Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Cnido

394 a.C.

Gli avversari

Conone (440 a.C. circa - 390 a.C. circa)

Apparteneva a una nobile famiglia proveniente dal demo di Anaflisto, della tribù Antiochide; nacque non dopo il 444-43, poiché lo troviamo stratego per la prima volta nel 414-13. Allora egli stazionava in Naupatto, col mandato d'impedire alla flotta peloponnesiaca di recarsi in Sicilia; ma, avendo egli venti soli vascelli, non poté opporre un grave ostacolo alla flotta corinzia superiore per numero di navi, onde chiese a Demostene e a Eurimedonte, che tornava dalla Sicilia, un rinforzo di navi. Sulla fine dell'anno sembra che sia stato deposto e sostituito con Difilo. Nel 411, dopo la caduta dei Quattrocento, fu rieletto stratego e di nuovo mandato a Naupatto, donde si recò a Corcira chiamato dai democratici, che aiutò a stabilirsi nel potere con grande strage degli avversari. Allontanatosi Conone, si venne a una conciliazione tra i due partiti, e Corcira rientrò nella sua tradizionale neutralità. Forse per questo Conone non fu eletto stratego nell'anno 410-9. Nel 407 lo ritroviamo stratego insieme con Alcibiade: fu lasciato ad assediare Andro, e nel 406 dopo l'insuccesso di Nozio si recò a Samo, donde faceva incursioni in territorio nemico. In seguito a una di queste fazioni fu da Callicratida sconfitto e chiuso nel porto di Mitilene. Lo sforzo fatto dagli Ateniesi per liberare la flotta di Conone condusse alla battaglia delle Arginuse in cui morì lo stesso Callicratida. Conone, non avendo preso parte alla battaglia, non fu coinvolto nell'accusa di non aver tentato di salvare i naufraghi, e quindi non fu deposto. Finalmente lo troviamo nel 405 (agosto-settembre) nel collegio degli strateghi responsabili della sconfitta di Egospotami, ma egli per parte sua aveva fatto di tutto per evitarla e con nove navi poté fuggire. Dopo la sconfitta egli si ricoverò presso Evagora, re di Salamina di Cipro, non osando ritornare in patria, perché, se anche senza colpa, sarebbe stato egualmente condannato.

Quando Conone giunse a Cipro, Evagora, che aveva cercato di rendersi indipendente dal gran re, si era riconciliato con lui per mediazione di Ctesia, e questa riconciliazione era stata facilitata dal mutato atteggiamento della Persia verso Sparta. Evagora prese sopra di sé l'incarico di far nominare Conone capo della flotta persiana contro Sparta; Conone già nel 398 era a Cipro a capo di una flotta di 100 vascelli; la flotta si accrebbe per il concorso di tutti i regoli di Cipro, cui il satrapo Farnabazo aveva ordinato di apprestare ciascuno il suo contingente di navi. Intanto il satrapo Titrauste aveva, per mezzo di Timocrate rodio ben fornito d'oro, sollevata quasi tutta la Grecia contro Sparta. Già con un reparto di 40 navi Conone si era portato in Cilicia e aveva poi ormeggiato a Cauno, dove il navarca Farace lo bloccò (397). Conone fu liberato dal blocco per opera di Artaferne e Farnabazo, e si recò a Rodi dove scoppiò la rivoluzione democratica (estate 396). Agesilao si era già recato in Asia fin dalla primavera. Nel 394 (agosto) la flotta fenicia sotto il comando supremo di Farnabazo e per opera soprattutto di Conone sconfisse a Cnido la flotta spartana comandata dal cognato di Agesilao, Pisandro, che soccombette. Questo fu un grave colpo per Sparta, non compensato certo dalla vittoria di Aristodamo sul fiume Nemea, e di Agesilao, tornato precipitosamente in patria, a Coronea. Questa vittoria rese la Persia e Atene padroni del mare Egeo: dal Bosforo e dall'Ellesponto alle Cicladi. Sino all'isola di Melo e di Citera la flotta vincitrice rinforzata percorse vittoriosa e da padrona il mare: a Citera fu posta una guarnigione. Quindi Conone si recò a Corinto dove sedeva il sinedrio, e dove si trovava anche Farnabazo che profondeva oro per la continuazione della guerra. Farnabazo tornò in Asia, e Conone tornò in patria dove si valse del personale della flotta per rifabbricare le lunghe mura, abbattute dopo la caduta di Atene. Quindi esercitò un'azione incitatrice perché Atene ripigliasse l'antico posto come grande potenza marittima, e si valse certamente dell'oro persiano. Ma la sua mira costante era quella di rendere Atene indipendente dalla Persia. Così cercò l'alleanza di Dionisio di Siracusa, che però non volle abbandonare la causa spartana. Ma questo suo desiderio di emancipare la sua patria dalla Persia non sfuggì a Tiribazo, satrapo di Sardi, specialmente perché Evagora aveva preso allora un atteggiamento ostile alla Persia. Conone fu imprigionato, sia che con piena fiducia nella lealtà di Tiribazo si fosse recato da lui, sia che fosse stato fatto venire con un pretesto. Alcuni autori dell'antichità asserivano che Conone fosse stato condotto davanti al gran re e giustiziato; secondo altri autori egli sarebbe riuscito a fuggire a Cipro presso il suo amico Evagora, dove poco dopo sarebbe morto di malattia. La seconda versione è confermata dal fatto che le sue ceneri furono trasportate ad Atene, e deposte nella parte esteriore del Ceramico.

Conone aveva certo un non comune talento strategico, e se dapprima non ebbe grandi successi, ciò si deve alla superiorità delle forze nemiche. In Atene gli eressero una statua insieme con Evagora, e anche in Efeso ebbe la stessa dimostrazione d'onore. Né queste testimonianze d'ammirazione erano immeritate, avendo egli, sia pure con l'oro persiano - e non sarebbe stato possibile altrimenti - restituita Atene a potenza di prim'ordine. L'amicizia che egli ebbe col panellenista Isocrate, così pieno di affetto verso il figlio di lui Timoteo, mostra che nella mente di Conone la soggezione alla Persia doveva essere soltanto strumento per liberarsi da Sparta e quindi giungere alla totale emancipazione di Atene.


Farnabazo II (450 ca. - m. 370 a.C.)

Satrapo persiano della Frigia ellespontica a partire dal 413. Favorevole a Sparta durante la guerra del Peloponneso, fece uccidere Alcibiade che si era rifugiato presso di lui. Più tardi invece si accostò ad Atene e assieme a Conone organizzò la flotta che batté gli Spartani a Cnido (394). Richiamato alcuni anni dopo a Susa, e sostituito (387) nel governo della satrapia da Ariobarzane, partecipò senza successo alle due spedizioni contro l'Egitto ribelle (385 e 373). È da distinguere dal nonno, omonimo, che lo aveva preceduto nel governo della stessa satrapia, e da un nipote che nel 334-332 comandò la flotta persiana dell'Egeo nelle operazioni contro i Greco-Macedoni.


Pisandro ( ? - 394 a.C.)

Spartano, fratello della moglie del re Agesilao II. Emerse in primo piano, più per l'alta parentela che per meriti personali, quando (nell'estate del 395 a. C.) fu elevato dal re al grado di comandante della flotta: navarco lo designano le fonti, con termine che in questo caso sembra esprimere la realtà di fatto piuttosto che la posizione di diritto; in quanto che navarco, secondo la procedura legale e normale, in quell'anno 395-4 dovette essere invece Chiricrate. L'imperizia di Pisandro si rivelò appieno quando Agesilao fu richiamato in Grecia. Lo scontro fra la flotta spartana e quella persiana nelle acque di Cnido l'agosto del 394 fu per Sparta gravissima sconfitta che segnò la fine del suo predominio marittimo, e che a Pisandro costò la vita.

La genesi

Spodestata Atene nel dominio sull'intero mondo ellenico, Sparta non ebbe le stesse qualità gestionali mostrate nel suo periodo di dominio dalla città attica. Chiaramente le premesse non potevano essere le migliori. La tradizione militare a cui erano legate le classi dominanti della città lacedemone, non lasciavano spazio ad una politica che prevedesse un controllo sulle città soggette che potesse lasciar spazio a qualsiasi sorta di indipendenza economico-sociale per gli elementi locali. Gli spartani infatti non presero neanche in considerazione l'eventualità di spartire i frutti della loro vittoria nella guerra del Peloponneso con gli alleati, il cui apporto si era rivelato fondamentale, grazie alle loro flotte e ai loro contingenti; per giunta, i malgoverni oligarchici instaurati e sostenuti da Lisandro all'indomani della caduta di Atene resero ben presto odioso ai greci il dominio lacedemone. Ad aumentare il malcontento interno agli alleati spartani vi era poi l'aggravante data dal determinante sostegno dato ai lacedemoni dalla Persia durante l'intero conflitto peloponnesiaco; e gli asiatici ovviamente non avevano mosso risorse in favore di Sparta per nulla. In effetti i lacedemoni si erano impegnati a riconoscere la sovranità del gran re sull'Asia Minore ellenica; ma al tempo stesso si rendevano perfettamente conto di quanto dannoso sarebbe stato per loro tradire le aspettative di libertà delle stesse comunità greche. Sparta optò quindi per una via di mezzo: lasciarono a Ciro il controllo le città ioniche, mantenendo il controllo dei centri lungo l'Ellesponto. Questi accordi escludevano totalmente il satrapo persiano della Frigia ellespontica, Farnabazo, il quale era stato sempre favorevole a Sparta durante la guerra del Peloponneso e che fece uccidere Alcibiade che si era rifugiato presso di lui.

Quando morì Ciro, la situazione cambiò radicalmente, visto che veniva a mancare il referente principale per l'accordo stabilito precedentemente e vista l'insurrezione delle città ioniche, con Mileto in testa contro il satrapo persiano Tissaferne, che nel recente passato aveva più ostacolato che favorito Sparta stessa. I lacedemoni non persero tempo a proclamarsi campione degli insorti e a preparare un intervento armato antipersiano. Nel 400 a.C. un esercito lacedemone sbarcò in Asia, si unì ai rimasugli dell'anabasi di Senofonte e compagni e diede avvio alla guerra sul suolo asiatico; ottani'anni dopo l'invasione di Serse, i ruoli si erano invertiti: ora erano i greci ad invadere il territorio persiano. I primi anni di guerra videro una fase di stasi permanente. Infatti gli spartani, privi di cavalleria e non in grado di assediare le città, non furono capaci di togliere consistenti parti di territorio a Farnabazo e Tissaferne. Ma neanche i due satrapi riuscirono ad ottenere grandi risultati in quanto temevano, giustamente, la fama di invincibilità degli opliti in battaglia, ed erano quindi contrari ad affrontarli in campo aperto. In considerazione di questo equilibrio sostanziale nel 397 si pervenne pertanto a una tregua, che gli spartani cercarono di sfruttare per conseguire una pace che assicurasse alle città greche l'autonomia; ma i persiani glissarono, concentrando piuttosto le loro energie per assestare un colpo decisivo all'invadenza lacedemone: considerando il rischio di affrontare la falange greca in una battaglia terrestre, i satrapi pensarono, giustamente, che Sparta fosse più vulnerabile per mare. Farnabazo ottenne cospicue sovvenzioni da Artaserse per la costituzione di una flotta di prim'ordine, che decise di costituire a Cipro. Nell'isola regnava Evagora, un avventuriero greco che si era gradualmente impossessato di gran parte del territorio cipriota ponendosi sotto la sovranità persiana; alla sua corte si trovava Conone, il miglior ammiraglio ellenico del tempo e il più acerrimo nemico di Sparta.

In considerazione della stagnazione delle trattative, a Sparta fu deciso che il nuovo re Agesilao conducesse in Asia una forza di 8000 opliti, con Lisandro quale capo di stato maggiore. Il sovrano lacedemone trascorse sul suolo asiatico un biennio decisamente più incisivo di quello precedente, sebbene fosse anch'egli ben lungi dall'agire in modo risolutivo; ma, se non altro, le sue campagne, e in particolar modo la vittoria di Sardi, provocarono la caduta definitiva dell'immarcescibile Tissaferne, che fu condannato a morte dalla corte di Susa e decapitato per non aver saputo fronteggiare l'invasione. Questi successi spartani, seppur non decisivi, mostrano ampiamente come la strategia persiana fosse ormai incentrata nel portare più risorse possibili verso la guerra in mare, tralasciando quella terrestre. Ma per gli asiatici non era certo semplice armare una flotta adatta allo scopo. La creazione di questo tipo di forza navale fu lenta e difficile: ci vollero più anni e anche le enormi quantità di denaro impiegato non erano sempre sufficienti a coprire gli stipendi degli equipaggi che spesso si ammutinarono. Solo nel corso del 395 l'ammiraglio ateniese Conone fu in grado di reperire i fondi necessari. Fu così in grado di armare un centinaio di triremi, mentre sul fronte opposto Agesilao si vedeva assegnare dagli efori anche il comando della flotta. Ma lo stesso re spartano dovette abbandonare rapidamente il comando delle operazioni in Asia perchè il conflitto con i beoti,in patria, si stava aggravando. Così lasciò il comando della flotta al proprio cognato Pisandro, il quale, poteva disporre di 85 navi. Nell'agosto del 394 a.C. si diresse pertanto verso Cnido, antica colonia spartana situata sulla punta di una penisola tra il Golfo Ceramico e quello di Smirne, di fronte all'isola di Cos. Nelle sue acque stazionava la doppia flotta avversaria, quella fenicia agli ordini di Farnabazo, e quella greca, al comando di Conone.

La battaglia

Pisandro avanzò verso quest'ultima, ma le navi situate sull'alla sinistra del suo schieramento, costituita dagli alleati greci d'Asia, defezionarono, non appena gli equipaggi si resero conto che il loro ammiraglio era realmente intenzionato ad affrontare una flotta più consistente, per giunta composta in gran parte dai loro confratelli. Il comandante spartano non si lasciò condizionare da un simile accidente, e proseguì il suo attacco, tentando l'abbordaggio con la propria trireme; ma la superiorità numerica di Conone lo costrinse a subire vari speronamenti, per sottrarsi ai quali spinse la sua nave verso la costa. Le altre triremi peloponnesiache, che lo avevano seguito nell'azione, subirono anch'esse la superiorità numerica del nemico, e vennero, anche per la superiore capacità manovriera delle navi al comando di Conone seriamente danneggiate; quindi cercarono anch'esse di guadagnare la costa. Una volta toccata terra, i loro equipaggi si affrettarono a cercare la salvezza abbandonando i vascelli, a parte 500 uomini che finirono prigionieri; non così Pisandro, che cadde combattendo a bordo della sua nave.

Gran parte della flotta - forse una cinquantina di navi - rimase pertanto nelle mani di Conone, e Farnabazo, che in una battaglia dallo svolgimento piuttosto banale, avevano posto fine al breve periodo della supremazia marittima di Sparta, riconducendo la potenza della città lacedemone alla sola dimensione terrestre.

Le conseguenze

Quando ad Agesilao giunse la notizia della sconfitta a Cnido e della morte del cognato, il re spartano si stava accingendo ad entrare in Beozia per dar una svolta al conflitto con i beoti stessi. In seguito a questa notizia in un primo momento egli rimase ovviamente scosso; ma poi, riflettendo sul fatto che la maggior parte del suo esercito era composta da alleati ben disposti a dividere i successi, ma difficilmente propensi a dividere eventuali difficoltà, sparse sì la voce della morte di Pisandro, ma che la flotta lacedemone aveva comunque vinto la battaglia navale.

Ma in Asia era impossibile celare a lungo la reale portata di ciò che era successo a Cnido. Non solo gli spartani erano stati sconfitti, ma gli equipaggi greci si erano rifiutati di combattere per loro, lanciando un segnale che venne immediatamente recepito dalla popolazione delle città ioniche: in breve tempo, incoraggiati dalla flotta di Conone, che navigava ormai incontrastata nell'Egeo, i centri greci d'Asia rovesciarono i regimi filo-spartani e il dominio di questi ultimi si ridusse ai pochi settori in cui Agesilao aveva lasciato delle guarnigioni. In sostanza, Sparta non era stata capace di rilevare Atene nella protezione delle città ioniche, e con un solo combattimento aveva perso tutti i frutti guadagnati con la vittoria sulla città attica. Col tempo, Atene avrebbe riacquistato, sebbene solo parzialmente, l'influenza sui greci d'Asia. Né le conseguenze della sconfitta di Cnido si fermarono all'Asia. Anche sul fronte ellenico, l'ostilità che soprattutto i beoti, ma anche molti altri, nutrivano nei confronti della città lacedemone, trasse nuova linfa e incoraggiò i tanti scontenti del suo dominio ad agire con maggior convinzione e compattezza.