Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Crustumeria

491 o 493 a.C.

I comandanti romani nella campagna contro Equi, Volsci e Sabini

Tito Veturio e Aulo Verginio

Vissuti entrambe nel V secolo a.C.vennero eletti consoli tra il 492 e il 494 a.C. Tito Veturio apparteneva alla gens Veturia, probabilmente fratello gemello di Gaio Veturio Gemino Cicurino, console nel 499 a.C., e padre di Tito Veturio Gemino Cicurino, console nel 462 a.C. Aulo Verginio, invece, apparteneva alla Gens Verginia, e fu il padre di Aulo Verginio Tricosto Celiomontano, console nel 469 a.C., e di Spurio Verginio Tricosto Celiomontano, console nel 456 a.C.

Appena insigniti della carica consolare i due si resero conto che la loro gestione sarebbe stata molto difficile da subito. Sul fronte interno divisioni tra patrizi e plebei minacciavano la sicurezza interna dell'urbe, mentre sui confini, si intesificava la pressione congiunta di Sabini, Volsci ed Equi.

I consoli chiesero così consiglio al senato che identificò in Manio Valerio l'uomo che poteva risolvere la situazione. Proclamato dittatore quest'ultimo, Aulo e Tito collaborarono con lui nella straripante campagna contro i popoli sopra citati, sbaragliati con una geniale azione in contemporanea. In particolare Aulo Verginio avrebbe condotto le proprie legioni contro i Volsci, Tito Veturio contro gli Equi, mentre lo stesso dittatore si sarebbe opposto ai Sabini, fiancheggiato dalla cavalleria condotta dal magister equitum Quinto Servilio Prisco.

Una volta ottenuto il trionfo in Roma Manio Valerio rimise il suo incarico ed il potere tornò ai due consoli in carica. In questo contesto si realizzò la secessione dei plebei, che per protesta si ritirano sul Monte Sacro, tre miglia fuori Roma sulla destra dell'Aniene dove fortificarono un campo. Questa secessione rientrò a seguito dell'intervento di Menenio Agrippa che rivolse ai fuoriusciti il famoso apologo delle membra e dello stomaco. Sul piano pratico venne istituita una carica magistrale a difesa della plebe: il Tribuno della plebe. Questa carica era interdetta ai patrizi e venne sancito con una legge (la Lex Sacrata) il carattere di assoluta inviolabilità e sacralità (sacrosancti) della carica stessa. Vennero quindi eletti i primi due tribuni della plebe, che furono Gaio Licinio e Lucio Albino.


Manio Valerio Voluso Massimo

Figlio di Marco Valerio Voluso Massimo, console nel 505 a.C., e nipote di uno dei padri della repubblica, quel Publio Valerio Publicola che fu quattro volte console dal 509 a.C. a 504 a.C., Manio Valerio fu augure e dittatore e vinse varie guerre contro i Sabini e i Medulini.

Nominato dittatore nell'anno del consolato di Tito Veturio e Aulo Verginio, la sua figura rassicurò da subito la plebe di Roma, in considerazione della gens di provenienza e della mitezza di carattere del nuovo dittatore: «La plebe, pur rendendosi conto che la nomina di un dittatore avveniva a suo discapito, non temeva tristi sorprese o repressioni da quella famiglia (Valeria) visto che era stato proprio un fratello del neoeletto a far varare la legge sul diritto d'appello. In seguito un editto del dittatore confermò queste buone disposizioni perché riproduceva a grandi linee quello del console Servilio».

Con il sostengo di senato, consoli e popolo Manio Valerio riuscì nell'imprea di sconfiggere in contemporanea, e con l'aiuto degli stessi consoli in carica gli eserciti di Equi, Volsci e Sabini. Nello specifico, egli guidò personalmente le legioni a sua disposizione contro quest'ultimi nella battaglia di Crustumeria.

Ottenuto il trionfo nell'Urbe, non dimenticò le questioni interne relative ai problemi dei debitori e portò il tema nuovamente all'attenzione del senato, chiedendo un pronunciamento definitivo sulla soluzione da adottare per l'insolvenza debiti. Visto che la richiesta non fu approvata, Manio Valerio si dimise da Dittatore e Tito Veturio ed Aulo Verginio rientrarono nella pienezza dei loro poteri consolari fino alla fine dell'anno.

La genesi

I numerosi conflitti che da decenni stavano impegnando i soldati-cittadini romani contro le popolazioni itaqliche confinanti, avevano gravato enormemente sulle tasche dei cittadini meno abbienti. La plebe, non potendo seguire adeguatamente le proprie attività produttive perché spesso impegnata un guerra si era ormai indebitata del tutto. Inoltre le leggi sul debito, e l'uso del Nexum, che consentivano di ridurre i debitori alla schiavitù, favorivano di fatto i patrizi, che approfittavano di questa situazione per prevalere nei confronti dei plebei. Il senato sembrava incapace di prendere decisioni definitive su questa problematica e la situazione di stallo non fece altro che alzare la tensione interna a Roma fino ad altissimi livelli.

Ad aggravare ulteriormente la situazione romana ci pensarono i Volsci, gli Equi ed i Sabini i quali, informati delle tensioni sociali nell'Urbe, tentarono di approfittare della situazione ed iniziarono a premere sui rispettivi confini con i territori di Roma e dei suoi alleati.

La situazione era ormai insostenibile e allora, i senatori più giovani, avventandosi minacciosamente verso gli scranni dei consoli, intimarono loro di rassegnare le dimissioni e di rinunciare a quel potere che, per mancanza di temperamento, non riuscivano a far rispettare, proponendo il senatore Appio Claudio Sabino alla carica di Dittatore.

Ma i consoli e i senatori più anziani, preoccupandosi che quella carica, di per sé vicina all'onnipotenza, finisse in mano a una persona dal carattere mite, eleggono dittatore M. Valerio, figlio di Voleso. La plebe, pur rendendosi conto che la nomina di un dittatore avveniva a suo discapito, tuttavia da quella famiglia non temeva tristi sorprese o repressioni visto che era stato proprio un fratello del neoeletto a far varare la legge sul diritto d'appello. In seguito un editto del dittatore confermò queste buone disposizioni perché riproduceva a grandi linee quello del console Servilio. Ma pensando che la miglior cosa fosse aver fiducia sia nell'uomo che nella sua carica, abbandonarono l'ostruzionismo e si arruolarono. Mai prima di allora ci fu un numero così alto di effettivi: vennero formate dieci legioni. Ogni console ne ebbe tre ai suoi ordini, mentre quattro andarono al dittatore. La guerra non si poteva più rimandare. Gli Equi avevano invaso il territorio latino. Ambasciatori latini chiedevano al senato o un invio di rinforzi o l'autorizzazione a prendere le armi per proteggere il proprio paese. Difendere i Latini inermi sembrò più sicuro che permettere loro di riprendere le armi. Venne inviato il console Vetusio, il quale pose fine alle razzie. Gli Equi evacuarono la campagna e, fidando maggiormente nella posizione che nelle armi, se ne stavano in attesa sulle cime dei rilievi. L'altro console marcia contro i Volsci e, anche lui per non perdere tempo, comincia a devastare metodicamente le campagne per spingere il nemico ad accamparsi più vicino e costringerlo allo scontro. I due eserciti si schierarono ciascuno di fronte alla propria trincea, in una piana compresa tra i due accampamenti. I Volsci erano numericamente di gran lunga superiori: per questo si buttarono sprezzanti allo sbaraglio. Il console romano non si mosse né permise di rispondere all'urlo di guerra, ma ordinò ai suoi di stare fermi e con le aste piantate a terra: soltanto quando il nemico fosse arrivato a distanza ravvicinata, avrebbero dovuto assalirlo con tutte le loro forze e risolvere la cosa con le spade. Quando i Volsci, affaticati dalla corsa e dal gran gridare, arrivarono sui Romani, apparentemente atterriti alla loro vista, e si resero conto del contrattacco in atto vedendo il bagliore delle spade, come se fossero finiti in un'imboscata, fecero dietro-front spaventati. Ma non avevano più la forza nemmeno di fuggire, perché si erano gettati in battaglia correndo. I Romani, invece, rimasti fermi nelle fasi iniziali, erano freschissimi: non fu quindi difficile per loro piombare sui nemici sfiniti e catturarne l'accampamento. Di lì inseguirono i Volsci rifugiatisi a Velletri, dove vincitori e vinti irruppero come se fossero stati un esercito solo. Là, in un massacro generale e senza distinzioni, versarono più sangue che nella battaglia vera e propria. Vennero risparmiati soltanto quei pochi che si arresero inermi. Nel frattempo, Manio Valerio si preparava allo scontro decisivo con i Sabini, avvistati nei pressi di Crustumeria, come indicato da Dionigi di Alicarnasso «diceva la guarnigione di Crustumeria che i Sabini le erano prossimi, e che ardentissimi la combattevano».

Le forze in campo

Come già accennato, mai prima di questa campagna venne arruolato un esercito di queste dimensioni a Roma. Ben 10 Legioni erano a disposizione del dittatore, per un numero pari a 40.000 effettivi di fanteria insieme ad altri 3.000 cavalieri, come indicato da Dionigi di alicarnasso: «e sen fecero dieci corpi militari, ciascuno di quattromila uomini. Prese ogni console tre di questi corpi con quanta cavalleria gli fu compartita. Il dittatore prese gli altri quattro col resto de'cavalli».

La legioni vennero divise assegnandone 3 per ciascun console e ben 4 al dittatore stesso, che così, allo scontro nei pressi di Crustumeria, poteva schierare in campo un numero di legionari compreso tra i 15.000 ed i 20.000 affiancati da circa 1.000 cavalieri.

Non abbiamo fonti in merito al numero dei combattenti sabini in campo davanti a Crustumeria, ma non avendo indicazioni sul sovrannumero nemico da parte di storici romani, e considerando che più volte i sabini erano stati indicati come di "gran lunga il nemico numero uno per Roma", possiamo assegnare a questi italici un numero di effetivi pari o poco inferiore ai romani.

La battaglia

In questo scontro Manio Valerio diede prova di grande sagacia tattica, che andava ben oltre le sue capacità politiche. Il dittatore romano scelse di utilizzare le proprie forze di cavalleria così da aprire il più possibile lo schieramento sabino, per poi far valere la superiorità dei propri legionari. Come racconta Tito Livio quindi, Manio Valerio una volta «lanciatosi all'attacco con la cavalleria, aveva fatto il vuoto nel centro dell'esercito nemico, rimasto troppo scoperto per l'eccessiva apertura a ventaglio delle due ali».

A questo punto, senza poter contare su alcun tipo di copertura, e senza nemmeno poter pensare alcuna manovra aggirante i sabini subirono il tempestivo attacco delle legioni. Tito Livio scrive così: «Nel bel mezzo di questo disordine subentrarono i fanti all'assalto».

In questo frangente si dimostrò chiarissima la superiore qualità dei legionari di Roma tanto che, «Con un solo e unico attacco presero l'accampamento e misero fine alla campagna».

Ancora una volta la compattezza e la qualità legionaria erano state sufficienti per sbaragliare il nemico, che probabilmente perse in quello scontro la quasi totalità degli effettivi schierati in campo.

Le conseguenze

A seguito di questa sconfitta i Volsci persero il territorio di Velletri; la città, popolata da coloni inviati da Roma, divenne colonia. Poco tempo dopo si combatté con gli Equi, anche se si trattava di attaccare il nemico da posizione sfavorevole. Grazie alla codardia dei nemici quest'ennesimo scontro ebbe un esito favorevole per i romani, i quali si fregiarono di un bottino non trascurabile e di una vittoria senza perdite.

Dopo quella del lago Regillo, nessun'altra battaglia, come quella nei pressi di Crustumeria, fu più famosa in quegli anni. Il dittatore tornò a Roma in trionfo. Oltre agli onori di rito, venne riservato un posto per lui e per i suoi discendenti così da assistere ai ludi nel circo, e lì venne sistemata una sedia curule. Eppure, malgrado questo triplice successo militare, plebe e senato non avevano smesso di preoccuparsi della soluzione dei problemi interni e quando le richieste di soluzioni rapide da parte di Manio Valerio vennero trascurate dal sentato, egli stesso si dimise rassegnando il potere ai due consoli in carica. Ma la situazione rimase critica, e la successiva seccessione dei plebei, ritiratisi su Monte Sacro rientrò solo a seguito dell'intervento di Menenio Agrippa che rivolse ai fuoriusciti il famoso apologo delle membra e dello stomaco.