25 ottobre 1415
In questo feroce scontro della guerra dei cent'anni la nobile cavalleria feudale francese è nuovamente sconfitta dalla micidiale arma inglese: l'arcolungo.
AZINCOURT
Figlio primogenito di Enrico IV di Lancaster salì sul trono inglese nel 1413 dopo la morte del padre. Anche se istruito ad una dura scuola di guerra non si lasciò scappare una vita frivola e leggera, tanto che Shakespeare nell'Enrico IV lo aveva descritto come frequentatore di bettole accanto a Falstaff, mentre nell'Enrico V, lo ripresenta come un giovane-simbolo dell'eroismo patrio.
Venne nominato cavaliere ad appena 12 anni da re Riccardo, ottenne giovanissimo il comando delle truppe inglesi impegnate in Galles, e successivamente condusse diverse campagne in Scozia ed in Inghilterra. La campagna contro Carlo VI fu preparata con scrupolosa attenzione, e nonostante la sua giovane età i nobili del regno anglosassone gli furono molto devoti, visto soprattutto il cambiamento, che aveva portato quel giovane da una vita "leggera" ad un altra vita assai più morigerata e pia.
La guerra dei cent'anni fu la prima occasione in cui gli inglesi si muovevano per la costruzione di una grande flotta, impresa mai tentata fino ad allora, ed anche per consolidare il potere dei Lancaster nell'isola, ma non solo; con la vittoria di Azincourt e il seguente trattato di Troyes, Enrico V si garantirà anche il titolo di re di Francia visto che aveva sposato la figlia dell'ex-reggente Carlo VI, Caterina. Enrico V, morirà poi nel 1422 per un male misterioso, contratto mentre combatteva contro gli Armagnacchi, ma lasciò a suo figlio la corona di un paese la cui pace interna non era più in discussione, e che aveva aumentato notevolmente il suo prestigio anche agli occhi dell'intera diplomazia europea.
Figlio di Carlo V e di Giovanna di Borbone, ascese al trono del suo paese quando era ancora minorenne, vista la morte del padre(1380), che però aveva decretato come maggiorenni i regnanti che avessero compiuto almeno 14 anni.
Era logico che appena due anni più tardi il piccolo Carlo dovesse prendersi il trono e il potere, senza più aver bisogno della tutela degli zii, che invece mantennero il potere nelle veci del giovane fino al 1388.
Dopo aver allontanato gli zii dal potere, riuscì finalmente a ristabilire l'ordine sociale (sconvolto da povertà, carestia e guerre) e fiscale, facendo di Parigi uno dei maggiori centri finanziari d'Europa. Nel 1392 tuttavia venne colpito da follia e fu quindi costretto a cedere il potere nuovamente nelle mani degli zii e di suo fratello Luigi duca d'Orleans, che ne approfittarono subito per arricchire i loro interessi. Ma l'apparente intesa fra questi "principi" non doveva essere così solida come sembrava, visto che il duca d'Orleans fu assassinato e che, dopo questo crimine, vi fu la frattura del paese in due "parti": gli Armagnacchi e i Borgognoni.
Di questa guerra intestina non poteva che approfittarne il re d'Inghilterra che impose al sovrano l'umiliante pace con il trattato di Troyes con il quale Carlo VI diseredò suo figlio Carlo VII. Alla battaglia di Azincourt "il re folle" non partecipò, e morì nel 1422 lasciando il suo regno a suo nipote Enrico VI di Lancaster.
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Come noto i re inglesi si trovavano in quei secoli in una situazione abbastanza particolare: erano sovrani di uno stato (l'Inghilterra appunto) ma al tempo stesso erano feudatari in Francia, cosa che li rendeva vassalli del re transalpino. La situazione era chiara: se da un lato gli inglesi facevano di tutto per tenere sotto il proprio dominio le terre francesi, gli stessi francesi tentavano in tutti i modi di indebolire il potere "straniero" nel continente. Ma la situazione diventò critica quando il re di Francia Carlo IV morì senza avere eredi diretti, e così al trono salì Filippo VI di Valois discendente della originaria dinastia capetingia alla quale anche il re deceduto apparteneva. Ma si presentò sulla scena anche lo stesso re d'Inghilterra Edoardo III, figlio di Isabella di Francia sorella dello stesso Carlo IV, che rivendicò per sé il trono di Francia poiché il suo legame di parentela con il defunto era più stretto del re che era stato incoronato. E così fu guerra (1337) tra Francia ed Inghilterra.
Gli inglesi uscirono vittoriosi da Crècy come ad Azincourt e poterono quindi dettare le condizioni di pace a Brètigny(1360-1413). Condizioni che perdurarono fino a che in Inghilterra salì al potere Enrico V di Lancaster.
Si possono estrarre da questi anni di guerra alcune importanti riflessioni: innanzi tutto la guerra fu combattuta interamente sul territorio francese, mai sull'isola britannica; la campagna militare tipica di quegli anni non aveva come scopo principale quello di affrontare il difensore e distruggerlo con una battaglia in campo aperto, bensì quello di utilizzare le truppe "d'assalto" per depredare campagne e città inermi al solo scopo di indebolire la credibilità del regnante "interno", costringendolo a uscire fuori dalle città ed evitando sanguinose perdite con gli assedi delle stesse.
Si può quindi capire facilmente come la chevauchèe (ossia la cavalcata) era un adatto strumento per i re inglesi che in terra francese non potevano certo disporre di armate di numero superiore a quello francese e quindi non potevano rischiare di esporsi troppo, anche perché le armate francesi erano considerate, non solo per quantità, ma anche per qualità, tra le migliori dell'epoca.
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L'araldica si compone di una serie di regole standardizzate che venivano utilizzate per riconoscere lo stato nobiliare dei combattenti tramite le insegne. Anche se l'uso, formalmente, era già in vigore all'inizio del medioevo, questa tradizione prende piede nel pieno seicento. Degli stendardi utilizzati nelle epoche medievali si riscontrano caratteristiche come: un colore specifico, ma soprattutto dei simboli che contraddistinguevano il casato, come animali (reali o fantastici); luoghi d'origine (un albero per indicare la provenienza da una foresta, o una nave, o una torre).
Questi vessilli erano utilizzati soprattutto nei tornei cavallereschi per identificare il combattente e per rispondere a precise esigenze estetiche, ma anche come strumento di comunicazione durante le fasi di una battaglia.
L'Oriflamme, era il mitico nome del sacro stendardo da guerra (in origine insegna dell'abbazia di St. Denis) usato dai re di Francia dal XII fino al XV secolo. Il colore era di un rosso vivo, con dei contorni verdi, delle stelle o fiamme d'oro in mezzo, e terminava con 2, 3 o a volte anche 4 punte. Durante la battaglia di Azincourt era stato dato in consegna a Guillaume de Martel che lo lasciò solo dopo la sua morte sul campo di battaglia: da allora non fu più ritrovato.
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Tra il XII e il XIV secolo, in Italia soprattuto ma anche nel resto d'Europa, si erano affrontate in più di una occasione le fanterie cittadine contro le cavallerie feudali. Sia le truppe delle libere città d'Italia che altri (come i fiamminghi), alternavano a fanterie molto pesanti, altre ben più leggere e dotate semplicemente di archi o di balestre. In Germania ed in Svizzera soprattutto si andavano formando reggimenti imponenti di fanterie pesanti ma soprattutto di piccheri: questi grazie alle loro robustissime aste, e al loro schieramento compatto, erano in grado di fermare anche le cariche della cavalleria degli uomini d'arme. Tutte queste evoluzioni però non si verificarono anche in Inghilterra.
Negli anni in cui i re inglesi avevano cercato di consolidare il loro potere sull'intera isola britannica, si erano trovati ad affrontare altre popolazioni, come Scozzesi e Gallesi, che avevano caratteristiche militari ben distinte. Gli scozzesi utilizzavano le poleaxe, aste adatte a colpire sia di botta che di punta, mentre i gallesi si specializzarono nell'uso degli archi.
I regnanti inglesi, col passare degli anni, adattarono quindi le loro truppe alla conformazione del territorio nemico (in genere montuoso) assimilandone gli usi, e andando a sviluppare un tipo di esercito del tutto diverso da quelli continentali. La maggior parte delle truppe era formata da fanti, essenzialmente arcieri, con delle cavallerie molto leggere e mobili dette hobelar miste a quelle più pesanti. Nel tempo gli inglesi impararono a evolvere le armi utilizzate in principio dai loro "vicini-nemici": in particolare l'evoluzione dell'arco nel Longbow (arcolungo), capace di penetrare le corazze fino a 200 metri con una cadenza di fuoco tre volte superiore alla balestra genovese. L'esercito inglese riuscì perfino ad esportare un tipo di atteggiamento tattico che venne assimilato da alcuni eserciti continentali, cioè lo schierare in fase difensiva sia le cavallerie leggere che quelle pesanti appiedate e inframezzate a reggimenti di arcieri.
Tuttavia, soprattutto dal punto di vista tattico, l'esercito inglese aveva una grossa lacuna: la pericolosità delle sue truppe diventava alta solo in caso di attacco nemico. Infatti come potenza offensiva e come forza d'urto l'esercito inglese aveva ben poco da offrire e semmai poteva contrattaccare, mai attaccare. Questo è uno dei motivi per cui ad Azincourt furono i francesi ad effettuare la carica.
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L'arcolungo usato dagli inglesi durante la battaglia di Azincourt ha forse origine gallese, di sicuro si sa che la sua gittata era pari a quella della balestra ma le frecce potevano essere lanciate con una velocità assai superiore, in rapporto di circa uno a tre (un dardo da balestra = tre frecce arcolungo), ed un rapporto di penetrazione superiore.
In seguito alla sconfitta di Azincourt si ha la sicurezza che i fabbri francesi dovettero lavorare per fabbricare armature di gran lunga più resistenti di quelle allora in uso, soprattutto per proteggere in miglior misura la cavalleria, che era uno degli obiettivi-cardine dei reggimenti di arcieri. Questi ultimi erano formati in prevalenza da normalissimi fanti nonché da cavalieri smontati da cavallo, che avevano come obiettivo principale la distruzione e lo scompaginamento dei reparti fondamentali dell'esercito nemico, come in questo caso la cavalleria feudale francese.
La costruzione di questa temibile arma da guerra era relativamente facile, si utilizzavano di base dei rami di olmo o di frassino, che venivano accuratamente levigati e avevano una lunghezza approssimativa di un metro e mezzo; l'arcolungo sviluppava un peso alla corda di 50-80 libbre. Questi dati fanno capire come il maneggiare un arco di queste dimensioni e potenza non fosse poi così facile come costruirlo, era richiesta una certa forza per tenderlo unita ad una lunga pratica nell'uso. Ed è proprio a questo scopo che, per ordine espresso del re, in molte contee si "pubblicizzavano" gare a premi con l'uso di questa arma.
L'arciere inglese non indossava una protezione molto pesante, poiché una armatura ne avrebbe impedito i movimenti a scapito del tiro, in compenso si ha la quasi totale certezza che ad Azincourt i "longbowmen" fossero equipaggiati con una specie di "giubbotto imbottito", buono solo contro gli attacchi più flebili, e altre piccole protezioni che dovevano coprire gambe e braccia. In compenso l'attrezzatura offensiva era di gran lunga superiore, l'arciere esperto infatti poteva usufruire di un grandissimo numero di frecce, e di un palo assai grande e robusto con una punta di ferro che, piantato nel terreno, veniva utilizzato come barriera contro le cariche nemiche. Ma, nonostante i successi e l'organizzazione raggiunta dagli inglesi con questo reparto, in tutto il resto dell'Europa continentale il Longbow non prese mai completamente piede, mentre avrebbero trionfato, di lì a pochi anni ancora, le armi da fuoco.
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Nel 1360 si stipulò la pace di Brètigny con la quale Edoardo III si impegnava a rinunciare al trono di Francia in cambio delle terre di Poitou e della città di Calais. Il regnante francese Carlo V si adoperò per riorganizzare la sua patria e cercò di riconquistare gran parte dei territori perduti grazie anche al mitico condottiero Bernard du Guesclin. IL successore di Carlo V, Carlo VI dovette assistere all'uccisione di suo fratello Luigi d'Orleans da parte dell'inglese Giovanni Senza Paura, che riuscì quindi a riportare il caos all'interno della nobiltà francese.
Fu così, infatti, che si scatenò uno scontro (in realtà mai sopito) tra Orleanisti e Borgognoni, questi, ridotti in condizioni esasperate dalla guerra civile, chiesero l'aiuto e il sostegno di Enrico V re d'Inghilterra. Anche in Inghilterra infatti si erano verificati grandi scontri sociali con protagonisti i contadini. Persino clero e nobiltà erano divisi perché sempre di più in lotta fra loro per ottenere migliori posti nella pubblica amministrazione. Ad aumentare ancora, se possibile, il clima di tensione sull'isola britannica vi era l'ascesa di un nuovo ceto che si andava consolidando a scapito dei due precedenti: la borghesia.
Dopo aver sistemato i contadini ribelli nel suo paese, Enrico V accettò con favore l'invito dei Borgognoni che prometteva un grande bottino da poter "servire" ai suoi nobili, che scalpitavano nell'ansia di un'occasione come questa. Fu così che nel 1415 Enrico V sbarcò a Le Havre con un esercito di 10.000 uomini e dopo aver conquistato in settembre la roccaforte di Harfleur, si mise in marcia verso Calais dove poteva raggiungere i rifornimenti necessari per continuare la sua campagna militare. Ma fu costretto dalla piena di un fiume ad addentrarsi verso l'interno dove, presso il castello di Azincourt, trovò l'esercito francese ad aspettarlo.
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Anche se ancora non rivestivano un ruolo di primaria importanza, le fanterie nel XV secolo avevano assunto dimensioni numeriche superiori a quelle della cavalleria. Ma picchieri, arcieri e balestrieri non potevano essere reclutati addestrati e mantenuti perché gli stati dell'epoca, con la loro caratteristica macchinosità burocratica, erano finanziariamente e logisticamente incapaci a mantenere truppe stabili.
Si andava sviluppando in tutt'Europa l'utilizzo delle truppe mercenarie, che si specializzavano in particolari frangenti della battaglia (mischie in corpo a corpo per i picchieri e i fanti, il tiro per i balestrieri e gli arcieri) e venivano assoldati da coloro che offrivano la paga superiore. Queste truppe di "mestiere" erano abbastanza ben organizzate e di norma comandate dal guerriero più esperto detto Capitano di Ventura (da cui il nome a queste truppe "soldati di ventura"), ma erano altrettanto inaffidabili. Infatti se lo stipendio non era pagato con regolarità abbandonavano il campo di battaglia, e potevano saccheggiare, come compenso, le stesse terre del loro ex-padrone.
Anche quando la guerra si fermava per un pò di tempo, i guerrieri si trasformavano in veri e propri razziatori di campagne, infatti venivano soprannominati dai francesi ècorcheurs ossia gli "scorticatori". Durante le pause della guerra dei cent'anni il fenomeno dei mercenari si diffuse anche in Italia dove giungevano queste compagnie mercenarie in cerca di contratti e di "lavoro" presso i molteplici staterelli presenti nella penisola. Tra le compagnie più famose che hanno combattuto nel nostro paese vi fu la "Compagnia bianca" dell'inglese John Hawkwood (italianizzato in Giovanni Acuto) che stupì per la sua organizzazione e abilità militare. Giovanni Acuto combatté per Milano, per il Papa, per Pisa ed infine nel 1377 perFirenze dalla quale ricevette onore e fortuna.
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Tra i tanti nobili che combattevano per la Francia nelXV secolo spicca il nome di Jean Le Meingre detto Boucicault, cavaliere e maresciallo di Francia. Già da giovanissimo iniziò la sua avventura da guerriero, a soli quattordici anni ebbe il suo primo scontro in Normandia, mentre a sedici era a combattere nelle Fiandre.
Divenne cavaliere nel 1382 per meriti sul campo di Roosbeeke, e da lì cominciò la sua serie di battaglie: nel 1385 combatté in Prussia al fianco dell'Ordine Teutonico (vedi Tannenberg); nel 1386-87 combatté in Spagna; fu nominato Maresciallo nel 1391; nel 1396 era in lotta contro i turchi ma fu fatto prigioniero nella città di Nicopoli dove rimase fino al riscatto; continuò nel 1399, appena liberato, a combattere in Oriente per liberare Costantinopoli e dal 1403 al 1409 si schierò con la città di Genova nelle sue continue attività guerresche contro Milano.
Fu trovato ad Azincourt ferito sotto una pila di cadaveri inglesi che lo attorniava: morì in prigionia nel 1421 senza che nessuno si offrisse di riscattarlo. In conclusione quest'uomo, uno dei più valorosi cavalieri dell'epoca, non passò un giorno della sua vita fuori dalla battaglia o da una prigione.
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Per quanto riguarda le cifre esatte sulle forze a dsposizione dei due comandanti, bisogna sempre essere assai misurati, in quanto vanno presi in considerazione i numeri riportati dai narratori di entrambe le parti combattenti, i quqli, a seconda della "nazionalità", aumentavano e diminuivano le cifre sulle truppe.
Inglesi |
Francesi |
|
Totali |
7.300 |
15.000 |
Arcieri |
5.000 |
3.000 |
Cavalieri |
1.300 |
2.000 |
Fanti |
? |
10.000 |
E' anche vero che talvolta neanche i generali sul campo avessero un'idea molto precisa su quanti fossero esattamente i loro soldati, e i narratori più che ai dati tecnici dello scontro si interessavano degli avvenimenti drammatici.
Per quanto riguarda le forze schierate in campo dagli inglesi si possono contare 5.000 arcieri, 1.200 uomini d'arme a cavallo ed un centinaio tra nobili e Lord cavalieri. I francesi avevano a disposizione un esercito sicuramente maggiore di numero che poteva contare su 15.000-20.000 uomini, di cui 2.000 erano cavalieri pesanti, e non è del tutto improbabile che quest'ultima cifra potesse essere addirittura maggiore.
Gran parte delle forze transalpine proveniva da guarnigioni delle città e dei castelli, un'altra parte era costituita da mercenari italiani. Di sicuro i generali si sentivano molto coperti come numero di truppe tanto da rifiutare addirittura una guarnigione di 6.000 balestrieri offerta dal Parlamento della città di Parigi.
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La mattina del 25 ottobre il terreno dove si schierarono i francesi, cioè tra i paesi di Tramecourt e Azincourt, era molto molle e irregolare per colpa degli aratri e della gran quantità di pioggia caduta. La formazione francese era composta da tre divisioni di fanteria principali, di cui la prima era fiancheggiata alla destra da 800 cavalieri, concentrati vicino ad un bosco, e alla sinistra da altri 1.500 cavalieri. La prima divisione era stata affidata al Contestabile d'Albret, al maresciallo Boucicault e al duca d'Orleans; la seconda divisione era agli ordini del duca d'Alençon; la terza, più staccata dalle prime due, era del conte di Marle.
Il piano consisteva in un nutrito tiro di dardi da parte dei balestrieri (schierati ai margini della prima divisione) per decimare i longbowmen inglesi, quindi, una successiva carica della cavalleria sui fianchi nemici, per poi far intervenire le prime due formazioni centrali, che si sarebbero occupate delle rimanenti forze nemiche al centro e avrebbero lasciato alla terza formazione i fuggiaschi e i sopravvissuti. Ma gli orgogliosi cavalieri francesi (tra cui molti principi di "sangue nobile") non accettarono di essere posizionati dietro ai "vili" arcieri, così occuparono le prime file dello schieramento per mostrare orgogliosamente al nemico le proprie insegne, ostacolando così la vista, e di conseguenza il tiro, dei balestrieri e degli arcieri sul quale si basava tutto il piano originale.
Gli inglesi avevano assunto uno schieramento (a 1.200 metri di distanza dal nemico) lineare, che intervallava tre divisioni di fanti e uomini d'arme a cavallo con altre quattro di arcieri disposti a "cuneo" e altre due divisioni (sempre di arcieri) poste sulle ali estreme. Questo schieramento era pronto ad incrociare il "fuoco" su tutto il fronte nemico: la sinistra era comandata da sir Thomas Lord di Comoys, la destra era del duca di York, al centro stava il re Enrico V.
Bisogna ricordare che era caratteristica peculiare della società "cavalleresca" la concezione del tutto particolare della guerra, con le sue regole di rispetto e di cavalleria, che infatti furono rispettate dai due schieramenti, quindi si iniziò con le trattative. Solo dopo che i francesi richiesero la rinuncia inglese alla corona di Francia, gli araldi finirono il loro andirivieni.
Alle 11 del mattino Enrico, respinte le offerte, le minacce e i parlamentari, decise di indurre il nemico ad attaccare: sapeva bene che ci voleva poco per provocare l'orgogliosa gendarmerie francese, bastava un semplice atteggiamento di sfida. Così ordinò al vecchio maresciallo dell'esercito sir Thomas Erpingham di dare le ultime disposizioni ai suoi, ottenendo come risposta grida di entusiasmo; dopo poco il re urlò: «Avanti o bandiera! In nome di Dio Onnipotente, e che San Giorgio sia oggi il tuo aiuto!», ogni inglese si inginocchiò, si fece il segno della croce, baciò la terra e se ne mise una zolla in bocca, poi cominciò il rullo dei tamburi e la lenta avanzata.
L'avanzata degli isolani cessò a circa 300 metri dai francesi, piantarono i cosiddetti pali "frangicarica" nel terreno e presero posizione. Dopo che il nemico si era ormai sistemato, i francesi decisero di far muovere la cavalleria, ma, con loro sorpresa, il terreno pesante faceva affondare gli zoccoli dei cavalli e la velocità della carica era decisamente troppo lenta.
Fu così che gli arcieri inglesi ebbero il tempo per lanciare una fittissima serie di frecce che decimò e fece ripiegare i reparti di cavalleria. Il ripiego della cavalleria creò lo scompiglio tra le prime due divisioni francesi che stavano già avanzando contro gli arcieri inglesi.
Il nugolo di frecce, che in precedenza era toccato ai cavalieri, ora era riservato alla prima divisione di fanteria francese, che nelle sue file ora contava anche la presenza di vari cavalieri appiedati. Il gran numero e la grandissima compattezza di ranghi francesi (file serrate spalla contro spalla), fece si che questi riuscirono comunque ad arrivare al corpo a corpo (pur avendo subito notevoli perdite) e a sfondare le linee nemiche per circa trenta metri. Ma la loro compattezza si rivelò un'arma a doppio taglio, perché gli uomini erano così "pressati" gli uni sugli altri che diventava difficile qualsiasi movimento e rendeva la divisione apparentemente "corazzata" e del tutto inerme.
Attaccati da tutti i lati, molti uomini transalpini perirono sotto le cosiddette spade "bastarde" da mischia (a lama larga e assai pesanti), tanti cavalieri cadendo nella mischia finirono affogati nel fango per il peso delle loro stesse armature o perché calpestati e schiacciati nel furore della mischia. Anche gli inglesi ebbero notevoli perdite nella mischia, soprattutto perché inferiori in numero. Gli arcieri inglesi tentavano di arrampicarsi sopra le cataste dei corpi per bersagliare la seconda divisione che si stava avvicinando al luogo della mischia. Questa in uno primo momento si stava ritirando, poi, obbedendo agli ordini del duca d'Alençon si gettò anch'essa contro lo schieramento inglese.
Durante la mischia le perdite inglesi, visto il maggior numero di francesi, non furono poche: tra queste bisogna contare anche il fratello di Enrico, Umfredo di Gloucester ucciso da d'Alençon a sua volta colpito a morte da uno sconosciuto "villano". Alla fine dopo ben tre ore di corpo a corpo i francesi cominciarono ad arrendersi, nonostante il loro numero fosse ancora del tutto maggiore a quello degli inglesi; questi separarono i nobili(le cui famiglie potevano pagare lauti riscatti) dagli altri combattenti, mentre i feriti gravi venivano uccisi per depredare i cadaveri.
Nel frattempo la terza divisione francese scorgendo quello che stava succedendo si diresse verso il bosco di Tramecourt apparentemente per prendere il nemico alle spalle ma in realtà per abbandonare vilmente il campo di battaglia. Al seguito dell'esercito francese vi erano anche vari villani che non persero l'occasione per irrompere nell'accampamento inglese e saccheggiarlo di ogni bene (compresi quelli del re Enrico).
Colto dal terrore di essere accerchiato, Enrico diede ordine di uccidere tutti i prigionieri, tranne i nobili, poiché senza il peso dei prigionieri poteva rispondere meglio agli eventuali attacchi che però non arrivarono mai.
I nobili superstiti furono decapitati a Calais o deportati in Inghilterra, perché le loro famiglie non erano in grado di pagare gli altissimi riscatti. Tra questi il maresciallo Boucicault, il più famoso cavaliere europeo, perì durante la prigionia.
Le perdite francesi dovevano contare sul campo tra i 7.000 e i 15.000 uomini; gli inglesi avevano perso circa 500 uomini tra soldati e cavalieri.
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La sconfitta ad Azincourt sembrava dover piegare definitivamente la resistenza francese al volere del re Enrico V. Tutte le alleanze in precedenza stipulate dalla Francia si stavano dissolvendo: infatti il re del Sacro romano Impero Sigismondo aveva riconosciuto come re ed erede al trono di Francia il sovrano inglese, i Borgognoni erano già suoi alleati, e altri sovrani (come Giovanna di Napoli) si affrettarono a stringere patti e legami di parentela con i "futuri regnanti d'Inghlterra e Francia".
Nel 1420 infatti Carlo VI fu costretto a riconoscere (pace di Troyes) Enrico V come suo successore al trono e gli diede in sposa sua figlia, in considerazione delle sconfitte precedenti nella guerra dei cent'anni. Ma ormai nella Francia si andava diffondendo un nuovo sentimento, quello nazionale e patriottico, che nessuna sconfitta militare può fermare se è davvero sincero; e tale si dimostrerà di lì a poco perché già 3 anni prima di Azincourt era nata, in un piccolo villaggio, una contadinella di nome Giovanna d'Arco. Grazie a lei lo spirito di vittoria ma soprattutto di rivalsa nei confronti degli inglesi prenderà piede, e la guerra dei cent'anni assumerà sempre di più l'aspetto di una guerra tra popoli, facendo tramontare (assieme al medioevo) l'assolutismo regio, per lasciare il posto all'era delle nazioni.
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Assolutamente convinta di essere stata scelta da Dio per liberare la Francia dal flagello inglese, la giovane contadinella fu guidata da delle "voci" all'accampamento dell'esercito francese dove esortò lo spirito dei soldati con delle parole che riaccesero la fiamma della battaglia ben quattordici anni dopo Azincourt. Tale fu il fervore che accese questa ragazza che riuscì ad incontrare il re di Francia Carlo VII e a farsi affidare il comando di un esercito destinato al soccorso della città d'Orleans. In seguito la città fu liberata dalla ragazza che sconfisse il nemico anche a Patay cosentendo al re Carlo di essere consacrato tale a Reims il 17 Luglio dello stesso anno.
L'azione quasi "mistica" di Giovanna fece scaturire una saldissima alleanza tra nobiltà, popolo e monarchia (cosa rarissima prima di allora), tanto da indurre il re a dichiarare falsi i documenti di Troyes, riguadagnarsi l'obbedienza del popolo e dei nobili, e giustificare la riorganizzazione in senso monarchico di tutto l'apparato statale. Da allora si stabilì un trattato (nel 1435 per la precisione) in cui la Borgogna sarebbe tornata alla Francia e di lì in poi i transalpini avrebbero conosciuto solo vittorie nella guerra fino al 1453.
Nel frattempo Giovanna fu catturata dagli inglesi, scomunicata e arsa viva come eretica, ma sarebbe stata riabilitata da questa accusa in una revisione del processo e addirittura beatificata. Ma più di ogni alta cosa la "Pulzella d'Orleans" è presa ancora oggi da tutto il popolo francese come simbolo ed esempio di amore patrio, e viene celebrata da scrittori ed artisti di tutto il mondo che continuano, ancora oggi, a rievocare le vicende di questa audace e sfortunata eroina francese.
Pubblicato il 07/12/2004
Bibliografia:
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999