547 a.C.
La vittoria diede a Ciro il controllo delle vaste ricchezze della Lidia e privò Babilonia di un forte alleato; inoltre, gli permise di sfidare e vincere il trono neo-babilonese, fondando l'impero persiano.
Con la cortese collaborazione di Giuseppe Bufardeci
Thymbra
Quinto sovrano della dinastia dei Mermnadi, figlio del re Aliatte II, fu re di Lidia nel 560 a.C. dopo la morte del padre. Completato l'assoggettamento delle città greche costiere con la conquista di Efeso e Mileto, ebbe in seguito rapporti amichevoli con esse e inviò numerose offerte nel Santuario di Delfi. L'ascesa della Persia, con Ciro, lo indusse ad allearsi con Amasis d'Egitto e Nabonedo di Babilonia. Creso decise di aggredire la Cappadocia per varie ragioni, un po' per desiderio di nuove terre da annettere ai propri possedimenti, ma soprattutto perché aveva fiducia nell'oracolo e voleva vendicare Astiage contro Ciro. Infatti Ciro aveva spodestato e teneva prigioniero Astiage, che era suo nonno materno: è quanto Creso gli rimproverava allorché mandò a interrogare l'oracolo sulla possibilità di attaccare la Persia. Ottenuto l'ambiguo responso, «Se Creso attraverserà il fiume Halys cadrà un grande impero», si illuse di avere l'oracolo dalla propria parte e si mosse contro il territorio persiano. Creso dunque attraversò il fiume con le sue truppe e si spinse in quella parte della Cappadocia che viene chiamata Pteria. La Pteria è la regione che si estende grosso modo a sud della città di Sinope sul Ponto Eusino ed è la zona più fortificata del paese. Creso si accampò quindi in questa regione cominciando a devastare i possedimenti dei Siri. Espugnò la città di Pteria e ne ridusse in schiavitù gli abitanti, occupò tutte le località circostanti e si accanì a saccheggiare quella regione, che non aveva nessuna colpa verso di lui. Ciro si diresse contro Creso dopo aver radunato l'esercito e prese con sé tutte le popolazioni che lo separavano dall'invasore. Prima di muovere le sue truppe aveva inviato araldi alle città della Ionia nel tentativo di sollevarle contro Creso ma gli Ioni non si erano lasciati convincere. Ciro raggiunse Creso e pose il proprio accampamento di fronte al suo: qui, nella regione di Pteria, si misurarono le rispettive forze. Ci fu una terribile battaglia, con numerosi caduti da entrambe le parti, che si interruppe al sopraggiungere della notte senza che uno dei due eserciti fosse riuscito a prevalere. Dopo lo scontro a Pteria, terminato quindi con esito incerto, Creso ripiegò verso Sardi. Assediato e sconfitto prima che giungessero gli aiuti sperati, fu catturato e la Lidia venne annessa all'impero persiano.
La fine di Creso fu poi oggetto di varie leggende secondo le quali sarebbe stato salvato dal rogo da Apollo ovvero sarebbe divenuto amico e consigliere di Ciro.
Con riferimento alle sue straordinarie ricchezze, il termine Creso è entrato nel linguaggio comune, per antonomasia, a indicare persona ricchissima.
Diogene Laerzio narra che un giorno Creso, lo stramiliardario re di Lidia, assiso su un trono scintillante e agghindato d’ogni sorta d’ornamenti, domandò a Solone se avesse mai visto qualcosa di più bello. Solone si limitò a replicare che i polli sono vestiti del loro splendore naturale che è di un’incredibile bellezza.
Sovrano della dinastia persiana degli Achemenidi, regnò tra il 558 e il 528 a.C.. Figlio di Cambise I, vassallo dei Medi, poco dopo esser salito al trono di Ansan, Ciro si ribellò (553 a.C.) contro Astiage, lo sconfisse e conquistò Ecbatana (550 a.C.) che divenne residenza regale.
Nel 549 a.C. circa, soggiogò il cugino Arsame, annettendosi il regno di Parsua, quindi, attaccato il re Creso di Lidia nel 547 a.C., ne sconfisse l'esercito a Pteria e lo inseguì attraverso l'Asia Minore fino a Sardi. La caduta della capitale lida e la conseguente conquista persiana di buona parte dell'Asia Minore (tranne le colonie ioniche sulla costa) segnarono l'inizio di un nuovo periodo di contatti fra greci e persiani.
Fra il 545 a.C. e il 539 a.C., dirigendo la sua azione contro le popolazioni dell'Iran orientale, conquistò la Drangiana, l'Aracosia, la Sogdiana, la Corasmia, la Battriana ed estese le frontiere orientali sino all'Oxus e allo Iaxarte.
Riprese poi le operazioni a Occidente; nel 539 a.C. attaccò Nabonedo e conquistò Babilonia. Uno dei primi atti del suo regno fu l'editto che autorizzava gli ebrei in esilio a ritornare in Palestina. Morì durante una nuova spedizione alle frontiere orientali.
Presto si formò intorno alla figura di Ciro una serie di leggende, secondo le quali egli, abbandonato per ordine del nonno Astiage, sarebbe stato allevato da un pastore. Il nome della moglie del pastore, Spako, che secondo Erodoto significa in medo “cane”, richiama il mito di Romolo e Remo allevati dalla lupa.
Fondatore dell'impero persiano, Ciro pose le basi del suo sviluppo politico e culturale. A lui si deve la costruzione di Pasargade, scelta come nuova capitale del regno ed edificata secondo moduli architettonici ispirati a una fastosa monumentalità e divenuti poi tradizionali dell'arte persiana. Un rilievo frammentario su un pilastro della porta della città, raffigurante un genio alato e recante l'iscrizione «Io, Ciro, il Re, l'Achemenide (ho fatto questo)», è tutto quello che rimane della produzione scultorea dell'epoca del regno di Ciro.
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Attorno al 556 a.C. emerse una nuova monarchia nella regione babilonese, cioè nell’area della più avanzata civiltà e di più progredite tradizioni di tutto il vicino Oriente. Babilonia era stata alla testa del progresso scientifico e gran parte della civiltà del mondo antico derivava da quelle terre. Il potere del regno caldeo venne conquistato da un certo Nabonedo (Nabunaid), il quale iniziò il suo regno con una specie di rivoluzione interna in Babilonia, riaffermando la fedeltà agli antichi culti locali e appoggiandosi sulle popolazioni dominate e sulle tradizioni assire, pretendendo di essere stato eletto al trono per volontà degli dèi babilonesi Marduk e Sin. Per quanto riguarda la politica estera, Nabonedo sapeva di essere impedito nelle sue possibilità e velleità di espansione dalla presenza di una monarchia militare che aveva preso possesso di gran parte del mondo anatolico ma era organizzata in modo da essere ben lungi dal costituire una solida unità politica.
Per tradizione millenaria i sovrani mesopotamici trovavano nella loro religione la spinta ad ambire domini più vasti, in quanto tutti ritenevano che gli dèi stessi li destinassero a essere i signori di tutto il mondo. Oltre alle considerazioni di carattere fideistico, l'espansione babilonese corrispondeva a fondamentali interessi di quel popolo. Nel passato esso aveva conquistato una posizione dominante nei commerci e aveva sviluppato la propria economia con i traffici mercantili che si estendevano a tutta l'Anatolia e si inserivano nei commerci delle grandi rotte carovaniere dal Sud, dall'Oriente e verso l'Occidente egeo. Questi rapporti erano stati certamente diminuiti o annullati dalle successive vicende politiche e militari ma costituivano sempre un'aspirazione e una necessità dei popoli della parte meridionale della Mesopotamia. Nabonedo, favorendo la rivolta di Ciro contro i medi, contava di provocare il crollo di una grande costruzione politica di cui aveva sperimentato in quel tempo l'inefficienza, forse anche per il fatto che Astiage, che si proclamava il "re dei re", non aveva saputo trarre profitto dalla grave crisi che aveva messo in forse la solidità della monarchia babilonese negli anni precedenti il suo avvento al trono. Il successo di questa impresa pareva aprire alla Babilonia caldea la via a una dominazione che poteva divenire senza confini, poiché sembrava non avere limiti quando fosse riuscita ad eliminare la potenza armata del paese che aveva avuto il più forte esercito del mondo antico per un periodo di alcuni decenni. I problemi della zona del Mediterraneo orientale e dell'Asia Minore sino all'Indo, confine di un mondo diverso e quasi ignoto, erano assai limitati. Linee di carattere geopolitico segnavano i costanti punti di contrasto sui quali si affermavano e si disfacevano le linee della potenza in quell'area. Fra la potenza dominante nella zona mesopotamica e quella dominante nella valle del Nilo era in perenne contestazione il dominio sulla Siria, luogo di grandi rifornimenti di materie prime (innanzitutto il legname necessario per le costruzioni navali ed edilizie) indispensabili alle attività economiche del mondo antico. Inoltre le risorse agricole di parte della Siria erano assai importanti e oggetto di comprensibili cupidigie, mentre sulle coste siriache, o nelle loro prossimità, vi erano i punti di arrivo di molte rotte carovaniere, in aggiunta, fitta era la rete di apprestamenti portuali organizzati dai fenici per servire alle loro flotte che comandavano in quel tempo i traffici con la Spagna e con l'Italia e le sue isole, cioè con zone ricche di metalli, fra cui stagno, argento e ferro grezzo, e di prodotti del ferro che uscivano dalle industrie etrusche.
Il mondo aveva cominciato a estendersi in modo notevole fra i secc. XII e VI, e nessun paese, dopo gli eventi e le scoperte tecniche che si erano succeduti nell'Età del Ferro, poteva riuscire a vivere un'economia limitata all'agricoltura e chiusa ai grandi scambi in tutto il bacino del Mediterraneo, senza condannarsi a una rapida decadenza e spesso al vassallaggio economico e politico. Era finito il tempo delle economie fondate soltanto sulla pastorizia e sull'agricoltura e le industrie andavano prendendo una funzione integrativa e complementare, necessaria per non rimanere nelle condizioni primitive delle unità di villaggio-azienda agricola che era ancora l'arretrata caratteristica delle popolazioni anatoliche sottomesse alle avvicendantisi signorie militari. L'industria non aveva la guida della vita economica, ancora essenzialmente fondata sulle risorse agricole come continuò a essere fino ai tempi moderni; tuttavia l'industria e soprattutto la metallurgia era divenuta una integrazione essenziale, di cui difficilmente si poteva fare a meno, sia per le forniture di armi, sia per gli utensili e molte suppellettili.
II contrasto fra caldei ed egiziani aveva il suo motivo principale nella pretesa a una supremazia cui i fenici ormai facevano da ostacolo, quella della Siria, e per tutti e due i contendenti si trattava di avere la possibilità di tenere sotto controllo quegli scambi commerciali da cui poteva derivare la loro prosperità e la loro indipendenza economica. Invece, il conflitto potenziale con i medi, durante il regno di Astiage, non era più una lotta per salvarsi da un pericolo, in passato non trascurabile, di una perdita di indipendenza, poiché con Astiage era scomparsa la grande forza militare dei medi, ma si trattava piuttosto di trasformare la situazione dell'Asia Minore in modo da tenerla interamente sotto l'egemonia politica e commerciale babilonese come era già avvenuto in passato.
Solo una fortissima superiorità nelle forze armate poteva tenere assieme un dominio unitario in Anatolia, e una lunga esperienza lo dimostrava. Con una serie di generazioni si era sempre ripetuto il fenomeno dell'impossibilità della creazione di una solida organizzazione politica, per la mancanza dei presupposti sociali di qualsiasi formazione di questo genere. Non vi era altra possibilità unitaria che quella di distribuire presidi e di lasciare al loro comandante la funzione di governare il paese e di incassare i tributi che dovevano servire al governo centrale e a quello della regione periferica cui era preposto. Così era sempre avvenuto, dagli hittiti in poi, e il responso di Marduk, cioè che Astiage, la sua terra e i re che gli stavano al fianco non erano forti come si temeva, era una esatta valutazione della situazione poiché le parole messe in bocca al dio significavano che il re Astiage non aveva più un esercito forte, combattivo e dotato di iniziativa e di mordente come era stato con Ciassarre. Tali parole, inoltre, lasciavano intendere che la terra era disunita e difficile da governare e che i capi delle popolazioni locali sottoposte, anche se si trattava di popoli conquistatori legati alla stirpe iranica e alla dominazione dei medi, non erano più veramente legati da un forte vincolo di lealtà e di solidarietà con il "re dei re".
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L'appoggio di Nabonedo spinse Ciro alla ribellione, mentre il re caldeo procedeva all'occupazione armata delle terre tenute dai medi su cui i babilonesi vantavano passati diritti. Nabonedo operava con sicurezza, in quanto Ciro impediva alle truppe di Astiage di arrivare in Siria, perciò Nabonedo occupò tutta la Siria, giungendo sino alla frontiera con l'Egitto, impossessandosi anche della terra degli ebrei, i quali erano ostili al suo dominio e, con la profezia di Geremia, annunciavano il contrario di quanto stava accadendo, cioè la caduta dell'odiata Babilonia sotto i colpi dell'invincibile potenza dei medi. Dal canto suo, l'insurrezione di Ciro otteneva successi forse superiori al previsto, in quanto la sua limitata ma brillante forza armata costituiva un punto di attrazione per i capi militari medi che avevano motivi di insoddisfazione o di rancore contro il re Astiage.
Il primo esercito inviato contro Ciro disertò al comando di un generale che passò ai persiani con la maggior parte dei suoi soldati. Quando Astiage in persona assunse il comando contro Ciro, sembrava che la causa di Ciro fosse perduta, perché re Astiage era giunto a prendere Aushau. Invece le truppe di Astiage si ribellarono e consegnarono il re nelle mani di Ciro, il quale aveva ormai la strada aperta per conquistare la capitale stessa dei medi, Ecbatana.
In circostanze di questo genere, il vincitore aveva l'uso di compiere un totale saccheggio: Ecbatana fornì a Ciro ricchezze molto grandi e quindi i mezzi per migliorare la sua situazione e acquisire nuova forza e prestigio. La Media, pur divenendo dipendente dal nuovo "re dei re", ebbe trattamento diverso da quello che la Persia aveva avuto sotto i medi. I persiani infatti non potevano sperperare la ricchezza - materiale e culturale - che la Media offriva loro e che non poteva essere oggetto di saccheggio come i preziosi, in quanto, pur essendo stata una monarchia essenzialmente militare, la Media aveva una civiltà superiore a quella persiana e poteva offrire quindi collaboratori al nuovo regime. Poiché i due popoli erano affini divenne subito possibile una parità di trattamento sotto il comune governo del nuovo re, e non si trattò, in apparenza, altro che di un cambiamento di dinastia. La vecchia classe dirigente dei medi rimase al potere accanto ai persiani e molte responsabilità di comando e di governo vennero lasciate a prudenti dignitari civili e militari, come, d'altra parte, Ecbatana rimase una delle capitali del nuovo regno. La fusione fra i vincitori e i vinti fu completa, anche se la Media venne considerata una satrapia, cioè un governatorato della Persia. Nel mondo antico non rimase chiaro quale fosse il criterio di distinzione fra persiani e medi e si diffuse la tendenza a prestare quest'ultimo nome anche ai nuovi dominatori, cioè ad accentuare il fatto, sostanzialmente esatto, del semplice cambio di dinastia avvenuto con il passaggio di un vassallo del re di Media al trono del suo signore.
Assumendo il titolo di "re dei re", Ciro poteva avanzare gli stessi diritti che il suo predecessore aveva posti a fondamento della sua politica, tanto più che si trattava di aspirazioni corrispondenti a necessità di carattere geopolitico ed economico connesse con la situazione in cui già si trovava il regno di Media nella sua zona. Non si potevano avere domini di quel genere senza avere aspirazioni su territori che erano complementari ai propri o che formavano i centri di controllo sulle vie di comunicazione e sulle risorse della regione. La tendenza a un dominio imperiale su tutta l'area costituente un'unità economica e politico-militare era inevitabile e si confondeva con la stessa millenaria storia della zona; le aspirazioni si erano andate allargando ed erano divenute di più lunga veduta.
Anzitutto il re della zona medo-persiana aveva una pretesa su tutti i territori che erano appartenuti all'antica Assiria, in base al principio dei diritti del vincitore e per i vantaggi che derivavano da alcuni di quei possedimenti. Con la successione dell'Assiria era conseguente la tendenza alla presa di possesso dei territori mesopotamici e siriaci ma anche le terre armene e quelle della Cappadocia erano indispensabili per la sicurezza e per l'indipendenza economica.
Senza questi paesi, il regno non avrebbe avuto accesso al mare, sarebbe stato isolato dall'Anatolia occidentale e dal mar Egeo e, soprattutto, sarebbe stato completamente tagliato fuori dalla zona ricca e fertile che si estendeva fra il Tigri e l'Eufrate e giungeva sino al Mediterraneo. Per parecchi motivi, le direttive naturali di sviluppo che i persiani ereditavano dai medi erano in contrasto con gli interessi dei caldei, in quanto alcune delle aspirazioni persiane contrastavano con analoghe aspirazioni caldee, mentre, in genere, i caldei potevano desiderare la distruzione del regno di Media, ma non avevano nessun interesse a sostituire a quest'ultimo una monarchia che se ne differenziasse soltanto per essere molto più forte e intraprendente.
Babilonia era stata sorpresa dallo straordinario successo che aveva avuto Ciro, e il re Nabonedo cercò di rifarsi della situazione di svantaggio nella quale veniva a trovarsi dopo questi avvenimenti espandendosi verso Occidente, attraverso l'Arabia, forse con la speranza di giungere al Mediterraneo e di collegarsi con l'Egitto. Il re, per questa lunga spedizione, fu assente dalla Babilonia per oltre quattro anni, lasciando la reggenza a suo figlio; questo però indeboliva grandemente la sua posizione nel regno, dato che il sovrano, a causa della sua assenza, trascurava i doveri religiosi del suo Stato e quindi si inimicava l'elemento principale della sua classe dirigente, il ceto sacerdotale. La crisi politica del regno di Babilonia aumentava il potere del re di Persia, il quale aveva le mani libere per compiere imprese di guerra al di là dei suoi confini occidentali.
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II re Creso di Lidia cercò di limitare l'espansione persiana ma Ciro procedette a una grande impresa attraverso i territori che lo separavano dal suolo lidico per andare incontro a Creso che si trovava già in Cappadocia. Il piano di Creso consisteva nel tentativo di procurarsi l'aiuto delle uniche potenze militari che avessero la possibilità di intervenire in un conflitto di quell'importanza in quel periodo. La sua diplomazia guardava molto lontano, cercò l'alleanza di Sparta, che stava diventando la maggiore potenza militare dell'Egeo, e quella dell'Egitto e della Babilonia, ambedue minacciati dai mutamenti politici in corso. Creso sperava che Sparta non si disinteressasse alla formazione di una grande potenza asiatica che avrebbe certamente danneggiato anche gli interessi della Grecia in quanto avrebbe potuto prendere la supremazia sopra il mar Nero, le coste ioniche dell’Anatolia e i centri fenici del Mediterraneo, togliendo così ai greci i loro principali rifornimenti di materie prime.
Quanto agli egiziani, la spinta che i persiani potevano esercitare a danno della Babilonia e gli stessi piani che aveva già in corso Nabonedo, erano per loro minacciosi, in quanto tendevano a creare situazioni di forza verso i loro confini con la Palestina, cioè in un'area nella quale gli interessi egiziani erano vitali. Già negli anni precedenti, Nabonedo aveva riaffermato il suo potere sopra Tiro e le sue operazioni militari in territorio arabo minacciavano di portarlo pericolosamente vicino al territorio egiziano. Infine, Creso sperava nell'aiuto dei babilonesi, che avevano aiutato Ciro ma non avevano tardato ad accorgersi di aver commesso un errore, poiché avevano rafforzato invece che indebolito la posizione della vicina monarchia rivale.
In realtà, nessuno dei fattori che componevano il piano diplomatico di Creso era destinato al successo. Gli spartani, alla metà del sec. VI, erano ancora troppo vincolati alla situazione peloponnesiaca per pensare di mandare forze oltre mare. Proprio in quegli anni Sparta aveva occupato l'isola di Citera e i territori circostanti l'Argolide e aveva sostenuto, nel 546 a.C., una battaglia campale contro Argo. In quel momento era impossibile che Sparta, proprio nel periodo intermedio fra l'occupazione di Citera e le ostilità contro Argo, mandasse forze fuori del Peloponneso, tanto più che gli interessi anatolici avevano importanza molto limitata per un paese come Sparta, la cui espansione mercantile era pressoché inesistente. Quanto all'Egitto, la scarsa efficienza militare di questo paese lo portava a evitare qualsiasi avventura di guerra, soprattutto in un periodo in cui aveva ogni motivo per dover vigilare ai confini del suo territorio per le mosse dei babilonesi in Arabia.
Babilonia subiva fattori di crisi e serie difficoltà che si collegavano con la situazione persiana ma che avevano le loro radici anche in problemi interni. Infatti, come si è detto, la Babilonia era un paese molto diverso dalle aree dell'Asia Minore, e il suo sovrano doveva tenere conto delle esigenze e delle aspirazioni di locali classi elevate, le quali avevano la possibilità di avere l'appoggio e la protezione degli ambienti sacerdotali che, in quel periodo, si trovavano, rispetto al sovrano, in aperta posizione di antagonismo. I documenti oggi a nostra disposizione sulla storia babilonese di questo periodo non sono sufficienti per farci capire fino in fondo lo stato dei rapporti fra i sovrani caldei e la loro classe sacerdotale, però è evidente che già in passato vi erano state grosse difficoltà, derivanti dal desiderio dei sovrani di liberarsi da una specie di supremazia dei capi dell'ordine sacerdotale, aspirazione che aveva costituito il motivo della crisi pluriennale in seguito alla quale Nabonedo era giunto al potere.
Dopo alcuni anni, nei quali vi era stata una palese e persino ostentata collaborazione fra i poteri sacerdotali e quelli del sovrano, i nuovi indirizzi assunti dalla politica di Nabonedo avevano deteriorato profondamente i rapporti, tanto che le cronache babilonesi ricordano, per parecchi anni successivi, l'assenza del sovrano dalle feste dell'anno nuovo, che costituivano la massima celebrazione in onore di Marduk e la più grande occasione di festeggiamenti e di concentrazione popolare nella città di Babilonia, a causa dei grandissimi pellegrinaggi che vi convergevano. Per il re di Babilonia la guerra diretta contro il potente vicino era quindi un rischio troppo grande, ed egli, appunto per non affrontare la Media, aveva incoraggiato la rivolta di Ciro; quindi non poteva mettersi in guerra contro di lui in un momento in cui la sua situazione era particolarmente pericolante.
D'altra parte, Ciro, prima di muovere contro i lidi, era penetrato in Mesopotamia e aveva minacciato una marcia verso sud, in modo da neutralizzare la minaccia di un intervento babilonese. I babilonesi accettarono l'alleanza con la Lidia ma non furono pronti a intervenire, cosicché Ciro marciò verso occidente sottomettendo la Cilicia, entrando in Cappadocia e procedendo alla sottomissione anche di questa regione e dell'Armenia. Si trovò così, alla fine del 547 a.C., presso Thymbra: era il momento dello scontro diretto con Creso.
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Nonostante l’arido altopiano iraniano non si adattasse bene ai cavalli, la Persia diventò un potente impero anche attraverso l’utilizzazione di contingenti di cavalleria alleati e la costituzione di una propria cavalleria che fu probabilmente l’arma migliore di questo impero. Ciro il Grande attraverso il matrimonio con una figlia di Astiage, re dei medi, si assicurò il rifornimento di cavalli dall’omonima regione. La cavalleria sviluppata da Ciro prese molte delle sue tattiche ed equipaggiamenti da saci, sciti e medi; i quali, a loro volta, copiarono dai greci.
I persiani avevano la possibilità di procurarsi cavalli da diverse località. Le satrapie di Bactria, Media e Cilicia fornivano centinaia di cavalli come tributo. Questi cavalli non dovevano essere necessariamente della stessa razza, infatti tra Medio Oriente ed Asia c’erano parecchie razze differenti. I cavalli sciti e saci erano all’origine della razza “Przewalski” (o altrimenti detto Pony della Mongolia), cavallo robusto con criniera lunga e coda corta. I cavalli sciti trovati in tombe ghiacciate erano di manto Sauro, Baio o Morello Corvino. Nessun Grigio, Baio chiazzato o pezzato, Roano o Falbo. Nessuno aveva macchie bianche, che sono invece comuni nei Baio Marrone dei nostri giorni, questi, infatti, avendo degli zoccoli fragili, s’infortunavano facilmente. Sembra che si siano cominciati a vedere cavalli con aree chiare alle estremità dopo l’invenzione dei ferri di cavallo. I cavalli sciti s’incrociarono con altre razze in tutto il medio oriente. I cavalli medi si fecero notare per la loro dimensione e forza, benché non particolarmente alti, circa 14 – 15 spanne (la spanna si basa sulla distanza tra le punte del pollice e del mignolo in una mano aperta ed equivale a circa 20 cm). Avevano teste larghe e colli forti con manti per la maggior parte sauri, marroni o neri. Erodoto menziona la pianura di Nicea descrivendola come un’area vasta e fertile della Media utilizzata per allevamenti equini di dimensioni inusuali, citando due specie di cavallo: uno di minor pregio usato come animale da tiro, l’altro più nobile, il bianco Niceano, che era usato come montatura per generali e re. Il cavallo bianco era apprezzato più come simbolo di ricchezza che per la sua velocità o forza, faceva risaltare il cavaliere sia in battaglia che nella vita di tutti i giorni. L’allevamento del cavallo bianco doveva essere controllato e anche gli armenti erano separati dagli altri cavalli. Sembra che il cavallo bianco sia stato anche usato per cerimonie religiose, si parla della consacrazione di cavalli bianchi appartenenti a Ciro e Serse. L’altra razza equina, menzionata da Senofonte, è un cavallo Armeno magistralmente allevato, più piccolo del cavallo persiano (Anabasi, Libro 4 e 5). Dalla descrizione sembrerebbe di riconoscere il cavallo oggi chiamato del Caspio che è stato recentemente riconosciuto come un’antica razza iraniana. Benchè alto solo 12 spanne, se comparato con gli antichi cavalli persiani, le piccole orecchie sono le stesse, come per la fronte prominente e le narici larghe. Con l’eccezione dei cavalli da biga, le criniere dei cavalli persiani erano tagliate corte, come per le cavalcature degli arcieri a cavallo di altre popolazioni, in modo da non intralciare l’uso dell’arco. Le code erano legate per impedire al nemico di poterle afferrare. Il ciuffo era lasciato lungo e legato con un nastro a formare un pennacchio sopra la testa. Il colore del nastro generalmente era dello stesso colore della criniera.
Le grandi gualdrappe erano colorate vivacemente, riccamente ricamate con disegni geometrici o di animali e spesso con margini a festoni. Tessute in feltro, qualche volta orlate o rivestite in pelle, assicurate con le cinghie al petto ed alla pancia della cavalcatura, venivano annodate intorno alle caviglie del guerriero essendo le fibbie ancora sconosciute. Gualdrappa a parte, i cavalli erano cavalcati a pelo, staffe, ferri da cavallo o selle non erano ancora state inventate. Gli sciti usavano essenzialmente gualdrappe imbottite. Cuscini in pelle, imbottiti di pelo di daino o paglia, cuciti con fili di tendine su supporti in legno. Queste decoratissime gualdrappe furono adoperate fino alle più recenti cavallerie persiane della dinastia Achemenide.
Erodoto (Le Storie, 7, 88) descrive i cavalieri persiani armati esattamente come i fanti salvo per alcuni che indossavano in testa emblemi modellati in ottone o in acciaio.
Come per la fanteria persiana, le prime truppe a cavallo Achemenidi erano per la maggior parte senza corazza anche se, come ci viene tramandato da Masistius, il comandante della cavalleria persiana a Platea, indossavano sotto la tunica un'armatura a piastre.
II più “recente” cavaliere persiano, come dipinto nel Mosaico di Alessandro, indossa una corazza non metallica (forse di cuoio) rossa orlata di bianco in stile greco. I cavalieri indossano tutti costumi medi riccamente decorati e cappelli gialli. I cappelli, essendo tutti dello stesso colore suggeriscono che facciano parte di una uniforme. Il vestiario è a colori brillanti e decorato con cerchi, quadrati, rosette e motivi a strisce. Premettendo che l’uso di corazze per cavalli è arrivato più tardi, l’equipaggiamento includeva:
1) bardature in pelle e grembiuli metallici per proteggere il petto dei cavalli;
2) piatti di bronzo per proteggere le teste dei cavalli;
3) una porzione parameridiana della gualdrappa che curvava per proteggere le cosce del cavaliere.
La corazza per il cavallo fu usata sui cavalli saci e assiri a partire dal settimo secolo a.C. ma non è mai stata descritta negli eserciti persiani fino al 401 a.C. (solo per la cavalleria personale di Ciro il Giovane).
In un disegno di un vaso persiano, trovato a Susa, si possono osservare grembiuli decorati in pelle con sopra quelle che sembrano piastre metalliche a protezione del petto dei cavalli. Il vaso è datato al settimo secolo a.C., ciò rafforza la convinzione della presenza di bardature anche tra la più antica cavalleria persiana.
La cavalleria, fino al tardo periodo Achemenide, combatteva con due giavellotti di legno di corniolo chiamati palta, invece della corta potente lancia usata dalla fanteria. Il palta misurava tra 150 e 180 cm, la punta era di bronzo o ferro. Poteva essere lanciata appena prima del contatto col nemico o usata come arma diretta. Quando combattevano contro la cavalleria macedone, pesantemente corazzata, i persiani lanciavano i due giavellotti, sfoderando poi le corte spade o asce quando erano vicino al nemico. L’uso della lancia per la cavalleria è già evidente al tempo di Ciro, ma è solo con l’avvento di Alessandro e il maggior uso della corazza che l’impiego della lancia si diffonde. L’utilizzazione di corazze più pesanti e contenitive da parte dei persiani avrebbero potuto portare ad utilizzare un tipo di lancia che non richiedeva il braccio completamente libero nel suo movimento.
La cavalleria persiana non ha mai adottato completamente lo scudo durante il periodo Achemenide. Scudi di vimini e cuoio apparvero per primi intorno al 450 a.C.; dai dipinti su vasi greci si pensa che furono introdotti da cavalieri sciti arruolati come mercenari dai persiani.
La cavalleria media-persiana era abile sia nelle schermaglie che nel corpo a corpo. Quando usata nelle schermaglie, squadroni piccoli ed indipendenti cavalcavano di fronte ed ai fianchi del nemico lanciando raffiche di giavellotti o frecce per voltare le cavalcature e continuare a colpire anche durante la ritirata: questa tattica fu successivamente denominata “Il colpo Partiano”.
Il successo del primo esercito persiano era quindi dovuto all’abilità della cavalleria e fanteria di combattere in maniera coordinata sia durante l’attacco che durante la difesa.
La cavalleria era capace di circondare o fermare un nemico, inseguire truppe in ritirata, limitare il foraggio al nemico, tagliare le linee di comunicazione o quelle di rifornimento.
I bassorilievi in pietra a Susa e Persepoli mostrano guardie ed ufficiali medi e persiani. Questi erano soldati a tempo pieno che coprivano diversi ruoli nell’impero achemenide, tra cui:
1) guardie del corpo del re e degli ufficiali di alto rango;
2) servizio di guardia per vari palazzi;
3) guardie del satrapo in servizio di fortezza nel territorio dell’impero;
4) scorta e custodia dei trasporti in oro e preziosi.
L’elaborata veste persiana si pensa sia un abito stilizzato, formale o nazionale, ma diverso da quello indossato in battaglia. L’abbigliamento standard in guerra si crede fosse la più pratica tenuta dei medi.
Le guardie persiane indossavano il cappello persiano scanalato che li qualificava come nobili.
Indossavano bracciali e collane d’oro, portavano la faretra in stile persiano sulla spalla, la lancia corta, l’arco e taluni il caratteristico scudo persiano a violino.
Erodoto descrive le forze di Serse che nel 479 a.C. partivano da Sardi per dirigersi verso la Grecia:
«Davanti al re sfilarono per primi un migliaio di cavalieri, uomini scelti della nazione persiana, un migliaio di lancieri, parimenti truppe scelte con le loro lance puntate verso il terreno.
Appena dietro il re c’erano un corpo di circa mille lancieri, i più nobili e coraggiosi tra i persiani, con le loro lance, poi mille cavalli, altri uomini scelti…»
I lancieri che precedevano Serse portavano anche dei melograni d’oro e quelli che lo seguivano mele d’oro. Gli Immortali di Serse, la fanteria e cavalleria delle guardie, erano fisicamente separati dal resto dell’esercito, oltre ad essere le uniche truppe che marciavano in formazione.
Thymbra
L’esercito persiano, multiculturale nella sua composizione, consisteva di unità sia di fanteria che di cavalleria regolarmente addestrate, fondamentalmente di stirpe Media e Persiana stessa, rinforzate da coscritti provenienti dalle nazioni assoggettate dell’impero, quanto da mercenari. I soldati dell’esercito regolare, come gli Immortali, erano uniformemente dotati di armi e corazze, mentre molti dei contingenti alleati arrivavano già equipaggiati e combattevano secondo le proprie usanze. Sciami di truppe leggere armati di arco e giavellotto, uomini di fatica non combattenti, mogli, concubine e schiavi facevano parte dell’enorme numero di persone che caratterizzavano l’esercito persiano in movimento.
Gli eserciti persiani, come quelli occidentali e i più moderni asiatici, erano organizzati su base decimale, reggimenti, unità e corpi erano raggruppati per diecine, centinaia e migliaia. Un ufficiale era responsabile per dieci uomini, un altro per cento, un altro per mille e così via.
I re Achemenidi da Ciro a Dario III erano i comandanti in capo dei loro eserciti per la maggior parte delle battaglie e campagne, ma alle volte passavano il comando delle operazioni ad uno o più generali.
Il re nominava il capo di stato maggiore (come si direbbe oggi) e i generali dell’esercito. Questi potevano essere Satrapi (governatori delle provincie), o persiani-medi di più alta schiatta e quasi sempre parenti stretti del monarca. I Satrapi in genere comandavano le truppe della loro provincia, ma potevano anche essere promossi a comandanti di divisioni o eserciti di nazionalità diverse. I generali a loro volta avevano il potere di nomina dei gradi inferiori.
Erodoto fa l’elenco delle forze al seguito di Serse durante l’invasione del 479 a.C. inclusi i nomi dei vari comandanti. Descrive anche parte della catena di comando: «L’ordinamento e la numerazione delle truppe era stata affidata a loro (i generali nominati da Serse stesso); e da loro erano nominati i capitani al comando di mille e diecimila uomini che a loro volta nominavano quelli al comando di dieci e cento soldati. Vi erano anche ufficiali che davano ordini ai vari ranghi e uomini di diverse nazioni; i primi che ho menzionato erano comunque i comandanti».
Senofonte “nell’Istruzione di Ciro”, descrive un sistema di promozioni per uomini che si erano particolarmente distinti in battaglia per le loro doti di coraggio e carisma nel guidare le truppe. Ebbene questi uomini potevano essere nominati capitani di 5 o 10 o 1000 soldati. Sembrerebbe possibile che un soldato semplice potesse aspirare ad essere promosso "Hazarapatish" (comandante di 1000).
I diecimila Immortali sono un esempio di promozione nell’esercito persiano. Il termine “Immortale” era di origine greca ad indicare come il loro numero fosse sempre tenuto costante. Ogni vuoto era riempito da uomini scelti da altri reggimenti. Non solo gli Immortali ricevevano un soldo regolare, ma il loro prestigio gli permetteva di portarsi al seguito mogli e concubine. Erodoto, nella sua descrizione dei reggimenti della guardia di fanteria e cavalleria dell’esercito di Serse, conferma l’ipotesi del sistema di promozioni nell’esercito.
Questo sistema di premiazione per atti di coraggio e doti militari aveva, però, i suoi svantaggi.
Anche se i persiani erano famosi per il loro ardore e coraggio in battaglia, il desiderio di mettersi in evidenza davanti al loro re, poteva indurli a rompere i ranghi e lanciarsi contro il nemico.
Erodoto, parlando della battaglia di Maratona, descrive il combattimento scoordinato di gruppi di dieci soldati, che uscivano dai ranghi per attaccare le linee greche.
Le truppe mercenarie erano una caratteristica del più tardo esercito persiano Acheminide, anche se già agli inizi del quinto secolo, dei greci erano stati ingaggiati da comandanti persiani. Il termine Medizzati sta ad indicare truppe straniere pro persiane o al servizio dei persiani. Il termine Medizzato viene dalla parola Mede, termine generalmente usato dai greci per descrivere i medi-persiani.
I greci di origine ionica aiutarono i persiani nell'invasione dei territori sciti nel 512 a.C..
Nonostante la loro rivolta contro il dominio nel 499 a.C. durata ben sei anni, servirono ancora nell'esercito persiano nel 499 a.C. , combattendo fianco a fianco nella battaglia di Maratona. Una battaglia che avrebbe potuto segnare la fine dell'indipendenza per la Grecia. Nel 479 a.C., 13.000 mercenari opliti greci e 5.000 cavalieri combatterono per i persiani nella battaglia di Platea.
Gli sciti o saci, erano abilissimi arcieri e combattenti e furono ingaggiati come mercenari sia dai greci che dai persiani. Quando i greci ed i persiani si scontrarono a Maratona, i mercenari sciti ingaggiati dai greci si rifiutarono di combattere contro i loro fratelli asiatici; un gruppo di loro cambiò schieramento durante la battaglia (visto il risultato finale probabilmente non fu una decisione saggia). Datis, il comandante persiano, doveva rispettarli molto come combattenti, infatti li schierò al centro dell'esercito persiano, una posizione d'onore in ogni esercito, ed essi, in effetti, si distinsero rompendo il centro dello schieramento greco. E’ interessante notare che gli sciti furono arruolati anche per insegnare l'uso dell'arco ai soldati persiani.
I persiani attribuivano scarso valore e prestigio ai cammelli e cavalcarli in battaglia non era certamente ambito. I cammelli comunque giocarono un significativo ruolo in almeno una delle battaglie dell'esercito persiano.
Gli arabi mandarono nell’esercito di Serse arcieri su cammelli nel 480 a.C. e probabilmente erano con Cambise durante la conquista dell'Egitto nel 525 a.C.. Comunque l’impiego più noto di questo tipo di truppe risale alla guerra contro la Lidia, e alla battaglia di Thymbra in particolare.
Sia Senofonte che Erodoto parlano di un'improvvisata unità di cammelli per il combattimento; probabilmente si trattava di animali catturati o che fino a quel momento erano stati usati per il trasporto di materiale, comunque ogni animale trasportava due arcieri.
Nonostante i cavalli nemici si spaventassero alla presenza dei cammelli e che a Thymbra stessa le sorti dello scontro furono in parte decise dal loro impego, non sembra essi abbiano più avuto un ruolo significativo e dopo questo episodio tornarono ai loro compiti abituali di trasporto.
I carri erano stati impiegati nel periodo Achemenide in diversi ruoli. I contingenti stranieri li adoperavano secondo le loro usanze, i persiani ne facevano un uso limitato al trasporto del comandante, con delle eccezioni.
Benché il carro non fosse considerato come la principale arma offensiva, esso era visto come simbolo di autorità e potere. I generali li usavano per le parate, per la caccia e per i loro spostamenti durante la battaglia.
Serse non è solo ricordato su un carro, ma anche per aver portato con sé, durante l’invasione della Grecia il carro sacro di Ahura-Madza, un carro dorato dedicato a un grande dio.
Esso era trainato da otto cavalli bianchi con l’auriga che teneva le redini seguendo a piedi il carro poiché nessun mortale avrebbe potuto montarvi sopra.
Nell’invasione della Grecia da parte di Serse sia i contingenti lidi che indiani si dice abbiano adoperato i carri. Probabilmente la descrizione migliore dell’uso del carro falcato con l’esercito di Ciro il Grande, è stata fatta da Senofonte.
Ciro il Grande, secondo Senofonte, non rifiutava mai due doni: cavalli e buone armi. Catturò molti carri, ma non ne era molto impressionato, considerando l’uso del numero di cavalli e degli uomini per adoperarli, deficitario nel rapporto costo-beneficio. Senofonte racconta, nel passaggio seguente, come Ciro, invece, trovò il sistema di modifiche per arrivare al famoso carro falcato persiano: «Egli abolì questo sistema in favore del carro da guerra vero e proprio, con ruote rinforzate per resistere alle collisioni e lunghi assi, sul principio che una base più grande fosse più solida, mentre il sedile del conducente fu modificato in una struttura che potrebbe essere definita torretta, una resistente trave di legno, che dava al conducente lo spazio utile per manovrare i cavalli al di sopra del bordo del carro. L’auriga era completamente corazzato, solo gli occhi rimanevano scoperti. Il carro era armato con due falci di ferro lunghe circa 60 cm attaccate agli assali da entrambi i lati. Altre falci si trovavano sotto il pianale puntate verso il terreno, utili durante la carica. Questo era il carro inventato da Ciro, ed ancora usato oggi[...]».
Si dice che Ciro abbia schierato contro Creso una forza di 300 carri divisi in comandi: cento suoi, cento del suo alleato l’assiro Abradatas e cento vecchi carri medi modificati.
Vi erano, però, indubbie difficoltà nell’uso dei carri in lunghe campagne, riscontrate soprattutto durante il trasporto via mare nell’invasione della Grecia. I cavalli ed il carro stesso non solo occupavano un grande spazio a bordo, ma allungavano enormemente le formazioni dell’esercito in marcia. Erano poi inutili per attacchi contro città e fortificazioni. Alla fine, l’inclusione dei carri negli eserciti dipese dalle preferenze individuali del re o del comandante.
Thymbra
Situazione storica
Fu Aliatte, pronipote del re Gige, primo della dinastia dei Mermnadi, che riuscendo a sconfiggere i Cimmeri fece della Lidia la nazione più potente dell’Asia Minore.
Aliatte continuò la guerra contro le città stato ioniche ad ovest ed espanse il regno verso oriente raggiungendo Halys. Qui venne a contatto con i potenti medi, trovandosi ormai con un impero allungato tra Halys e Oxus.
Il 28 maggio del 585 a.C., lo scontro decisivo tra i lidi di Aliatte e i medi di Ciassare terminò bruscamente a causa di una eclissi di sole, con i combattenti che si convinsero che Dio non volesse la guerra.
Tramite la mediazione di Nabonedo, re di Babilonia, venne quindi firmato un trattato di pace. Eppure questo trattato non fermò l’espansione della Lidia: il re Creso sottomise quasi tutta l’Asia Minore ma bramava più potere; sarebbe scoppiata un’altra guerra.
A Oriente, il grande avversario, ossia il regno dei medi, fronteggiava disordini interni dovuti alla ribellione di una piccola tribù, i cui appartenenti si chiamavano "Persiani". Naturalmente le possibilità di successo contro i medi erano insignificanti, tuttavia c’era la possibilità di creare alcuni problemi nelle difese dei medi e
questa volta nessun intervento esterno, come fu quello babilonese in precedenza, fermò la Lidia.
La ricchezza del suo re, Creso, era ben risaputa nel mondo occidentale e la sua reputazione, di uomo ricchissimo, era ben meritata. Il regno della Lidia fu veramente molto prospero, i suoi redditi derivavano dal commercio con le coste, e dai metalli delle proprie miniere nonché da un prospero sistema agricolo; non c’è da meravigliarsi se l’uso della moneta si sviluppò con i re della Lidia.
Uno dei partner più importanti nei commerci fu l’Egitto, governato da Chenibre Amose-si-Neith, un alleato affidabile, nonostante fosse un usurpatore.
Furono anche stabiliti contatti con città della Grecia, la piccola, ma potente, città stato di Sparta sembrava fosse interessata ad un’alleanza.
Così la situazione politico-economica era ottima.
L’esercito dei lidi inoltre non era tra i peggiori; se nell’antichità i lidi erano noti come gente decadente e debole, durante l’epoca oggetto della nostra analisi erano tra i più bellicosi, almeno secondo Erodoto. La Lidia aveva una nobiltà equestre con solide tradizioni militari che poteva battere chiunque a cavallo; particolarmente abile nel combattimento con le lance, Creso ne migliorò la corazza tipo greca, molto avanzata per quei tempi.
Altri abili cavalieri tra i lidi, erano gli abitanti della Paflagonia, una regione costiera dell’Anatolia.
Non abbiamo troppe notizie su di loro, sappiamo sempre da Erodoto che furono uno dei popoli più antichi dell’Asia e si dice fossero alleati di Troia durante la guerra contro i greci.
Anche la città greca di Colofone aveva una cavalleria importante, che venne ingaggiata con entusiasmo dai re lidi.
Abitualmente tutte le città greche sottomesse accettavano di buon grado la sudditanza, rifornendo la Lidia di soldati opliti. Molti degli abitanti di queste città greche, che ingorssavano le linee dell’esercito di Lidia, adottavano normalmente la Panoplia. La parola Panoplia significa "collezione di armi", e Panoplia è il termine usato per indicare l'insieme delle armi in dotazione agli opliti ellenici, armi di offesa: spada (xiphos) e lancia (dóry); e di difesa: elmo (krános), scudo (aspís), corazza (formata da due pezzi, thórax e epibraxioníos, i quali proteggevano rispettivamente il petto ed il ventre), bracciali (epipekhýon), schinieri (knemis), e le protezioni per le caviglie (episphýrion) e per i piedi (epipodíon). Il tutto pesava tra i 22 ed i 35 kg. Il termine venne successivamente usato per indicare i trofei e i motivi ornamentali che si trovano nei fregi di diversi monumenti romani di carattere celebrativo di imprese vittoriose e ripresi come motivo ornamentale, posto sui muri, nei secoli successivi.
Raggiunto un alto livello di ricchezza, quindi, i lidi preferirono usare in guerra gli opliti greci, mentre parecchi altri popoli erano arruolati tra le fila dell’esercito con altri ruoli che potremmo definire ausiliari, come la fanteria leggera, gli arcieri, gli schermagliatori. Nel suo insieme l’esercito della Lidia era basato su soldati non professionisti, ma, nonostante ciò, erano truppe eccellenti e, anche se era così variegato, teneva il campo con grande autorevolezza. La grande bellezza delle formazioni lidie fu notata soprattutto dai greci. Secondo Saffo, solo il viso dell’innamorata poteva essere più bello dello schieramento di battaglia dei lidi.
I Misiani
Tra le leve leggere dell’esercito della Lidia si distinguevano anzitutto i Misiani, una etnia dell’Anatolia, simili ai lidi. Usavano piccoli scudi e giavellotti di legno bruciato che ne facevano ottimi schermagliatori e truppe d’appoggio agli opliti. Però il loro armamento leggero e la mancanza di elmo li rendevano vulnerabili nel combattimento corpo a corpo. I comandanti capaci ne sfruttavano la mobilità per evitare combattimenti prolungati con il nemico.
I frigi
I frigi abitavano un fertile altopiano dell’Anatolia orientale e la loro fanteria includeva gli schermagliatori , tipici della tradizione dell’Asia Minore. Equipaggiati con un piccolo scudo e una serie di giavellotti, combattevano in maniera simile ai Misiani. I frigi, però, portavano anche una lancia per il combattimento ravvicinato, questo li rendeva abili a sostenere i fianchi della falange. Il loro famoso copricapo, il berretto frigio (copricapo conico con la punta ripiegata in avanti), li distingueva sul campo di battaglia, la loro velocità di attacco con i giavellotti era devastante e ciò era un fattore chiave nella distruzione delle formazioni nemiche.
Gli abitanti di Panfilia
Panfilia riforniva l’esercito della Lidia di cavalieri anche se questi erano meno fastosi dei loro signori lidi. Essi combattevano alla stessa maniera dei cavalieri lidi, ma incutevano meno paura per la mancanza di corazza pesante. Indossavano cappelli di tessuto invece degli elmi, usavano lunghe redini per favorire la manovrabilità a cavallo. Compensavano lo scarso armamento con la velocità, la loro leggerezza li favoriva nell’inseguire le truppe in rotta ed anche per intervenire rapidamente nelle aree critiche del campo di battaglia.
I Colofoniani
La cavalleria di Colofone era simile a quella dei lidi ma l’armamento era di tipo greco. Avendo una corazza più pesante di quella dei Panfiliani, potevano combattere insieme ai cavalieri lidi. Colofone è stata sotto l’influenza lidia per molto tempo e ciò ha portato ad accentuare le differenze con i greci delle zone più montanare. Con maggiori possibilità nell’uso della cavalleria da guerra e un’ottima razza equina da cavalcare, questi cavalieri non assomigliavano allo stereotipo del classico cavallerizzo greco. Sebbene non avessero l’urto devastante della più tarda cavalleria greco-macedone, questi elleni non erano ultimi a nessuno nel combattimento in mischia. Avevano il giavellotto per il combattimento a distanza e la lancia per infilzare le schiere nemiche.
L’'impero della Lidia includeva molte città stato ioniche e quindi aveva la possibilità di arruolare nel suo esercito i rinomati guerrieri oplitici. Affidabile e solida, questa fanteria occupava le linee di battaglia più importanti. Armati con uno scudo di bronzo ed una lunga penetrante lancia, gli opliti combattevano in coordinata coesione nell’affrontare il nemico e decidevano il destino delle nazioni con la sola forza d’urto. Chiaramente la persistenza e la tenacia dimostrata dagli opliti nel difendere la propria poleis d'origine non trovava riscontro nel momento in cui si trattava di difendere un regno al quale erano legati solo dalla paga.
- Opliti di Caria
Gli opliti di Caria erano famosi per l’invenzione di un altero piumaggio che ornava gli elmi dell’epoca.
Le scintillanti decorazioni dei loro elmi gli fece avere dai persiani il soprannome di “galli” per il loro aspetto superbo. Questi opliti non erano etnicamente greci, ma Erodoto li descrive come molto simili agli elleni.
In ogni modo i Cariani utilizzavano, come arma secondaria, un mortale falcetto generalmente usato contro la cavalleria. La sua lama ricurva era l’ideale per spaccare e tagliare i cavalieri, disarcionarli e lasciarli indifesi o esposti al calpestamento. La combinazione di falange e falcetto ne faceva la fanteria anti cavalleria per eccellenza.
I panfiliani era un altro popolo soggiogato dai Lidi, nativi dell’Anatolia, non erano Greci, ma il contatto ravvicinato con gli elleni, li influenzò abbastanza da fargli produrre dei buoni corpi di opliti. Pur non affidabili come gli opliti delle città stato , gli opliti di Panfilia avevano una buona formazione a falange.
- Gli opliti Lidi
Nonostante I Lidi confidassero sulla loro cavalleria d’elite e talvolta sui carri da guerra, I cittadini della classe media in ascesa delle aree urbane dell’impero, come per le città stato greche, svilupparono una fanteria oplita. I nobili militavano a cavallo, ma la classe media, artigiani e commercianti, favoriva una forte coesione sociale con la falange. L’ottima qualità della carica di una falange pesantemente corazzata che si dirige contro il nemico urlando con le lance schierate, risolse a favore dei Lidi molte battaglie.
- Arcieri Lidi
I Lidi, come molte popolazioni asiatiche, utilizzava gli arcieri per lanciare una pioggia letale di dardi contro il nemico. Tramite la velocità delle frecce prodotta dall’arco composito, adottato dai Chimmeri, i lidi potevano, non solo, rompere le formazioni nemiche, ma causare una percentuale molto alta di feriti appena prima della mischia. Pur non abili come arcieri quanto i loro vicini orientali, i Lidi avevano delle formazioni di arcieri piuttosto temibili.
Tuttavia la mancanza di corazza li rendeva vulnerabili nel combattimento ravvicinato.
- Carri Lidi
La nobiltà Lidia aveva una antica tradizione nella conduzione dei carri da Guerra. Simile al carro da guerra orientale, i Lidi lo usavano come una piattaforma armata mobile. Armati con giavellotti attaccavano ripetutamente il nemico favoriti dalla loro velocità e mobilità prima di attaccare le più vulnerabili truppe leggere con rapide cariche. La scarsa protezione di corazzatura pesante non consentiva ai carri né di sostenere prolungati combattimenti statici né attacchi di armi da lancio.
Trainati da quattro cavalli riccamente bardati i carri erano un’arma terribilmente terrorizzante da vedere sul campo di battaglia.
- Cavalleria nobile Lidia
La maggior parte della nobiltà andava in Guerra montando i destrieri più di preziosi in Asia Minore. Allevati nelle condizioni migliori le monte lidie furono mantenute sempre in buona salute e pronte all’azione. I cavalieri Lidi stessi praticavano l’equitazione per tutta la vita tra caccia e le tante guerre di conquista fatte. Essi erano temuti nel mondo civilizzato come cavalieri dall’abilità mortale, capaci di trasformare una sconfitta certa in una vittoria eroica.
Armati di giavellotto e una straordinariamente lunga lancia per il tempo, i cavalieri Lidi bersagliavano il nemico di proiettili per demoralizzarlo e confonderlo prima di affrontarlo in un brutale corpo a corpo. La cavalleria Lidia era ben attrezzata per distruggere la cavalleria avversaria e falcidiare i nemici, dopo di che combattere in coordinazione con la falange per una tattica di sfondamento contro al fanteria nemica. Comunque, come tutta la cavalleria, la sua forza sta nella continua mobilità e non nell’impantanarsi in un combattimento prolungato con la fanteria. E’ stato notato che con l’inizio della decadenza della Lidia anche la qualità delle arti equestri sono andate peggiorando e ciò forse è stato poi pagato in battaglia.
Thymbra
Ossesrvazioni del sig. Freret sopra la battaglia data a Timbrea dalle armate di Ciro e di Creso (Ciropedia trad. da Francesco Regis, Milano 1828)
"solo quindi rimarcherò al presente che l'armata di Ciro ascendeva in tutto, compresi fanti e cavalieri, al numero di 196,000 combattenti. Questo numero veniva formato da 70,000 originari di Persia, dei quali 10,000 erano corazzieri a cavallo, 20,000 corazzieri a piedi, 20,000 astati, e 90,000 armati alla leggiera; la rimanente armata pari in numero a 126,000 combattenti comprendeva 26,000 cavalieri medi, armeni, ed arabi di Babilonia, e 100,000 fanti delle medesime nazioni. Oltre queste truppe Ciro avea 3oo carri falcati, ciascheduno di essi tirato da quatto cavalli attaccati di fronte e bar
dammitati a prova di dardo non altrimenti che quelli de' corazzieri persiani. Essi carri montati dalli più valorosi dell'armata erano destinati a marciare durante la battaglia alla testa della fanteria occupando ad eguali distanze tutta la fronte della linea. Ciro avea fatto inoltre costruire un considerevole numero di carri di gran lunga più vasti, sopra i quali poggiavano torri alte dodici cubiti o parigini piedi i5 circa, seguendo il computo da me stabilito in una dissertazione Sopra le misure degli antichi. Queste torri guernite di 20 arcieri erano talmente leggiere di loro costruzione che il peso della iutera macchina in uno con quello degli uomini, non oltrepassava i 120 talenti o le libbre 5,ooo del peso di Francia.Venivano esse trascinate da 16 bovi attaccati di fronte, i quali non erano però aggravati dalla fatica, mentre il peso di tutta la macchina valutavasi minore di due quinti di quanto solea comportare un egual numero di essi destinati alle bagaglio. Gli arcieri collocati sopra le torri dominavano di 8, o 9 piedi in altezza la falange non che i carri che seguivanla in coda, avendo così agio di scoprire la campagna, e tirare al di sopra dei battaglioni persiani senza tema di sinistro accidente.
Ciò non pertanto l'armata di Creso raddoppiava in numero quella de'Persi. Araspe, signore medo, che avea seguito le parti di Ciro, mandato da questo principe ad esplorare le forze contrarie, riferì, che disposte in ordine di battaglia, a 30 di altezza schierati e finiti e cavalli, occupavano da 10 stadj circa di fronte. Ed in fatti mettendo a disamina diversi luoghi di Senofonte in cui egli dichiara il numero delle truppe dei Babilonesi, dei Lidj, dei Frigj, dei Cappadoci, dei popoli dell' Ellesponto e degli Egizj, chiaro apparisce essere stati non minori di 360,000 combattenti. Le schiere de'Fenici, de' Ciprj, dei Cilicj, dei Licaonj, dei Paflagoni, dei Traci e dei Ionj, del cui numero Senofonte non fa metir.ioiie in luogo alcuno, valutar si possono in numero di 6o,ooo quasi tulli fanti,poichè la più parte di questi popoli o avea tenuta la via del mare, o dimoravano in paesi non adatti a nutricare cavalli; le quali forze tutte,complessivamente prese, facevano ascendere l'esercito di Creso a 420,000 combattenti, i quali, seconda l'arte militare di que'popoli, schierati i ranghi a 30 di altezza, doveano appunto occupare lo spazio di 40 stadj circa.
Gl'Egizj in numero di 120.000 formavano il nerbo della fanteria di Creso; erano essi divisi in 15 grossi corpi o battaglioni quadrati di 10,000 combattenti cadauno presentando 100 uomini sopra ogni'lato, divisi con alcuni intervalli fra di essi acciò ed agire e combattere potessero senza arrecarsi vicendevolmente molestia. Era mente di Creso il dar loro una ordinanza di minore altezza per rendere maggiore la fronte, da poi che e ritrovavansi le armate in una immensa pianura che permettevagli di estendere le ali a dritta ed a sinistra, ed era suo disegno d'inviluppare l'armata de'Persi; ma non gli fu possibile il persuadere agli Egizj di cangiare l'ordine di battaglia a cui erano accostumati.
L'Egitto è una regione intersecata da canali in cui un esercito non può estendersi senza disgiungere i corpi che lo compongono, e dove non è sempre facile il conservare comunicazione fra essi; egli era forza pertanto che questi corpi potessero da sè medesimi difendersi caso che fossero separatamente attaccati. I grossi battaglioni egizj essendo per ogni fronte egualmente forti, poichè presentavan' per ogni lato un egual numero di combattenti, aveauo minor bisogno di essere sostenuti dalli corpi estesi in falange alla foggia dei Greci o degli Asiatici. Gli Egizj a cui era nota l'eccellenza di questi grossi corpi a colonne, erano persuasi che le falangi persiane non avrebbero potuto sostenerne l'impeto, che sarebbero state penetrate per ogni dove venissero attaccate, e che se pur anche l'avversa sorte avesse portato lo sbaraglio totale della rimanente armata di Creso, le colonne si sarebbero conservate intiere, e sarebbero state sempre a poi tata di ritirarsi vantaggiosamente innanzi al dentice, o almeno di potere seco lui venite ad onorevole capitolazione.""
Thymbra
I due eserciti si scontrarono all'inizio dell'inverno nei pressi della città di Pteria, combattendo un'aspra quanto inconcludente battaglia: non si hanno notizie al riguardo, se non che non vi fu alcun vincitore. Dal momento che la pianura della Cappadocia era stata privata delle sue risorse durante l'occupazione lidia, Creso decise che sarebbe stato meglio ritirarsi a Sardis, la sua capitale: dopo avervi svernato, avrebbe riunito le forze, integrate da quelle degli alleati, riprendendo la guerra in primavera. Tornato a Sardis, egli congedò le truppe mercenarie greche e inviò messaggi agli alleati, specificando le sue necessità militari per la campagna della stagione successiva. Dopo la battaglia, Ciro si consultò con i suoi consiglieri, ricevendone un suggerimento analogo: tornare in patria per l'inverno e riprendere le operazioni in primavera. A questo punto, però, egli mostrò il primo lampo di genio: certo che Creso non avrebbe mantenuto sul libro paga i mercenari durante la cattiva stagione e che gli alleati della Lidia non avrebbero probabilmente inviato rinforzi prima di qualche mese, decise di puntare a sua volta su Sardis. Concesso al re nemico il tempo sufficiente per tornare in patria e congedare le truppe, Ciro marciò a tappe forzate attraverso l'Anatolia. A Creso giunsero alcune voci sul-l'avvicinarsi di Ciro, ma non ne tenne conto: infatti, fu costretto a ricredersi solo quando le forze persiane giunsero in vista delle porte della città. I due eserciti si scontrarono appena fuori Sardis, nella piana di Thymbra, all'inizio del 546. Ciro organizzò le sue truppe in formazione quadrata, con la cavalleria sui fianchi e i reparti montati su cocchi alla retroguardia. I Lidi si schierarono nella maniera tradizionale, disposti su lunghe file parallele.
La battaglia iniziò con un tentativo di accerchiare il quadrato persiano da parte della cavalleria lidia;
le cui unità centrali, però, si portarono troppo in avanti, aprendo dei vuoti nello schieramento.
Fu a questo punto che Ciro mise in campo la sua arma segreta: a Pteria, uno dei suoi generali aveva notato che i cavalli lidi si erano imbizzarriti alla presenza dei cammelli persiani usati per il trasporto; Ciro formò con questi animali le prime truppe cammellate della storia e le fece avanzare.
Percependone l'odore, i cavalli dei nemici furono presi dal panico.
I cavalieri smontarono e cercarono di combattere a piedi, ma le loro lance si dimostrarono troppo poco maneggevoli per essere efficaci. Dall'interno del quadrato persiano, gli arcieri scoccarono nugoli su nugolì di frecce contro i ranghi lidi, aumentandone la confusione. La fanteria e i carri sui fianchi caricarono i cavalieri lidi appiedati.
Quindi, una volta aperti ampi vuoti su entrambi i lati al centro dello schieramento avversario, Ciro vi lanciò attraverso la sua cavalleria.
Il risultato fu la rotta, mentre i lidi superstiti correvano a rifugiarsi tra le mura di Sardi.
Le forze persiane circondarono immediatamente la città e la assediarono per 14 giorni. Venuto a conoscenza di un probabile punto debole nelle difese - dove le mura incontravano alcune rocce, fondendosi in esse - Ciro inviò un piccolo contingente sull'altura che in quel punto sovrastava la cittadella, dove le sue truppe penetrarono rapidamente, prendendo Creso prigioniero. Il mattino successivo, la città aprì le porte al vincitore e, da quel momento, la Lidia cessò di esistere come regno indipendente.
Thymbra
Pur conseguita nel 546 a.C., 7 anni prima della conquista della Babilonia, la vittoria di Ciro su Creso a Thymbra segnò nella campagna il punto di svolta che permise la fondazione di un impero persiano. Babilonia, in quanto coerede dell'impero assiro, rappresentava un nemico naturale, nonostante avesse fatto ben poco per provocare Ciro.
Il re babilonese Nabonide si trovava nel bel mezzo di una crisi interna. Malgrado gli sforzi per mantenere stabili le rotte commerciali tra il Golfo Persico e il Mediterraneo, cosa che avrebbe naturalmente continuato a far prosperare le più ricche tra le antiche città, Nabonide irritò il suo popolo nelle questioni religiose. Giunto al potere grazie alla sua posizione di generale, invece che per diritto di nascita, egli diffidava della classe dirigente babilonese; inoltre, al culto di Marduk, la divinità nazionale, preferiva quello di Sin, la dea della luna, e in suo onore fece costruire templi a Babilonia, inimicandosi la popolazione.
In seguito a un sogno, inviò l'esercito nella città di Harran per ripristinarvi il tempio di Sin. Trascorse sette anni conducendo campagne in Arabia, occupando tutta la regione fino a Yathrib (Medina) e colonizzando una striscia di oasi che attraversava il Paese, sebbene non sia chiaro se fosse spinto a farlo da ragioni militari o commerciali.
Questa spedizione gli alienò ulteriormente la simpatia dei Babilonesi: era previsto, infatti, che il re presenziasse ai festeggiamenti del nuovo anno, mentre Nabonide ne mancò sette di seguito. A sovrintendere alle faccende di governo pensava Belsatsar, suo figlio e reggente.
Quando Ciro, dopo aver esteso la sua potenza a Oriente per mezzo di campagne fino alla Bactria (l'attuale Afghanistan), si diresse verso Babilonia, Nabonide cercò finalmente di rabbonire i propri sudditi e difendere la patria. Ordinò che tutti gli idoli di Marduk venissero portati nella città per rafforzarne le difese spirituali, ma evidentemente era ormai troppo tardi. Sembra che Ciro si fosse messo in contatto con i capi religiosi babilonesi, rassicurandoli sulla sua tolleranza religiosa e istigando così un movimento di resistenza in casa dello stesso Nabonide.
Esistono due resoconti completamente differenti a proposito della resa di Babilonia a Ciro. Secondo la prima versione, nel settembre del 539 a.C. l'esercito persiano sconfisse i Babilonesi a Opis, ex capitale dell'Accadia, che Ciro fece distruggere. Il 10 ottobre, la città di Sippar si arrese senza combattere. Informato di ciò, Nabonide fuggì da Babilonia. Uno dei suoi ex governatori, Ugbaru, che aveva amministrato Gutium (un territorio da qualche parie a est del Tigri), passando poi tra le file di Ciro, entrò nella città senza incontrare opposizione; fu quindi la volta dello stesso Ciro, che il 29 ottobre ricevette una trionfale accoglienza da parte degli abitanti, che lo proclamarono rappresentante del dio Marduk per averli liberati dall'eretico Nabonide.
L'altra versione, suggerita da Erodoto, parla di un assedio durato due anni, dal 539 al 538 a.C., durante il quale Ciro fu sul punto di rinunciare perché gli abitanti di Babilonia avevano ammassato un'enorme quantità di provviste. Invece, decise (o fu consigliato) di deviare il ramo dell'Eufrate che scorreva attraverso la città verso un terreno paludoso, facendo così abbassare il livello del fiume fino a permettere alle truppe persiane di guadarlo e penetrare in Babilonia attraverso le chiuse. «Gli stessi Babilonesi raccontano che, a causa della grande estensione della città, i sobborghi caddero senza che gli abitanti del centro ne sapessero nulla: erano in corso dei festeggiamenti, ed essi continuarono a danzare e divertirsi fino a quando appresero la notizia nel modo peggiore» (Erodoto, Storie).
La conquista di Babilonia segnò la riunifìcazione dell'antico impero assiro, ampliato da Ciro fino a comprendere l'Asia Minore e le coste del Golfo Persico, raggiungendo quasi l'India. Una volta fondato l'impero persiano, Ciro continuò a condurre operazioni militari, rimanendo ucciso in combattimento nei pressi del fiume Jaxartes durante il diciassettesimo anno di guerra contro le forze scite.
Fu la campagna contro la Lidia, tuttavia, che privò Babilonia di un potente alleato e rese sicuro il fianco occidentale di Ciro, mettendo questi nella posizione di diventare imperatore: «Una volta sottomessa la Lidia, l'equilibrio del potere e gli interessi di Babilonia e dell'Iran (Persia) entrarono in conflitto». La resa dei conti fu probabilmente inevitabile, e Nabonide non poteva competere con Ciro.
Quello persiano si rivelò il primo impero "mondiale" della storia. Prima di allora, vi erano state conquiste su vasta scala, come quella degli Assiri, i quali occuparono un territorio che era un impero nelle dimensioni, ma non nell’amministrazione. Proprio a questo diede vita Ciro, un'amministrazione imperiale.
Dimostrando tolleranza religiosa, offrendo pace e migliorando la rete stradale per facilitare il commercio, i Persiani continuarono a costruire sulle fondamenta gettate da Ciro e ad ampliare ulteriormente l'impero, includendo l'Egitto e regioni dell'Europa sud-orientale, anche se a Maratona e Salamina, all'inizio del v secolo a.C., trovarono degni rivali nei Greci. Di fatto, Ciro era adorato dai sudditi, non perché lo pretendesse come un faraone, ma perché lo meritava.
La sua liberazione degli Ebrei, rimasti per decenni prigionieri a Babilonia, portò alla ricostituzione di una nazione israelitica che durò fino al i secolo d.C., quando i Romani ne dispersero di nuovo gli abitanti. Anche se considerato dagli Ebrei uno strumento inviato da Dio per liberarli (esattamente come lo vedevano i Babilonesi), consentendo loro di tornare sulle coste orientali del Mediterraneo, Ciro aveva certamente i suoi buoni motivi strategici, perché in tal modo si assicurava che una zona abitata da una popolazione amica fungesse da cuscinetto contro una possibile espansione egiziana. Per tutti, egli rappresentò un gradito cambiamento rispetto alla brutalità degli Assiri, gli ultimi grandi conquistatori della regione: con la sua politica tollerante, Ciro ricevette immediatamente sostegno dove gli Assiri avevano ottenuto unicamente malcontento e odio. A differenza dell'impero assiro, che fu rovesciato da una rivolta, la vita di quello persiano, durata più di due secoli, ebbe fine soltanto con l'arrivo di Alessandro Magno.
Thymbra
Senofonte, Ciropedia
I Persiani,come detto, occuparono dunque Sardi e catturarono lo stesso Creso, il quale aveva regnato per quattordici anni e per quattordici giorni aveva sostenuto l’assedio e, secondo l’oracolo, aveva distrutto un grande impero, il suo. Una volta preso, i Persiani lo condussero davanti a Ciro. E questi, fatto innalzare un grande rogo, fece salire su di esso Creso avvinto in ceppi, e accanto a lui quattordici giovani lidi, avendo in animo di sacrificare a qualcuno degli dei tali primizie del bottino, o volendo compiere un voto, o anche, sapendo che Creso era pio, lo fece salire sul rogo proprio per vedere se qualche divinità lo avrebbe salvato dall’essere bruciato vivo. […]
Creso invocò il nome di Solone, ricordando che un tempo gli aveva detto che nessuno dei viventi può dirsi felice, perché la fortuna è mutevole. Ai Persiani che gli chiedevano il significato di quel nome narrò infine come si fosse recato da lui Solone ateniese e come, dopo avere osservato tutti i suoi beni, lo avesse disprezzato, e come tutto gli fosse accaduto come egli aveva detto, parlando non solo per lui ma per tutto il genere umano, e soprattutto per coloro che credono di essere felici. Mentre Creso raccontava, il rogo era già stato acceso e bruciava i bordi. E Ciro, udito dagli interpreti quel che Creso aveva detto, mutando consiglio e riflettendo che, essendo anch’egli uomo, stava per dare in preda alle fiamme un altro uomo che era stato a lui non inferiore per fortuna, e oltre a ciò temendo il castigo divino, e avendo compreso che nessuna delle cose umane è sicura, ordinò di spegnere al più presto il fuoco che ardeva e di far scendere Creso e quelli che erano con lui. Ma per quanto lo tentassero, non poterono più aver ragione del fuoco. Narrano i Lidi che allora Creso, accortosi del pentimento di Ciro, […] invocasse a gran voce Apollo, scongiurandolo se mai aveva da lui ricevuto alcun dono gradito di assisterlo e di salvarlo dalla presente sciagura. Egli piangendo invocava il dio e dall’aria serena e senza vento si radunarono all’improvviso nubi e si scatenò un temporale e piovve con tanta violenza che il rogo si spense. Allora Ciro, avendo compreso che Creso era un uomo caro agli dei e buono, lo fece scendere dalla pira e gli chiese: «Creso, chi ti persuase a muovere in armi contro la mia terra e farti mio nemico invece che amico?» E quello rispose: «O re, questo io feci per la tua fortuna e per la mia disgrazia; ma colpevole di questo fu il dio dei Greci, che mi spinse alla guerra. Poiché nessuno è tanto privo di senno da preferire la guerra alla pace: ché in questa i figli seppelliscono i genitori, in quella i genitori i figli. Ma forse a un dio piacque che queste cose andassero così. Egli diede questa risposta e Ciro, fattolo sciogliere, lo fece sedere accanto a sé e lo trattò con molto riguardo […].
Thymbra
Ossesrvazioni del sig. Freret sopra la battaglia data a Timbrea dalle armate di Ciro e di Creso (Ciropedia trad. da Francesco Regis, Milano 1828)
"[...]Ecco di qual maniera Senofonte descrive il combattimento di Timbrea: io non mi accingerò ad esaminare minutamente li vantaggi e l'inconvenienti delli due ordini di battaglia di Ciro e di Creso. Simile intrapresa esiggerebbe persona che riunisse alla pratica della guerra alcune cognizioni sopra i principi dell'arte militare, essendo queste due cose di tal natura da non doversi giammai separare se pur vogliasi riuscire in cosiffatti argomenti; è facile quindi il comprendere quanto sia incompetente per le mie forze tale impegno: non posso però dispensarmi dal rimarcare due cose sul presente argomento; l'una che la trineea mobile dei carri di cui Giro avea formato il suo retroguardo è stata impiegata con successo collo scorrere degli anni da altri valentissimi capitani.
Allorchè il duca di Parma Alessandro Farnese si recò in Francia durante la lega, attraversò le pianure della Piccardia marciando in colonna in mezzo a due file di carri che coprivano le sue truppe; ed Enrico IV tutto che intento per impegnarlo ad una battaglia, non osò giammai di costringerlo non potendo riuscire in ciò senza attaccare questo trinceramento, il che lo avrebbe sicuramente esposto ad una irreparabile perdita.
Il duca di Lorena impiegò lo stesso stratagemma e con egual successo, allorchè, tentato inutilmente di soccorrere Brisacco assediato dal duca di Weimar, fu obbligato a ritirarsi quasi senza cavalleria alla vista di questo abile generale la cui armata era in ciò fortissima. Il prode Duca marciò in colonna, coperta alle due ale dalli carri del convoglio ch'egli avea tentato di gettare in Brisacco; e questo trinceramento rese vani tutti gli sforzi fatti dal duca di Weimar per metterla in rotta.
I Cosacchi mancando di cavalleria hanno molte volte sperimentato un eguale fortuna facendo uso di questi trinceramenti mobili, e fra le altre, allorchè furono obbligati a marciare, ed a ritirarsi nelle pianure dell' Ucrania in presenza della cavalleria tartara.
La seconda cosa che mi sembra meritare ben anche maggiore attenzione in questo combattimento si è, che Ciro fu quasi unicamente debitore della sua vittoria alli 4ooo uomini collocati dietro il trinceramento, poichè furono essi che inviulpparono e presero di fianco le due porzioni delle ale dell'armata Lidia, colle quali Creso sperava di rendere il contraccambio al nemico.
Cesare (come egli stesso asserisce nelle sue Memorie) si approfittò di simile disposizione in Farsaglia, e da questa dovette ripetere la vittoiia sopra l'armala di Pompeo assai più forte massime in cavalleria. Io non mi estenderò al presente a dimostrare la conformità di queste due disposizioni di Timbrea e di Farsaglia; basta leggere le memorie di Cesare per rimanerne convinto: mi contenterò solo di rimarcare che una tale conformità costituisce il più grande elogio che tributar possiamo a Ciro; mentre chiaro da ciò ne appare che l'operato da lui a Timbrea servì di modello ad uno dei più grandi e famosi generali dell'amichità, allorchè trattavasi della sua salvezza, e dell'impero di tutto l'Universo."
Thymbra
Osservazioni del sig. Freret, sopra la battaglia da a Timbrea dalle armate di Ciro e di Creso (Ciropedia trad. da Francesco Regis, Milano 1828)
"Gli Egizj posti al centro combatterono con maggior valore e con migliore fortuna; essi avevano resistito all'urto dei carri. Abradata re di Susiana che li comandava, ostinatosi a caricare questi formidabili battaglioni egizj, era stato ucciso colli più bravi della sua gente: e lungi dall'essere scosso questo grosso corpo di fanteria per la rotta delle falangi che sono a suoi fianchi, non solamente egli sostiene molte cariche delli fanti persiani, ma gli riesce inoltre di spingerli per fino sotto le macchine dove si procurano un asilo.
Ciro, messa in fuga la cavalleria e la fanteria egizia, non si occupò a perseguitare i fuggitivi, ma investì direttamente il centro; e come vide il disordine della sua fanteria, divisò doversi attaccare gli Egizj in coda, a fine di dare alle sue truppe il tempo di riordinarsi. Presa dunque tutta la cavalleria persiana che potè rinvenire presso di lui, piombò alle spalle de' loro battaglioni: ma questi all'istante voltatisi di fronte da tutti i lati si sostennero vigorosamente sebbene fossero già state forzate le prime file. Il cavallo di Ciro ferito rovesciò sul suolo il suo cavaliere, e reso furioso dal dolore era prossimo ad opprimerlo se questi fosse stato meno amato dalli suoi soldati: essi si precipitarono nel mezzo di quella selva di picche per liberarlo, e mostrarono, dice Senofonte, quanto debba essere a cuore di un principe il farsi amare dalli proprj sudditi. Allorchè Ciro fu novamente a cavallo, vide che Crisanta e Istaspe, corsi in suo soccorso alla testa della cavallerìa persiana, inviluppavano gli Egizj da ogni parte, e che questi stringendosi intorno, e coprendosi colli loro scudi, e presentando da ogni parte le loro lunghe picche, si preparavano a vendere caramente la propria vita.
Laonde fu di avviso non convenirsi il ridurre alla disperazione questa brava fanteria il cui valore e coraggio avea egli stesso poco prima sperimentato; fece divieto quindi alle sue truppe di caricarla a corpo a corpo, ed ordinò loro di stancarla soltanto molestandola con continue scariche di pietre e di giavellotti.
Intanto egli ascese una delle torri da dove scoprendo parte della pianura osservò che gli Egizj erano i soli che opponevano ancora qualche resistenza, abbandonato dalle altre truppe il campo. Un sì prode capitano, che avea in pregio il valore degli stessi suoi nemici, non potea vedere senza rammarico perire tanta virtuosa gente, e risolvette d'impiegare ogni mezzo per salvarla; dato quindi ordine alle truppe che li circondavano di ritirarsi, spedì loro un araldo loro proponendo di non più seguire il partito di quelli che gli avevano abbandonati sì vigliaccamente, di prendere ingaggio fra suoi con soldo maggiore di quello che in allora riscuotevano, ed esibendo stabilimenti considerabili a quanti di essi volessero rimanere presso di lui spenta la guerra. Gli Egizj furono paghi a condizioni così vantaggiose; ma per dimostrare che la loro fedeltà non la cedeva al loro valore stipularono di dovere essere esentati dal portar l'armi contro Creso, antico alleato della loro nazione, e che li avea chiamati in suo soccorso.
Senofonte osserva che vennero poscia loro accordate le città di Larissa e di Cillene vicino a Cuma sulle spiagge del mare, ed altri luoghi nel mezzo di quel continente, dove i loro posteri, esso vivente, soggiornavano ancora, e di più che desse nomavansi città degli Egizj. Tale dichiarazione del nostro storico non altrimenti che alcune altre diffuse nella Ciropedia per provare la verità di quanto egli asserisce, dimostrano che egli tramandava a posteri quest'opera quale storia veritiera di Ciro almeno per la più parte."
Con la cortese collaborazione di Giuseppe Bufardeci
Pubblicato il 30/05/2020
Referenze:
Osservazioni del sig. Freret, sopra la battaglia da a Timbrea dalle armate di Ciro e di Creso (Ciropedia trad. da Francesco Regis, Milano 1828)
Senofonte, Ciropedia
Erodoto, Storie