Battaglie In Sintesi
499 o 496 a.C.
Comandante romano, venne nominato Dictator per un periodo di sei mesi, nei quali (nel 499 o 496 a.C.) combattè e vinse la Lega Latina nella battaglia del Lago Regillo, ottenendo il trionfo; dedicò la vittoria a Cerere, Libero e Libera il tempio ai piedi dell'Aventino, presso il Circo Massimo. Inoltre, nello stesso anno della vittoria del Lago Regillo venne nominato alla carica di console insieme a Tito Verginio Tricosto Celiomontano.
Console e magister equitum romano, venne eletto al consolato nello stesso periodo di Caio Vetusio. Durante il loro consolato Fidene fu assediata e Crustumeria conquistata; Preneste passò dai Latini ai Romani e non fu più possibile rimandare una guerra coi Latini dopo anni di tentennamenti. Aulo Postumio venne così eletto dittatore, e Tito Ebuzio, magister equituum. I due si misero in marcia con un massiccio schieramento di fanti e cavalieri e incontrarono il nemico presso il lago Regillo, nel territorio di Tuscolo. Secondo Livio, durante lo battaglia, Ebuzio si scontrò direttamente con Ottavio Mamilio e rimasero entrambi feriti, Ebuzio al braccio e Mamilio al petto. Ebuzio ferito si ritirò così nelle retrovie.
Ultimo dei sette re di Roma. Secondo la tradizione liviana, si sarebbe impossessato del potere dopo aver fatto uccidere Servio Tullio e avrebbe meritato il soprannome di 'Superbo' per le molte efferatezze commesse, a cominciare dal divieto di dare sepoltura al suo predecessore, di cui era genero, e dall'uccisione dei maggiorenti che sospettava amici di Servio. Per quanto egli accrescesse Roma sia con le arti della diplomazia, sia con alcune guerre vittoriose, il periodo del suo regno rimase proverbialmente legato all'idea del terrore. L'oltraggio recato da suo figlio, Sesto Tarquinio, a Lucrezia - la virtuosa moglie del cugino Tarquinio Collatino, la quale si sottrasse all'onta con il suicidio - ebbe come conseguenza la sollevazione del popolo, sotto la guida di Collatino e dell'amico Giunio Bruto. Decretata dalla moltitudine l'abolizione della monarchia e l'instaurazione della repubblica, Tarquinio cercò scampo nella fuga, ritirandosi prima a Tusculum, poi con i propri figli a Cere in Etruria. Il vecchio sovrano non si diede per vinto, e tentò di restaurare il proprio regno con l'aiuto di Porsenna, re di Clusium, a cui si alleò, e con il sostegno delle città latine avversarie di Roma. Sconfitto nella battaglia del Lago Regillo morì in esilio a Cuma nel 495 a.C.
Comandante latino del V secolo a.C., fu principe della città latina di Tusculum e alleato di Tarquinio il Superbo di cui divenne genero ed alleato: "A Tusculum Ottavio Mamilio - di gran lunga il più rappresentativo tra i Latini e, se si presta fede alla leggenda, discendente di Ulisse e della dea Circe - [Tarquinio il Superbo] diede in moglie la figlia e, grazie a questo matrimonio, si legò con molti amici e parenti di lui."
Questo legame di parentela ed alleanza lo porterà ad affiancare Tarquinio nella battaglia del Lago Regillo contro i romani. Mamilio rimase ucciso nella battaglia, ucciso dal legato romano Tito Erminio Aquilino, mentre con una sua riserva di soldati, provava a portare soccorso a Tarquinio il Superbo, messo in difficoltà dagli attacchi di Postumio.
Il bando dalla città di Roma di Tarquinio il Superbo fu uno dei punti di svolta nella storia dell'Urbe. A Roma il tempo dei re era finito: iniziava la repubblica. Perciò, una volta che Porsenna, signore etrusco di Chiusi, istigato da Tarquinio stesso, cercò di restaurare il potere dei tarquini nell'Urbe, nel senato si decise di aprire le porte ai propri nemici (quale era stato Porsenna fino a quel momento) piuttosto che ai re. Questo era il voto unanime di tutti: la fine della libertà sarebbe stata anche la fine di Roma. Vedendo i senatori, che gli si erano presentati come ambasceria di Roma, irremovibili su queste posizioni, il re etrusco decise di desistere dall'iniziare un nuovo, pericoloso, conflitto con i romani e di non illudere più i Tarquini con la speranza di un aiuto che non poteva garantirgli. Così negò l'asilo a Tarquinio il Superbo in modo che nulla potesse incrinare i suoi rapporticon la città; inoltre, liberò gli ultimi ostaggi romani in suo possesso e il territorio di Veio avuto a seguito al trattato stipulato sul Gianicolo.
Così, mentre Porsenna faceva di tutto per evitare lo scontro con Roma, Tarquinio, perdeva ogni speranza di poter restaurare il suo potere con l'aiuto del re; quindi si ritirò in esilio a Tusculum, presso il genero Ottavio Mamilio. Questi riuscì a fomentare l'odio di una trentina di città latine che sotto la sua guida formarono una lega in funzione antiromana. La tensione generale dovuta a queste cupe notizie portò a suggerire per la prima volta la nomina di un dittatore. Circa l'anno e il nome dei consoli nominati a questa carica non c'è accordo tra le fonti. Tuttavia, gran parte degli storici antichi parlano di Tito Larcio come primo dittatore e di Spurio Cassio come magister equitum. Il dittatore riuscì, in tempi brevi, ad accordarsi per una tregua contro i Sabini, con cui i romani erano già in guerra, in modo tale da poter concentrare le forze contro i latini, ma non solo. Tarquinio era riuscito ad avere l'appoggio degli Etruschi di Tarquinia e Veio. A Tarquinia, a differenza di quanto accadde a Chiusi, il nome e la parentela di Tarquinio fecero presa: li attirava l'idea che a Roma regnasse uno dei loro. Così due città e due eserciti seguirono Tarquinio con l'intento di riconquistargli il regno e di vendicarsi militarmente dei Romani. Nonostante l'andamento incerto della battaglia, Tarquinio e gli Etruschi furono presi da un panico tale che abbandonarono l'impresa senza portarla a compimento e, durante la notte, entrambi gli eserciti, il veiente e il tarquiniense, se ne tornarono nei loro paesi.
A questo punto l'ultima possibilità per Tarquinio stava nella Lega Latina. Ma già durante il consolato di Tito Ebuzio e di Caio Vetusio Fidene fu assediata e Crustumeria conquistata; anche Preneste passò dai Latini ai Romani. Era chiaro che non era più possibile rimandare una guerra coi Latini dopo anni di tentennamenti. In aggiunta, la notizia della presenza dei Tarquini tra le fila latine suscitò un'indignazione tale nei Romani da non poter rimandare ulteriormente lo scontro.
Per quanto riguarda lo schieramento e le forze in campo dobbiamo per un attimo abbandonare le notizie di Tito Livio, che non ci informa in proposito, ed affidarci ai dati recatici da Dionigi di Alicarnasso, nelle sue "Antichità Romane" con la traduzione di Marco Mastrofini: «Sesto Tarquinio ebbe a reggere l'ala sinistra de' Latini, ed Ottavio Mamilio la destra. Tito, l'altro figliuolo di Tarquinio comandava il centro ove erano i disertori e fuorusciti Romani. La cavalleria divisa in tre parti fu dispensata alle ali ed al centro. In opposito Tito Ebuzio ebbe l'ala sinistra de' Romani contro di Ottavio Mamilio, e Tito Virginio il console si contrappose colla destra a Sesto Tarquinio. Empiva de' genj suoi Postumio stesso, il dittatore dell'armata di mezzo, e moveala contro Tito Tarquinio, e contro gli esuli da Roma, i quali eran con lui». Dionigi non ci informa dettagliatamente sull'esatto posizionamento della cavalleria romana, che avrà, come vedremo un ruolo determinante nello svolgimento della battaglia. Probabilmente, secondo il costume militare romano, i cavalieri si trovavano sulle ali, lasciando alle fanterie il centro del campo.
Utilizzando lo stesso testo, Dionigi ci informa, in maniera del tutto arbitraria che: «Il complesso delle milizie venute a combattere erano ventiquattro mila fanti e tre mila cavalieri nella parte Romana, e quaranta mila fanti, e tre mila cavalieri nella Latina».
Per questo la battaglia non ebbe precedenti quanto a ferocia e accanimento. Infatti i comandanti non si limitarono a dirigere le operazioni, ma si buttarono di persona nella mischia e quasi nessun membro dei due stati maggiori, salvo il dittatore romano che uscì indenne dallo scontro. Postumio era in prima linea a dirigere e incoraggiare i suoi uomini, quando Tarquinio il Superbo, nonostante l'età e il fisico indebolito, si lanciò al galoppo contro di lui, ma rimediò una ferita al fianco e riuscì a scamparla solo grazie all'intervento tempestivo dei suoi uomini. All'ala opposta dello schieramento, Ebuzio, attaccò Ottavio Mamilio. La manovra non era però sfuggita al comandante di Tuscolo, il quale, a sua volta gli si lanciò contro al galoppo. L'urto delle loro lance fu così violento che Ebuzio rimase con un braccio trapassato e Mamilio fu colpito al petto. I Latini lo coprirono portandolo in seconda linea, mentre Ebuzio, con il braccio in quello stato non era più in grado di combattere, quindi abbandonò il campo di battaglia. Il comandante latino, assolutamente noncurante della ferita, cercava di riaccendere lo scontro e, notando un cedimento dei suoi, fece intervenire il battaglione degli esuli romani guidati da un figlio di Lucio Tarquinio. Il loro accanimento, raddoppiato dall'indignazione per la perdita dei beni, riuscì per un attimo a ristabilire la situazione.
Mentre i Romani da quella parte erano già in piena ritirata, Marco Valerio, fratello di Publicola, vide che il giovane Lucio Tarquinio si stava esponendo nelle prime file degli esuli; infiammato dalla gloria che copriva la sua famiglia, e pensando all'onore che gli avrebbe dato essere non solo colui che aveva cacciato i re, ma anche colui che li aveva uccisi, spronò il cavallo e con la lancia in resta piombò su Tarquinio. Questi, per evitare la carica forsennata dell'avversario, si ritirò in mezzo ai compagni. Mentre Valerio stava piombando a testa bassa contro il battaglione degli esuli, uno di essi lo centrò sul fianco trapassandolo da parte a parte. Quando il dittatore Postumio si rese conto di una simile perdita e vide che gli esuli stavano caricando con una foga inaudita mentre i suoi iniziavano a perdere terreno, ordinò alla sua guardia del corpo di uccidere chiunque avesse visto fuggire. Con questa minaccia "amica" i Romani abbandonavano ogni pensiero di fuga e concentrandosi solo sul nemico, risollevarono le sorti della battaglia. La "coorte" del dittatore entrò solo allora nel vivo della mischia: fresca com'era di forze e col morale intatto, piombò sugli esuli ormai sfiancati e li fece a pezzi.
In quel momento ci fu un altro scontro fra i comandanti: il comandante latino, vedendo che il battaglione degli esuli stava per essere circondato dal dittatore romano, prese con sé alcuni manipoli della riserva e si lanciò in prima linea. Tito Erminio, comandante in seconda, li vide arrivare e riconobbe in mezzo a loro Mamilio, inconfondibile per la tenuta e per le armi che portava. Attaccò così il generale avversario con molta più forza di quanto non avesse fatto prima il magister equitum e lo uccise con un colpo solo trapassandolo da parte a parte. Nell'attimo in cui stava spogliandone il cadavere, fu però anche lui colpito da un'asta nemica. Trasportato al campo da vincitore, morì mentre gli venivano somministrate le prime cure. Allora il dittatore, vedendo che i fanti erano sfiniti, vola in direzione dei cavalieri e li invita a smontare da cavallo e a gettarsi nella mischia. Obbediscono alla consegna: saltano a terra, si precipitano in prima linea e riparano gli antesignani coi loro scudi. Il morale dei fanti, vedendo che perfino i giovani nobili romani combattevano al loro fianco e ne condividevano i rischi, risalì immediatamente. Soltanto allora l'urto dei Latini fu contenuto e la loro linea di battaglia si disunì perdendo terreno. I cavalieri rimontarono in sella per lanciarsi all'inseguimento del nemico. La fanteria dietro.
Si narra che il dittatore, per non trascurare alcun aiuto divino o umano, dedicò un tempio a Castore e promise dei premi ai primi due soldati che fossero entrati nell'accampamento nemico. I Romani, così spronati, si lanciarono con una foga tale che con un unico assalto sbaragliarono il nemico e ne conquistarono il campo. Il dittatore ed il magister equitum tornarono a Roma per il loro trionfo.
Gli anni successivi alla battaglia del Lago Regillo furono caratterizzati da un periodo di stasi. Vennero nominati prima i consoli Quinto Clelio e Tito Larcio, poi Aulo Sempronio e Marco Minucio. Ma il cambio dei consoli non generò alcun problema per l'Urbe: la Lega latina era stata colpita troppo duramente per poter organizzarsi nuovamente contro i romani. In più, nell'anno in cui vennero nominati i consoli Appio Claudio e Publio Servilio (495 a.C.), arrivò nell'urbe la notizia della morte di Tarquinio. Questi si spense a Cuma, alla corte del tiranno Aristodemo che lo aveva accolto dopo la disfatta delle forze latine. I Latini dovettero accettare la supremazia di Roma.