Battaglie In Sintesi
10 Maggio 1796
Nacque ad Ajaccio il 15 agosto 1769, morì a Longwood, nell'isola di S. Elena, il 5 maggio 1821; figlio di Carlo e Letizia Ramolino. Collegiale ad Autun, Brienne, Parigi, fu poi luogotenente d'artiglieria (1785) e tentò in seguito la fortuna politica e militare in Corsica (nel 1791 era capo-battaglione della guardia nazionale ad Ajaccio, nel febbraio 1793 condusse il suo battaglione di guardie nazionali nella spedizione della Maddalena, miseramente fallita, nell'aprile-maggio 1793 prese posizione, con il fratello Luciano, contro P. Paoli, per cui dovette fuggire in Francia). Comandante subalterno nel blocco di Tolone (ottobre 1793), si acquistò il grado di generale e quindi il comando dell'artiglieria dell'esercito d'Italia. Sospettato di giacobinismo per l'amicizia con A. Robespierre, subì un breve arresto; destinato a un comando in Vandea, rifiutò e fu radiato dai quadri (aprile 1795). Divenuto amico di P. Barras conobbe presso di lui Giuseppina de Beauharnais (che sposò il 9 marzo 1796); e per incarico di Barras difese energicamente la Convenzione contro i realisti (13 vendemmiale). Ottenne così il comando dell'esercito dell'interno, poi di quello d'Italia. Presa l'offensiva (9 aprile 1796), batté separatamente (Montenotte, Millesimo e Dego) gli Austro-Sardi, costringendo questi ultimi all'armistizio di Cherasco (28 aprile 1796), quelli, dopo le vittorie di Lonato, Arcole, Rivoli, e la resa di Mantova, ai preliminari di pace di Leoben (18 aprile 1797). Occupata la Lombardia, ricostituisce sul modello francese le repubbliche di Genova e di Venezia e toglie al papa la Romagna (armistizio di Bologna, 23 giugno 1796; trattato di Tolentino, 18 febbraio 1797). Poi, col trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), conferma alla Francia il Belgio e le annette le Isole Ionie, ponendo fine all'indipendenza di Venezia, il cui territorio passava all'Austria (ad eccezione di Bergamo e Brescia incorporate nella nuova Repubblica Cisalpina). Preposto, a Parigi, a una spedizione contro le isole britanniche, la devia verso l'Egitto, ove sbarca il 2 luglio 1798 e vince alle Piramidi, in Siria (ma è fermato a S. Giovanni d'Acri), ad Abukir (dove la sua flotta era stata, il 1° agosto, distrutta da Nelson). Tornato in Francia con pochi seguaci (9 ottobre 1799), vi compie, un mese dopo (18 brumaio), un colpo di stato, con la dispersione del Consiglio dei Cinquecento e la sostituzione del Direttorio con un collegio di tre consoli, assumendo egli stesso il titolo di primo console. Ripresa la guerra contro i coalizzati, valica le Alpi (primavera 1800), vince a Marengo (14 giugno 1800) gli Austriaci costringendoli alla pace di Lunéville (9 febbraio 1801), cui seguono profonde modificazioni territoriali in Italia (annessione alla Francia di Piemonte, Elba, Piombino, Parma e Piacenza; costituzione del regno di Etruria); conclude con l'Inghilterra la pace di Amiens (25 marzo 1802). Console a vita (maggio 1802), sfuggito alla congiura di G. Cadoudal (1803), assume su proposta del senato la corona d'imperatore dei Francesi (Notre-Dame, 2 dicembre 1804) e poi quella di re d'Italia (duomo di Milano, 26 maggio 1805). Nei tre anni di pace (rotta, però, con l'Inghilterra già nel maggio 1803), spiega una grande attività ricostruttiva: strade, industrie, banche; ordinamento amministrativo, giudiziario, finanziario accentrato; pubblicazione del codice civile (21 marzo 1804; seguirono poi gli altri); creazione di una nuova nobiltà di spada e di toga; concordato con la S. Sede (16 luglio 1801). Formatasi, per ispirazione britannica, la 3ª coalizione (Inghilterra, Austria, Russia, Svezia, Napoli), la flotta franco-spagnola è battuta a Trafalgar (21 ottobre 1805) da quella inglese comandata da Nelson, ma Napoleone assedia e batte gli Austriaci a Ulma (15-20 ottobre), gli Austro-Russi ad Austerlitz (2 dicembre) e impone la pace di Presburgo (26 dicembre 1805: cessione di Venezia e altre terre austriache alla Francia e ai suoi alleati tedeschi). Assegna il Regno di Napoli (senza la Sicilia) al fratello Giuseppe, quello di Olanda al fratello Luigi, e forma la Confederazione del Reno (luglio 1806). Alla 4ª coalizione (Russia, Prussia, Inghilterra, Svezia) oppone le vittorie di Jena e Auerstedt (14 ottobre 1806) sui Prussiani, l'occupazione di Berlino e Varsavia, le vittorie sui Russi a Eylau (od. Bagrationovsk, 8 febbraio 1807) e Friedland (14 giugno) cui segue la pace di Tilsit (8 luglio 1807), vera divisione dell'Europa in sfere d'influenza tra Francia e Russia con l'adesione della Russia al blocco continentale contro l'Inghilterra (bandito il 21 novembre 1806), e con la formazione del granducato di Varsavia (al re di Sassonia) e del regno di Vestfalia (al fratello Girolamo). Messo in sospetto dall'atteggiamento della Spagna, la occupa (dal maggio 1808) e ne nomina re il fratello Giuseppe (sostituendolo a Napoli col cognato Gioacchino Murat); ma la guerriglia degli Spagnoli, indomabile, logora lentamente le sue forze militari, mentre la lotta contro la Chiesa (occupazione di Roma, febbraio 1808; imprigionamento del papa Pio VII, 5 luglio 1809) gli sottrae popolarità presso ampi settori sociali. Debella quindi, non senza fatica, in Baviera (19-23 aprile 1809) e a Wagram (6 luglio) la 5ª coalizione, capeggiata dall'Austria, e impone la pace di Schönbrunn (14 ottobre 1809), che segna l'apogeo della potenza napoleonica, per gli ampliamenti territoriali che il trattato e i successivi provvedimenti portano all'Impero francese e ai suoi satelliti. Coronamento della pace, dopo il ripudio della prima moglie, sono le nozze (1° aprile 1810) con Maria Luisa d'Austria e la nascita (20 marzo 1811) del "re di Roma". La Russia, allarmata per le mire napoleoniche, aderisce alla 6ª coalizione: Napoleone la invade (24 giugno 1812), vince a Borodino (7 settembre), occupa Mosca (14 settembre); ma la città è in preda alle fiamme e Napoleone è costretto a iniziare verso la Beresina una ritirata disastrosa, poi vera fuga, mentre governi e popoli di Russia, Prussia e infine d'Austria (10 agosto 1813) si sollevano contro di lui. Né l'offensiva ripresa nella Sassonia (maggio 1813), né le trattative con i coalizzati gli giovano; la sconfitta di Lipsia (16-19 ottobre 1813) lo costringe a sgombrare la Germania e a difendersi sul suolo francese (inverno 1813-14). Il 31 marzo 1814 gli Alleati occupano Parigi e il 6 aprile Napoleone abdica senza condizioni accettando il minuscolo dominio dell'isola d'Elba, ove giunge il 4 maggio 1814. Ma, sospettando che lo si voglia relegare più lontano dall'Italia e dall'Europa, sbarca con poco seguito presso Cannes (1° marzo 1815) e senza colpo ferire riconquista il potere a Parigi (20 marzo). Il tentativo dura solo cento giorni e crolla a Waterloo (18 giugno 1815). Dopo l'abdicazione (22 giugno), Napoleone si rifugia su una nave inglese: considerato prigioniero, è confinato, con pochi seguaci volontari, nell'isola di S. Elena, dove a Longwood, sotto la dura sorveglianza di Hudson Lowe, trascorre gli ultimi anni, minato dal cancro, dettando le sue memorie. Le sue ceneri furono riportate nel 1840 a Parigi, sotto la cupola degli Invalidi. La sconfitta definitiva di Napoleone ebbe per la Francia gravi conseguenze: occupata per tre anni dalle potenze nemiche, fu obbligata a pagare esose indennità di guerra; dopo un periodo di relativa pace sociale visse lo scoppio del malumore e della vendetta del mondo cattolico.
Generale nato a Lathuy nel Brabante il 26 ottobre 1725, morto a Linz il 22 dicembre 1819. Aiutante di campo del maresciallo austriaco Daun durante la guerra dei Sette anni, solo dopo 20 anni rientrò nella milizia, nel 1789, per reprimere l'insurrezione del Brabante. Col grado di generale e la reputazione di stratega, fu tra i primi ad aprire le ostilità contro i rivoluzionari francesi comandati dal Biron e li batté a Valenciennes (29 maggio 1792); e nuovi favorevoli successi ottenne nei due anni seguenti, fra cui la vittoria di Arlon contro il generale Jourdan (1794). Comandante dell'armata d'Italia (1796), con l'incarico di fronteggiare Napoleone, dopo le sconfitte di Montenotte, e al ponte di Lodi, il Beaulieu riuscì tuttavia a riparare a Mantova e poi nel Tirolo dove fu sostituito nel comando dal maresciallo Wurmser (21 giugno).
Il duca di Parma e Piacenza, quando seppe che i Francesi erano entrati nel suo territorio, pensò di venire a patti col formidabile condottiero dell'armi repubblicane. A tal fine mandò con pieni poteri a trattare con Bonaparte il marchese Antonio Palavicino, e Filippo della Rosa. Fu stabilito fra il comandante l'armata francese e que' ministri la sospensione d'armi, intanto che il duca mandava altri ministri per trattare la pace. Il duca obbligavasi a pagare fra quindici giorni due milioni di franchi, a consegnare mille e duecento cavalli con bardature, e vestiti per soldati e per gli officiali superiori, gran quantità di viveri e di foraggi, cinquantamila paia di scarpe, mille e duecento bovi; e dopo tutto ciò, venti dei migliori dipinti che esistevano nella sua pinacoteca. Il cuore sdegna pensare quanto fossero timidi i potentati d'Italia ed improvvidi di consiglio; ma se tanto denaro poi sempre dato al vincitore per serbare un'esistenza precaria, ch'era in balia di quella mano che la concedeva, fosse stato speso ad agguerrire eserciti, avrebbero potuto i Francesi discendere in Italia a menarvi lo sterminio e la desolazione, a conquistare queste terre per farle servire stromento della loro grandezza, e farne traffico vergognoso per acquistare il Belgio? Oh no: imperocché non erano invulnerabili i Francesi, ed il valore non è esclusivo patrimonio loro; e come vedrassi in questa nostra fatica, precederli sovente gli Italiani nello scalare fortezze, e nell'affrontare le più arrischiate imprese. Ma la cecità dei governi fu grandissima, e da quella trassero i Francesi opportunità a sembrare più grandi che non erano, e mascherando col nome di libertà la loro invasione, suscitarono partiti che ben presto si pentirono d'aver ascoltato l'insidiosa promessa, perché invece di abbracciare fratelli, dovettero chinare il capo dinnanzi ad inesorabili padroni. Ma l'Italia, pentita sempre, ravveduta mai. Bonaparte, pieno d'infaticabile ardore, fece tosto procedere a gran passi verso Lodi la divisione del generale Augerau e quella di Massena, il cui antiguardo venne alle mani con gli Austriaci, accampati nei dintorni di Lodi, e costretti dall'urto de' nemici a ritirarsi sgombrarono Lodi per congiungersi col nerbo delle forze, che si era accampato sull'altra riva, facendo testa di ponte guarnita da venti pezzi di cannone, i quali, battendo in crociera, parevano rendere il passo piuttosto impossibile che difficile.
I generali francesi, veduti gli apparecchi degli Austriaci, volevano persuadere Bonaparte ad aspettare l'attacco, perché intanto sarebbero giunte le altre milizie, e le accampate avrebbero agio di riaversi dalle marcie e dalle battaglie sostenute. Erano queste buone ragioni, ma non per Bonaparte, che voleva ad ogni modo distruggere l'esercito austriaco, e sapeva dipendere dalla rapidità delle mosse e dei combattimenti gran parte del trionfo. Se stanche erano le sue schiere, lo erano del pari le austriache, col divario, che le prime stavano contente per l'ebbrezza del trionfo, le altre dolenti per la sconfitta; le sue invadevano per conquistare agi e ricchezze, le altre pugnavano per causa non propria quindi ascoltare non volle consigli di prudenza, ma comandò l'attacco, e fatta venire a sé una colonna di quattromila granatieri e di carabinieri, comandò loro di escire dalla porta che riesce sul ponte, con passo velocissimo correre ad investire il nemico, impadronirsi de' suoi cannoni e sbaragliarlo, mentre che un distaccamento di cavalleria, avrebbe a guado passato l'Adda, per incalzare a' fianchi gli Austriaci e disperderli.
Prima di spedire all'attacco i granatieri, avea Bonaparte fatto tirare molti colpi di cannone contro il nemico, non forse tanto per offenderlo, come per provocare sul ponte densa nube di fumo onde togliere ai suoi, tutta la grandezza del pericolo alla prima vista. Trasfuse nell'animo loro con ardenti parole, coraggio e risolutezza, ed il suo sguardo, come la sua eloquenza esercitavano un tal fascino sui soldati, che più non pensavano né a pericoli né a vita, non vedeano altro che gloria e trionfi. Arditi fino alla temerità, stretti gli uni agli altri affrontarono la tempesta delle artiglierie, le quali, mano mano che i Francesi si avanzavano sul ponte, mandavano fuoco continuo, e molti caddero feriti e moribondi sotto quei colpi micidiali, e la testa della colonna vacillò sull'andare avanti o sul tornare addietro. Ma Cervoni e Lannes, Massena, Dallemagne e Bcrthier, scorta quella perplessità, si avanzarono, e col grido: viva la Repubblica, inanimirono i soldati che procedettero sotto lava di fuoco, e giunsero a trucidare sul letto de' loro cannoni gli artiglieri. I fanti, posti dal generale a proteggere le artiglierie, si avanzarono; ma nemici che aveano affrontato i cannoni, doveano forse retrocedere contro i soldati? Ebbri i Francesi di vittoria, diedero dentro disperatamente nella fanteria, che dovette indietreggiare, indi sbandarsi. La cavalleria mandata da Bonaparte, guadato il fiume, non giunse a tempo ad incalzare il nemico, perché questi era già in rotta, e Beaulieu con stanchi e rifiniti avanzi del suo esercito, andò passando pel territorio della Repubblica veneta a ricovrarsi dietro il Mincio presso Mantova, lasciando le altre città di Lombardia senza difesa.
Il generale Liptay, che dopo il disastro di Fombio erasi ricoverato in Pizzighettone, non avendo avuto tempo di vettovagliarlo e munirlo in causa della sconfitta di Lodi, all'avvicinarsi de' nemici lo sgombrò, lasciandovi solamente trecento uomini chc si arresero tosto, ed egli corse a riunirsi a Beaulieu. La stanchezza e la notte sopraggiunta dopo la memorabile battaglia di Lodi, ritenne i Francesi dall'inseguire le schiere tedesche, e Bonaparte lasciò riposare le truppe non per altra cagione se non perché non poteva più impedire la ritirata nel Tirolo, avendo Colli e Wukassovich guadagnata la strada per Brescia. Bonaparte pensò in allora a consolidarsi in Lombardia, per poterla organizzare a quella forma di governo che più utile tornasse non agli avvisi suoi presenti, ma a futuri disegni che si agitavano neh' indomabile sua mente, da alcuni chiamati sogni d'infermo, ch'egli però seppe realizzare nella pienezza del loro splendore e potenza. Si fece precedere da Massena in Milano, Augerau fu mandato a Pavia, e le divisioni Serrurier e Laharpe furono distribuite a Pizzighettone, Lodi e Cremona per custodire l'Adda.
Vinta la battaglia di Lodi, sbaragliati gli Austriaci, Napoleone rivolse il pensiero alla ricca Milano, e vi spedì nel giorno 14 Massena con la sua divisione.