Battaglie In Sintesi
21 agosto 1482
Figlio di Ferdinando I, nominato principe di Capua dall'avo Alfonso I, ebbe il titolo di duca di Calabria quando il padre divenne re (1458); acquistò, dalla giovinezza, fama di buon condottiero, combattendo contro Firenze nella guerra seguita alla congiura dei Pazzi (1478-79), contro i Turchi sbarcati a Otranto (1481), e nella cosiddetta "guerra di Ferrara" (1482-84), nel corso della quale fu nominato capitano generale della Lega contro i Veneziani. Con la sua rudezza intransigente s'inimicò il papa Innocenzo VIII, e fu non piccola causa della famosa congiura dei baroni; seppe però costringere il papa alla pace (1486), mentre si guadagnò l'ostilità dei baroni, di cui represse spietatamente la congiura. Sposo (1465) di Ippolita Marzia, figlia di Francesco Sforza duca di Milano, diede la figlia Isabella in moglie, anziché a Ludovico il Moro (secondo i propositi di Ferdinando I) a Gian Galeazzo Sforza; ciò portò a un'intromissione degli Aragonesi nelle vicende interne dello stato milanese, e alla richiesta di aiuto di Ludovico a Carlo VIII di Francia. Paventando l'urto francese, consapevole della propria impopolarità tra i sudditi, A. abdicò (23 gennaio 1495) a favore del figlio Ferdinando, detto Ferrandino. Ritiratosi in Sicilia, morì, mentre, secondo la tradizione, si accingeva ad entrare nell'Ordine olivetano.
Figlio illegittimo di Sigismondo Pandolfo e di Vannetta Toschi. Legittimato da papa Niccolò V, presto s'impegnò nella vita politica e militare, rivelandosi valente condottiero: missione (1457) contro Alfonso il Magnanimo di Napoli, in guerra col padre, e campagna (1460-63) contro Pio II. Alla morte dello zio Malatesta Novello, s'impadronì di Cesena, ma combattuto da Paolo II, dovette rinunciare alla signoria. Mortogli il padre (1468), con l'inganno s'impadronì di Rimini e, sbarazzatosi della matrigna Isotta e del fratellastro Sallustio, vi si stabilì. Il 25 giugno 1475 si celebrarono fastosamente le sue nozze con Elisabetta da Montefeltro, a lungo differite per la giovane età della sposa. Prese parte alla lega del 1482 in cui Venezia e papa Sisto IV avevano stretto un'alleanza contro il re di Napoli, il duca di Firenze, di Milano, e di Ferrara.
Col grado di generale dei veneti mosse verso il Ferrarese, saccheggiò alcuni castelli, assalì Bagnacavallo e Fossignano. Chiamato a Roma dal papa fu costretto a lasciare la guerra nel ferrarese per difendere il territorio della Chiesa, minacciato dal duca di Calabria.Condotto l'esercito a Castel Gandolfo, si accampò a Civita il 2 agosto 1482. A San Pietro in Formis, dopo sei ore di combattimento, nella famosa battaglia di Campomorto località tra Torre Astura e San Pietro in Formis presso Aprilia del 21 agosto 1482, costringe il duca di Calabria a fuggire su una galea, e facendo prigioniero il duca di Melfi ed altri condottieri.Inviati i prigionieri al papa, occupò Civita e altri castelli della zona e pose assedio a Cavi.
Ammalatosi, forse di malaria contratta nelle paludi della campagna romana come altri condottieri del suo esercito, fu condotto a Valmontone, poi a Roma per ordine del papa, che gli dimostrò tutta la sua benevolenza, e qui morì. Fu sepolto in San Pietro.
Rafforzato il sodalizio con i Montefeltro, tramite il matrimonio con Elisabetta, l'ambizioso Roberto Malatesta tornò a coltivare gli strategici rapporti con la S. Sede e, nel settembre 1476, fu nuovamente assoldato dal pontefice. In veste di capitano delle milizie pontificie impugnò le armi contro il cognato Carlo Fortebracci, marito della sorellastra Margherita, reo di aver palesato ambiziose mire espansionistiche. La militanza al servizio della Chiesa portò, in seguito, il Malatesta nella Toscana scossa, nella primavera del 1478, dall'assassinio di Giuliano de' Medici, vittima della congiura dei Pazzi. Ritardi nel pagamento del soldo e degli approvvigionamenti alle truppe, tuttavia, spinsero il Malatesta a rientrare anticipatamente a Rimini, rescindendo gli impegni presi con il pontefice. I rapporti con la S. Sede, d'altra parte, avevano già accusato una crisi con la nascita del vasto dominio signorile tra Imola e Faenza del quale era stato investito Girolamo Riario, nipote di Sisto IV. Il Malatesta passò, dunque, agli stipendi di Firenze, promotrice, con Venezia e Milano, di un'alleanza finalizzata a contrastare il pontefice e il re di Napoli. Nominato capitano generale della lega, il Malatesta, nel giugno 1479, riscosse una clamorosa vittoria a Magione, in prossimità di Perugia, mettendo in rotta l'esercito avversario. La pace siglata nella primavera del 1480 grazie alla mediazione della Serenissima, sollevò Rimini dall'interdetto e dalla scomunica a cui era stata condannata, in tempo di guerra, dal pontefice.
La fama di invincibilità valse al Malatesta un redditizio ingaggio conferitogli da Venezia, che lo nominò capitano dell'esercito con uno stipendio di 30.000 fiorini in tempo di pace e 60.000 in tempo di guerra. Congedatosi dalla condotta fiorentina, il Malatesta, nel febbraio del 1481, si presentò al Senato della Repubblica che lo accolse con ogni riguardo, ascrivendolo alla ristretta cerchia dei nobili veneti, onore trasmissibile a tutti i discendenti legittimi. Ligio agli ordini della Serenissima, il Malatesta si portò nel Forlivese in aiuto agli Ordelaffi, ribellatisi alla Chiesa. La campagna, tuttavia, subì un brusco arresto per il capovolgimento delle alleanze. Venezia e Sisto IV, infatti, deposero le ostilità per stringere una coalizione in previsione di un conflitto che li contrapponeva a Ferrara, Napoli, Milano, Firenze e Bologna. Mentre Federico da Montefeltro espletava il ruolo di capitano supremo della coalizione antipontificia, il Malatesta, supportato da Girolamo Riario, gonfaloniere della Chiesa, fu eletto generalissimo dei Veneziani. Inviato alla riconquista di Città di Castello, caduta nuovamente in mano a Niccolò Vitelli, il Malatesta fu raggiunto da un missiva del papa che lo convocava con urgenza a Roma, minacciata dalle truppe di Alfonso d'Aragona, duca di Calabria. Il Malatesta accorse prontamente e, il 23 luglio 1482, entrò trionfalmente nella città per poi lasciarla, dopo avere conferito con papa Sisto IV, il 15 agosto, irrobustito da 50 squadre di cavalli e 12.000 fanti. Mentre il Malatesta recuperava postazioni conquistando castelli e saccheggiando campagne, Alfonso di Calabria aveva stabilito il proprio accampamento a Campomorto, zona malsana delle paludi pontine.
Come accennato, i pontifici potevano schierare sul campo un numero di 50 squadre o lance di cavalleria (ricordiamo che la lancia è il termine che designa non solo il cavaliere con armatura pesante, a cui spettava di risolvere la battaglia, ma, accanto a lui, altre persone - per lo più tre, talora sei oppure otto - che con lui costituiscono la lancia.) con 12.000 fanti. I regi, come indicato nell'"Istoria del Regno di Napoli" potevano contare su un numero di combattenti pari a quello pontificio: «Erano pari di forza i due eserciti».
Accamampatosi a circa due miglia dall'avversario, Roberto decise, il 21 Agosto, che era giunto il momento per attaccare. In realtà il suo assalto non fu il classico impatto da cavalleria pesante. Le strategie ma soprattutto le evoluzioni tecniche, nel tardo medioevo, non lasciavano ormai molto più spazio a cariche risolutorie e definitive per le sorti di uno scontro. Per questo, il Malatesta fece giungere dalla città di Velletri un numero importante di balestrieri: «Malatesta, generale delle armi pontificie, allorché militava contro Alfonso Duca di Calabria [...], ordina che la Città spedisse nel suo campo 500 cittadini armati, e fra questi '250 Balestrieri».
La scelta, da parte del Malatesta, di puntare sui balestrieri fu decisiva nelle sorti dello scontro. In effetti nel primo pomeriggio (pare che lo scontro si sia svolto tra le 15 e le 21), iniziò a piovere e questa condizione climatica non solo rendeva quasi impossibile l'utilizzo di armi da fuoco, ma portava le cavallerie, già in difficoltà visto il territorio paludoso in cui si trovavano, in una condizione di semi-immobilità. Come raccontato da alcuni storici del XIX secolo: «siccome per la dirotta pioggia le artiglierie nemiche eransi rese inutili, somma strage de' nemici fecero i Balestrieri, essendovene in gran numero. Dal che scorgesi, che in quella stagione servendosi i combattenti della polveren avevano disusato le balestre».
A questo punto, partì l'attacco di fanteria pontificia nei confronti del campo fortificato di Alfonso. Ricordiamo che in quel periodo, le fanterie italiane (e quelle pontificie su tutte) avevano raggiunto un livello qualitativo molto alto, probabilmente non disciplinate come quelle svizzere, ma altrettanto efficaci soprattutto in situazioni tattiche come quella di Campomorto, in cui l'assalto ad una fortificazione campale in aquitrini paludosi non poteva certo essere portato avanti dalle cavallerie pesanti. Queste ultime entrarono in scena molto più avanti nello scontro, provocando il cedimento finale dell'armata regia e chiudendo le sorti dello scontro. Campomorto fu una delle battaglie più cruente di tutto il secolo e sul campo rimasero circa 1.200 uomini di cui almeno mille erano componenti dell'esercito di Alfonso.
Immediatamente dopo la vittoria sulle truppe di Alfonso, Roberto, all'apice della gloria, si ammalò, colpito con ogni probabilità da febbre malarica; trasportato a Roma, ricevette l'estrema unzione dalle mani del pontefice. Sul letto di morte dettò a Raimondo Malatesta le proprie volontà testamentarie affidando al figlio Pandolfo la signoria, affiancato dalla madre e da un consiglio di tutela. Il Malatesta morì a Roma il 10 sett. 1482 e fu tumulato in S. Pietro, onorato da un monumento funebre che ben si confaceva all'epiteto di Magnifico.
La sua morte improvvisa tolse all'Italia il suo probabile dominatore per il XV secolo. La fama d'imbattibilità militare, conseguita grazie ad una serie di successi sul campo, lo aveva presentato come l'avversario più temibile per tutti i regni e le signorie d'Italia, inoltre, il tacito appoggio papale gli toglieva dal campo il più pericoloso degli avversari nella scena politica italica. Potendo così escludere interventi "stranieri" contro di lui (e grazie anche alla vittoria di Campomorto), Roberto non avrebbe più avuto seri opponenti nella sua ascesa al potere su tutta la penisola. Ma lo stesso successo nelle paludi pontine, che poteva segnare la sua definitiva ascesa, gli costò la vita e con essa la fine delle sue ambizioni.
Ragionamento de Mons. Paolo Giovio sopra i motti, et desegni d'arme (Paolo Giovio 1556)
Particolare, fu lo stendardo portato da Alfonso a Campomorto: «e fu, che approssimandosi sopra la guerra il giorno della battaglia di Campomorto, sopra Velletri, per esortare i suoi capitani e soldati, [Alfonso] dipinse uno stendardo con tre diademe di fanti insieme, con un breve d'una parola in mezzo: VALER, significando che quel giorno era da mostrare il valor sopra tutti gli altri».