Battaglie In Sintesi
21 febbraio 1339
Figlio di Pietro e Antiochia Crivelli nacque nella famiglia capitaneale dei Visconti, molto forte ed attiva nelle armi, che fu alla guida di Milano fino ad ottenere con Gian Galeazzo il titolo di Duca di Milano. Lodrisio alternò con il consorzio parentale, primo fra tutti il cugino Matteo Visconti, tradimento e fedeltà. Aiutò Galeazzo I, figlio di Matteo, a recuperare Milano, ma presto se ne allontanò tramando contro di lui. Quando nel 1328 morì Galeazzo I, il figlio, unico erede, Azzone, comprò dall'Imperatore di Germania Lodovico il Bavaro il titolo di Vicario di Milano, scavalcando il Papa, che pretendeva di essere il reale detentore del potere di nomina. Lodrisio organizzò una serie di congiure contro il nipote, ma alla scoperta di esse, Azzone ne fece incarcerare i capi. Lodrisio sfuggito dalla rete, fu costretto a rifugiarsi a Verona presso Mastino II della Scala, col quale strinse una serie di alleanze nel tentativo di eliminare il Signore di Milano.
In questa occasione formò la Compagnia di San Giorgio, di cui fu nominato capitano, forte di oltre 6.500 armati fra cavalieri, fanti e balestrieri. Parteciparono a questa compagnia di ventura avventurieri mercenari di grande prestigio e levatura militare quali Corrado di Landau e Guarnieri d'Urslingen, rispettivamente noti come il Conte Lando e il Duca Guarnieri. Di quest'ultimo il motto era Nimico di Dio, di pietà et di misericordia, motto a cui fece grande onore tanto lunga fu la scia di sangue e di efferatezze che lasciò dietro di se, al servizio di chi meglio lo pagava. Lodrisio si distinse dai suoi compagni d'arme per essere mosso prevalentemente da uno spirito di rivalsa contro la propria consorteria parentale e da motivi politici quale il tentativo di conquistare la Signoria di Milano, mentre gli altri erano spinti dalla brama di razziare ricchezze incuranti, come tutti, dei mezzi usati.
Questa avventura militare non fu favorevole a Lodrisio, che, dopo un primo successo che gli aveva fatto sperare la conquista di Milano, subì i colpi della compagnia di ventura di Ettore da Panigo. Il 21 febbraio 1339 Lodrisio guidò le sue truppe contro i familiari che governavano la città, in quella che è chiamata la battaglia di Parabiago; secondo la leggenda i suoi compagni vennero spaventati da un'apparizione di Sant'Ambrogio a cavallo e lui stesso finì prigioniero: rimase recluso per 10 anni nel Castello di San Colombano. Venne liberato dall'altro fratello l'Arcivescovo Giovanni Visconti, nuovo Signore di Milano. Dopo la morte dell'Arcivescovo Giovanni, Lodrisio aiutò Galeazzo II Visconti figlio di Stefano Visconti, 1356, contro la lega antiviscontea voluta dal cardinale Albornoz che aveva arruolato la Grande Compagnia comandata da Konrad di Landau, il Conte Lando. Lodrisio sconfisse la Grande Compagnia conseguendo una grande vittoria, anche se successivamente perse il castello di Novara. Lodrisio rimase alla corte di Galeazzo fino alla morte, nel 1364.
Quartogenito di Matteo I e di Bonacossa Borri. Fu signore di Milano con il fratello Giovanni, che lasciò fino alla sua morte a lui la gestione della signoria. Durante il governo di Visconti furono aggiunte ai domini numerose città e la potenza della sua casa fu da lui accresciuta con la costituzione di un fortissimo patrimonio privato nelle varie parti del dominio, con acquisti e confische.
Appare accanto al padre al suo ritorno nel 1310 a Milano; poi, fino alla sua ascesa al potere nel 1339, è ricordato solo come condottiero: partecipò alla battaglia di Montecatini (1315) restando ferito e fu spesso a fianco del fratello Marco nelle lotte in Piemonte; fu al comando delle milizie viscontee nella battaglia di Parabiago (1339) contro la Compagnia di S. Giorgio. Alla morte del nipote Azzone (ag. 1339), che non lasciava figli, fu proclamato dal Consiglio generale dei 900 signore insieme al fratello Giovanni, che gli lasciò l'effettivo governo. L'opera di Luchino nell'ampliare il dominio visconteo con nuovi acquisti di città pose le premesse per l'ambiziosa politica successiva di Giovanni. Alle dieci città che già teneva Azzone furono aggiunte: Bellinzona e Locarno (1340-41), Asti (1341), Tortona, Alessandria, Alba, Cherasco (1347), tolte agli Angioini e ai Savoia; nel 1346 gli fu ceduta Parma dagli Estensi. Luchino migliorò assai le condizioni interne del dominio: assicurò le strade dai masnadieri e dalle esazioni feudali che furono abolite; permise il ritorno degli esuli (salvo i Torriani); ottenne finalmente, nel 1341, l'assoluzione del papa, per la sua famiglia e per Milano, dalla scomunica e dall'interdetto del 1321. Morì nel gennaio 1349, si disse per veleno datogli dalla terza moglie, Isabella Fieschi. Gli sopravvisse un figlio di questa, Luchino Novello.
Si è calcolato che tra il 1320 e il 1360 furono attivi in Italia circa settecento capi di cavalieri tedeschi, aventi complessivamente ai loro ordini almeno diecimila armati. Un altro gruppo di tedeschi costituì il nerbo della compagnia che essi stessi denominarono, dall'abbazia della Colomba dove nel 1334 avevano fissato la loro base operativa (nei dintorni di Piacenza), i Cavalieri della Colomba. Anche in questo caso l'intenzione originaria della compagnia era quella di condurre una campagna di saccheggi entro un'area ristretta. Poi le possibilità della compagnia si allargarono quando Perugia, impegnata in una guerra locale contro Arezzo, si offrì di assumerla al proprio servizio. I Cavalieri acconsentirono all'offerta, attraversarono la Toscana, ricacciarono l'esercito aretino, cogliendo nel frattempo l'occasione per saccheggiare due piccole città della zona. Bastarono questi loro successi militari per bene impressionare gli arruolatori fiorentini di truppe mercenarie: essi assoldarono 350 uomini della Compagnia al servizio di Firenze e bastò questo fatto a far perdere alla Compagnia unità e forza. Le compagnie di cui si è fatto cenno fino a questo punto non si possono seriamente qualificare come entità militari di gran peso. Invece quella che ebbe a formarsi nel 1339 con i veterani smobilitati della guerra contro i Della Scala risultò qualcosa di molto più serio. Il riferimento è alla Compagnia di San Giorgio (la prima così denominata nel Trecento), che fu formata da un altro Visconti, esiliato da Milano, Lodrisio. Egli riuscì a raccogliere attorno a sé 2.500 cavalieri e 1.000 fanti (molti dei quali erano svizzeri) e li condusse attraverso la Lombardia fino alle porte di Milano. Al suo fianco come comandanti vi erano due nobili tedeschi che avrebbero poi avuto un ruolo chiave nella storia delle compagnie: Conrad di Landau e Werner di Urslingen. L'obiettivo di Lodrisio Visconti era chiaro: sottrarre Milano ai cugini Azzo e Luchino; ed in effetti la comparsa della sua compagnia dovette insinuare nei suoi cugini ben più che un fremito di preoccupazione, tanto che Luchino radunò in tutta fretta dei mercenari e mise in campo la milizia milanese.
La Compagnia di San Giorgio fece un lungo giro portandosi nella parte nord-occidentale del Milanese e a Parabìago mosse all'attacco dell'avanguardia dell'esercito di Milano. Era febbraio e faceva tremendamente freddo; un'alta coltre di neve ricopriva il terreno e i soldati milanesi, che venivano dalla città, erano stanchi del cammino. La Compagnia sgominò l'avanguardia e ricacciò la truppa milanese verso la città, ma Luchino Visconti, sopraggiunto, riordinò i suoi e gettò nella mischia tutte le sue forze. La battaglia di Parabiago fu una delle più aspre e cruente che fossero allora combattute. Le forze milanesi, di molto superiori numericamente, furono quasi fatte a pezzi dalla tremenda forza d'urto della Compagnia e lo stesso Luchino fu disarcionato, fatto prigioniero e legato ad un albero. Ma in quel momento un esule bolognese, Ettore da Panigo, giunse da Milano con settecento cavalieri; la comparsa di questi rinforzi rovesciò la situazione: la Compagnia di San Giorgio fu sgominata e Lodrisio fu catturato; sul terreno entrambe le parti lasciarono più di quattromila morti.
Lodrisio venne poi catturato nelle campagne e su ordine di Azzone fu rinchiuso nelle prigioni di San Colombano al Lambro, fino al 1349, quando dopo la morte di Azzone e Luchino, venne liberato dal magnanimo fratello, l'Arcivescovo Giovanni Visconti. Uno dei suoi alleati, Calcino Tornielli, venne cacciato da Novara, che divenne feudo visconteo.