Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Castagnaro

11 Marzo 1387

Gli avversari

Francésco II da Carrara signore di Padova (detto Novello) - Signore di Padova (Padova 1359 - Venezia 1406)

Successe, nel 1388, al padre Francesco I, ma dopo pochi mesi dovette rinunciare al suo stato in favore di Gian Galeazzo Visconti. Dopo un vano tentativo di riacquistarlo con l'aiuto di Firenze, vi riuscì (1390) con l'aiuto della lega guelfa antiviscontea. Morto Gian Galeazzo (1402), occupò Verona (1404) e per breve tempo Brescia. Tentò anche la conquista di Vicenza, ma fu battuto dai Veneziani (1405). Tradotto a Venezia, fu ucciso in carcere coi figli Francesco e Iacopo.


Giovanni Acuto o John Hawkwood (Essex 1320 - Firenze 14 marzo 1394)

Condottiero di ventura, nato nella contea di Essex, verso il 1320, da un possidente e mercante di campagna, fece le sue prime armi in Francia, nella guerra dei Cento anni. Conchiusa la pace di Brétigny (1360), discese con una piccola compagnia in Italia; e, dopo aver campeggiato qualche tempo in Piemonte, fu assunto dai Pisani come loro capitano generale, nella guerra che combattevano con Firenze (1364). E a Pisa, malgrado le defezioni dei suoi, l'Acuto rimase fedele, anche se non poté evitarne la sconfitta. Aiutò poi Giovanni dell'Agnello a farsi signore della città e, lui caduto, servì fino al 1372 Bernabò Visconti. Più tardi, militò agli stipendî della Chiesa, specialmente durante la ribellione delle Romagne nella guerra degli Otto Santi; ma, tentato invano di farsi intermediario di pace, si accostò di nuovo a Bernabò e finalmente prese servizio presso i Fiorentini, ottenendone grossi compensi (1377). D'allora in poi egli stette permanentemente con Firenze, cedendo agli Estensi un piccolo dominio, che, primo fra tutti i venturieri, si era formato con Bagnocavallo e Cotignola, concessegli dal Legato pontificio e da lui rafforzate con fortificazioni e ornate di edifici. Stabilitosi, anzi, a Firenze, egli si interessò alle vicende interne della città e cooperò nel 1379 al ristabilimento e al rafforzamento dell'oligarchia borghese. In campo, servì i suoi signori partecipando alla campagna dei Carraresi di Padova contro gli Scaligeri (1387), e alle lotte tra Durazzeschi e Angioini nel reame di Napoli (1389), fermando la marcia vittoriosa di Luchino dal Verme in Toscana, e frustrando il disegno di Gian Galeazzo Visconti d'impadronirsi di Firenze (1391). Chiuse così degnamente la sua carriera, il 17 marzo 1394, in quella città di Firenze che si può chiamare la sua seconda patria. Venuto in Italia in un tempo che questa era piena di soldati oltramontani, l'Acuto si distinse grandemente sugli altri. Non fu un semplice capo di bande mercenarie, ma, per quasi un trentennio, esercitò un'influenza grande sulle cose politiche italiane; spesso fu arbitro delle relazioni fra stato e stato, e più volte accennò a costituirsi una propria signoria. Così vediamo anticipati in lui caratteri dei nostri più tardi venturieri: alcuni dei quali, del resto, come Alberico da Barbiano, furono suoi discepoli nell'arte militare. Valoroso in battaglia e abilissimo manovratore, si citano come esempi di perizia bellica la rotta da lui inflitta ai Fiorentini presso Càscina (1369), e la sua resistenza sull'Adige alle milizie del Dal Verme (1391). Mantenne nell'adempimento dei suoi impegni costanza e lealtà ben superiore a quella d'altri venturieri; e se gli si rimproverano saccheggi e stragi, consta che cercò di evitare se non le violenze, gli eccidi, rimanendo nelle crudeltà molto al disotto di altre milizie del tempo. Carissimo ai Fiorentini, ottenne da loro benefci per la sua famiglia e, ancor in vita, la deliberazione di un monumento sepolcrale nel duomo. Gli splendidissimi funerali furono celebrati anche da un Cantare contemporaneo; la salma venne reclamata dal re d'Inghilterra. Ma i Fiorentini vollero eternare le sembianze dell'Acuto in un affresco sulle pareti della cattedrale, rinnovato nel sec. XV da Paolo Uccello nella forma che tuttora si ammira.


Giovanni Ordelaffi (Forlì 1350 - 1399)

Giovanni nacque a Froli' da Ludovico Ordelaffi e da Caterina Malatesta, figlia di Malatesta detto Guastafamiglia, signore di Rimini. Suo nonno era Francesco (II), signore di Forlì, Cesena e Forlimpopoli, che nel 1350 aveva appena ripreso una politica di forte ostilità nei confronti della Chiesa. Il padre Ludovico era, per così dire, l'astro nascente degli Ordelaffi, cui era affidato il comando delle spedizioni condotte contro i castelli soggetti al papato e ai suoi alleati. Morto nel 1356 Ludovico, nell'aprile 1357 Cesena, che era stata affidata a Cia Ubaldini, moglie di Francesco, si ribellò. Gli Ordelaffi resistettero finché poterono all'assedio delle truppe del legato papale Egidio de Albornoz, giunte in soccorso degli insorti, ritirandosi prima nella Murata e poi nella rocca di Cesena: infine il 21 giugno furono costretti ad arrendersi. Cia, suo figlio minore Sinibaldo e i due nipoti, Giovanni e il fratello Tebaldo, furono fatti prigionieri dal cardinale; furono liberati soltanto nel luglio 1359, quando Francesco consentì ad Albornoz di entrare a Forlì e rinunciò alla signoria sulla città. Non si hanno informazioni sulla vita di Giovanni negli anni che seguirono. Sia il nonno Francesco sia lo zio Sinibaldo si dedicarono al mestiere delle armi, al servizio in particolare dei Visconti e di Venezia. È certo che anche Giovanni, il fratello Tebaldo e i due cugini Cecco (Francesco III) e Pino ricevettero un'educazione militare. Fu probabilmente in quegli anni che la sorella di Giovanni fu data in sposa a uno dei tanti figli naturali di Bernabò Visconti, di nome Sagramoro. Nel 1375 gli Ordelaffi riuscirono a rientrare a Forlì e Sinibaldo assunse la signoria sulla città. Le cronache ricordano al fianco dello zio Cecco e Pino, ma non Giovanni, che probabilmente si trovava impegnato su qualche fronte bellico. La sua assenza non indica comunque che tra lui e Sinibaldo non corressero buoni rapporti. Alla fine del 1378, anzi, Giovanni agì come procuratore dello zio nelle trattative con papa Urbano VI che portarono, all'inizio dell'anno successivo, alla riconciliazione degli Ordelaffi con il papato e alla concessione a Sinibaldo del vicariato apostolico. Alla fine del Trecento nell'Italia centrosettentrionale si scontravano con intensità crescente i progetti espansionistici delle maggiori realtà politiche - i Visconti di Milano, Venezia, Firenze, il papato - con la rete sempre più ampia e complessa dei loro alleati e aderenti. La domanda di soldati di professione era in continuo aumento e le potenze si contendevano i condottieri più abili. Molti dei più celebri condottieri erano stranieri, ma sempre più numerosi, negli ultimi decenni del XIV secolo, furono anche gli italiani, provenienti soprattutto dalla piccola e media nobiltà rurale, dalle aristocrazie urbane e da famiglie, come appunto gli Ordelaffi, titolari di piccole signorie monocittadine, che tentavano di sopravvivere a una competizione regionale sempre più dura. Per questi ultimi le condotte erano una fonte di guadagno - l'imitazione dei modelli principeschi delle grandi corti richiedeva notevoli risorse economiche - ma anche uno strumento per creare e consolidare una rete di relazioni e di amicizie che potevano essere fondamentali nei frequenti momenti di difficoltà e rovesci politici. I nipoti del signore di Forlì continuarono perciò anche dopo il ritorno della famiglia al potere a porre le proprie competenze militari al servizio delle maggiori potenze. Nel 1379 Cecco comandò le truppe veneziane nella guerra di Chioggia, che vide scontrarsi Venezia da una parte e, dall'altra, Genova sostenuta dai da Carrara signori di Padova. Del resto il nonno Francesco (II) aveva trascorso gli ultimi anni proprio al servizio della Serenissima. Secondo alcuni storici locali anche Giovanni Ordelaffi avrebbe combattuto nella guerra di Chioggia, ma in realtà il suo nome non è ricordato nelle cronache. Nel 1382 Giovanni fu chiamato come senatore a Siena, carica corrispondente al 'conservatore del buono e pacifico stato' (o denominazioni simili) di altre città: un ufficiale forestiero con prerogative di rilievo, connesse in particolare con la tutela dell'ordine pubblico e la prevenzione e la repressione dei disordini politici. Poco dopo, tuttavia, fu congedato dal governo senese per il suo comportamento non consono al ruolo che ricopriva. Un suo litigio con il podestà di Siena, a quanto sembra per futili motivi, aveva provocato una rissa tra le rispettive familie, che si era conclusa con la morte di un membro dell'entourage di Ordelaffi. Quest'ultimo, nonostante, su pressione delle autorità senesi, avesse accettato di pacificarsi con l'avversario, pochi giorni dopo si era vendicato, facendo uccidere un conestabile del podestà. Nel 1385 Sinibaldo venne deposto da una congiura ordita dai nipoti Cecco e Pino e incarcerato nella rocca di Ravaldino. A Giovanni, che a quanto sembra aveva rapporti particolarmente buoni con lo zio, i cugini preclusero il ritorno a Forlì. Nel luglio dell'anno successivo, con l'appoggio secondo le cronache di molti cittadini, accompagnato dal condottiero Corrado Lando e dai suoi soldati, egli organizzò un complotto per rientrare in città, liberare lo zio e riportarlo al potere. Il piano fu però scoperto e sventato e Sinibaldo in novembre morì prigioniero. Nel 1386, intanto, si era riattivato uno dei tanti focolai di tensione nell'Italia del Nord. Antonio della Scala signore di Verona, nel tentativo di rafforzare la sua posizione nella regione, si inserì nel conflitto tra Venezia e Francesco da Carrara signore di Padova, schierandosi contro quest'ultimo. Lo scontro decisivo si svolse l'11 marzo 1387 sul Castagnaro, un canale emissario del fiume Adige. Il signore di Padova poteva contare sul grande condottiero inglese Giovanni Acuto e su altri capitani italiani di prim'ordine, come Giovanni Ubaldini. Capitano generale delle truppe scaligere era invece proprio Giovanni Ordelaffi, e con lui combattevano Ostasio da Polenta e i due fratelli Ugolino e Taddeo dal Verme, insieme ad altri condottieri. L'epica battaglia, che conobbe ampia risonanza nelle fonti dell'epoca, si risolse a favore dei Carraresi, grazie soprattutto all'abilità strategica di Giovanni Acuto. Ordelaffi, da Polenta, dal Verme e gli altri capitani del fronte scaligero furono presi prigionieri, insieme a migliaia di soldati. Nell'ottobre 1387 Gian Galeazzo Visconti, alleato di Francesco da Carrara, ne approfittò per occupare Verona e poi Vicenza. Come capitano generale nominò Giovanni Ubaldini, al quale si unirono vari nobili, tra i quali lo stesso Giovanni Ordelaffi, che evidentemente era stato liberato con l'impegno di combattere al servizio dei Visconti. Le truppe al comando di Ubaldini si acquartierarono nel Bolognese, probabilmente su ordine di Gian Galeazzo, che non aveva abbandonato l'ambizione di impadronirsi di Bologna. Non è del tutto chiaro ciò che accadde in seguito: alla fine del 1387 gli uomini di Ubaldini si volsero contro Forlì, con l'intenzione di rovesciare il regime di Cecco e Pino e insediarvi Giovanni Ordelaffi. Da quel momento la compagnia non sembra più ubbidire agli ordini di Gian Galeazzo, in quanto i condottieri perseguivano ormai i propri obiettivi personali. Fallito l'assalto a Forlì, i soldati attaccarono i castelli degli Ordelaffi, Oriolo, Fiumana e le Caminate, sui quali Giovanni rivendicava diritti ereditari, e poi, non avendo ottenuto alcun successo ed essendo andato a vuoto il tentativo di restaurare Ordelaffi nei suoi domini, si spostarono nel Ravennate e nel Cesenate, mirando soprattutto al bottino, ed espugnarono e saccheggiarono vari castelli. Cercarono poi di occupare Santarcangelo e Longiano, ma furono costretti a ritirarsi verso Bertinoro e poi verso Ravenna. Insorsero allora gravi dissensi tra Giovanni e Ubaldini; Ordelaffi abbandonò la compagnia - che si sciolse poco dopo - e si pose al servizio dei Malatesta. È molto difficile seguire gli spostamenti di Giovanni negli ultimi dieci anni della sua vita. Le compagnie di ventura si scomponevano e ricomponevano in continuazione, i condottieri attraversavano l'Italia alla ricerca del miglior ingaggio, o del bottino più ricco. Per un certo periodo Ordelaffi compare nella compagnia del guascone Bertrando della Sala e dei suoi terribili bretoni - alla quale si era unito un altro celebre condottiero, Giovanni Beltoft - che tra il 1388 e il 1389 devastò l'Umbria e la Toscana. Poi sembra che Giovanni tornasse a operare sul fronte romagnolo. Nel 1399, finalmente, i due cugini Pino e Cecco gli consentirono di tornare a Forlì; ma Giovanni era già malato, e morì nel corso di quello stesso anno.

La genesi

Altri condottieri al servizio di Giangaleazzo nell'ultimo decennio del Trecento furono Ugolotto Biancardo, Pandolfo e Carlo Malatesta e Ottobuono Terzi. Alcuni dei condottieri assunti dal Visconti si portavano al suo servizio, come Facìno Cane, solo quando egli li chiamava; altri erano dei lombardi a cui Giangaleazzo aveva dato feudi e possedimenti e formavano il gruppo stabile dei suoi ufficiali. Dunque Giangaleazzo in pochi anni era riuscito a provvedersi di una forza militare di singolare efficacia e tale forza fu lo strumento vincente della politica espansionistica dello stato milanese. L'unico stato che poté opporre una seria resistenza alla valanga viscontea fu quello fiorentino, e di fatto l'ultimo decennio del Trecento fu tutto un seguito di guerre tra Firenze e Milano. Finché fu in vita Giovanni Acuto, che guidava le forze fiorentine, tra i due stati rivali prevalse un certo equilibrio. Tuttavia Acuto, anche se dopo il 1380 fu spesso al servizio di Firenze, militò anche per altri padroni, conseguendo anzi il suo maggiore successo nel 1387 quando guidò i padovani alla vittoria di Castagnaro sui veronesi. Quella battaglia meglio di ogni altra palesò il genio tattico dell'inglese e i vantaggi che assicuravano in Italia i suoi metodi «inglesi».

La battaglia

La mossa decisiva fu allora la finta ritirata di Acuto che così riuscì a trascinare i veronesi sul terreno che più gli andava a genio e cioè in una posizione acquitrinosa a sud-est di Verona tutta intersecata da canali irrigui. Dietro uno di tali canali e su un terreno un po' più asciutto egli fece smontare i suoi cavalieri e li fece avanzare in file serrate. Da ogni lato e un po' più avanti del centro del suo esercito celò dei balestrieri, i suoi seicento arcieri inglesi e alcuni cannoni. I veronesi avanzarono fiduciosamente in questa trappola così accuratamente predisposta; si arrestarono un momento quando si trovarono di fronte il canale, ma poi si diedero alla svelta a riempirlo di ramaglia e si precipitarono per attraversarlo. In quel momento gli arcieri di Acuto iniziarono dalle posizioni laterali il loro tiro incrociato, mentre i guerrieri del centro fermarono l'avanzata veronese. Quando la pioggia di dardi cominciò ad avere i suoi effetti e tra le file sgomente dei veronesi cominciarono a prodursi delle falle, Acuto impartì l'ordine di avanzare e i suoi cavalieri appiedati si aprirono un inesorabile varco tra i nemici. La rotta dei veronesi fu completa e la maggior parte di loro o rimase uccisa sul campo o venne fatta prigioniera. La fama che Acuto aveva di essere il migliore capitano in Italia risultò pienamente confermata.

Le conseguenze

La sconfitta di Castagnaro segnò la fine della lunga egemonia degli Scaligeri, che dopo qualche mese sarebbero stati cacciati da Verona dalle truppe viscontee. Il signore di Verona Antonio della Scala trovò rifugio presso il suocero Guido III da Polenta, signore di Ravenna, mentre il resto della famiglia si sparse in Italia e in Germania. Il grande successo ottenuto si rivelò una vittoria di Pirro per i Carraresi, che concordarono la spartizione dei territori scaligeri con Gian Galeazzo Visconti. Quest'ultimo non mantenne le promesse e dopo la cacciata degli Scaligeri, oltre a conquistare Verona, tenne per sé anche Vicenza, che a quel tempo faceva parte della signoria veronese e che era stata promessa a Francesco I da Carrara.