino all'Albania e all'Ungheria.
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L'impero romano d'Oriente era a tutti gli effetti greco. Dal resto dell'europa lo dividevano i costumi, la politica e soprattutto la religione, poiché lo Scisma d'Oriente del 1054 aveva irrimediabilmente separato la Chiesa greca ortodossa da quella latina cattolica. La terza crociata (1204) aveva avuto come conseguenza il rovesciamento degli imperatori greci e la creazione di un impero latino che durò fino al 1261, quando Michele VIII Paleologo riconquistò il trono.
Costretto a combattere in piena solitudine contro Serbi, Tartari e Bulgari il nuovo impero non poté raggiungere i fasti dei secoli precedenti. L'avversario più pericoloso rimaneva però sempre il Turco. Nel 1402 infatti Costantinopoli era di nuovo sotto assedio. Questa volta intervenne provvidenziale l'invasione di Tamerlano che, sconfitto l'esercito turco ad Angora e catturatone il sultano Bayazid, giunse fino a Smirne, gettando nel panico Europei e Bizantini, per poi far ritorno improvvisamente a Samarcanda con i suoi Mongoli.
Europei e Greci non seppero però approfittare dello stato di prostrazione in cui erano caduti i turchi: Francia ed Inghilterra continuarono a combattersi nella guerra dei Cento anni; l'Impero Asburgico era sconvolto dall'eresia ussita a Venezia e combatteva contro Milano per la supremazia in Italia. Così il Sultano Mehmet I (Maometto I) poté ristabilire l'ordine nel suo regno, ed il suo successore Murad II cinse nuovamente d'assedio Costantinopoli nel 1422, costringendo l'imperatore Giovanni VIII a pagargli un tributo.
La Capitale era ancora una volta salva ma di lì a poco Murad II, grazie alla vittoria su Ladislao d'Ungheria a Varna, avrebbe esteso e consolidato i suoi domini europei tagliando ogni via di comunicazione terrestre tra la città e il resto del mondo.
Nel 1451, alla sua morte sarebbe salito al trono il figlio ventunenne Maometto II che sarebbe riuscito nell'impresa di prendere Costantinopoli e divenire così "il Conquistatore".
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Tra il 328 e il 330 l'imperatore Costantino fondò una nuva capitale sul Bosforo, nonostante le proteste del popolo romano, Costantinopoli appunto, sul sito dell'antica Bisanzio.
La città, posta su una penisola, controllava lo stretto tra il mar di Marmara e il mar Nero, porta dell'Europa balcanica verso oriente, in quel caso l'impero Persiano. La "nuova Roma" era divisa in 14 regioni, come la città di Augusto, era dotata di un foro, un campidoglio e di un senato, ma con un carattere prevalentemente cristiano, grazie all'edificazione di chiese dedicate agli Apostoli e alla Pace (Sant'Irene). In seguito si sarebbe aggiunta anche la chiesa dedicata alla Sapienza ossia Santa Sofia eretta probabilmente da Costanzo II e poi mirabilmente ricostruita dall'imperatore Giustiniano nel VI secolo.
All'inizio del V secolo, Costantinopoli poteva contare: 11 palazzi imperiali, 14 chiese, 5 mercati, 8 bagni pubblici e 153 privati, 20 forni pubblici e 120 privati, 52 portici, 322 strade e 4.388 case! Ampliate già da Costantino, le imponenti mura cittadine furono spostate più ad occidente nel 413 per fronteggiare gli Unni, e poi vennero ristrutturate da Teodosio II dopo il terremoto del 447.
Le mura della "nuova Roma" rimasero inviolate per 1.000 anni, fino all'avvento delle artiglierie, i ruderi testimoniano un esempio di fortificazione paragonabile solo alle mura Aureliane di Roma.
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L'impresa fu preparata con estrema cura: Maometto II trattò la pace con tutte le potenze (compresa Venezia), che avrebbero potuto distrarlo dal suo progetto, poi rinforzò la flotta e, infine, fece costruire a tempo di record (5 mesi!) la fortezza di Rumeli Hisar per difendere i suoi preparativi e, al tempo stesso, chiudere ogni possibilità di rifornimento a Costantinopoli.
Alla gigantesca costruzione, eretta di fronte a una fortezza simile posta sull'altra sponda dello stretto, lavorarono giorno e notte, sotto la sorveglianza del sultano stesso, migliaia di operai, soldati e perfino i sommi visir. La pianta delle mura tracciava il nome dello stesso Sultano.
La difesa della città di Costantinopoli era affidata ad una cinta di mura (13 miglia) ormai molto deteriorata e inadeguata perché concepita secoli prima, in assenza di artiglierie. Le mura si potevano dividere in tre settori principali: di terra, di mare e del porto. Il primo settore era costituito da una triplice serie di sbarramenti: un fossato largo circa 20 metri e profondo 5, un primo muro alto 8 metri ed infine un altro muro di altezza pari a 15 metri guarnito di 112 torri alte 20 metri. Il porto del Corno d'Oro aveva entrambi i lati protetti dalle mura della città e da quelle del quartiere di Galata (il quartiere dei Genovesi), mentre il suo accesso al Bosforo era sbarrato da un'enorme catena. Al suo interno era alla fonda la flotta imperiale formata da 26 navi di cui: 10 greche e 16 tra veneziane e genovesi.
Nel complesso a Costantinopoli avevano una discreta scorta di viveri e armamenti, ciò che veramente mancava erano gli uomini in numero sufficiente per guarnire le sue mura.
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Dal turco Yeniceri ("nuovo soldato"), i giannizzeri, come corpo militare svolsero un importante ruolo nell'ascesa dell'egemonia ottomana nel mondo musulmano, che si andò concretizzando nel XVI secolo.
Il sultano Murad I istituzionalizzò l'arruolamento forzato dei giovani cristiani sottomessi e la loro conversione all'Islam, per sottoporli ad un rigoroso addestramento, che portò alla nascita di un ordine militare simile a quelli dei Crociati. I convertiti diventavano così, i più fanatici adepti e propagatori dell'Islam. Maometto II poteva contarne quasi 12.000 nel suo esercito, armati con asce, fionde, balestre e giavellotti. Indossavano un copricapo che, a seconda del grado militare ricoperto, poteva avere da una a sette piume.
Prima della fine del XVI secolo, i giannizzeri utilizzarono le armi da fuoco solo occasionalmente, erano divisi in reggimenti ("orte") a loro volta divisi in "ode" (tende) e comandati da "Corbaci" (letteralmente: colui che cucina la zuppa), vivevano accasermati in Costantinopoli e nelle provincie.
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Il sospetto di tradimento che gravò sul Giustiniani, in realtà dovrebbe investire anche tutti gli altri esponenti delle famiglie occidentali legate a Costantinopoli per prestigio e censo. In effetti si verificarono "strani" fatti durante l'assedio della città: la flotta pontificia era rimasta ferma a Chio nell'attesa che "cambiasse il vento", la flotta veneziana era bloccata a Negroponte in "attesa di ordini", poiché il senato lagunare aveva appena discusso l'ipotesi di abbandonare la città al suo destino; inoltre le navi turche trascinate per via di terra passarono indisturbate di fronte al quartiere genovese di Galata; infine, la maggior parte delle famiglie occidentali restò incolume dalla strage conseguente all'irruzione turca, godendo addirittura della concessione di poter scegliere se lasciare la città o restarvi, nonché di nuovi privilegi commerciali.
Testimonia contro il sospetto, invece, il comportamento valoroso dimostrato dalle navi veneziane e genovesi durante un combattimento svoltosi il 20 aprile. Probabilmente non conosceremo mai la consistenza degli interessi tra turchi e commercianti italiani, ma le "dicerie" riportate dai cronisti indicano che, tra i partecipanti ai fatti, vi fu un "balletto di responsabilità" provocato da un evidente senso di colpa sviluppatosi in Occidente a seguito della caduta di Costantinopoli.
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Figlio di un nobile Albanese, questo personaggio entrò nella storia per essere stato uno dei pochi, se non l'unico, ad aver sconfitto i turchi nel loro momento di massima espansione balcanica.
Ceduto come ostaggio ai turchi stessi ed educato all'Islam, aveva combattuto contro i cristiani maturando una grande esperienza, che gli fruttò il soprannome di "Iskander Beg", ossia "Principe Alessandro", con riferimento ad Alessandro il Grande. Più tardi però il Castriota abiurò l'islamismo e, tornato cattolico, liberò il suo popolo.
Dopo la sua morte (1468) l'Albania venne riconquistata palmo a palmo dai turchi, ma molte delle comunità albanesi si trasferirono nel meridione d'Italia dove ancora oggi attraverso i dialetti, perpetuano la loro lingua. Un bellissimo canto popolare immagina che Skanderbeg in punto di morte chiami il figlio e gli ordini di fuggire al di là del mare: «giungendo alla spiaggia troverai un cipresso, profumato e funesto, a quel cipresso lega il mio cavallo [...] presso il cavallo, al vento del mare, spiega la mia bandiera e alla bandiera lega la mia spada. Quando soffierà la tramontana il cavallo nitrirà, la bandiera sventolerà, e la spada tintinnerà dal funebre cipresso: il Turco sentirà, e ricordando la morte che dorme sulla mia spada, non vi seguirà dove sarete andati».
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La leva bandita da Costantino XI tra i cittadini di Costantinopoli ebbe un esito assai modesto: la città infatti poteva contare su una popolazione di 70-100.000 abitanti e di almeno 20.000 uomini adatti alle armi, ma solo in 5.000 risposero all'appello lanciato dall'imperatore.
I primi rinforzi, giunti nel 1452, furono 200 armigieri del legato pontificio Isidoro. Nel gennaio 1453 giunsero due galere genovesi di Giovanni Giustiniani con 700 uomini; con lui c'era anche il tedesco Giovanni Grant esperto di artiglieria e ingegneria militare. Giustiniani, già noto condottiero, fu nominato comandante di tutte le difese e ai suoi genovesi affidò il delicato settore difensivo del Lycus. Nel complesso l'intera guarnigione imperiale contava su 8.000 uomini compresi alcune centinaia di mercenari spagnoli agli ordini di don Francisco de Toledo.
I turchi invece si dividevano in tre categorie di combattenti: i giannizzeri, ben addestrati e di formidabile valore, che costituivano le formazioni regolari ed arrivarono ad un numero di circa 10.000 uomini; i basci-buzuk, reparti irregolari di gran numero ma di scarso valore militare; ed infine le leve provinciali reclutate quasi tutte in Anatolia. Secondo il cronista Niccolò Barbaro le forze turche arrivavano quindi a 150.000 uomini armati e circa 200 navi ma forse il numero più attendibile era di 30.000 uomini e 120 navi.
L'elemento forse più interessante dell'esercito turco era sicuramente il parco artiglieria. Questo disponeva di 12 o 13 grandi bombarde, di molte batterie di calibri minori, il cui numero varia da un minimo di 24 ad un massimo di 50, e di numerosi pezzi di calibro ancora più piccolo. Pare che la bombarda più grossa, disposta davanti alla porta di San Romano, fosse un gigante di bronzo, fuso ad Adrianopoli da un ungherese di nome Urban. Questo cannone scagliava una pietra del diametro di 81 cm, circa 2,5 metri di circonferenza e del peso di 6 quintali. Il peso del pezzo d'artiglieria era stato stimato attorno alle 30 tonnellate; per spostarlo erano necessari 60 buoi e circa 400 uomini, mentre per caricarlo occorrevano circa due ore! Già al secondo colpo aprì una breccia di circa 8 metri ma, per fortuna dei difensori, nel secondo giorno d'assedio esplose uccidendo sia i serventi che lo stesso costruttore.
Non si hanno notizie del numero di bocche da fuoco a disposizione degli assediati che comunque doveva essere molto più scarso del nemico.
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Il campo d'assedio venne posto a terra presso le mura, con al centro la monumentale tenda rosso e oro del Sultano. Maometto, giunto al campo il 5 aprile, suddivise le sue forze in tre parti ognuna agli ordini di un pascià: la prima sorvegliava le porte dalla Quinta Militare alla Xilo; la seconda si occupava dello spazio compreso tra porta San Romano e il mare; la terza parte, quella composta dai giannizzeri, che doveva esercitare la massima pressione, prese posizione nel punto d'incrocio tra le mura ed il Lycos.
Il 12 aprile la più grande delle bombarde turche viene posizionata davanti alla porta San Romano ed apre il fuoco insieme a tutti gli altri pezzi d'artiglieria. Dopo sei giorni di intensi bombardamenti i danni prodotti sono ancora esigui vista l'imprecisione dei musulmani e l'abilità degli assediati nel riparare velocemente le brecce con macerie, sassi e terra. Il 18 aprile Maometto II, spazientito dai magri risultati, ordina un assalto generale notturno. I turchi si lanciarono con enorme veemenza contro il nemico, che da parte sua rispose con un infernale grandinata di colpi, partiti da archibugi, archi, balestre, piccole bombarde e fuoco greco (pece bollente, che veniva incendiata prima di tirarla sul nemico), riuscendo a ricacciare i turchi oltre il fossato.
Come se non bastasse, a sfavore dei turchi, due giorni dopo, tre navi genovesi e una bizantina portarono armamenti e rifornimenti, riparandosi nel Corno d'Oro, e sfuggendo alla flotta dei turchi che invano aveva cercato di affondarle. Allora il Sultano dà ordine di livellare il terreno per circa tre chilometri (utilizzando migliaia di schiavi, ovviamente) e vi fa gettare sopra una specie di corsia di legno spalmata di grasso, sulla quale, a forza di braccia e con l'aiuto dei buoi spinge 70 navi in un fiume che si getta nelle acque del Corno d'Oro stesso. Questa squadra navale turca riesce ad entrare nel porto e a respingere il tentativo dei cristiani di incendiarla. Non contento il sultano fa costruire un ponte di 700 metri per trasportare le truppe appiedate da una sponda all'altra del porto.
Il 7 e il 12 maggio si scatenano due nuovi assalti da 30.000 e 50.000 uomini, che però vengono ancora una volta respinti. Venne costruita una enorme torre d'assedio in legno e per il 18 i turchi ricominciarono i loro attacchi sostenuti da questa imponente macchina da guerra. Il Giustiniani riuscì a distruggere anche questa con dei barili di polvere da sparo fatti rotolare ai piedi della torre stessa e poi fatti esplodere. Fallita anche questa serie di attacchi i turchi cominciarono a scavare dei tunnel sotto le mura delle città, ma il tedesco Giovanni Grant per arginare questa mossa ordinò a sua volta di scavare dei cunicoli paralleli a quelli dei nemici per minarli. E' successo anche che le due fazioni siano venute in contatto sotto terra e abbiano ingaggiato scontri con gli attrezzi da scavo, pugnali, asce e quant'altro. Si può quindi affermare che per quanti sforzi i turchi facessero i bizantini erano sempre lì a tenere in scacco una intera armata.
Si dice che Maometto II fosse sul punto di abbandonare l'assedio della città, visti i risultati dei precedenti attacchi e visto anche il fatto che i rifornimenti al suo sterminato esercito si stavano esaurendo, ma uno dei suoi consiglieri, il pascià Zagan, riuscì a convincerlo nel provare almeno un'ultimo tentativo ordinando un attacco simultaneo da terra e dal mare per il 29 di maggio.
La flotta in particoplare aveva il compito di aprire il fuoco dal porto per tenere impegnate le forze cristiane a limitare i danni in quel punto, e quindi impedendogli di rinforzare altre parti sulle quali si sarebbe concentrato l'attacco turco. Gli obiettivi principali erano tre: le mura presso la porta di Adrianopoli, la cosiddetta terza porta militare ed infine la porta di San Romano, dove si sarebbe concentrata la massima pressione. Per l'assalto furono approntate scale, fascine per riempire i fossati e uncini per togliere le palizzate che coprivano le brecce. Quando gli assediati videro tutto il fervore turco nei preparativi e i fuochi che si accendevano nel loro campo, capirono che si stava avvicinando l'ora decisiva; l'imperatore radunò tutti i suoi capitani per un'ultima messa in Santa Sofia. Costantinopoli era ormai difesa da circa 4.000 armati tra Greci, Veneziani, Genovesi e Spagnoli. Allo scoccare della mezzanotte i fuochi dell'accampamento turco furono spenti, dapprima un grande silenzio fu padrone dell'inquietante scena, poi il rullo dei tamburi e il clamore delle trombe degli attaccanti sciolsero ogni dubbio.
L'assalto più importante, quello alla porta di San Romano fu organizzato in tre ondate: la prima era quella dei basci-buzuk; la seconda era degli anatolici; la terza era dei giannizzeri. Lo scopo era quello di mandare al macello le prime due divisioni per far esaurire agli assediati le munizioni e quindi far intervenire le truppe d'élite. Così fu: le prime due ondate vennero massacrate dal fuoco nemico, ma permisero ai giannizzeri di arrivare sulle mura e confrontarsi con gli uomini del Giustiniani. Questo primo impatto fallì ma al successivo lo stesso genovese venne ferito e portato subito lontano dal centro della battaglia; nuovamente ricacciati i giannizzeri ritentarono ancora una volta, ma questa volta erano sostenuti da altri loro compagni (infiltratisi nella città attraverso una porta incustodita del Circo), che si erano portati alle spalle dei bizantini, ormai presi dal panico più assoluto.
Visti questi segni di cedimento Costantino accorse subito insieme a don Francisco de Toledo ed ad uno sparuto gruppo di nobili e di guerrieri, ma venne subito colpito a morte e le ultime resistenze cedettero di schianto.
Alcuni cercarono di fuggire in mare, altri andarono a proteggere le loro famiglie, ma il saccheggio che demolì la città durò fino al 31 maggio quando venne dato l'ordine di tornare all'accampamento.
Non è impresa facile definire con esattezza le perdite subite dai due schieramenti, vista la discrepanza di dati fornita dalle fonti a noi giunte. Le cifre più probabili sono di circa 4.000 cittadini uccisi e ben 25.000 deportati in schiavitù. Certo è che la città dopo il saccheggio era rimasta quasi del tutto disabitata, visto anche il fatto che Maometto vi fece immigrare molte migliaia di turchi.
Certo è anche il fatto che pochissimi greci riuscirono a scappare: le 10 navi bizantine ancorate al porto erano state sovraccaricate, diventando così facile preda per la flotta turca; mentre le 16 navi "occidentali", quasi del tutto vuote, poterono agevolmente rifugiarsi nelle isole genovesi e veneziane dell'Egeo.
Non si hanno dati certi sulle perdite ottomane, anche se si può immaginare quanto caro fosse stato il prezzo per la conquista della città.
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Tamerlano (Timur e-lang ossia "Timur lo sciancato") fu il più grande conquistatore dopo Gengis Khan, e proprio dalle gesta del grande mongolo volle ripartire il discendente di una piccola dinastia del Turchestan.
Ci riuscì, almeno in parte: sottomise Asia centrale e Russia meridionale; nel 1398 si spinse in India, attraversò la Persia, la Mesopotamia e la Siria giungendo appena in tempo nell'Anatolia per distruggere l'esercito ottomano di Bayazid (che stava per dare il colpo di grazia a Costantinopoli); infine ritornò verso l'Asia centrale.
Il fatto veramente importante di queste imprese di Timur è che con la cattura di Bayazid stesso, si aprì tra i turchi un ventennio di lotte intestine delle quali i bizantini non seppero approfittare, anzi si "impelagarono" anche loro in queste lotte attirando verso di loro ancora più odio da parte turca, e già nel 1422 i turchi tornarono sotto le mura di Costantinopoli.
Secondo una leggenda, quando i turchi fecero irruzione a Santa Sofia, una parete si aprì davanti al sacerdote che vi stava officiando una messa, questi vi entrò con il sacro calice mentre il muro si richiudeva alle sue spalle; sarebbe ricomparso per terminare la messa quando Costantinopoli fosse tornata cristiana.
Maometto II invece quando entrò a cavallo in Santa Sofia ne rimase incantato (e questa non è una leggenda!), dallo storico Tursun Bey viene così descritta: «La cupola gareggia con le nove sfere del cielo [..], le pareti sono ricoperte, in luogo di intonaco, da frammenti di vetro e oro, cosicché nessuno possa scoprirne le connessure; il pavimento è rivestito di marmi colorati tanto che chi guarda dalla terra al cielo ha l'impressione di vedere il firmamento, e chi guarda dal cielo alla terra ha l'impressione di vedere l'oceano ondoso [..] Nella cupola un abile artista ha raffigurato un uomo che da qualsiasi parte lo si osservasse sembrava guardare l'osservatore».
Quest'ultimo era il grande mosaico del "Cristo Pantocràtor", simboleggiante il potere di Bisanzio, che però in osservanza della legge islamica sulle immagini, venne pesantemente intonacato insieme agli altri mosaici, e la chiesa di Santa Sofia fu trasformata in una moschea.
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La caduta di Costantinopoli non ebbe tuttavia delle conseguenze così rilevanti sull'andamento della politica europea, se non in Italia dove venne firmata la pace (trattato di Lodi, 1454) tra gli statarelli italiani pronti ad essere uniti per fronteggiare la possibile invasione dei turchi.
Per quanto riguarda tutti gli altri grandi stati d'Europa le guerre e i conflitti tra di loro erano destinati ad aggravarsi, tanto che il futuro papa, Pio II (all'epoca conosciuto come Enea Silvio Piccolomini) scrisse: «Ogni città ha un proprio re; ci sono tanti principi quante case. Come si possono persuadere i capi cristiani a prendere le armi?».
Ma nonostante il saccheggio, la distruzione della capitale e la grande organizzazione ottomana, lo spirito dell'Impero d'Oriente rimase vivo, influenzando tutta la politica dei paesi balcanici, mentre la cristianità greco-ortodossa mantenne nel tempo la sua sacralità preservando parte dei popoli slavi dall'espansionismo dell'Islam, e favorendo ad est, molto lontano, la nascita di una grandissima potenza: Ivan III di Russia, infatti, sposo della figlia di Tommaso Paleologo, a sua volta nipote dell'ultimo imperatore di Bisanzio, avrebbe portato l'aquila bicipite bizantina su Mosca, la "Terza Roma", assegnando alla Russia un ruolo-guida che un tempo era stato di Costantinopoli.
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La parola "turchi" ancora oggi evoca nella gran parte di noi visione di un popolo assai crudele e spietato, cosa che ha un certo tipo di riscontro storico. Come è altresì certo il fatto che anche i cristiani imposero con la violenza la loro "legge" nei secoli passati soprattutto alle popolazioni spesso conosciute come pagane, insomma, la crudeltà e l'ostentazione dei supplizzi era allora l'unico metodo per dare un monito a tutela dell'ordine pubblico.
Per quanto riguarda i turchi questi erano di religione islamica, il che significa che il diritto islamico traeva ispirazione dal Corano stesso, quindi: le comunità non fruivano di propri giudici e del proprio diritto, la polizia poteva applicare pene corporali senza denunciare il reo o presunto tale al giudice, il potere giudiziario andava molto per le spicce, infatti poteva sviluppare un processo, emanare una sentenza e mandare a morte l'imputato in sole 24 ore!
Come esempio della crudeltà dell'epoca del popolo turco possiamo prendere ad esempio la decapitazione: questa avveniva sulla strada più vicina al boia, sul corpo veniva applicato un cartello recante la sentenza e il capo una volta reciso veniva appoggiato tra le braccia se il defunto era musulmano, tra le gambe se "infedele".
Pubblicato il 07/12/2004
Bibliografia:
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999