Battaglie In Sintesi
484 a.C.
Padre di Tiberio Emilio Mamercino, console nel 470 e nel 467 a.C., Lucio Emilio apparteneva alla nobile gens Aemilia, una delle più antiche e conosciute gens patrizie dell'antica Roma. È il più vecchio rappresentante conosciuto della gens Aemilia, e il primo membro della sua gens a conseguire il titolo di console. Nel 484 a.C. Lucio Emilio fu eletto console insieme a Cesone Fabio Vibulano, la cui elezione aveva reso furente la plebe, determinando lo scoppio di disordini. Ma durante il loro consolato le rivolte interne vennero smorzate per lo scoppio della guerra contro i Volsci che, ritenendo che i dissidi interni avrebbero indebolito Roma e ansiosi di vendicare precedenti sconfitte, erano pronti alla guerra; perciò divisero in due le proprie forze, attaccando con un esercito i Latini e gli Ernici, e lasciando l'altro a difesa delle proprie terre. A Cesone Fabio toccò in sorte la campagna per la difesa degli alleati, mentre a Lucio Emilio quella nel territorio dei Volsci. Lo scontro ebbe luogo davanti la città di Anzio, dove l'esercito romano subì una pesantissima sconfitta, che li costrinse a ritirare le forze superstiti nei pressi di Longula. Qui l'esercito guidato da Lucio, riuscì a contenere un primo attacco dei Volsci, e dopo alcuni giorni, ottenuti rinforzi di uomini dall'esercito guidato da Cesone Fabio, sconfisse i Volsci. Nonostante questa vittoria, Lucio Emilio a causa della sconfitta subita ad Anzio, decise di non rientrare in città, quando si tennero i comitia. Tito Livio invece riporta come Lucio Emilio, cui fu affidato il comando della campagna contro Volsci ed Equi, conseguì una brillante vittoria, infliggendo al nemico perdite più rilevanti durante la ritirata che durante la battaglia stessa, mentre non riferisce alcuna azione militare all'altro console. In quello stesso anno venne consacrato ai Dioscuri un tempio promesso loro dal dittatore Aulo Postumio durante lo svolgimento della Battaglia del lago Regillo, la cui ricorrenza venne fissata alle idi di quintile (15 luglio). Nel 478 a.C. divenne console per la seconda volta insieme a Gaio Servilio Strutto Ahala. Poiché quell'anno i Volsci e gli Equi progettavano di invadere il territorio romano, pensando di sfruttare l'impegno richiesto a Roma per fronteggiare Veio, il Senato inviò Gaio Servilio contro i Volsci e Lucio Emilio contro i Veienti, affidando al proconsole Servio Furio il compito di contrastare gli Equi, permettendo poi a Cesone Fabio Vibulano di portare rinforzi, con la carica di proconsole, al fratello Marco Fabio Vibulano, impegnato nella contesa privata tra Fabii e Veio.
Mentre il console Gaio Servilio veniva costretto ad un guerra di posizione contro i Volsci, e il proconsole Servio Furio sbaragliava in breve tempo gli Equi, Lucio Emilio portò rapidamente battaglia ai Veienti, che presi di sorpresa, ed incalzati dalla cavalleria romana, non riuscirono a contrastarlo in campo aperto. Tito Livio colloca questo scontro nel campo sotto la fortificazione costruita sul fiume Cremara da Marco Fabio, l'anno prima, ed il campo etrusco a Saxa Rubra. I Veienti allora chiesero la pace al Senato di Roma, che demandò Lucio Emilio a stabilire e condizioni di pace, che non furono per niente gravose per i Veienti. La decisione del console, indispettì i Senatori, che dalla pace si aspettavano vantaggi territoriali, tanto che non concessero a Lucio Emilio l'onore del trionfo, ed anzi gli chiesero di portare aiuto all'altro console Gaio Servilio. Lucio Emilio, per ripicca nei confronti del Senato, non aderì a questa richiesta, e sciolse il proprio esercito. Fu console per la terza volta nel 473 a.C. con Vopisco Giulio Iullo, mentre Tito Livio lo indica console insieme a Opitero Verginio Tricosto Esquilino. In assenza di azioni militari da intraprendere, sotto il loro mandato i consoli dovettero far fronte ad esigenze sociali e alla domanda di assegnazione di terre pubbliche per i cittadini bisognosi. Per la mancata assegnazione delle terre pubbliche, il tribuno della plebe Gneo Genucio citò in consoli dell'anno precedente, Aulo Manlio Vulsone e Lucio Furio Medullino. Ma il giorno fissato per lo svolgimento del processo il tribuno fu trovato morto in casa, senza che sul cadavere vi fossero segno evidenti di violenza; la sua assenza impedì lo svolgimento del processo, che fu di fatto annullato. I due consoli poi indissero una leva militare, ma quando Publilio Volerone si rifiutò decisamente di essere arruolato come soldato semplice, rivendicando di essere stato centurione, scoppiarono dei disordini. I littori furono malmenati e i consoli dovettero rifugiarsi all'interno della Curia, rinunciando poi alla leva e ad ogni altra azione repressiva. Le loro lamentele dell'episodio, presentate in Senato dopo la conclusione dei disordini, non ebbero seguito, volendo i senatori evitare lo scontro con la plebe. Nel 470 a.C., durante il consolato del figlio Tiberio, sostenne la legge agraria, manifestando ostilità contro quel Senato che anni prima gli aveva negato il trionfo.
Adunque negli anni dugento settanta dalla fondazione di Roma essendo Nicodemo l'arconte di Atene divennero consoli Lucio Emilio figliuolo di Mamerco, e Fabio Cesone figliuolo di Cesone. Ora succedette loro, secondo il desiderio di non essere perturbati da sedizioni civili; per essere la repubblica investita di fuori. E le cessazioni delle guerre esterne sogliono rieccitare le nazionali, e dimestiche tra' Greci, tra' barbari, e dovunque, principalmente tra i popoli che vivono fra le armi e i travagli per amore della libertà e del comando; perché gli animi avvezzi a bramare ognora più, ridotti senza gli esercizi consueti difficilmente si contengono. Su tal vista comandanti savissimi fomentano sempre alcuna discordia cogli esteri; giudicando migliori leguerre nelle regioni altrui che nella propria. Allora secondo il genio appunto de' consoli, occorsero come ho detto, le insurrezioni de' sudditi. lmperocché li Volsci sia che fidassero ne'moti interni di Roma, contendendo il popolo co' magistrati; sia che fremessero per la infamia della precedente disfatta, ricevuta senza combattere; sia che insuperbissero per le forze loro che eran grandissime, sia che seguissero tutte insieme queste ragioni; aveano deliberato far guerra ai Romani. E raccogliendo i giovani da tutte le città marciarono con parte dell'esercito contro le città de' Latini e degli Ernici, e coll'altra che era la più numerosa e più forte teneansi pronti a ribattere chiunque si avanzasse contro le loro. I Romani ciò saputo deliberarono dividere l'armata in due corpi, e guardare con uno le terre degli Ernici e de' Latini , e correre coll'altro a depredare quelle dei Volsci. Avendo i consoli, com'è loro costume, tirato a sorte le milizie; si arrivo' al punto che Fabio Cesone assunse il comando di quelle che andavano a soccorrere gli alleati, mentre Lucio marciò colle altre contro la città degli Anziati. Avvicinatosene ai confini, e vedutevi le armi nemiche si accampò su di un colle di fronte ad esse. Ma uscendo nemici ne' giorni consecutivi più volte dal campo, e sfidandoli alla battaglia, egli credette avere il buon punto, e cavò le sue schiere. Ed ammonitele prima del cimento; alfine diede il segnale d'attacco e le avventò contro il nemico.
Bentosto i soldati alzato il consueto grido di battaglia pugnarono folti, a schiere e coorti. Esaurite poi le lance, i dardi, ed ogni arma da tiro, si scagliarono, roteando le spade, gli uni su gli altri con ardimento e desiderio eguale di misurarsi. Era in ambedue similissima la maniera di combattere: né maggiore tra' Romani la saviezza e la sperienza che gli aveva resi già più volte vincitori, né maggiore la costanza e la sofferenza per l'esercizio di tante battaglie; ma le stesse doti brillavano pure tra i nemici fin da quando fu duce loro Marcio, famosissimo duce romano. Adunque gli uni resistevano agli altri senza cedere il posto preso in principio. Ma con lo scorrere della battaglia, i Volsci a poco a poco si ritirarono, schierati, e con ordine, tenendo fronte ai Romani. Tendeva, quel movimento, a dividere le milizie di questi e combatterle da luogo elevato. Sul fronte opposto, i Romani, credendo che questi principiassero la fuga, tennero anch'essi, passo-passo, un buon ordine dietro coloro che si ritiravano. Ma poiché videro che a rilancio correvano agli alloggiamenti anch'essi rapidissimi, in disordine li inseguirono. Intanto, le centurie estreme e la retroguardia, ormai praticamente vittoriose sui nemici dirimpettai, spogliavano i morti, e davansi a predare la regione. Vedendo ciò, li Volsci che facevano credere d'essere in fuga, giunti appena alle trincee, voltarono faccia e si contrapposero ai romani così come quelli che erano negli alloggiamenti, spalancate le porte, accorsero numerosi da più parti. Or qui cambiarono le vicende della battaglia: chi perseguitava, ora fugge, e chi fuggiva, ora perseguita. Perirono, com'è naturale, molti bravi Romani incalzati giù pel declivio, e furono circondati, essendo pochi, dai molti. Non dissimile sorte incontrarono quanti eransi dati a spogliare e predare, impediti di retrocedere schierati e con ordine; imperocché sopraffatti ancor essi da' nemici restavano trucidati o prigionieri. Quanti però di questi o di quelli respinti giù pel monte fuggivano in salvo; soccorsi, benché tardi, dalla cavalleria, tornavano alfine ai propri alloggiamenti: e parve che a non essere interamente distrutti giovasse loro una pioggia dirottissima dal cielo, ed un buio qual formasi per nebbia profondissima; perocchè non potendo i nemici vedere di più lontano, infastidironsi a seguitarli oltre. La notte appresso il console movendo l'armata, la ritirò, in buon ordine, cosicché l'inimico non lo comprendesse. Al tornar della sera mise il campo presso la città di Longula scegliendo un'altura idonea, onde respingerne gli assalitori. E qui fermatosi curava i feriti, e rianimava gli afflitti dalla vergogna della disfatta impensata.
Tale era lo stato dei Romani. Li Volsci poi, come al nascere del giorno conobbero che quelli eransi diloggiati, portarono più da vicino il campo loro. Quindi, avendo spogliato i cadaveri de' nemici, raccolto i semivivi che davano speranza di guarigione e seppellito i loro compagni estinti, rientrarono nella città di Anzio. Qui cantando inni e porgendo in ogni tempio sagrifizi per la vittoria, si diedero ne' giorni seguenti ai convitti e piaceri. E se teneansi a quella vittoria, non intraprendevano altra cosa, la guerra avrebbe avuto per essi un esito fortunato. Imperocché li Romani non aveano cuore di uscire dagli alloggiamenti per combattere; anzi desideravano di lasciare le terre nemiche, anteponéndo una fuga ingloriosa ad una morte manifesta. Infiammati però da speranze maggiori, perderono la gloria ancora della prima vittoria. Udendo dagli esploratori e dai disertori che i Romani salvi eran pochi, e per lo più feriti, ne concepirono disprezzo grandissimo, ed impugnate le armi marciaron su di loro. Li seguitarono senza l'armi molti della città per assistere alla battaglia, e per fare, insieme ai guerrieri, prede e guadagni. Ma quando giunti all'altura circondarono gli alloggiamenti, piombarono su di essi prima i cavalieri Romani, appiedati per la condizione del luogo, e poi i triarii, schieratisi strettissimi. Sono questi i veterani a' quali si dà la guardia degli alloggiamenti, se le milizie escono per combattere, e colori i quali, per mancanza di altri ripari, si ha l'estremo indispensabile ricorso quando avviene strage funesta de' giovani. I Volsci ne sostennero l'irruzione, e pugnarono per molto tempo con valore. Ma poi, non favoriti dalla natura del sito, se ne rimossero; e fatto ai nemici danno tenue, non degno di memoria, mentre essi contarono grandi perdite, calarono infine alla pianura. Messi quivi gli alloggiamenti, schierarono nei giorni appresso l'armata, e provocarono, senza successo, i Romani alla battaglia. I Volsci vedendo ciò li spregiarono: e convocate le milizie dalle loro città; si apparecchiarono per espugnarne le trincee con la moltitudine. E ben erano per fare alcuna cosa di grande riducendo per patti e colla forza il console e i suoi che già penuriavano. Ma giunse, prima di loro, il Soccorso Romano, e cosi' i Volsci furono traversati da compiere con bellissimo fine la guerra. Imperocchè Fabio Cesone, l'altro console, sapendo a quali termini fosse l'armata che avea combattuto coi Volsci, deliberò di marciare con quanto avea di prestezza contro quelli che l'assediavano. Ma visto che non erano a lui propizj i segni degli auguri e de' sagrifizj e gl'Iddj lo ritraevano dall'andare, egli non andò, ma scelse e spedì le migliori sue schiere al compagno. Le quali per strade occulte con viaggio in gran parte notturno s'intromisero taciti agli alloggiamenti, all'insaputa dei nemici, ma con grande incoraggimento di Emilio. Confidando, i Volsci, nella moltitudine ivi accorsa dei loro, ed imbaldanziti dal non uscire dei Romani a combattere, ascesero strettissimi sul monte. I Romani lasciarono che i Volsci ascendessero con calma, attendendo che alla lunga essi si affaticassero intorno agli steccati: ma si' tosto fu dato il segno della battaglia, che atterrato in più parti il loro stesso vallo, sboccaron su loro. Usavano quei che vennero alle mani, la spada: ma gli altri dalle trincee tempestavano gli assalitori con sassi, e strali, e lance: non un colpo cadeva in fallo; affollati, com'erano i Volsci, in tanto picciolo luogo. Rispinti da quell'altura, e perdutivi molti de' loro, si abbandonarono i Volsci alla fuga, salvandosi a stento nei propri alloggiamenti. I Romani come già rassicurati scesero nelle loro campagne, e ne ebbero frumento ed ogni cosa presente nelle trincee.
Con la battaglia di Longula, i romani riuscirono a rifarsi della sconfitta patita ad Anzio, ma nonostante questo, proprio per le perdite subite ad Anzio, il console Lucio Emilio, preferì non presentarsi in città per presdiere ai comitia.