Ars Bellica

Guerra di Troia

Nella trasposizione poetica dell'Iliade, il primo scontro tra la civiltà orientale e quella occidentale.

TROIA

La storia della città

Nella regione nord-occidentale dell'asia minore, la troade, attorno al 1200 a.C. si stanziò un popolo di origine indoeuropea, i Frigi, che assoggettarono tutte le città più importanti della regione Ilio (antico nome di Troia) compresa. Approfittando della debolezza dello stato ittita, la città di Troia formò una lega, che per motivi commerciali era vista con molta preoccupazione dagli achei (nome con cui Omero distingueva gli antichi greci). Furono questi i motivi che mossero l'attacco ellenico alla città più importante della lega rivale, scatenando un conflitto che coinvolse tutti i regni achei del mondo greco.
Secondo la tradizione greca la distruzione della città sarebbe avvenuta nel 1184 a.C., data abbastanza fedele alla realtà, visto che uno degli strati trovati dall'archeologo tedesco Schliemann, segnerebbe la distruzione della città per incendio in una data rintracciabile tra il 1220 a.C. e il 1200a.C..
Anche Alessandro Magno, che si considerava discendente di Achille in persona, visitò Troia nel 334 a.C. e vi eseguì sacrifici rituali. La città nuovamente distrutta nel 85-86 a.C. per aver parteggiato per Silla, fu ricostruita da Cesare attorno al 47 a.C. e da Augusto che teneva a collegare la sua stirpe con quella del troiano Enea.
L'ultimo caso in cui si parlò di Troia come una città viva risale al IV secolo d.C. quando fu innalzato un imponente tempio alla dea Atena dall'imperatore Giuliano.

La leggenda

La conquista della città, secondo la leggenda dell'Iliade omerica, sembra sia avvenuta da parte di una confederazione di principi greci, guidata dal re di Micene Agamennone.
Secondo la leggenda al banchetto per le nozze tra Peleo e Teti (i genitori di Achille) tutti gli dei dell'Olimpo erano stati invitati, tranne Eride, la dea della discordia, che per vendetta lanciò in mezzo alla sala del banchetto una mela d'oro su cui c'era scritto "alla più bella tra le dee".
Era, Afrodite ed Atena rivendicarono il trofeo, e Zeus nell'incapacità di scegliere decise che tutte e tre dovessero andare sulla terra per sottoporsi al giudizio di Paride, figlio del re di Troia Priamo.
Il giovane Paride assegnò la mela d'oro alla dea Afrodite, visto che questa gli aveva promesso in dono Elena, la moglie di Menelao re di Sparta, famosa per la sua bellezza.
In seguito Paride fu inviato a Sparta dal padre come ambasciatore e conosciuta Elena nacque subito l'amore. La fuga dei due amanti causò l'ira di Menelao. Agamennone, fratello del re spartano, volle vendicare l'offesa subita, fece radunare un grande numero di navi per far vela verso le coste di Troia.
Dopo un lungo assedio la città fu distrutta e data completamente alle fiamme.

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Omero e l'Iliade

«Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille.
»

OMERO, Libro I, 1-9 (trad. Vincenzo Monti)

Omero, il poeta a cui la tradizione attribuisce la stesura dell'Iliade e dell'Odissea, è una figura avvolta dal mistero; infatti ben sette città si contendevano l'onore di avergli dato i natali. In realtà la critica ha dimostrato che i poemi cosiddetti omerici, nella versione scritta che è giunta fino a noi, sono il risultato della stratificazione su nuclei tematici antichissimi, di brani di epoche diverse tramandati a voce dagli aedi.
Non per nulla essi contengono elementi di epoca Micenea accanto ad altri di epoche più "moderne e la lingua stessa è un miscuglio di dialetti di epoche e aree molto lontane nello spazio e nel tempo. Come prova della tradizione orale dei poemi è l'uso delle formule (ad es: il piè veloce Achille, Atena dagli occhi azzurri, ecc.) talvolta anche estese che costituiscono puntelli mnemonici per l'improvvisazione dell'Aedo.

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Iliade e realtà storica

L'Iliade, di almeno cinque secoli posteriore ai fatti, non canta tutta la guerra, ma solo un episodio che si svolge durante l'ultimo anno di assedio. Essa fa parte di una serie di poemi che narravano dell'intera vicenda, della distruzione della città (Ilioù Persis) e del ritorno degli eroi alle loro terre (Nostoì).
L'opera di Omero non è certo un racconto storico, bensì traveste episodi realmente accaduti con il mito, trasfigurandoli e ingigantendoli nella poesia. Difatti né il numero degli anni di guerra, né la quantità dei guerrieri corrispondono a realtà. Dal racconto sugli schieramenti fornitoci dal poeta nel "catalogo delle navi" si sarebbero fronteggiati 120000 Achei e 50000 tra troiani e loro alleati, quando invece le forze in campo non dovevano superare le poche migliaia di uomini.
Anche le origini della spedizione sono state mutate dal mito: con ogni probabilità la guerra scaturì dall'esigenza micenea di impadronirsi delle rotte che portavano il grano dal Ponto (l'attuale parte dell'Ucraina confinante col Mar Nero), scontrandosi con gli interessi dei troiani che già avevano sotto il loro controllo il Bosforo e i Dardanelli.

troia1

Al di là della bellezza del mito, quindi, l'Iliade testimonia che l'Egeo assistette ad uno scontro terribile tra due culture: quella occidentale (micenea) e quella orientale (troiana) per il predominio economico su un'area di vitale importanza. Il risultato di questa fu che una civiltà evoluta e fiorente, quella troiana, fu distrutta mentre l'altra, la micenea, ne fu talmente indebolita da subire quasi passivamente pochi decenni dopo l'invasione dei Dori.
Della realtà storica di questo scontro troviamo testimonianza in una tavoletta Ittita attribuita ad Hattusil II (1265.1235 a.C.) che parla di un potente re acheo che combatteva sul suolo asiatico nella terra del fiume Seha (la Troade appunto).
Ma più delle scarne evidenze archeologiche convince il fatto che, dopo la caduta di Troia, con ciclica ricorrenza civiltà diverse si affronteranno per il controllo sui crocevia commerciali dell'Egeo orientale. Solo con la circumnavigazione dell'Africa gli interessi commerciali su questa zona si ridurranno.
In conclusione la "Guerra di Troia" rappresenta il primo scontro tra Europa e Asia, che si riproporrà in epoche e con civiltà diverse, ma che vedrà sempre lo stesso vincitore, l'occidente.

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Curiosità

Studi recenti hanno messo in luce alcune coincidenze tra l'Atlantide descritta da Platone, mitica terra perduta tra le fiamme generate da un cataclisma, e la Troia di Omero. Infatti fonti termali erano presenti sia a Troia che nel "continente scomparso", così come altri elementi in  comune erano la posizione vicino al mare, i due fiumi, le monumentali porte Scee, l'incendio finale ed altro ancora.
Si tratta di pochi indizi e circostanze, tuttavia tali da generare un ipotesi di lavoro non del tutto infondata, che, se dimostrata, darebbe nuovo impulso a quella teoria secondo cui i "popoli del mare", apparsi nella scena mediterranea in quel periodo altro non sarebbero che i profughi della Troade e della Lidia, in cerca di nuove terre. Giunti in Egitto, essi avrebbero lasciato traccia della loro origine su una stele. La narrazione contenuta nella stessa stele, sarebbe poi giunta a Platone che l'ha tradotta e, ritenendola molto più antica (fraintendimento comune all'epoca con qualsiasi cosa venisse dall'Egitto), avrebbe inconsapevolmente "copiato" e riproposto Troia con le sembianze di Atlantide.

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La Guerra nel 2° millennio a.C.

Alla meta del XIII secolo a.C., periodo in cui si data con una certa approssimazione l'assedio di Ilo, l'arte della guerra stava muovendo i primi passi. Gli eserciti non possedevano tattiche codificate, nè macchine d'assedio, non avevano ancora assunto il classico schieramento con un centro e due ali, e i carri dei re e dei guerrieri più illustri non erano usati coerentemente come massa di manovra o di sfondamento, combattendo confusi con le fanterie. La condotta di guerra, appare quindi nell'Iliade molto più primitiva del livello allora raggiunto da Ittiti e Assiri, dove i carri da guerra erano impegnati in massa come forza d'urto e di manovra, mentre le fanterie erano ben organizzate in divisioni.
Inoltre ci troviamo allo scadere dell'età del bronzo, e il ferro è ancora poco conosciuto o comunque scarsamente usato, poiché di costo eccezionale vista la sua rarità. Le armi descritte da Omero sono, escluse le rarissime volte che lascia spazio ad ipotesi (le armi divine), tutte di bronzo e quindi pesanti, poco pratiche e per nulla maneggevoli.
Un particolare abbastanza interessante da notare nel poema è l'assenza della cavalleria. Il cavallo, introdotto prima in medio oriente e in seguito in occidente e in Egitto, era usato soltanto come mezzo di locomozione del carro da guerra, in greco hàrma. Il carro di tipo miceneo, piuttosto fragile, si componeva di tre parti: un piccolo pianale di legno, un parapetto di graticcio o di cuoio, due ruote leggere a quattro raggi in legno di olmo con il cerchio di bronzo ed un timone che collegava il veicolo al giogo dei cavalli. L'equipaggio del carro era costituito dal guerriero trasportato, hippòdamos, e dall'auriga-scudiero, harmelàtes. Quest'ultimo teneva le redini e dirigeva il veicolo, mentre l'altro poteva combattere anche a bordo maneggiando la lancia, anche se spesso scendeva dal carro per misurarsi con avversari degni del suo valore in duelli (spesso tra aristocratici) che potevano decidere l'intera battaglia. L'uso del carro come abbiamo detto era del tutto individuale e lasciato all'iniziativa del nobile che lo montava, senza alcuna coordinazione con la fanteria o gli altri carri.
L'unica differenza che Omero rileva tra gli schieramenti di Achei e Troiani, consiste nel fatto che i primi avanzavano in fitte schiere (la cosiddetta "falange"), mentre i secondi in massa, ma disordinati e confusi. Non sappiamo però se questa notizia sia dovuta ad una sorta di "nazionalismo" dell'autore, teso a dimostrare la superiore disciplina dei Micenei rispetto a quella degli Asiatici, o se realmente rispondesse a verità.
Certo è che nei secoli a cui è riferita l'Iliade erano già presenti le prime milizie oplitiche1 nelle città della Grecia. Queste si ordinavano in battaglia per ranghi serrati, anche se meno densi che nella successiva falange, e muovevano silenziosamente, per la necessità di sentire gli ordini di manovra degli ufficiali e per tenere il passo. Poche notizie storiche invece affiorano sui Mirmidoni il leggendario corpo scelto acheo, comandato personalmente dal valoroso Achille.

1Gli opliti erano i soldati (unici nel loro esercito) forniti di armatura pesante.

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Eserciti e Guerrieri

Gli Achei

L'esercito acheo era probabilmente condotto secondo l'uso di quello miceneo: a capo di ogni contingente della spedizione vi era il wànax (sovrano) locale con i suoi lawòi che rappresentavano la nobiltà guerriera e fondiaria del paese di provenienza e comandavano direttamente i guerrieri che avevano condotto con sé.
Non si trattava quindi di una struttura compatta né di un esercito disciplinato e inquadrato secondo una precisa catena di comando, ma di un coacervo di schiere che seguivano in battaglia il loro signore secondo un vincolo di fedeltà. Ne è un esempio il celebre episodio dell'ira di Achille: ritiratosi il suo re dalla guerra, tutto il contingente dei Mirmidoni lo segue e si astiene dal combattere.


I Troiani

L'esercito troiano, al pari di quello Acheo, era costituito da più popoli, ciascuno sotto il comando di un nobile. In alcuni passi dell'Iliade però troviamo una differenza di non poco conto tra i due eserciti: alcuni dei contingenti comandati dai Troiani, sembrano essere costituiti da veri e propri mercenari "stagionali", con "contratto a termine".


Le armi

Le armi dei combattenti dovevano essere di tipo assai difforme e vario, considerando il gran numero di popoli partecipanti alla guerra.
Solo i nobili ed i re potevano equipaggiarsi con un'armatura completa di bronzo. La maggior parte dei combattenti indossava probabilmente dei corsaletti di pelle o di lino, linothòrakes, schinieri di feltro o di bronzo, knemìdes, ed elmi di cuoio (raramente di bronzo), kòrytes, a calotta, più o meno lavorati e rinforzati con dei dischetti di metallo o con zanne di cinghiale. Quelli più raffinati potevano essere dotati di paragnatidi1 e resi più imponenti da una cresta di crini di cavallo. Secondo Omero alcuni popoli, come i Traci alleati dei Toiani, non portavano alcun elmo e si distinguevano per una paricolare acconciatura dei capelli, legati a ciuffo sulla sommità del capo.
Gli scudi, sakèa, potevano essere di diverse fogge: bilobati, a torre, rotondi o lunati. Erano costituiti da un'intelaiatura di cuoio cotto nell'allume, rinforzata da borchie e parti di bronzo. Forse esistevano scudi totalmente metallici, ma dato il gran peso del bronzo, dovevano essere di dimensioni molto ridotte. E' testimoniato l'uso di impreziosire gli scudi con placche d'argento e d'oro, che non avevano altra funzione se non quella di dimostrare l'opulenza e la ricchezza di chi ci combatteva.
L' arma di offesa preferita appare essere la lancia, ènchos, dòry, che veniva usata nello scontro ravvicinato o scagliata come fosse un giavellotto. La spada, xìphos, phàsganon, era di diverse forme a seconda dei popoli. Gli Achei usavano una lama dritta di diverse lunghezze e rastremata verso l'impugnatura; tra gli Asiatici doveva essere comune un modello a lama larga e l'ascia bipenne.
Le armi da tiro erano gli archi, tòxa, e le fionde, sphendònai, usati da entrambi gli eserciti ma con netta prevalenza da parte dei Troiani. Particolarmente apprezzati erano gli archi cretesi, costituiti da due corna animali tenute insieme da un anello di bronzo. Negli scavi di Ilio sono state trovate numerose sfere di terracotta, probabili proiettili delle fionde, usate insieme ai comuni ciottoli rotondeggianti dei fiumi. Il fatto che Omero attribuisca ai Troiani uno schieramento in "ordine sparso" è giustificato proprio dalla prevalenza degli arcieri nelle loro schiere, in quanto l'uso dell'arco richiedeva un maggiore spazio tra i ranghi dei combattenti.

1I paragnatidi sono protezioni laterali del viso.

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Achille

Un' armatura divina

I protagonisti degli antichi miti Greci sono dotati di armi e armature dai poteri divini: le armi di Achille, ad esempio, erano state offerte all'eroe dal padre Peleo, il quale a sua volta le aveva ricevute in dono da Atena in occasione delle sue nozze con la ninfa Teti. Patroclo ottenute le armi stesse da Achille, che aveva disertato il campo di battaglia per vendicarsi di Agamennone, ne viene poi spogliato dal dio Apollo, che consente così a Ettore (eroe Troiano) di colpire a morte il giovane greco e di impadronirsi (e vestirsi) dell'armatura divina. Achille distrutto per la morte dell'amico chiede soccorso alla madre che, grazie alla fucina di Efesto, lo riveste di armi ancora più splendenti. La vista delle sue vecchie armi donate ad un amico (lo stesso Patroclo) fanno crescere in lui la rabbia e accelerano così la morte di Ettore, il cui corpo verrà poi straziato di fronte alle mura di Troia dallo stesso Achille. Dietro la "divinità delle armi di Achille si cela un fatto di non poco conto infatti, con tutta probabilità, le sue armi erano tra le prime costruite in ferro.

Achille lega il cadavere di Ettore a un carro
Achille lega il cadavere di Ettore a un carro per trascinarlo intorno alle mura di troia. Vaso greco VI sec. a.C.

Il tallone d'Achille

La leggenda dell'eroe greco è inevitabilmente legata al suo punto debole il tallone. Tutto cominciò al momento del banchetto nunziale dei suoi genitori quando la Discordia gettò il pomo causa di tanti mali. La madre dell'eroe (Teti), per renderlo invulnerabile, lo immerse nella palude dello Stige, ma tenendolo per un calcagno la sua invulnerabilità non fu totale. Allo scoppio della guerra la madre lo rifugiò alla corte di Nicomede, sotto falsa identità femminile con il nome di Pirra; ma l'astuto Ulisse scoprì l'inganno e Achille fu costretto a partire per la battaglia. Nel frattempo Agamennone, comandante della spedizione, sotto la grande pressione di Apollo restituì a Crise (sacerdotessa dello stesso Apollo) sua figlia Criseide, che il re greco teneva in schiavitù. Privato della ragazza, Agamennone prese al suo fianco la schiava di Achille, Briseide, che adirato per questo "furto" si rifiutò di combattere. Ma gli eventi gli furono contrari: il suo amico Patroclo (a cui aveva donato le sue armi) morì per mano di Ettore e così fu costretto a scendere ancora una volta sul campo di battaglia.
La sua vittoria contro Ettore quindi è solo un episodio felice della vita di un eroe perseguitato dalla sfortuna. Ne è la dimostrazione l'episodio della sua morte: una freccia scagliata proprio da colui che aveva scatenato la guerra, Paride, lo colpirà nel suo unico punto debole, il tallone, ferendolo a morte e concludendo così la storia del prode Achille.

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Gli anni della guerra

La battaglia, secondo la descrizione lasciataci da Omero, era interpretata come una sfida tra i re o gli eroi delle due fazioni, quindi le truppe di soldati semplici avevano un ruolo del tutto marginale. Le sorti della battaglia (ne sono esempio Patroclo, Achille e Ettore) erano nelle mani dei guerrieri di alto rango, a cui Omero aggiunge talvolta l'aiuto delle divinità. Di sicuro era un grande vanto spogliare il nemico ucciso nel duello delle sue armi, e portarne il cadavere dietro le proprie linee. Ma accanto all'onore della vittoria, vi era l'orrore della brutalità alla quale i corpi dei nemici venivano sottoposti. Non sono rari i casi di mutilazione di corpi (come scrive lo stesso Omero) e spesso, al termine delle battaglie, le salme dei vincitori erano oggetto di onoranze funebri mentre quelle degli sconfitti venivano lasciate preda di animali selvatici.
Un fatto sicuro è che parte dell'Iliade non convince del tutto. Da come ne parla Omero, lo scontro/battaglia decisiva era stata l'ultima di una campagna durata ben dieci anni. Ma le battaglie, per come erano intese in epoca antica, erano mischie furibonde in cui i rapporti di sangue erano più importanti dell'organizzazione e della disciplina, destinate quindi a risolversi con enormi perdite da tutti i fronti combattenti. Quindi risulta  molto improbabile la tesi dei dieci anni di battaglie.

Sarebbe sicuramente più logico affermare che i dieci anni siano passati tra imboscate, scorrerie, assedi e stratagemmi politici sviluppati in maniera ciclica nell'arco di più anni (in questo caso dieci). Secondo questa tesi, l'aggressore greco armava navi e truppe per una spedizione, quindi, una volta raggiunta la meta innalzava accampamenti e fortificazioni provvisorie sempre vicini alla foce dei fiumi assicurandosi acqua a volontà. A questo punto gli invasori si potevano dedicare ad altri "interessi": le rapide scorrerie con le quali si procuravano mandrie, schiavi e scorte di sementi da utilizzare per l'inverno; i saccheggi navali che permettevano di rifornirsi delle merci trasportate per mare; ed infine con astute infiltrazioni si garantivano informazioni e talvolta anche delle alleanze. Quando la posizione era divenuta abbastanza potente e si erano ottenute abbastanza informazioni sul nemico si potevano inviare i bottini alla madrepatria e ricevere gli adeguati rinforzi per tentare un attacco.
In considerazione di questa "tattica d'assedio", l'elemento locale avrebbe dovuto reagire con grande prontezza e affrontare da subito il nemico, prima che acquistasse troppo potere. In caso contrario l'aggressore, nel volgere di pochi anni, avrebbe aumentato il suo potere militare, economico e politico tanto da soppiantare i locali costringendoli in ristretti spazi fino a sottometterlo del tutto. La reazione Troiana non fu certo dolce: il disfattismo e la delusione erano emersi più e più volte nelle truppe e nei comandanti greci; tanto che gli Achei sarebbero tornati in patria se non fosse stato per l'astuto intervento di Ulisse con la sua formidabile idea del cavallo.

In proposito a quest'ultimo argomento cosa fosse realmente il famoso cavallo di Troia (e che cosa rappresentasse realmente Elena) rimane un mistero a cui non si è ancora data una risposta.

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Il campo di battaglia

La piana descritta da Omero è solcata da due fiumi, il Simoenta e lo Scamandro. I due fiumi in oggetto si riuniscono e sboccano quindi nel mare alla destra dell'accampamento greco.
Il campo greco è protetto da un fossato e da un muro; mentre le navi sono tirate in secco, ordinate su tre linee e distaccate dalle tende. La tenda di Achille è situata all'estrema sinistra del campo greco, nel punto più lontano dalla foce del fiume e quindi meno protetto dal terreno.
Troia è situata in lontananza. Ai suoi fianchi i letti dei due fiumi, mentre la piana antistante è costellata dalle tombe di personaggi come Ilo il fondatore, o della prima regina delle amazzoni, che secondo una leggenda pochi anni prima era intervenuta a favore di Troia.
Nell'Iliade si narra che vi furono una serie di combattimenti intervallati da preghiere, consigli di guerra, pattuglie notturne, duelli e così via.


Ecco le fasi salienti dello scontro:

Gli eserciti si schierano per affrontarsi sotto le mura di Troia. Al primo impatto frontale, i Greci, privi di Achille che ha deciso di non partecipare alla battaglia (vedi nella pagina dedicata ad Achille), cominceranno ad indietreggiare verso il fiume Scamandro inseguiti da Ettore.

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I greci continuano a ripiegare inseguiti dai troiani, fino a quando tentano lo scontro in prossimità del muro da loro eretto come difesa per l'accampamento e le navi. I troiani, riorganizzatisi in cinque schiere (lo schieramento primario era a sciame), hanno comunque il sopravvento e, attraversato il muro, sfondano fino ad arrivare alle navi degli invasori.

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Si crea così una mischia davanti alle navi. I greci premono e sfondano sul lato sinistro dei troiani ma Ettore, con l'aiuto di Apollo, si fa breccia da destra. Organizzata la controffensiva, riesce a riportare il combattimento fino alle navi.

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Patroclo, vestitosi delle armi di Achille, giunge in soccorso dei greci ormai quasi sopraffatti. I troiani credendolo Achille, ingannati dalle armi, fuggono inseguiti fin sotto le mura di Troia. Nella nuova mischia Ettore uccide Patroclo e si veste delle armi che furono di Achille. I greci si ritirano nuovamente verso lo Scamandro inseguiti da Ettore. Achille, avvertito della morte dell'amico, interviene nella battaglia, la sua rabbia è incontenibile e i troiani sono presto costretti a guadare al contrario il fiume appena attraversato. Lo spirito del fiume nel frattempo disgustato dal sangue versato dai troiani per causa di Achille, provoca una piena che rallenta l'avanzata greca e permette ai troiani di ritirarsi entro le mura.

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L'unico che rimarrà fuori sarà proprio Ettore, egli perderà il duello con Achille e il suo corpo sarà oggetto di scempio da parte dell'eroe greco.

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La ditruzione e il seguito...

L'Iliade si conculde quindi con la restituzione del cadavere di Ettore, da parte di Achille, al padre Priamo; saranno leggende successive che racconteranno della morte dello stesso Achille, ma soprattutto della distruzione di Troia da parte dei greci tramite lo stratagemma del cavallo escogitato da Ulisse, che aprendo le porte della città agli invasori gli permetterà il saccheggio e la successiva distruzione della città-fortezza.
Ma soprattutto alla fine diverranno collegate altre grandissime opere della letteratura antica come quella riguardante il ritorno a casa di Ulisse, l'Odissea, o la fuga di Enea verso una nuova patria (a cui si fanno risalire le origini di Roma), l'Eneide, o ancora la vicenda di Agamennone, ucciso dalla moglie Clitemnestra e dall'amante Egisto e la successiva vendetta del figlio del re Oreste, che ispirerà una delle più grandi tragedie del teatro Ateniese: la trilogia dell'Orestea.

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Heinrich Schliemann

(1822-1890)

Schliemann, nato da un umile famiglia tedesca, riuscì con gli sforzi di tutta una vita a mettere da parte una notevole fortuna e iniziare a realizzare il sogno che conservava sin dalla più tenera età: quello di ridare vita agli eroi di Omero. In realtà non fu il primo a capire che gli scavi dovevano essere effettuati sulla collina di Hissarlik, nell'attuale costa occidentale Turca. Già da tempo l'ipotesi che su quella collina, in mezzo alla piana alluvionale dei famosi fiumi Scamandro e Simoenta, sorgesse l'antica Ilio. Le mura trovate sul primo strato risalgono al 3000 a.C., mentre gli altri strati si accumularono per quindici secoli senza grandi mutamenti. Nel 1880 Schliemann si convinse di aver trovato la vera Troia: in realtà era soltanto il 3° strato, ma grzie all'aiuto di un archeologo professionista, Dorpfeld, gli scavi continuarono.
Dopo la morte dello stesso Schliemann, avvenuta nel 1890, Dorpfeld continuò gli scavi da solo arrivando a trovare le fortificazioni di Troia VI. Ma è soltanto grazie all'intervento delle università di Cincinnati, Blegen,Caschey e Semple che oggi possiamo dare una storia e una datazione a quella collina:

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  • Troia I - (3000-1800 a.C., civiltà egea del bronzo), che posa direttamente sulla roccia e fu fortificata fin dalle origini per la sua importanza strategica e politica, distrutta da un incendio, viene ricostruita in Troia II anch'essa abbattuta da un incendio.

  • Troia III-V - tutte costruite in pietra mentre le mura delle precedenti erano in mattoni crudi.

  • Troia VI - (1800-1300 a.C., media e tarda età del bronzo) Il sito si trasforma in una fortezza arrivo degli Indoeuropei e del cavallo; i due tedeschi credettero che questa fosse l'Ilio narrata da Omero, in realtà questa fortezza non fu distrutta da un incendio bensì da un terremoto e poi si sviluppò in...

  • Troia VIIa - (1300-1200 a.C.), che fu distrutta dal fuoco forse proprio in seguito all'invasione achea. Della guerra narrata da Omero non se ne ha la certezza, ma tracce d'assedio e di uccisioni violente furono trovate dappertutto.

  • Troia VIIb - Ricostruita ancora fu abbandonata verso il 1100 a.C.

  • Troia VIII - (700-300 a.C.): nuovo periodo di prosperità. Fu distrutta nel 86-85 a.C. per aver parteggiato per Silla.

  • Troia IX - (50-47 a.C.) Ricostruita forse da Cesare e da Augusto nasce Ilium Novum nella quale verrà eretto un grandioso tempio ad Atena, visitato in seguito dall'imperatore Giuliano (IV secolo d.C.). Da qui in poi la storia tace.


Pubblicato il 06/12/2004



Bibliografia:
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999