Ars Bellica

Battaglia di Berlino - Parte I

1944-1945

Tutto ciò che avvenne dopo Stalingrado, ma soprattutto dopo lo sbarco in Normandia, si tende a riassumerlo in un generico epilogo della guerra e del nazismo. In realtà quei circa undici mesi di guerra, tra l’invasione della Francia e la fine del Terzo Reich, costarono la vita a 1.200.000 soldati tedeschi e a 250.000 civili nella sola Germania, oltre a generare milioni di profughi.
di Giuseppe Bufardeci

Berlino

Premessa

I nemici dei nazisti avevano cominciato ad immaginarsi la loro vendetta circa due anni prima. Un furibondo colonnello sovietico, radunando i prigionieri nemici in una distrutta Stalingrado, urlò: “Ecco, guardate, anche Berlino sarà così”. Hitler da quel disastro, dovuto alla sua ossessione per il simbolismo rappresentato da Stalingrado, non aveva imparato nulla e con una logica distorta ammonì il suo popolo che la sconfitta della Germania avrebbe significato vendetta, annientamento e schiavitù del popolo tedesco da parte dei bolscevichi. Attraverso la sua spietata e criminale invasione dell’URSS era riuscito a legare a sé in maniera indissolubile l’intera nazione e la marcia di avvicinamento a Berlino fu la realizzazione della sua profezia. Stalin, anche se attento ai simboli, soprattutto quando poteva sfruttarli, era molto più pragmatico e il suo interesse a giungere per primo a Berlino era, oltre che politico, anche legato all’acquisizione dei laboratori scientifici del Reich, dell’uranio ivi custodito e dei suoi scienziati, essendo ben al corrente attraverso spie occidentali filocomuniste sullo studio già molto avanzato degli americani nella realizzazione della bomba atomica (progetto Manhattan). Le dimensioni della tragedia umana alla fine della guerra superano l’immaginazione di chiunque non l’abbia vissuta, eppure non si deve generalizzare sul comportamento dei singoli individui. Episodi estremi di degradazione e violenza possono fare emergere sia il lato peggiore sia il migliore della natura umana. Molti soldati sovietici dei reparti di prima linea, in molti casi, si sono comportati con umanità nei confronti dei civili tedeschi, a differenza di quelli dei reparti di rincalzo. Questi pochi gesti di bontà hanno illuminato una storia quasi insopportabile.


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Grande Germania - 1 gennaio 1945

Berlino

Festività natalizie 1944

Quel Natale del 1944, i berlinesi, dimagriti e sotto stress avevano ben poco da festeggiare, la città era ridotta in rovina dalle incursioni aeree e il loro tipico umorismo nero si era decisamente fatto ancora più funereo. La battuta più comune in quel periodo era: “Sii pratico: regala una cassa da morto”. L’umore era cambiato da quando erano cominciate a circolare, circa due anni prima, voci sull’accerchiamento dell’armata del generale Paulus a Stalingrado. Il regime trovò difficile ammettere che la più grande formazione delle loro forze di terra era condannata. Per preparare la nazione alle brutte notizie, Il ministro della Propaganda e della Cultura, Joseph Goebbels, aveva preannunciato un “Natale tedesco” che, nella terminologia nazionalsocialista, significava austerità e rigore. Ad ogni modo nel 1944, il pranzo tradizionale a base di oca arrosto era diventato un lontano ricordo. Le incursioni aeree erano così frequenti, notte e giorno, che la gente aveva l’impressione di passare più tempo nei rifugi antiaerei che a casa e la conseguente mancanza di sonno influiva sull’umore, tanto che le battute contro il regime, facevano pensare che ormai poche persone temessero la Gestapo. Correva voce che la sigla diffusissima LSR che indicava Luftschutzraum, un rifugio antiaereo, volesse dire “Lernt schnell Russisch”, impara il russo alla svelta. Il saluto nazista era stato abbandonato dalla maggior parte delle persone. Quando un ragazzo della Gioventù Hitleriana (Hitlerjugend), Lothar Loewe, lo usò entrando in un negozio, tutti si voltarono a fissarlo. Fu l’ultima volta che lo pronunciò quando non era in servizio. Scoprì che il saluto più comune in quel tempo era: “Bleib übrig!”, resta vivo! Con una popolazione di almeno tre milioni di individui di rifugi antiaerei non ce n’erano a sufficienza e quindi erano sovraffollati. Erano forniti di ambulatorio con infermiere, visto che le vibrazioni prodotte dallo scoppio delle bombe sembravano accelerare i parti. I bagni, anche a causa della frequente mancanza d’acqua, diventavano presto inservibili, aumentando il disagio di una popolazione con la mania dell’igiene. Inoltre spesso erano chiusi a chiave, visto che frequentemente erano usati per confinarsi dentro e suicidarsi. Il sovraffollamento era tale che venivano usate candele a varie altezze per misurare la diminuzione dell’ossigeno nell’aria. Quando si spegnevano quelle a terra ed a mezza altezza, i bambini venivano sollevati, quando anche la fiamma di quelle in alto incominciava a scoppiettare e tendeva a spegnersi, bombardamento ancora in corso o no, bisognava precipitarsi immediatamente fuori.

Gli edifici in fiamme fanno parte del normale paesaggio nella Berlino del 1945,  nei pressi della Alexanderplatz due bambini giocano e una coppia passeggia
Gli edifici in fiamme fanno parte del normale paesaggio nella Berlino del 1945, nei pressi della Alexanderplatz due bambini giocano e una coppia passeggia

A Berlino si trovavano anche 300.000 lavoratori stranieri, identificabili da una lettera dipinta sulla schiena a seconda della provenienza, avevano il divieto assoluto di scendere nei rifugi sotterranei e nelle cantine. Ciò era dovuto in parte a evitare commistioni con la razza tedesca, ma la ragione principale delle autorità era quella di salvare vite tedesche. I lavoratori provenienti dall’est (Ucraina, Bielorussia ecc.) erano considerati sacrificabili ed erano guardati con sospetto dai tedeschi che li consideravano una specie di “Cavallo di Troia”. Inoltre, mano a mano che l’Armata Rossa si avvicinava, l’atavico e viscerale timore per gli slavi si era trasformato in odio, fomentato anche dalla propaganda del regime sulle atrocità commesse dai russi nel villaggio della Prussia Orientale di Nemmersdorf nell’autunno precedente. I bombardamenti aerei degli Alleati, anche se le autorità erano convinte che avessero fatto nascere un cameratismo patriottico, forse vero nel 1942 e nel 1943, alla fine del 1944 avevano, per lo più, diviso l’opinione pubblica tra quelli stanchi della guerra e quelli per la linea dura.

Berlino era stata la città dove l’opposizione al regime nazista fu più alta, come dimostrato dai dati delle varie elezioni politiche prima del 1933. Ma, eccetto per una piccolissima minoranza, l’opposizione al nazismo non si esprimeva al di là di generiche battute e lamentele. La maggioranza era rimasta sinceramente inorridita dall’attentato a Hitler nel luglio 1944 e credeva nella propaganda di regime su armi miracolose che avrebbero cambiato il corso della guerra. L’offensiva delle Ardenne, del 16 dicembre 1944, aveva ridato slancio ai sostenitori di Hitler, anche se il comando supremo dell’esercito non la condivideva, temendo che avrebbe indebolito il fronte orientale in un momento decisivo. Ad ogni modo il piano era troppo ambizioso. Hitler pensava di cambiare le sorti della guerra costringendo Roosevelt e Churchill a scendere a patti. Aveva rifiutato tutti i suggerimenti di apertura nei confronti dell’Unione Sovietica, in parte a ragione, perché era convinto che a Stalin interessasse solo la distruzione della Germania, ma il motivo principale era la sua profonda vanità che gli impediva di chiedere la pace mentre la Germania stava perdendo. Una vittoria nelle Ardenne era di conseguenza vitale. Comunque sia dopo i primi drammatici giorni di difficoltà, gli americani reagirono massicciamente e l’offensiva fallì. Il generale Guderian, capo di stato maggiore dell’OKH, aveva una forte personalità, un carattere difficile ed in più vedeva le cose in maniera molto differente da Hitler. Alla vigilia di Natale del 1944 aveva raggiunto il nuovo comando del Führer denominato “Adlerhost”, nido dell’aquila (in una foresta a circa 40 km da Francoforte sul Meno), dopo che, per l’avvicinarsi dell’Armata Rossa, nel novembre 1944 la sede del comando in Prussia Orientale (detta Wolsschanze, Tana del Lupo) era stata abbandonata. Aveva ricevuto un rapporto dove si sosteneva, secondo i servizi d’informazione, che i russi avrebbero sferrato un’offensiva sulla linea del fiume Vistola intorno al 12 gennaio. Nonostante l’OKH avesse la responsabilità delle operazioni sul fronte orientale, non aveva mai avuto le mani libere nei confronti dell’'OKW. Entrando nella sala conferenze dello Adlerhorst si trovò di fronte Hitler, il suo stato maggiore e anche Heinrich Himmler, il Reichsführer delle SS. Ogni componente del comando era stato scelto secondo il criterio della sua illimitata fedeltà ad Hitler. Il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo di stato maggiore dell’OKW, famoso per il suo servilismo nei confronti di Hitler. Il generale d’armata Alfred Jodl, ben più competente di Keitel, ma di fatto non si opponeva mai ai disastrosi tentativi del Führer di voler controllare ogni battaglione dell’esercito. Il generale Wilhelm Burgdorf, il principale aiutante di Hitler e capo del reparto personale dell’esercito. Burgdorf era l’uomo che aveva consegnato il veleno al feldmaresciallo Rommel, dopo l’attentato a Hitler, come ultimatum per togliersi la vita. Guderian, basandosi sul rapporto ricevuto, affermò che poiché l’offensiva delle Ardenne era ormai arenata, sarebbe stato più opportuno ritirare la maggior parte delle divisioni e schierarle sulla Vistola. Hitler lo bloccò, definendo ridicole quelle valutazioni sulle forze nemiche, rispose che le divisioni fucilieri russe non avevano più di 7.000 uomini l’una e le forze corazzate erano praticamente senza carri. “E’ la più grande falsità dai tempi di Gengis Khan” urlò Hitler, accalorandosi. “Chi è il responsabile della diffusione di queste fandonie?”. Guderian resistette alla tentazione di rispondere che era stato proprio Hitler a parlare di “armate” tedesche quando avevano la consistenza si e no di un corpo d’armata e di “divisioni di fanteria” ridotte a battaglioni.

Ascoltò, inorridito, gli altri collaboratori del comando, sostenere il proseguimento dell’offensiva delle Ardenne. Dovette tornarsene al suo comando senza avere ottenuto nulla. Le perdite in occidente intanto aumentavano sempre di più. L’offensiva era costata 80.000 uomini, inoltre aveva consumato la maggior parte delle riserve di carburante. Eppure Hitler aveva avuto dei momenti di lucidità, ammettendo che la guerra era perduta vista la grande disparità di mezzi tra la Germania e il nemico. Ma faceva ricadere la responsabilità delle sconfitte sugli altri. Guderian era terrorizzato al pensiero di una sconfitta sul fronte della Vistola, in più, a peggiorare il tutto, aveva appreso che Hitler aveva fatto trasferire truppe corazzate delle SS dal fronte della Vistola verso quello ungherese nel tentativo di rompere l’assedio di Budapest da parte dei sovietici. Il primo gennaio 1945 scattò dall’Alsazia l’operazione Vento del Nord, atto conseguente all’offensiva delle Ardenne. Lo stesso giorno segnò una catastrofe per la Luftwaffe. Il maresciallo Hermann Göering, irresponsabilmente, nel tentativo di impressionare Hitler, ordinò un massiccio attacco di quasi mille apparecchi contro obbiettivi di terra sul fronte occidentale. Questo tentativo sortì solo la distruzione finale della Luftwaffe come forza effettiva e assicurò agli alleati la supremazia totale dell’aria. La Grossdeutscher Rundfunk (l’emittente radiofonica di stato) trasmise quel giorno il discorso di Capodanno di Hitler. Nessun accenno al fronte occidentale, la qual cosa lasciava intendere che la situazione non era buona e non si parlò molto di nuove armi miracolose. Il Führer non era stato più visto in pubblico da molto tempo e circolavano le voci più fantasiose. Alcune sostenevano che era impazzito completamente e che Göering era in prigione perché aveva tentato di rifugiarsi in Svezia. Il senso del dovere e la devozione al lavoro dei tedeschi rimanevano saldissimi ed anche in quelle circostanze, la mattina del 3 gennaio tutti si recarono al lavoro con i mezzi pubblici o camminando tra le macerie. Gli uffici erano al freddo a causa delle finestre rotte, le fabbriche per lo più ferme per carenza di materie prime o pezzi di ricambio. L’unica industria fiorente, sotto l’abile conduzione dell’architetto Speer e la mano d’opera schiava rastrellata nei territori occupati, era quella degli armamenti che aveva raggiunto una produzione superiore a quella del 1941. Chi si ammalava di raffreddore e influenza doveva tirare avanti. Non era il caso di cercare dei medici perché erano tutti sotto le armi. I centri medici e gli ospedali dipendevano da stranieri. Tra il personale medico si annoveravano olandesi, peruviani, rumeni, ucraini e ungheresi. In generale era quasi impossibile trovare personale tedesco anche a causa della costituzione della Volkssturm (letteralmente assalto popolare, era una milizia popolare), nata nell’autunno del 1944 dall’ideologia del nazismo. I sospetti di Hitler sulla fedeltà dell’esercito aveva fatto in modo che tale organizzazione non fosse sotto gli ordini dell’esercito, ma sotto quelli dei gauleiter. Dato che tutti gli uomini tra i 17 e i 45 anni erano stati chiamati sotto le armi, la Volkssturm era un miscuglio di adolescenti e anziani. Nei cinema si proiettavano documentari su uomini in marcia, anziani e giovani, fianco a fianco, che ricevevano i panzerfaust (letteralmente pugno corazzato, era un lanciagranate anticarro) e che giuravano fedeltà al Führer. Il morale dei soldati al fronte certo non era sollevato da tutto questo. Molti inorridivano nell’apprendere dalle lettere da casa che il loro padre, fratellino o nonno facevano addestramento e pratica d’armi tutte le domeniche. In realtà, i tedeschi, con il loro innato rispetto per la specializzazione erano molto scettici. La gente era per lo più dell’opinione che se la Wehrmacht non era in grado di reggere la situazione, non ci sarebbe riuscita nemmeno la Volkssturm.

Cittadini berlinesi dopo un’incursione aerea
Cittadini berlinesi dopo un’incursione aerea

Berlino

Le offensive della Vistola e contro la Prussia Orientale

Nel gennaio 1945 più di 4 milioni di soldati sovietici erano ammassati lungo la Vistola e appena a sud del confine con la Prussia Orientale e stavano per realizzare l’offensiva che Hitler aveva giudicato falsa. Le legioni sovietiche in avanzata non assomigliavano a nessun altro esercito che il mondo avesse conosciuto: una miscela di vecchio e di nuovo, di Europa e di Asia, di raffinata intelligenza e brutale ignoranza, ideologia e patriottismo, sofisticatezza tecnologica e mezzi di trasporto ed equipaggiamento tra i più primitivi. L’ubriachezza era endemica. L’unica regola che tutti seguivano era quella che imponeva agli uomini e alle donne di attaccare, combattere e morire. A Stalin e ai suoi generali non importava nulla della tutela della vita. L’uso sconsiderato delle armi fece sì che un numero significativo di russi si uccidessero a vicenda per rabbia o disattenzione, e che tirassero il grilletto con la stessa disinvoltura con cui la loro controparte occidentale poteva sputare o imprecare. Con tutta la sofisticatezza militare dei suoi comandanti, quello russo era un esercito barbaro, che aveva ottenuto risultati come solo dei barbari potevano. L’Armata Rossa aveva schierato dal Baltico all’Adriatico un totale di 6.700.000 uomini, il doppio delle forze d’invasione di Hitler nel 1941. La previsione di un crollo dell’Armata Rossa di quell’estate, si era dimostrata uno dei più catastrofici errori di calcolo della storia. Paradossalmente i suoi elementi più istruiti erano guidati da un senso di rettitudine più profondo di quello che muoveva i soldati americani o inglesi. A loro non importava niente del patto col diavolo di Stalin e Hitler11 nel 1939, né dell’aggressione sovietica alla Polonia, alla Finlandia, alla Romania. Per loro valeva soltanto il fatto che la Russia era stata invasa e adesso si avvicinavano alle resa dei conti con il paese responsabile di tutto questo. I soldati tedeschi sapevano di quel che era stato fatto nei territori occupati ed erano certi del sentimento di vendetta dei sovietici. La resa avrebbe significato lo sfruttamento fino alla morte nei campi di lavoro in Russia. “Noi non combattevamo più per Hitler né per il nazionalsocialismo né per il Terzo Reich”, scrisse un veterano alsaziano della divisione “Grossdeutschland12”, e “nemmeno per le nostre fidanzate o madri o per le famiglie intrappolate nelle città devastate dalle bombe. Noi ci battevamo soltanto per paura… ci battevamo per noi stessi, per non morire nelle buche piene di fango e di neve; ci battevamo come si difende un topo bloccato in un angolo”. Alle 05:00 del mattino del 12 gennaio cominciò, dalla testa di ponte di Sandomierz, l’offensiva sulla Vistola da parte del I fronte ucraino del generale Konev nella neve alta e con visibilità quasi a zero. Dopo l’avanzata attraverso i campi minati di compagnie di prigionieri mandati avanti a forza, i battaglioni di fucilieri occuparono la linea del fronte. Poi cominciò il bombardamento d’artiglieria con una densità di 300 cannoni per chilometro, praticamente un cannone ogni tre – quattro metri. Le difese tedesche furono annientate. La maggior parte dei soldati tedeschi si arrese. Gli obbiettivi dell’offensiva erano Breslavia, ma soprattutto le zone industriali della Slesia. Stalin aveva indicato con un dito la zona sulla carta dicendo una parola sola: “Oro”. Non erano stati necessari altri commenti. Stalin voleva che le fabbriche e le miniere fossero conquistate intatte. Il 14 gennaio cominciava la penetrazione nella Prussia Orientale e nei sobborghi di Varsavia.

Reparto della divisione tedesca Grossdeutschland in Prussia Orientale prima dell’attacco sovietico
Reparto della divisione tedesca Grossdeutschland in Prussia Orientale prima dell’attacco sovietico
La sera del 15 gennaio, uno Stalin di ottimo umore riceveva il vice di Eisenhower, il generale Tedder, facendogli credere di avere anticipato l’offensiva per aiutare gli alleati in difficoltà nelle Ardenne. In realtà l’offensiva era stata programmata fin dal mese di ottobre con una data presunta dell'’8 -10 gennaio. È impossibile dire se questo avrebbe contribuito ad accentuare la frattura tra gli americani e il molto più scettico Churchill nelle relazioni con l’URSS. Churchill era sempre più preoccupato delle intenzioni del dittatore sovietico di imporre in Polonia un governo fantoccio di comunisti polacchi. Si era nell’imminenza della conferenza di Jalta e Stalin voleva essere sicuro di controllare tutto il territorio polacco. Intanto le armate sovietiche avanzavano a tutta velocità, sembravano quasi fare a gara tra loro per superarsi. La ridotta guarnigione di Varsavia rischiava di rimanere isolata e non aveva alcuna possibilità di resistere. Il capo dell’ufficio operazioni, colonnello Bogislaw von Bonin, fu avvertito che era impossibile tenere la città; egli ne discusse con Guderian e decisero di permetterne l’abbandono. Durante il rapporto di mezzanotte Hitler ne fu informato prima che il vice di Guderian avesse la possibilità di spiegare la cosa. Hitler esplose urlando di annullare tutto, “la fortezza Varsavia deve essere tenuta”. Ma ormai era troppo tardi le comunicazioni radio erano state interrotte. Nella sua ossessione della difesa ad oltranza ad a ogni costo, già l’estate precedente, per ragioni tattiche più che discutibili, si era opposto a trasferire un gruppo d’armate di circa 200.000 preziosissimi soldati dalla Curlandia dentro i confini tedeschi con il risultato che adesso erano isolati e sotto assedio in quella regione.

Dalla Vistola all'Oder 12-31 gennaio
Dalla Vistola all'Oder 12-31 gennaio

La caduta di Varsavia insieme alla decisione di Hitler di trasferire la 6a armata corazzata SS sul fronte ungherese sortì un altro duro scontro con Guderian. Il colonnello von Bonin e altri due tenenti colonnelli furono arrestati per essere interrogati dalla Gestapo, poiché Hitler considerava l’abbandono di Varsavia un altro tradimento da parte dell’esercito. Furono anche destituiti due generali comandanti d’armata. La verità era che la sua mostruosa vanità non gli permetteva di perdere una capitale straniera, nemmeno una che aveva completamente distrutta15. Guderian intervenne a favore degli ufficiali arrestati affermando che avrebbero dovuto interrogare anche lui essendo il responsabile della decisione. Hitler che non vedeva l’ora di accusare lo stato maggiore generale dell’'esercito lo prese in parola. In quella fase critica Guderian fu sottoposto a ore d’interrogatorio da parte di Ernst Kaltenbrunner del comando della sicurezza del Reich e del capo della Gestapo Heinrich Müller. I due tenenti colonnelli furono poi rilasciati, ma von Bonin rimase in un campo di concentramento fino alla fine della guerra. Intanto cominciavano a circolare voci su cosa stesse accadendo in Prussia Orientale. I soldati dell’'Armata Rossa e i reparti polacchi che ne facevano parte, dopo avere visto la distruzione di Varsavia, erano ben poco propensi ad essere pietosi. A Varsavia su una popolazione prebellica di 1.310.000 abitanti ne erano rimasti solo 162.000. Dopo avere represso in maniera brutale la rivolta dell’ottobre 1944, i tedeschi avevano distrutto in maniera sistematica tutti i monumenti della città. Il ghetto ebraico era solo una ondulata distesa di macerie di mattoni.

Varsavia 1945. Il Ghetto
Varsavia 1945. Il Ghetto

Berlino

Il vento della vendetta

Invasione Prussia Orientale
Invasione Prussia Orientale

L’offensiva contro la Prussia Orientale inizialmente non andò bene per l’efficacia della difesa tedesca, ma con un attacco rapido da sud di truppe corazzate alla città di Elbing, la Prussia Orientale si trovò in pratica isolata dal resto del Reich. Pur aspettandosi da mesi l’attacco, nelle città grandi e piccole regnava la disorganizzazione. Il principale colpevole era il gauleiter Erich Koch già tristemente noto per il ruolo di commissario del Reich in Ucraina. Era tanto orgoglioso della sua brutalità che non obbiettò quando seppe che era stato soprannominato “un secondo Stalin”. Imbevuto dell’ostinazione hitleriana della difesa fissa, vietò lo sgombero dei civili indicandolo come mossa disfattista, quando poi si scatenò l’offensiva sovietica si allontanò senza avvertire nessuno. Le conseguenze per donne, bambini e vecchi fuggiti troppo tardi, attraverso un territorio sepolto sotto più di un metro di neve a venti gradi sotto lo zero, furono spaventose. Gli affascinanti incitamenti alla vendetta contro la Germania di Il’ja Eremburg nei suoi articoli sul giornale dell’Armata Rossa, Krasnaja Zvezda (Stella Rossa) avevano un enorme seguito tra le truppe. L’affermazione di Eremburg che i soldati sovietici “non erano tanto interessati alle Gretchen, quanto a quei Fritz che avevano insultato le nostre donne”, si dimostrò quanto mai errata. E i suoi frequenti riferimenti alla Germania come “la strega bionda” non incoraggiarono certo un trattamento umano delle donne tedesche e anche di quelle polacche. Eppure la maggioranza della popolazione tedesca sembrava rendersi ben poco conto di quali orrori avrebbe incontrato. La sorte più comune per ragazze e donne di qualsiasi età sarebbe stata la violenza sessuale di gruppo. “I soldati dell’Armata Rossa non credono ai legami individuali con le donne tedesche” rilevò uno scrittore russo sotto le armi in Prussia Orientale. “Nove, dieci, dodici uomini alla volta, le violentano su base collettiva”. Descrisse, in seguito, le donne tedesche di Elbing, che in un disperato tentativo di cercare protezione, si offrivano ai fanti di marina sovietici.


Elementi della Volkssturm prigionieri in Prussia Orientale
Elementi della Volkssturm prigionieri in Prussia Orientale

La varietà di carattere dei soldati era molto grande. C’erano quelli che vedevano anche nei ragazzini delle future SS ed erano convinti di doverli ammazzare tutti e quelli che li risparmiavano e gli davano da mangiare. Altri che, in genere ubriachi, violentavano tutte le donne che incontravano e austeri comunisti scandalizzati da un simile comportamento. Lo scrittore Lev Kopelev, che era allora un commissario politico, fu arrestato dal controspionaggio della SMERSH sotto l’accusa di essersi “impegnato nella propaganda di un umanesimo borghese, di pietà per il nemico”. Kopelev aveva anche osato criticare la ferocia degli articoli di Eremburg. Berija e Stalin sapevano perfettamente quello che stava accadendo. In un rapporto venne loro riferito che “molti tedeschi dichiarano che tutte le donne rimaste in Prussia Orientale sono state violentate dai soldati dell’Armata Rossa”. Vennero forniti molti esempi di violenze di gruppo, “ragazze sotto i 18 anni e vecchie comprese”. In realtà le vittime avevano anche soltanto dodici anni. “Il gruppo dell’NKVD aggregato alla 43a armata scoprì che donne tedesche rimaste indietro a Schpaleiten avevano tentato il suicidio” proseguì il rapporto. “Ne interrogammo una, Emma Horn”. “Il 3 febbraio”, raccontò, “soldati di prima linea dell’Armata Rossa arrivarono in città. Entrarono nella cantina in cui ci eravamo nascoste e puntarono le armi contro di me e le altre due donne e ci ordinarono di uscire nel cortile. In cortile dodici soldati mi violentarono a turno e altri soldati fecero altrettanto con le mie due vicine. La notte successiva sei soldati ubriachi entrarono a forza nella nostra cantina e ci violentarono davanti ai bambini. Il 5 febbraio vennero tre soldati e il 6 febbraio altri otto soldati ubriachi ci violentarono e ci percossero”. Tre giorni dopo le donne tentarono di uccidere i bambini e loro stesse tagliandosi i polsi, ma non sapevano farlo nel modo giusto. Ci furono dei tentativi di disciplinare il comportamento dei soldati nelle zone d’occupazione, ma sia per il coinvolgimento diretto di ufficiali sia per la carenza di disciplina, era troppo pericoloso tentare di ristabilire l’ordine tra soldati ubriachi armati di mitra. Ad ogni modo le autorità a Mosca si preoccupavano di più delle distruzioni senza senso che delle violenze carnali e assassinii. Da un articolo sulla Krasnaja Zvezda: “La nostra vendetta non è cieca. La nostra rabbia non è irrazionale. In un momento di rabbia cieca si finisce per distruggere una fabbrica in territorio nemico conquistato, una fabbrica che sarebbe preziosa per noi”. I commissari politici pensavano che istillando nei soldati un sincero sentimento di odio verso il nemico, questi non tenteranno di avere nessun rapporto con esso. I fatti dimostrarono di quanto si erano sbagliati. D’altra parte nemmeno le donne soldato e le infermiere dell’Armata Rossa disapprovavano quel comportamento verso le donne tedesche. La vendetta fu solo una parte della spiegazione di quell’atteggiamento, anche se poi ne divenne l’unica giustificazione. Spesso una volta ubriachi poco importava della nazionalità delle vittime. Lev Kopelev raccontò delle urla disperate di una ragazza bionda con la veste lacerata che gridava: “Ma io sono polacca, Gesummaria, io sono polacca”. Era inseguita da carristi russi ubriachi sotto gli occhi di tutti. L’argomento in Russia è stato così rimosso che ancora oggi si rifiutano di riconoscere la realtà. Notevole fu la capacità di ufficiali e soldati di convincersi che le vittime fossero felici della loro sorte. Un maggiore sovietico raccontò all’epoca ad un giornalista inglese “che spesso violentavamo donne di sessanta, settanta e addirittura ottant’anni, con molta sorpresa di queste donne, se non addirittura di vera e propria soddisfazione”. L’alcool ebbe un ruolo importante in tali comportamenti. Sembrava che i soldati ne avessero bisogno per compiere quegli atti, poi però eccedevano nel bere e nell’incapacità di raggiungere l’orgasmo, si servivano della bottiglia, con risultati spaventosi. Numerose vittime erano mutilate in modo osceno. Si può soltanto scalfire la superficie di queste sorprendenti contraddizioni psicologiche. Quando donne violentate in serie da bande di soldati a Koenigsberg pregarono in seguito i loro stupratori di ucciderle, pare che i soldati si siano sentiti insultati. “I soldati russi non sparano alle donne”, ribatterono, “lo fanno soltanto i soldati tedeschi”.


Il trattamento riservato alle donne in Prussia Orientale era determinato dalla volontà di umiliarle. Le vittime subirono il peso della vendetta dei crimini della Wehrmacht durante l’invasione dell’URSS. Una volta svanita la furia iniziale, questa forma di sadismo divenne molto meno evidente. A Berlino, tre mesi dopo, i soldati tendevano a considerare le donne tedesche più come un casuale diritto di conquista che un oggetto su quale sfogare il loro odio. Continuò, è certo, il senso di dominio, ma questo fu forse in parte un prodotto indiretto delle umiliazioni che essi avevano subito da parte dei loro comandanti e delle autorità sovietiche nel complesso. C’era anche l’influsso di svariate forze e influenze. La società sovietica di Stalin fu per suo volere fondamentalmente asessuata. Non che ciò avesse a che fare con una forma di puritanesimo, semplicemente amore e sesso non si inquadravano nel dogma destinato a deindividualizzare l’individuo. Le pulsioni e le emozioni dovevano essere soppresse. I lavori di Freud vietati, divorzi e adulteri erano profondamente disapprovati dal partito. Furono rimesse le sanzioni contro l’omosessualità. Fu soppressa l’educazione sessuale. Nelle arti grafiche la linea anche vestita del seno femminile era considerata pericolosamente erotica. Bisognava che scomparisse sotto una tuta da operaio. Era chiaro che il regime voleva che ogni forma di desiderio venisse convertita in amore per il partito e, soprattutto, per il Grande Capo. La maggioranza dei soldati dell’Armata Rossa, ben poco istruiti, risentiva dell’ignoranza sessuale e aveva un atteggiamento primitivo nei confronti delle donne. Di conseguenza i tentativi dello Stato sovietico di reprimere la libido del proprio popolo diede vita a quello che uno scrittore russo definì una specie di “erotismo da caserma”, molto più primitivo e violento della “più sordida pornografia straniera”. Il tutto combinato con l’influenza disumanizzante della propaganda moderna e con gli atavici impulsi bellici di uomini marchiati da anni di terrore e di sofferenze. Proprio come in molti casi non essere tedesche non salvò le donne, anche le credenziali di sinistra di molti uomini tedeschi, tornati allo scoperto dopo anni di fede clandestina al partito ad accogliere i fratelli liberatori, non giovarono. Si trovarono di solito affidati alle indagini dello SMERSH. La logica contorta dello SMERSH poteva anche stravolgere un racconto sincero, in una cospirazione di calcolato tradimento. E poi c’era sempre la domanda a trabocchetto predisposta da Mosca alla fine di ogni interrogatorio di chiunque si proclamasse fedele al partito ed a Stalin: “Perché non sei con i partigiani?”. Il fatto che in Germania non esistesse un movimento partigiano non era considerato una scusa valida. Non ci si può meravigliare se poi quando a metà aprile Mosca dichiarò che non bisognava odiare tutti i tedeschi, ma soltanto i nazisti, molti soldati non obbedirono. La propaganda dell’odio venne recepita da orecchie così recettive che il grado d’odio a tutto ciò che era tedesco era diventato viscerale. “Persino gli alberi tedeschi erano considerati nemici”, dichiarò un soldato sovietico. Durante la cerimonia di inumazione di un ufficiale molto amato dai suoi soldati, uno d’essi saltò nella fossa e si mise a togliere freneticamente tutte le fronde poste sulla bara, secondo tradizione, al posto dei non reperibili fiori. Provenivano da alberi nemici e profanavano il luogo del riposo eterno del loro eroe. Il maresciallo Vasilevskij, forse il più istruito e il più intelligente dei comandanti sovietici, alle lamentele del suo capo di stato maggiore sul comportamento dei soldati che saccheggiavano e spaccavano tutto, rispose: “Non me ne frega niente. É ormai ora che i nostri soldati si facciano giustizia alla loro maniera”. La mania distruttiva dei soldati in Prussia Orientale andava molto al di là di ogni logica. Davano fuoco a case che avrebbero potuto dargli riparo dal freddo. Erano anche furibondi perché constatavano che i contadini avevano un livello di vita molto superiore a quello che mai avrebbero potuto immaginarsi. Questo scatenava la loro indignazione, pensando che i tedeschi avevano comunque invaso l’Unione Sovietica per saccheggiarla e distruggerla. Un soldato disse al suo superiore: “Come dovremmo trattarli, compagno capitano? Pensa un po’ stavano bene, mangiavano bene, avevano bestiame, orti, alberi di mele. E sono venuti a invaderci. Per questo, compagno capitano, dovremmo tirargli il collo”. Dopo una piccola pausa aggiunse: “Mi dispiace per i bambini, compagno capitano. Anche se sono bambini Fritz”. Un commissario politico ammise che i soldati erano disgustati dall’abbondanza incontrata nelle dispense tedesche. Inoltre odiavano la sistemazione ordinata della vita domestica tedesca. “Vorrei solo spaccare a pugni”, scrisse, “tutte quelle file ben ordinate di scatole e bottiglie”. I soldati dell’Armata Rossa erano meravigliati dal vedere tanti apparecchi radio nelle case. Quello che trovavano sotto gli occhi lasciava capire in modo concreto che l’Unione Sovietica non era forse proprio quel paradiso dei lavoratori e dei contadini che avevano loro fatto credere. Le fattorie della Prussia Orientale provocarono un insieme di stupore, gelosia, ammirazione e rabbia che mise in allarme i commissari politici. Tutto ciò che non poteva essere portato via veniva distrutto. I carristi riempivano i loro mezzi di bottino, i soldati si riempivano di roba sotto i pastrani fino quasi a non potersi più muovere.

Colonna di profughi in fuga in Slesia
Colonna di profughi in fuga in Slesia

Le autorità sovietiche erano quasi offese che la popolazione civile stesse fuggendo in massa, le campagne ed i centri minori erano pressoché spopolati. Tra gennaio e febbraio del 1945 quasi 8.500.000 di tedeschi abbandonarono le loro case nelle provincie orientali del Reich. Una intera regione con la sua cultura ed un suo carattere marcato venne di fatto cancellata. Stalin aveva comunque già deciso di incamerare Koenigsberg21 e la parte superiore della Prussia Orientale nell'’URSS ed il resto di cederlo alla Polonia per compensare l’annessione all’Unione Sovietica di tutti i suoi territori orientali come la Bielorussia occidentale e l’Ucraina occidentale. L’avanzata delle truppe sovietiche in Prussia Orientale e il raggiungimento della Frische Haff, consentiva la fuga ai profughi o via mare da Pillau nella punta sudoccidentale della penisola della Samland, oppure sul ghiaccio fino alla Frische Nerung, la lunga striscia di sabbia che chiudeva la laguna dal lato di Danzica. Forse i profughi più sfortunati furono quelli che rimasero bloccati a Koenigsberg, presto tagliata fuori dalla via di terra. La fuga dalla città si dimostrò tutt’altro che facile, anche perché le autorità naziste non avevano predisposto nessun piano di evacuazione dei civili e ci volle tempo prima che le navi arrivassero a Pillau. Nel frattempo l’assedio di Koenigsberg divenne uno dei peggiori della guerra. I profughi che avevano raggiunto la Frische Nehrung furono obbligati dagli ufficiali della Wehrmacht a lasciare libera la strada per favorire il traffico militare, quindi dovettero abbandonare i carretti e i bagagli per poter proseguire attraverso le dune. Molti non ce la fecero, le colonne corazzate russe sopraggiungenti passarono sopra i carretti e falciarono con le mitragliatrici le colonne di profughi.

Berlino

L’offensiva d’Inverno

Ai confini orientali e nordorientali della Slesia furono posti una quarantina di battaglioni locali della Volkssturm e furono costruite alcune fortificazioni in cemento armato, vista la scarsità di armamento anticarro, le forze corazzate sovietiche le attraversarono senza nemmeno rallentare. L’avanzata sovietica provocò anche lo sgombero dei campi dei prigionieri di guerra oltre a quelli dei campi di concentramento. Guardie e prigionieri si avviarono a piedi in territori coperti di neve, senza sapere dove stessero andando e cosa dovessero fare. Un pomeriggio una colonna di prigionieri di guerra britannici sorpassò un grosso contingente di prigionieri sovietici con i piedi nudi ricoperti di stracci, emaciati fino quasi all’estremo. Gli inglesi impietositi lanciarono loro quel poco che avevano, sigarette o saponette. Uno dei pacchetti cadde corto e mentre il prigioniero russo si calava a raccoglierlo, una guardia della Volkssturm lo precedette calpestandogli le dita e cominciò a colpirlo col calcio del fucile. La cosa provocò urla di furore da parte degli inglesi. “Il guardiano smise di percuotere il russo e alzò gli occhi stupefatto. Era chiaro che era così indurito nella sua brutalità che non gli era nemmeno passato per la testa che gli esseri umani avessero il diritto di protestare”. Poi cominciò a minacciare i prigionieri che continuarono a urlare e dileggiarlo con maggior forza. I loro guardiani intervennero ricacciando l’uomo della Volkssturm verso la colonna di prigionieri. “Dio mio”, esclamò uno dei prigionieri britannici, “perdonerò ai russi assolutamente tutto quello che faranno a questo paese, quando arriveranno. Assolutamente tutto”. Intanto all’interno della dirigenza nazista, con Göering in pieno discredito, la lotta principale per il potere era tra il Reichsführer delle SS, Heinrich Himmler, e Martin Bormann, capo della cancelleria e segretario particolare di Hitler. Himmler era convinto di potere diventare l’erede designato di Hitler e sottovalutava molto Bormann che invece era riuscito a conquistarsi la fiducia del capo e ora controllava ogni possibilità di avvicinarlo. Bormann disprezzava Himmler che chiamava sprezzantemente “lo zio Heinrich” e sapeva delle sue ambizioni di diventare un capo militare. Intrigò segretamente tanto da convincere Hitler a nominarlo, ai primi di dicembre, comandante in capo di alcune piccole armate sull’Alto Reno. Himmler non si rendeva conto che, sepolto nel suo comando nella Foresta nera, stava rapidamente perdendo potere a Berlino, in più Kaltenbrunner, il capo dei servizi di sicurezza, da lui allevato, era stato conquistato da Bormann, come anche il suo ufficiale di collegamento con il comando di Hitler, l’Obergruppenführer delle SS Otto Fegelein. Mentre si svolgevano queste cospirazioni, il fronte della Vistola, come aveva previsto il generale Guderian, era crollato. La velocità di avanzata era anche di 60 – 70 chilometri al giorno, quindi la situazione sul campo cambiava nel giro di poche ore. Le informazioni sulle posizioni del nemico giungevano a Berlino alla sera; a causa della scala gerarchica da seguire, il rapporto veniva presentato a Hitler durante la riunione di mezzogiorno, di conseguenza le istruzioni di Hitler giungevano ai reparti di prima linea ventiquattrore dopo, quando già la situazione non era più la stessa. I contributi esterni alle discussioni operative erano raramente costruttivi. Di solito erano fini a se stessi per guadagnare posizioni su un rivale a corte. Göering, per esempio, che non si intendeva per nulla di strategia militare, con scarso tatto machiavellico insisteva a lungo calato sul tavolo delle mappe rendendolo inavvicinabile a causa della sua mastodontica figura. Poi dopo avere, in genere, fatto una figuraccia, si ritirava su una sedia vicina. E un Hitler pieno d’incredibile sopportazione non lo rimproverava quando finiva per addormentarsi davanti a tutti.


Grosse formazioni corazzate e non di tedeschi dispersi in mezzo alle forze russe in rapida avanzata intanto tentavano di guadagnare la via per attraversare il fiume Oder e attestarsi. Il 27 gennaio venne localizzata la rete di campi attorno ad Auschwitz da reparti esploranti russi, i quali si trovarono di fronte al più efferato simbolo della storia moderna. Quei giorni furono disastrosi per la Wehrmacht, ma lo furono ancora di più per i milioni di profughi provenienti dalla Prussia Orientale, la Pomerania e la Slesia. Tutti puntavano in direzione dell’Oder e di Berlino. Si trattava di colonne lunghissime di carretti trainati da buoi e cavalli e carrozzine per bambini formate prevalentemente da donne e bambini, visto che gli uomini erano al fronte o nella Volkssturm. Quelli che erano fuggiti con il treno non stavano molto meglio. Il 20 gennaio, il tempo peggiorò molto, le temperature scesero da meno 10 gradi a meno 30 e nevicò molto. Nonostante ciò, dovuto al panico, questa migrazione invece di rallentare aumentò. A Breslavia, che Hitler aveva dichiarato fortezza da difendere fino all’ultima pallottola, fu ordinato alla popolazione civile di abbandonarla al più presto, visto il rapido avvicinamento dell’Armata Rossa. Si verificò una corsa disperata verso i treni, molti morirono calpestati. I treni non sempre erano il mezzo più sicuro, spesso percorsi che normalmente richiedevano tre ore, erano coperti in venti ore o più. Ilse, la sorella di Eva Braun, l’amante di Hitler, che abitava a Breslavia, fu una di coloro che fuggirono in treno. Cenando con la sorella nella biblioteca della Cancelleria a Berlino, Eva che non aveva idea delle dimensioni della catastrofe, chiacchierava come se sua sorella potesse tornare a Breslavia dopo una breve vacanza. Ilse non riuscì a trattenersi e descrisse le colonne di profughi in fuga nella neve per il terrore del nemico. Era così furiosa da dire a Eva Braun che Hitler stava trascinando la nazione in un abisso. Eva ne fu colpita e si infuriò a sua volta. Come osava dire quelle cose del Führer che era stato tanto generoso e la ospitava? Avrebbe meritato di essere messa al muro e fucilata. Al 19 febbraio le autorità contarono 8.350.000 profughi. Il 30 gennaio, anniversario dell’ascesa al potere dei nazisti, giungevano a Berlino, per lo più in treno, tra 40.000 e 50.000 persone al giorno. Le autorità cittadine non accolsero bene questa invasione timorose dello scoppio in città di epidemie e cercavano di dirottare questa marea nei dintorni o lontano da Berlino. Ogni treno scaricava masse di umanità amorfa che, probabilmente, nemmeno faceva più caso ai cartelli che proclamavano vietato l’uso delle scale mobili ai cani e agli ebrei. Il caos regnava sovrano, a Danzica l’8 febbraio calcolavano di ricevere 400.000 profughi, tale numero fu raggiunto in appena due giorni. Impreparati a questo disastro che Hitler di era rifiutato di riconoscere, adesso dovevano recuperare il tempo perduto se volevano mantenere un minimo di ordine pubblico. Furono organizzati dei depositi di cibo intorno alla città, ma furono saccheggiati dai soldati in ritirata. Tuttavia il settore che aveva maggiore urgenza era la Prussia Orientale, in cui la prima nave non attraccò prima del 27 gennaio, quindici giorni dopo l’inizio dell’offensiva nemica. Il porto principale utilizzato fu Gdynia poco a nord di Danzica. Il grande ammiraglio Doenitz ordinò l’operazione Hannibal, uno sgombero in massa di profughi con l’impiego di navi di tutti i tipi. Il 30 gennaio, il più grande transatlantico tedesco, il Wilhelm Gustloff, progettato per imbarcare 2.000 persone, secondo gli studi più recenti e attendibili, partì con 10.582 persone, scortato solo da una motosilurante. La sera seguente fu colpito da tre siluri di un sommergibile russo comandato dal capitano A.I. Marinesco. La massa presa dal panico ribaltò le poche scialuppe messe in mare, la temperatura esterna era di meno 18 gradi centigradi. La nave affondò in meno di un’ora, l’acqua gelida non diede scampo, furono tratti in salvo da altre unità accorse solo 1.300 superstiti. Persero quindi la vita circa 9.300 persone. Il 10 febbraio fu affondato dallo stesso sommergibile la nave General Steuben provocando la morte di 3.500 tra profughi e soldati feriti. Il 16 aprile (a sole tre settimane dalla fine della guerra) fu la volta di un’altra nave da crociera riconvertita, il Goya. Stavolta i morti furono quasi settemila, sopravvissero solo in 183. Queste sono state le tre maggiori tragedie del mare della storia fino ad oggi.

Sebbene le navi-ospedale siano internazionalmente considerate off-limits da attacchi militari in tempo di guerra, il governo sovietico considerò le navi-ospedale tedesche come legittimi bersagli bellici. In una nota ufficiale rilasciata nel Luglio del 1941, il governo sovietico rigettò bruscamente la richiesta tedesca di rispettare la legge internazionale inerente l’immunità delle navi-ospedale: “Il governo sovietico rende noto che non riconoscerà e rispetterà le navi-ospedale tedesche secondo la Convenzione dell’'Aja”. Gli storici russi, ancora oggi, seguono la linea ufficiale sovietica e sostengono che a bordo della Wilhem Gustloff si trovavano 3.700 sommergibilisti e oltre 6.000 hitleriani. L’interesse maggiore in Russia non sembra fu la sorte delle vittime quanto quella del trionfante capitano Marinesco. L’NKVD respinse la proposta di nominarlo Eroe dell’Unione Sovietica, perché aveva intrattenuto una relazione con una straniera, un crimine per il quale riuscì a evitare a stento il tribunale e una condanna automatica in un gulag. Soltanto nel 1990, “alla vigilia del 45° anniversario della vittoria”, ricevette, alla memoria, la stella d’oro di Eroe dell’'Unione Sovietica. L’operazione Hannibal, nonostante queste tre immani tragedie, fu un grande successo. L'’obiettivo di portare lontano dai sovietici il maggior numero possibile di tedeschi, riuscì. Furono evacuati dalla Prussia Orientale, dalla Curlandia e dal corridoio polacco tra 800.000 e 900.000 sfollati, oltre a 350.000 soldati. Furono utilizzate più di 1.000 navi, l’operazione si interruppe solo con la fine della guerra. Hitler era ormai convinto che le cose sarebbero andate a posto se a difendere il Reich sul fronte orientale fosse stato un capo militare spietato e ispirato dall’ideologia. Un generale Guderian esterrefatto ricevette la notizia della nomina di Himmler a comandante di un nuovo gruppo di armate della Vistola tra la Prussia orientale e la Slesia. Il colonnello Hans Georg Eismann dello stato maggiore, fu incaricato di recarsi a Schneidemühl, quale capo dell’ufficio operazioni del comando del gruppo d’armate della Vistola. A Eismann che non aveva mai sentito parlare di questa grande unità, fu spiegato che era stata appena costituita, apprese non meno sconcertato di Guderian, che il suo comandante sarebbe stato il Reichsführer delle SS. Il comando era situato a bordo del treno speciale di Himmler, lo Steiermark, un convoglio di vetture letto nere agganciate a vagoni contraerei. Sentinelle armate delle SS erano collocate sulle banchine a intervalli regolari. In un “elegantissimo vagone ristorante” lo attendeva Himmler. Il colonnello che non lo aveva mai visto, lo studiò attentamente. Non indossava la solita divisa nera, ma grigioverde, forse per sottolineare il suo ruolo di capo militare, era piuttosto molliccio con la parte superiore del tronco lunga e con il mento sfuggente. Guidò il colonnello davanti ad una mappa. Eismann, notò, era arretrata di almeno ventiquattro ore. Chiese che cosa si avesse per chiudere il vuoto e costituire un nuovo fronte. Non era nuovo a crisi aggravate, se non provocate, dal comando del Führer. Nel dicembre 1942 era stato trasportato in aereo in una Stalingrado accerchiata per discutere della situazione con il generale Paulus. Himmler gli rispose con tutti i cliché insensati del suo capo: “Contrattacco immediato”, “Investirli sul fianco” e via dicendo. Le sue risposte erano prive di qualunque nozione militare di base. Eismann ebbe l’impressione di trovarsi davanti ad un cieco che parlava di colori. Una cosa era certa quest’armata esisteva solo sulla carta. Si capì presto che il comando non solo mancava di ufficiali di stato maggiore addestrati, ma non aveva un organizzazione di commissariato, trasporti e nemmeno un reparto comunicazioni. L’unico mezzo di comunicazione era un telefono. Himmler sempre deciso ad attaccare, voleva ammassare avanzi di reggimenti e di battaglioni. L’operazione, se così vogliamo chiamarla, ovviamente fu un insuccesso completo. Intanto nei territori liberati della Polonia, gli abitanti polacchi si stavano vendicando dei loro ex padroni (tedeschi ricollocati negli territori polacchi dopo il 1939), inseguendo le colonne di profughi, depredandoli e picchiandoli. I russi che non erano mai stati informati del patto segreto di spartizione della Polonia tra Stalin e Hitler si meravigliavano di tutto quest’odio e si lamentavano che i polacchi giustiziassero i soldati prigionieri prima che loro potessero interrogarli. Lo scrittore e corrispondente di guerra russo Vasilij Grossman non nascondeva a sé stesso sgradevoli verità. Le ragazze russe che erano state trasferite in Germania come forza lavoro, spesso si lamentavano che i soldati dell’Armata Rossa le violentassero. Una ragazza in lacrime gli disse: “Era un vecchio, più vecchio di mio padre”. I soldati russi che iniziarono ad entrare in territorio tedesco attraverso il vecchio confine di prima del 1939, nel vedere le fattorie, erano colpiti che tutti gli edifici fossero in mattoni con giardini ben curati ed alberi da frutto. Non riuscivano a comprendere perché i tedeschi, considerati gente di buon senso, avrebbero dovuto mettere a repentaglio una vita prospera e comoda per invadere l’Unione Sovietica. Il saccheggio e le violenze sugli abitanti tedeschi cominciarono presto. Grossman notò “l’orrore negli occhi delle donne e delle ragazze…”. “Cose terribili stanno accadendo alle donne tedesche”. Un tedesco spiega con poche parole di russo che sua moglie quel giorno è stata violentata da dieci uomini… anche le ragazze russe liberate dai campi soffrono molto. Grossman annotò pure di una giovane madre tedesca. Veniva violentata di continuo in un capannone di una fattoria. I parenti andarono al capannone e chiesero ai soldati di lasciarle il tempo di allattare il bambino, perché non smetteva di piangere. Tutto questo successe nelle vicinanze di un comando e sotto gli occhi di ufficiali che avrebbero dovuto essere responsabili della disciplina.

Giovani della Hitlerjugend durante combattimenti in Slesia
Giovani della Hitlerjugend durante combattimenti in Slesia

Quella quarta settimana di gennaio, Berlino sembrava in preda ad isterismo e alla disintegrazione. C’erano due allarmi aerei per notte, alle 20:00 ed alle 23:00. I profughi raccontavano quello che stavano facendo i soldati russi. L'’Ungheria, l'’ultimo alleato, si stava ormai schierando con l'’Unione Sovietica e le voci del rapido avanzare dell'’Armata Rossa, faceva presagire un rapido sgretolamento dell'’intero fronte orientale. Chi poteva, cercava di lasciare la capitale, anche se doveva andarci cauto senza il necessario permesso. Goebbels aveva dichiarato disertore chi lasciava Berlino senza autorizzazione. I pochi che la ottenevano venivano sottovoce sconsigliati di tornare indietro. La più minacciosa di tutte fu l’ondata di esecuzioni effettuata dalle SS per ordine di Himmler. Parecchi elementi della resistenza tedesca collegati alla congiura di luglio furono messi a morte. Tra gli altri, il conte Helmut James von Moltke, Eugen Bolz e Helmut Planck figlio del fisico premio Nobel Max Planck. La strategia della propaganda di regime, fin da quando la guerra sul fronte orientale aveva cominciato ad andare male per la Germania, era stata quella di eliminare ogni possibile nozione di scelta o di alternativa. “Noi vinceremo perché dobbiamo vincere”, uno slogan spregevole per i non nazisti, ma i tedeschi non erano ancora pronti a metterlo in dubbio. Anche se solo i fanatici credevano nella vittoria finale, la maggior parte teneva duro perché non riusciva ad immaginare niente di diverso. In più la Feldgendarmerie e le SS intensificavano sempre più la caccia ai cosiddetti traditori e disertori in tutte le zone più prossime ai combattimenti con uno zelo più che fanatico. Incominciava ad essere comune incontrare soldati impiccati ai lampioni od agli alberi lungo le strade. Goebbels era molto attivo nelle visite alle vittime dei bombardamenti ricavandone grande popolarità, mentre Hitler si rifiutava addirittura di dare un’occhiata ai danni subiti dalla capitale. L’'invisibilità del Führer era dovuta in parte al suo ritiro dalla vita pubblica e in parte alla difficoltà di nascondere i drammatici cambiamenti del suo aspetto. Gli ufficiali che non lo avevano più visto dopo l’attentato del 20 luglio rimasero sconvolti. “Qualche volta era così chino su se stesso da sembrare gobbo”. Gli occhi, un tempo splendenti, ora erano opachi, la carnagione grigiastra. Trascinava la gamba sinistra, la sua stretta di mano molle. Hitler si reggeva spesso la mano sinistra con la destra per nasconderne il tremito. Pur non avendo ancora 56 anni sembrava un vecchio. Aveva inoltre perduto il suo incredibile occhio per i particolari e le statistiche, che usava per convincere i dubbiosi. Ormai intorno a sé non vedeva che tradimento. Gli ufficiali sapevano dell’atmosfera ostile nei loro confronti. Quando si recavano al bunker della Cancelleria dovevano consegnare le pistole e le borse che venivano controllate. Dovevano anche sostare in piedi mentre le SS controllavano che le loro divise non avessero gonfiori sospetti. Gli ufficiali dovevano anche ricordare che il saluto militare tradizionale era vietato e dovevano usare quello cosiddetto tedesco, a braccio teso, come era chiamato quello nazista. La corte apparentemente militare di Hitler riusciva ad essere sia austera in modo superficiale sia profondamente corrotta in profondità. L’'incompetenza ed il caos tra i satrapi rivali ed i funzionari di partito era ammantata da una falsa unità di fedeltà verso la loro divinità ideologica. La mentalità di un ambiente del genere, a dispetto delle uniformi, dei saluti e dei rapporti ogni dodici ore non sarebbe potuto essere più lontana dalla realtà del fronte. E mentre la salute del Führer si deteriorava, gli intrighi e le manovre per trovare una posizione migliore si moltiplicavano a mano a mano che il Reich crollava. Tutti coloro che intrigavano per la successione avevano la fantasiosa convinzione che il mondo avrebbe potuto accettare una forma qualsiasi di successione all’interno del Terzo Reich, ammesso che avesse ancora un territorio. Alla fine di gennaio la Slesia era caduta, Stalin ebbe il suo “oro” e per la Germania fu il disastro. La perdita delle miniere, acciaierie e altre fabbriche fu un danno maggiore alla produzione tedesca dei bombardamenti alleati nei complessi industriali della Ruhr negli ultimi due anni.

Il 30 gennaio l’'esercito si rese conto all’improvviso conto che la minaccia contro Berlino era ancora peggiore di quanto si fosse temuto in quanto l’Armata Rossa era avanzata travolgendo tutte le difese in maniera estremamente rapida. Durante la notte del 31, reparti sovietici avevano attraversato il fiume Oder ghiacciato costituendo una piccola testa di ponte poco a nord della cittadina di Küstrin. Il 31 gennaio dei sorpresissimi reparti russi entravano in mattinata nella cittadina di Kienitz, a soli 65 chilometri dalla Cancelleria del Reich, constatando che i ristoranti erano pieni di ufficiali tedeschi e i soldati camminavano tranquillamente per la strada. I treni per Berlino partivano in orario e le linee telefoniche funzionavano. Il capostazione avvicinandosi a un colonnello russo domandò se avrebbe autorizzato la partenza del treno per Berlino. Gli fu risposto che il servizio era da considerarsi interrotto per un breve periodo, vale a dire fino alla fine della guerra. Quello stesso giorno fu costituita una seconda testa di ponte poco a sud di Küstrin. I sovietici si aspettavano un furioso contrattacco, ma i tedeschi rimasero così scossi dalla notizia dell’accaduto, Goebbels stava tentando di far credere che si stesse combattendo nelle vicinanze di Varsavia, che impiegarono tempo per far affluire forze di terra sufficienti. Tra l’'Oder e Küstrin, furono mandati a rinforzare alcune compagnie della Volkssturm un gruppo di giovanissime SS della divisione “Feldherrnhalle”. Si trattava per lo più di ragazzi di 16 - 18 anni, erano circa 350, equipaggiati in qualche modo. Erano quanto mai orgogliosi del loro compito, eppure molti non riuscivano nemmeno a sollevare una cassetta di munizioni piena e non sapevano imbracciare bene il fucile, perché il calcio era troppo lungo per le loro braccia. Al loro primo attacco, i tiratori scelti sovietici li centrarono uno a uno. Il loro comandante cadde con una pallottola in testa. Soltanto un pugno di loro tornò indietro vivo. “Stalin ante portam”. La notizia che il fiume Oder era stato attraversato sconvolse Berlino. La retorica nazionalsocialista divenne fanatica, per non dire isterica. Il reggimento della Guardia della divisione “Grossdeutschland” fu fatto sfilare in parata. Venne costituita una nuova divisione delle SS chiamata “30. Januar”, in onore del dodicesimo anniversario della conquista del potere del nazismo. Questa divisione ricevette un nucleo di veterani delle SS, ma erano per lo più feriti in licenza di convalescenza. Vennero esortati a difendere la capitale al grido del motto delle SS : “Unsere Ehre heisst True, Kameraden”, il nostro onore si chiama fedeltà.

Goebbels decora un ragazzo della Hitlerjugend
Goebbels decora un ragazzo della Hitlerjugend

Episodi di fanatismo di questo genere comunque erano sempre più rari, come notarono allarmati i dirigenti delle SS. L'’organizzazione diventava sempre più sgradita alla popolazione e l’esercito “non rivolgeva più la parola alle SS”. Tre soldati dell’'Armata Rossa, a quanto sembra, avevano deciso di raggiungere le linee tedesche dopo che erano stati costretti ad attraversare a guado la corrente gelata dell’'Oder portando sulle spalle il loro comandante che non voleva bagnarsi. Avevano con sé copie della Pravda che, tradotte, rivelarono le conclusioni della conferenza di Jalta, descrivendo cosa gli alleati volessero fare della Germania. L’idea della disfatta terrorizzò i tedeschi. Il 9 febbraio 1945, il generale antisovietico rinnegato Andrej Vlasov lanciò le sue truppe contro una testa di ponte sovietica sull'’Oder. La propaganda lodò il coraggio ed il valore di questi uomini che furono decorati. Questi gesti in favore di coloro in precedenza definiti Untermenschen (sub-umani) la dice lunga sul grado di disperazione dei nazisti. Goebbels bevve addirittura una birra con i cosacchi definendoli un popolo di contadini guerrieri amante della libertà. Comunque, sia i cosacchi che altre minoranze etniche, volontarie nelle SS, non vollero avere nulla a che fare con Vlasov e le sue idee di vecchia supremazia russa. La reazione di Hitler all’irruzione di brigate corazzate sovietiche verso Berlino fu, in perfetto stile nazista, quella di emanare l’ordine di costituire una Panzerjagd Division, una divisione caccia carri, che, però, non riuscì a mostrarsi degna, nonostante il nome altisonante. Era composta da giovani della Hitlerjugend, organizzata in compagnie di ciclisti con due panzerfaust fissati sul manubrio. Si supponeva potessero scendere rapidamente dalla bicicletta e distruggere un carro T-34 o un carro pesante tipo Stalin. Nemmeno i giapponesi si aspettavano che i loro kamikaze scendessero in battaglia a bordo di biciclette. Himmler parlava del panzerfaust come di un’arma miracolosa, efficacissima a distanza ravvicinata contro un carro armato, ma qualsiasi soldato sano di mente avrebbe scelto, potendo, un cannone da 88 mm31 per attaccare i carri sovietici da una distanza di mezzo chilometro. Himmler diventava paonazzo di rabbia alle voci che il panzerfaust non riusciva a perforare la corazza dei carri russi. Storie del genere, sosteneva, erano “ein absoluter Schwindel”, una falsità assoluta. Visto che il nemico era così vicino, sembra che i dirigenti nazisti cominciarono a prendere in esame la possibilità del suicidio. Un alto dirigente di una casa farmaceutica disse ad una sua amica che “un fagiano dorato” (così erano chiamati dal popolo i dirigenti nazionalsocialisti) si era presentato nel suo laboratorio per reclamare una fornitura di veleno per la Cancelleria del Reich. Hitler e i suoi seguaci alla fine si ritrovarono più vicini alla violenza che avevano scatenato. La vendetta per le recenti esecuzioni di elementi coinvolti nella congiura del luglio 1944 arrivò in forma inaspettata due settimane dopo. La mattina del 3 febbraio in diverse incursioni aeree americane particolarmente violente che provocarono la morte di 3.000 persone, furono anche centrati obiettivi nazisti. Vennero gravemente danneggiate la Cancelleria del Reich e quella del partito, oltre al comando della Gestapo e il tribunale popolare. Roland Freisler, il presidente del tribunale che aveva inveito contro i congiurati di luglio, morì sotto le macerie, schiacciato dal crollo del suo rifugio.

Squadra di cacciatori di carri della Hitlerjugend con i panzerfaust
Squadra di cacciatori di carri della Hitlerjugend con i panzerfaust

Martin Bormann annotò nel suo diario: “Danneggiati dal bombardamento: la nuova Cancelleria del Reich, il vestibolo dell’'appartamento di Hitler, la sala da pranzo, il giardino d’inverno e la cancelleria del partito”. Sembra si sia preoccupato solo dei monumenti del nazismo; nemmeno una parola sulle vittime civili. L’'avvenimento più importante del 6 febbraio, secondo il diario di Bormann, fu il compleanno di Eva Braun. Hitler, “di umore raggiante”, la guardava ballare con gli altri. Il 7 febbraio il gauleiter Koch, in apparenza, perdonato dopo avere abbandonato Koenigsberg, ebbe un colloquio con Hitler. La sera stessa a cena, uno degli ospiti era Himmler che, per quanto comandante del gruppo armate della Vistola, nonostante la situazione disastrosa al fronte, si permetteva di rilassarsi lontano dal suo comando. Il 9 febbraio, per ragioni di sicurezza, Eva Braun e la sorella Gretl Fegelein (moglie dell’'ufficiale di collegamento SS con il comando di Hitler) lasciarono il bunker della cancelleria per Berchtesgaden.

Berlino

Berchtesgaden

Berchtesgaden è un comune situato nel Land della Baviera. Località montana turistica famosa anche perché Hitler vi fece costruire la villa del Berghof. Da qui un condotto scavato nella roccia porta alla Kehlsteinhaus, il vero bunker– rifugio e postazione militare necessaria a Hitler per fornirgli sicurezza per la sua inaccessibilità e per impressionare nel contempo i visitatori durante le visite diplomatiche. Conosciuta anche come “Nido dell'aquila” (da non confondersi con il comando nella foresta vicino Francoforte sul Meno), è uno chalet usato come estensione del complesso del Berghof, residenza di Adolf Hitler. Si trova nell'Obersalzbergdelle Alpi di Berchtesgaden vicino Berchtesgaden nella Germania meridionale in Baviera, a una ventina di chilometri da Salisburgo in Austria. Martin Bormann e i membri del NSDAP costruirono l'edificio per il cinquantesimo compleanno di Hitler nel 1939. Situato a un'altitudine di 1.834 metri, da cui si domina tutta la Baviera e il Salisburghese. Lo chalet si trova sulla cima del Kehlstein, montagna che domina il Berghof. Una strada lunga 6,5 km (ad un solo tornante) fu costruita per accedervi insieme a un lungo tunnel di 124 metri scavato nella roccia granitica con un ascensore in bronzo, smeraldo e oro che percorre gli ultimi 124 metri fino alla cima in 40 secondi. Inoltre il tratto finale è ricoperto in marmo rosso di Carrara offerto da Mussolini. I mobili per gli interni furono disegnati dall'ungherese Paul Laszlo. Poiché Hitler soffriva di vertigini e paura dell'altitudine fu utilizzato solo 12 volte: infatti Hitler preferiva il Berghof. Dopo l'occupazione alleata, fino agli anni '60 fu utilizzato come fortezza militare dagli alleati e poi riconsegnato al governo della Baviera. Ne era prevista la demolizione, come per il Berghof, ma l'ufficio del turismo di Berchtesgaden decise di trasformarlo in ristorante e tuttora è rimasto come negli anni '40. Dal 1952 la strada di accesso è percorribile solo dai bus del servizio ufficiale.

Berlino

L’organizzazione militare

Gruppo d’armate o fronte.
Un gruppo d’armate tedesco o un “fronte” dell'’Armata Rossa rappresentavano un numero consistente di armate riunite sotto un unico comandante. I suoi effettivi variavano a seconda delle circostanze, da 250.000 a oltre un milione di uomini.

Armata.
Ogni armata tedesca variava di solito dai 40.000 a oltre 100.000 uomini. Le armate sovietiche in genere avevano effettivi minori. Le armate erano formate da due o tre corpi d’armata. Un’armata corazzata sovietica era composta in teoria da 620 carri armati e da 188 semoventi d’assalto.

Corpo d’armata.
Composto da varie divisioni, di solito da due a quattro. Tuttavia un corpo corazzato sovietico era composto da tre brigate corazzate di 65 carri ciascuna ed equivaleva, circa, a una divisione corazzata (panzer) tedesca a effettivi completa.

Divisione.
Le divisioni variavano notevolmente nel numero degli effettivi. Una sovietica di fucilieri contava in teoria su 11.780 uomini, ma in pratica ne comprendeva da 3.000 a 7.000. Le divisioni tedesche nel 1945 erano spesso a effettivi ancora più ridotti.

Brigata.
Questa formazione, tra il reggimento e la divisione, era usata più dagli eserciti americano e britannico che da quelli tedesco e sovietico, che contavano in media su almeno due o tre reggimenti per divisione. L’'Armata Rossa, però, aveva tre brigate di carri in ogni corpo d’armata corazzato.

Reggimento (di fanteria).
Era composta da almeno due o tre battaglioni, ciascuno fino a 700 uomini, ma spesso con effettivi più ridotti.

Battaglione.
Era composto da almeno tre compagnie fucilieri, ciascuna con circa 80 uomini l’'una, oltre che da compagnie armi appoggio, per esempio di mitragliatrici, mortai o cannoni anticarro, e addette ai trasporti e ai rifornimenti.

Berlino

Jalta (4 – 11 febbraio 1945) e le operazioni di febbraio

Il 2 febbraio, prima della conferenza di Jalta, in Crimea, tra gli alleati, il primo ministro inglese Churchill incontrò a Malta il presidente americano Roosevelt, per quanto ignaro che fosse malato, rimase colpito dal suo aspetto. L’'incontro fu affettuoso e cordiale, ma non di meno, il ministro degli esteri inglese, Anthony Eden, era preoccupato per la piega che stavano prendendo i rapporti tra i due alleati. La tensione stava cominciando a crescere sul tema dell’invasione della Germania da ovest. L’'incontro di Jalta sarebbe servito a chiarire la situazione geopolitica dell’Europa centrale dopo la fine della guerra, ma erano divisi anche su questo. Stalin invece sapeva benissimo quello che voleva. Churchill era preoccupato al massimo dell’'indipendenza della Polonia. Roosevelt aveva in mente solo la costituzione delle Nazioni Unite. Il giorno seguente si recarono in aereo in Crimea, Stalin che aveva una paura tremenda di volare, giunse la mattina seguente, il 4 febbraio, in treno. I capi di stato maggiore americani furono alloggiati nell’ex palazzo imperiale, gli omologhi inglesi in un ex castello di un principe. Il presidente Roosevelt per evitargli spostamenti era alloggiato nel palazzo Livadia, sede dei colloqui. Nessuno sospettò che le stanze fossero state riempite di microspie. Persino nei giardini l'’NKVD aveva piazzato microfoni unidirezionali. Stalin visitando Churchill volle dare l’impressione che l'’Armata Rossa sarebbe entrata a Berlino in pochi giorni. Rendendo invece omaggio a Roosevelt, diede l’impressione opposta: sottolineando le difficoltà nell'’attraversamento dell'’Oder e la resistenza dei tedeschi. Roosevelt era sicuro di sapere come trattare con Stalin, e quest’ultimo ne approfittava. Il leader americano credeva che fosse soltanto questione di meritarsi la fiducia del dittatore, cosa che Churchill non avrebbe mai potuto fare. E giunse al punto di ammettere il suo disaccordo con gli inglesi sulla strategia di invasione della Germania. Stalin vedeva bene tutti i vantaggi della franchezza americana, pur concedendo poco in cambio. Un altro motivo nel non opporsi a Stalin era che gli americani non erano sicuri che la bomba atomica avrebbe funzionato, per cui erano interessati a coinvolgere l'’URSS nella guerra contro il Giappone. Sembravano non vedere i vantaggi per i russi di dividersi le spoglie in oriente, dopo che la battaglia era praticamente finita. Stalin si comportò da perfetto padrone di casa, all’inizio dei lavori, cedette generosamente la conduzione della conferenza a Roosevelt. Sfoggiava la medaglia di Eroe dell'’Unione Sovietica sull'’uniforme da maresciallo. I calzoni con bande erano infilati in morbidi stivaloni di cuoi, cui erano stati aggiunti dei rialzi, perché il maresciallo era conscio della sua piccola statura. Evitava inoltre, quando poteva, di mettersi sotto la luce diretta del sole perché metteva in evidenza la pelle del viso butterata. Tutti i ritratti ufficiali erano stati pesantemente ritoccati per eliminare queste imperfezioni. I russi fecero una lunga relazione sulla situazione militare, anche se tutti si resero conto, era avarissima di particolari. A differenza degli americani, gli inglesi capirono immediatamente che il flusso di informazioni era a senso unico. L’'atmosfera rischiò di guastarsi quando Stalin distorse di proposito alcune affermazioni di Churchill, e Roosevelt dovette intervenire. La sera a cena si sfiorò un secondo incidente in seguito alle osservazioni sovietiche che dimostravano il disprezzo totale verso le piccole nazioni. Roosevelt, per rasserenare gli animi, raccontò a Stalin che in occidente era noto come “zio Joe”. Stalin, che non ne era mai stato informato dai suoi diplomatici, si sentì insultato da quello che considerava un nomignolo irriverente e volgare. Stavolta fu Churchill a dovere intervenire per salvare la situazione, proponendo un brindisi al quale Stalin non poteva non rispondere. Ma, non di meno, colse questa occasione per ribadire che sarebbero stati i Tre Grandi a stabilire gli assetti mondiali e che le nazioni minori non avrebbero avuto nessun diritto di veto. Né Roosevelt né Churchill compresero quello che c’era sotto. Il nocciolo della conferenza venne presto fuori, Stalin fece capire in modo chiaro che voleva lo smembramento della Germania. Roosevelt fece rabbrividire Churchill, quando dichiarò che le forze armate statunitensi non si sarebbero fermate più di due anni dalla fine della guerra. Questo avrebbe lasciato alla mercé dell’'Unione Sovietica un'’Europa devastata e troppo debole per resistere ai disordini provocati dai comunisti. Stalin chiarì anche che voleva lo smantellamento di tutta l’'industria tedesca come risarcimento all'’aggressione subita. Contabili sovietici impacciati nelle loro divise militari erano già al seguito delle truppe russe. Presso ogni armata sovietica era aggregata una squadra dell’NKVD specializzata nell’apertura delle casseforti. Stalin era deciso ad appropriarsi di ogni ricchezza su cui avrebbe potuto mettere le mani. Il punto su cui russi e inglesi dissentirono decisamente fu il futuro assetto della Polonia. Churchill dichiarò che una Polonia indipendente, la vera ragione per cui la Gran Bretagna era scesa in guerra, era un punto d’onore.

I Tre Grandi a Jalta
I Tre Grandi a Jalta

Stalin, rispondendo, fece riferimento indiretto alle clausole segrete tra nazisti e sovietici del 1939, che avevano permesso all'’URSS di invadere i territori orientali polacchi e gli Stati Baltici mentre i nazisti ne occupavano l’'altra metà. “È una questione d’onore”, sottolineò Stalin, “perché i russi hanno commesso molti peccati contro i polacchi in passato e il governo sovietico intende fare ammenda”. Dopo questo sfacciato esordio, tenendo conto della già spietata repressione dei polacchi non comunisti da parte dell'’NKVD, Stalin entrò nel cuore della questione. Dichiarò che nel corso della storia il territorio polacco aveva rappresentato il terreno di partenza per ogni invasione contro la Russia e per tale motivo erano interessati alla costituzione di una Polonia forte, indipendente e libera. Terminò dicendo che per l’'Unione Sovietica la questione polacca era di vita o di morte. Tra le due ultime frasi era evidente la contraddizione. Pur non dichiarandolo apertamente, l’'URSS non avrebbe accettato niente di meno di una Polonia asservita come stato cuscinetto. Churchill e Roosevelt quasi certamente non riuscivano a rendersi conto in pieno dello shock dell’'invasione tedesca del 1941. Probabilmente l'’origine della Guerra Fredda risale a quella traumatica esperienza. Il governo provvisorio di Varsavia, proseguì Stalin (americani e inglesi lo chiamavano governo di Lublino), una compagine di comunisti polacchi controllati dall’'NKVD, era molto popolare. Quello provvisorio di Londra in esilio non aveva più appoggio democratico di quello di De Gaulle in Francia. Non si sa se Churchill riuscì a decifrare bene il messaggio non dichiarato: voi non dovete provocarmi in Polonia perché io ho tenuto a freno il partito comunista francese. E per insistere sul concetto di sfere d’influenza, con finta ingenuità chiese come andassero le cose in Grecia. Il leader sovietico si era impegnato a non sostenere il partito comunista greco e a rispettare il controllo locale britannico sulla base dell'’accordo di “percentuale” dell’'ottobre precedente che aveva diviso i Balcani in zone d’influenza. A Jalta sembra che Stalin abbia lasciato capire che sia la Francia che la Polonia dovessero essere considerate un’estensione di questo accordo. Secondo molti, Churchill non comprese a fondo parecchie cose di quell’incontro. Stalin non mollò l’osso, parlando di polacchi reazionari che avevano ucciso 212 soldati russi. Roosevelt troppo stanco e malato, non intervenne molto, chiedendo solo libere elezioni in Polonia. Il suo principale assistente calcolò che il presidente americano aveva compreso si e no la metà delle cose di cui si era parlato. Chi aveva le idee veramente chiare su quello che voleva ottenere era solo Stalin. Convinto di aver vinto, appena comprese che non vi sarebbero stati più ostacoli seri al controllo della Polonia, fece cadere tutti gli ostacoli al sistema di votazione proposto dagli americani alle Nazioni Unite e anche la questione dell'’intervento contro il Giappone si risolse.

Churchill espresse il timore che cambiamenti così drammatici dei confini della Polonia a spese della Germania avrebbero comportato una colossale migrazione di popolazioni; Stalin ribadì che non sarebbe stato un problema, e parlò con tono trionfale della gigantesca ondata di profughi tedeschi in fuga davanti all'’Armata Rossa. Due giorni dopo la conclusione della conferenza, la potenza sovietica venne confermata dalla caduta di Budapest dopo una tremenda battaglia, seguita da un’'orgia di uccisioni, stupri e saccheggi. Nonostante ciò, Hitler ancora insisteva per un contrattacco di un’armata SS, ma era ormai la mossa della disperazione. Quella notte gli inglesi bombardarono Dresda. La mattina dopo arrivò anche l’'aviazione americana che attaccò bersagli minori. Era la promessa al comando supremo russo (STAVKA) di ostacolare gli spostamenti di truppe tedesche distruggendo i principali nodi ferroviari. Dresda, la meravigliosa capitale della Sassonia, fino a quel momento era stata risparmiata, gli abitanti, scherzando, dicevano che era perché Churchill aveva una zia in città. Ma le incursioni del 13 e 14 febbraio furono spietate. La popolazione era anche incrementata di 300.000 unità per l’'afflusso di profughi. La tragedia fu che invece di truppe che attraversavano Dresda per il fronte, come aveva sostenuto il servizio informazioni militare sovietico, si trattava di treni carichi di civili che viaggiavano in senso opposto. Si trattò di un bombardamento a tappeto che causò la distruzione completa di tutto il centro storico. Le vittime furono tra le 22.000 e le 25.000. Goebbels tremava di rabbia quando apprese la notizia. Voleva far fucilare altrettanti prigionieri di guerra quante erano state le vittime tedesche. L'’idea piaceva molto a Hitler. Una misura così estrema avrebbe reso carta straccia la Convenzione di Ginevra e costretto le truppe a battersi fino all’ultimo. Ma il generale Jodl, appoggiato dal ministro degli Esteri Ribbentrop e altri, lo convinsero che una spirale di terrore di quel genere sarebbe stata controproducente solo per la Germania.

Fronte Occidentale marzo 1945
Fronte Occidentale marzo 1945

Sul fronte occidentale, americani e inglesi non avanzavano con la rapidità dell’Armata Rossa. Eisenhower non aveva molta fretta, pensava che viste le piene invernali dei fiumi, non si sarebbe potuto attraversare il Reno prima di maggio. Solo il miracolo del ponte di Remagen, trovato intatto e subito sfruttato, permise un’'accelerazione del programma. Eisenhower era irritato delle continue critiche inglesi alla sua metodica strategia. Questi per ragioni politiche chiedevano uno sfondamento in forze e una rapida avanzata verso Berlino. Queste insistenze non erano state facilitate dall’'insopportabile atteggiamento del maresciallo britannico Montgomery. Eisenhower continuava a ripetere che come comandante supremo non era compito suo pensare al mondo del dopoguerra. Il suo obbiettivo era concludere la guerra con il minor numero di perdite possibili. Inoltre i politici americani non volevano in alcun modo provocare Stalin, la politica di condiscendenza verso i sovietici veniva dall’alto ed era accettata. Roosevelt aveva detto: “La cosa più importante era persuadere i russi a fidarsi di noi”. Il che non avrebbe potuto giovare di più a Stalin. La pretesa di Roosevelt che era convinto di sapere come trattare con Stalin, rientrava in quella che, secondo il consigliere politico di Eisenhower, Robert Murphy, era la teoria degli americani che l’'amicizia individuale può determinare la linea politica nazionale. “I politici e diplomatici sovietici non operano mai in base a quella teoria”, aggiunse. Il desiderio americano di vedere Stalin fidarsi di loro li rendeva ciechi in merito al problema di quanto loro potessero fidarsi di lui.
E questo era un uomo la cui mancanza di rispetto verso il diritto internazionale lo aveva indotto a suggerire con grande pacatezza che essi avrebbero dovuto invadere la Germania attraverso la neutrale Svizzera, “aggirando in tal modo la linea Sigfrido36”. Il risentimento dei sovietici si basava sul fatto che Stati Uniti e Gran Bretagna avevano sofferto molto poco, a confronto dell’'URSS. Inoltre la Germania nazista trattava i prigionieri alleati in modo molto diverso da quelli dell'’Armata Rossa. “I prigionieri americani, inglesi e francesi avevano un aspetto sano”, riferiva un rapporto sovietico su un campo di prigionia liberato, “mentre quelli sovietici erano emaciati, avvolti in coperte”. I prigionieri occidentali non dovevano lavorare, potevano giocare al calcio e ricevevano pacchi viveri dalla Croce Rossa. Quelli sovietici, nell’altra parte del campo, venivano uccisi (calcolarono circa 17.000 morti) o morivano di fame o di malattie. La dieta consisteva in 300 grammi di surrogato di pane e un litro di minestra di rape marce al giorno. I prigionieri sani venivano mandati a scavare trincee, quelli deboli venivano uccisi o seppelliti vivi. Erano sorvegliati da traditori dell'’Armata Rossa (specialmente ucraini e uzbeki), reclutati con la promessa di razioni migliori, che quasi sempre trattavano i prigionieri con molta più crudeltà dei tedeschi. Spesso veniva ordinato loro di spogliarsi e gli venivano aizzati contro i cani. Molti prigionieri si vendettero ai tedeschi perché, dichiararono una volta catturati, venivano privati di ogni status da parte del governo sovietico solo per il fatto di essersi fatti catturare. Le punizioni inflitte ai prigionieri comprendevano piegamenti sulle ginocchia anche per sette ore, il che lasciava la vittima completamente azzoppata. In un campo gli ufficiali feriti venivano messi in inverno sotto le docce fredde e lasciati morire assiderati. I soldati semplici venivano sottoposti alla tortura del cavalletto, tortura del XVIII secolo, che consisteva nel legare il prigioniero a cavalcioni di un enorme traliccio. Altri venivano fatti correre per fungere da bersagli mobili per l’'addestramento al tiro delle SS di guardia. Un'’altra punizione era chiamata l’'Achtung! Un prigioniero veniva fatto spogliare e lasciato in ginocchio all'’aperto. Ai due lati stavano due guardie che trattenevano i due cani d'’attacco. Non appena il prigioniero smetteva di gridare “Achtung, Achtung, Achtung!”, i cani gli venivano lanciati addosso. Probabilmente furono queste questo tipo di punizioni ad ispirare un comportamento simile nei sovietici. Un pilota inglese evaso e raccolto da un reparto sovietico, vide una giovane SS costretto a suonare il piano da quelli che lo avevano catturato. Gli fecero capire che appena avesse smesso lo avrebbero ucciso. Il ragazzo riuscì a suonare per ventidue ore prima di crollare singhiozzando sulla tastiera. I soldati lo complimentarono con pacche sulle spalle, poi lo trascinarono fuori e lo fucilarono.

Dopo la fine della conferenza, il fronte sull’'Oder aveva bisogno di essere consolidato, i soldati dovevano riposare e le linee di rifornimento si erano allungate troppo a causa della rapida avanzata, senza parlare del fianco destro scoperto a rischio di contrattacco da nord. In Prussia Orientale nel frattempo le forze tedesche erano state circondate, ma non ancora sconfitte. Danzica ed il porto di Gydnia non erano ancora cadute. Le forze che le difendevano costituiva il fianco sinistro del gruppo di armate della Vistola di Himmler. Al centro era in via di costituzione una nuova 11a armata corazzata SS. Il fianco destro di Himmler era composto dai resti della 9a armata del generale Theodor Busse proveniente dalla Polonia e molto mal ridotta. Himmler che non si allontanava mai dal suo treno, si rendeva conto che le responsabilità di un comando erano ben superiori a quanto avesse immaginato. La sua insicurezza lo rendeva incapace di fare a Hitler una presentazione decisa della situazione operativa, non parliamo poi di imporsi. In genere tornava dai rapporti sulla situazione in preda ad attacchi di panico. Il suo atteggiamento servile nei confronti di Hitler e la paura di ammettere le condizioni disastrose in cui versavano le sue forze causò molti danni e fece versare sangue inutilmente. Il generale Guderian deciso a mantenere un corridoio aperto fino ai confini della Prussia Orientale sostenne in un rapporto sulla situazione che occorreva una complessa operazione. Quel giorno fu più franco del solito, anche perché aveva bevuto un po’ durante una colazione anticipata con l'’ambasciatore giapponese. Per ammassare truppe sufficienti occorreva evacuare via mare le divisioni bloccate in Curlandia e rinviare l’'offensiva in Ungheria. Hitler rifiutò ancora una volta. “Lei deve credermi”, insistette Guderian, “quando io dico che non è soltanto cocciutaggine da parte mia che continuo a proporre l’evacuazione della Curlandia. Non vedo che ci sia rimasto altro modo di accumulare riserve e senza riserve non possiamo sperare di difendere la capitale. Le assicuro che mi sto comportando così soltanto nell’interesse della Germania”. Hitler cominciò a tremare di rabbia e balzò in piedi. “Come osa parlarmi in questo modo?” Urlò. “Non crede che anch’io stia lottando per la Germania? Tutta la mia vita è stata una sola lunga lotta per la Germania!” I presenti temettero per il capo di stato maggiore. Göering per far tornare la calma portò Guderian fuori per un caffè. Guderian temeva anche che per mantenere il collegamento tra la Prussia Orientale e la Pomerania la 2a armata restasse tagliata fuori, quindi fece pressioni per un attacco verso sud contro il fianco destro delle forze sovietiche.

In pressione sulle armate della Vistola
In pressione sulle armate della Vistola

Il 13 febbraio, alla Cancelleria del Reich fu indetto un rapporto finale sull’'operazione. Era presente anche Himmler, quale comandante del gruppo d’armate della Vistola, come pure l’Obergruppenführer Sepp Dietrich. Guderian fece intervenire anche il suo vice, il generale Wenck, un elemento eccellente. Guderian dichiarò che l’operazione doveva iniziare entro due giorni. Himmler obbiettò, asserendo che le riserve non erano ancora arrivate tutte le riserve di carburante e munizioni. Hitler gli diede ragione e ben presto il Führer e il suo capo di stato maggiore furono di nuovo ai ferri corti. Guderian insisteva anche che il comando dell’'operazione fosse affidata al suo vice. “Il Reichsführer è in grado di portare a termine l’'attacco da solo”, ribattè Hitler. “Il Reichsführer delle SS non ha né l’esperienza necessaria né uno stato maggiore abbastanza competente per dirigere da solo l’'attacco. La presenza del generale Wenck è di conseguenza essenziale”. “Io non le permetto”, urlò Hitler, “di dirmi che Reichsführer delle SS è incapace di svolgere i propri compiti”. La lite durò a lungo. Hitler furibondo schiumava addirittura di rabbia e urlava. Guderian sostenne di aver alzato lo sguardo verso il ritratto di Bismarck e di essersi chiesto cosa avrebbe pensato il Cancelliere di Ferro di quel che stava accadendo alla nazione che aveva contribuito a creare. Con sorpresa di Guderian, Hitler smise ad un tratto di camminare su e giù e disse ad Himmler che il generale Wenck sarebbe arrivato quella sera stessa al suo comando e avrebbe diretto l’'offensiva. Poi tornò a sedersi e sorrise a Guderian. “Adesso, per favore, continui il suo rapporto. Lo stato maggiore generale oggi ha vinto la sua battaglia”. L'’offensiva non raggiunse l'’obbiettivo sperato, cioè di respingere i sovietici, i tedeschi non potevano permettersi grandi perdite, quindi rinunciarono al primo contrattacco, ma consentì di prendere un po’ di respiro e convinse i sovietici che una rapida puntata contro Berlino era impossibile fino a quando non fosse stata occupata la costa della Pomerania. I tentativi di Hitler di definire “fortezze” alcune cittadine e di rifiutarsi di consentire la ritirata di truppe accerchiate facevano parte di una politica suicida di sacrificio imposto e inutili sofferenze. Hitler sapeva che erano condannate perché la Luftwaffe non era in grado di rifornirle eppure questo suo atteggiamento privava il gruppo d’armate della Vistola di preziosissime truppe. Koenigsberg e Breslavia resistevano ancora, ma altre furono travolte. Poznan non si arrendeva nonostante i difensori fossero stati informati che si trovavano ormai isolati a più di 200 chilometri dalle loro linee. I soldati tedeschi furono uccisi casa per casa. Quando si vedeva che la resistenza in un edificio continuava, si portavano avanti gli obici da 203 mm che ad alzo zero demolivano le mura. I soldati tedeschi che si volevano arrendere furono abbattuti dai loro ufficiali. Ma la fine era imminente. La notte del 23 febbraio, il comandante, generale Ernst Gonell, distese sul pavimento della sua stanza la bandiera ci si sdraiò sopra e si tolse la vita. I resti della guarnigione capitolarono. Breslavia alla fine cadde addirittura dopo Berlino, il 6 maggio, ma il costo pagato, soprattutto dalla popolazione, fu terrificante. Grazie al fanatismo del gauleiter Hanke, il ritardato ordine di evacuazione della popolazione provocò un esodo disorganizzato che costò la vita per il freddo a 18.000 persone. Si stima che alla fine dell’assedio, durato tre mesi, giacessero morti nelle case e nelle fabbriche 40.000 civili. Breslavia (oggi Wroclaw), città da sempre tedesca, fu assegnata alla Polonia, la popolazione tedesca ne fu espulsa. Nei territori liberati dai tedeschi, intanto, i reparti dell'’NKVD iniziavano a fare “pulizia”. I distaccamenti della SMERSH e le divisioni dell'’NKVD aggregati al fronte, per dirla con lo stesso Stalin, “indispensabili per trattare con tutti gli elementi inaffidabili incontrati nei territori occupati. Le divisioni non hanno artiglieria, ma sono forti in armi automatiche , mezzi corazzati e autoblindo leggere. Devono inoltre avere una buona organizzazione per quanto riguarda le indagini e gli interrogatori”. In Prussia Orientale e Slesia erano iniziati i rastrellamenti di soldati sbandati superati dall’'avanzata sovietica. Gli elementi della Volkssturm erano considerati facenti parte della Wehrmacht (invece era una milizia), siccome erano stati richiamati quasi tutti i maschi tra i 15 e i 55 anni, comprendeva molti elementi locali che invece di seguire le colonne di profughi se ne erano rimasti a casa loro. Costoro vennero marchiati come sabotatori clandestini, anche se erano anziani. L’'occupazione dei territori tedeschi significava anche mettere in atto i piani di Stalin per costringere i tedeschi a lavorare per l'’URSS. Già in aprile furono trasferite più di 100.000 persone soprattutto in Ucraina e in buona proporzione donne, dato che gli elementi della Volkssturm finivano nei campi di prigionia. La sorte peggiore toccò alle donne. Molte furono obbligate a lasciare i figli presso parenti, altre li dovettero abbandonare del tutto. La loro vita futura non era soltanto di essere adibite ai lavori forzati, ma anche essere occasionalmente violentate dalle guardie, con annesse possibili infezioni veneree. I reparti dell’'NKVD che avevano anche compiti di gendarmeria non fecero nulla per frenare l’ondata di stupri sulle donne tedesche, nemmeno quando seguì un preoccupante aumento del numero dei suicidi di molte di queste donne che prima di loro stesse sacrificavano i loro figli.

Dresda bombardata
Dresda bombardata

Il fatto più grave, però, è che ufficiali e soldati dell’Armata Rossa adesso violentavano anche donne e ragazze ucraine, russe e bielorusse liberate dai campi di lavoro nei territori tedeschi. Molte di loro avevano solo 16 anni essendo state deportate all'’età di 14. Gli stupri diffusi di donne deportate minano a fondo qualsiasi tentativo di giustificare tale comportamento solo come una vendetta della brutalità tedesca in URSS. Una di queste donne, Maria Šapoval, dichiarò: “Ho atteso per giorni e notti l’'arrivo dell’'Armata Rossa. Ho atteso la mia liberazione e ora i nostri soldati ci trattano peggio di quanto facessero i tedeschi. Non sono contenta di essere viva”. Un'’altra, Klaudia Malašcenko, “ma ora qui non c’'è felicità. Questa non è una liberazione. Ci trattano in modo terribile. Ci fanno cose terribili”. L'’opinione che le ragazze russe deportate in Germania si vendessero ai tedeschi era molto diffusa, come il concetto generale, creato dal regime, che chiunque fosse stato catturato o si fosse fatto deportare invece di togliersi la vita o “andare con i partigiani” in un certo qual modo avesse acconsentito silenziosamente. Tutto ciò potrebbe avere contribuito ai maltrattamenti che queste donne subirono. Almeno 50.000 cittadini sovietici furono liberati solo dal I fronte ucraino, ma era solo una piccola parte del totale. Presto le autorità si resero conto che dovevano prepararsi ad accogliere e rieducare in totale 4 milioni di ex militari dell'’Armata Rossa e di deportati civili. Comunque la prima preoccupazione non fu l’'assistenza medica di questi sfortunati, ma la ricerca dei traditori. La seconda la rieducazione politica poiché erano stati esposti alla contaminazione straniera. Furono organizzati campi di raccolta nelle retrovie. Le squadre di rieducazione avevano ciascuna un'’unità cinematografica mobile, una radio con altoparlante, due fisarmoniche, una biblioteca di 20.000 libretti del partito comunista, 40 metri di tela rossa per decorare locali e una serie di ritratti di Stalin. Il bisogno di truppe al fronte era talmente alto che dopo una rapida rieducazione e riaddestramento molti di questi ex prigionieri furono rimandati al fronte. Questo, però, non fu ritenuto sufficiente alla loro “riabilitazione” e dopo la guerra non riuscirono a evitare di essere inviati nei campi di concentramento. L’'espressione “traditore della patria” non comprendeva solo i soldati passati ai tedeschi, ma anche coloro che nel 1941 erano stati catturati, anche se feriti. Solženitsyn sostiene che nel loro caso l’'espressione “traditore della patria” e non “traditore verso la patria” costituiva un significativo lapsus freudiano . “Essi non erano traditori verso di essa. Essi erano i suoi traditori. Non erano loro, gli sfortunati, che avevano tradito la madrepatria, ma la madrepatria calcolatrice che aveva tradito loro”. Lo Stato sovietico li aveva traditi nel 1942 con l'’incompetenza e la mancanza di preparazione. Poi si era rifiutato di riconoscere la loro paurosa sorte in prigionia. E il tradimento finale fu di averli indotti a credere di essere redenti con il loro valore nelle ultime settimane di guerra, soltanto per essere di nuovo arrestati alla fine dei combattimenti. Solženitsyn riteneva che “tradire i propri soldati e proclamarli traditori” fosse stato il gesto più perfido della storia della Russia.

Nel concetto generale dell’'NKWD non c’era molta differenza tra i sovietici catturati e quelli che avevano poi anche indossato una divisa tedesca. Si calcola che tra un milione ed un milione e mezzo di cittadini dell'’Unione Sovietica, detti Hiwis, abbreviativo per Hillsfreiwillige, volontari ausiliari, collaborò o combatté per i tedeschi per varie ragioni. Moltissimi appartenevano alle minoranze etniche ed erano nazionalisti antisovietici, altri non avevano dimenticato le esecuzioni sommarie dei loro amici da parte di ufficiali dell’Armata Rossa, altri contadini che odiavano la collettivizzazione della terra, ma la stragrande maggioranza era stata costretta brutalmente o sottomessa con la fame. Avrebbero sofferto molto di più di quanto potessero immaginare. Spessissimo venivano fucilati sul posto oppure mandati nei gulag per moltissimi anni, il che equivaleva quasi ad una condanna a morte lenta. Quelli che sopravvissero a 15 - 20 anni di campo di prigionia dopo la guerra, rimasero segnati. Non si videro restituire i diritti civili fino a dopo il cinquantesimo anniversario della vittoria nel 1995. In Polonia, la definizione di Stalin di “elementi inaffidabili” non riguardava la scarna minoranza di polacchi che avevano collaborato con i tedeschi, ma tutti coloro che appoggiavano il governo polacco in esilio a Londra e L’Armia Krajowa che aveva scatenato l’anno prima la rivolta di Varsavia. Stalin considerava quella rivolta contro i tedeschi “un gesto criminoso di atteggiamento antisovietico”. Ai suoi occhi era un tentativo di occupare la capitale polacca a beneficio del “governo emigrato di Londra”, subito prima dell'’Armata Rossa che aveva fatto tutte le battaglie e sacrificato tanti uomini. Non era il caso di tenere conto del vergognoso tradimento della Polonia abbandonata ai nazisti nel 1939, né del massacro da parte di Berija degli ufficiali polacchi a Katyn. Stalin non considerava nemmeno che, in proporzione, i polacchi avevano sofferto anche più dell'’Unione Sovietica, con la perdita di oltre il 20% della popolazione. Reputava sua la Polonia per diritto di conquista ed i sovietici la consideravano come parte del territorio dell’'Unione Sovietica. L’'odio di Stalin verso la Polonia era iniziato nel 1920 durante la guerra russo-polacca, quando gli avevano attribuito in parte la colpa della disastrosa sconfitta dell'’Armata Rossa nell’attacco contro Varsavia. Tutto ciò che era polacco per lui era sospetto. Il maresciallo Rokossovskij, comandante delle armate vincitrici a Stalingrado, era un ufficiale di cavalleria, alto, elegante e di bell’'aspetto. Diverso dal solito cliché dei generali sovietici, massicci, senza collo e col cranio rasato, ma era per metà polacco, nipote e pronipote di ufficiali di cavalleria polacchi e questo lo rendeva agli occhi di Stalin pericoloso. Infatti, da responsabile delle armate sovietiche lungo la principale direttrice d’avanzata verso Berlino, fu spostato su un fronte secondario e sostituito dal maresciallo Žukov. Già arrestato e torturato dagli scagnozzi di Berija nel 1937, fu liberato tre anni dopo, ma Stalin non gli aveva lasciato dubbi che le accuse di allora ancora pendevano sul suo capo. A Polonia occupata, Berija non aveva dimenticato che Rokossovskij gli era sfuggito e ordinò alla SMERSH di fare indagini sui suoi parenti.

di Giuseppe Bufardeci


Pubblicato il 14/01/2021