Ars Bellica

Battaglia di Platea

27 Agosto 479 a.C.

La definitiva sconfitta del re Serse e la fine delle guerre Persiane.

PLATEA

I due comandanti

Pausania (? - 408 a.C.)

Figlio di Cleombroto, della famiglia regale degli Agiadi. Succedette al padre nella tutela di Plistarco, figlio di Leonida (fratello di Cleombroto), che era giunto al trono minorenne. Come reggente comandò i Greci nella battaglia di Platea (479 a. C.) e quindi guidò la flotta greca alla conquista di Bisanzio (477 a. C.). A Bisanzio iniziò una politica di prestigio personale, con atteggiamenti orientalizzanti, che si spiegano sia come reazione d'uno spartano all'eccesso di subordinazione allo stato, a cui era stato abituato (lo stesso si ripeterà per Lisandro), sia come desiderio di rendere permanente un potere che avrebbe potuto legalmente durare solo quanto la minorità di Plistarco. Ma in tal modo Pausania fece solo il giuoco degli Ateniesi irritando i suoi subordinati e spingendoli a quel pronunciamento che fece nascere la Lega delio-attica intorno ad Atene. D'altro lato Sparta, già poco rassicurata dagli atteggiamenti di Pausania, non poté che richiamarlo. Ma, poco dopo, Pausania ritornò a Bisanzio e vi s'insediò da sovrano intrecciando un complicato giuoco di relazioni con la Persia e con gli stati greci. Come egli abbia acquistato tale potere e quanto sia rimasto in Bisanzio, è oscuro. L'unica testimonianza esplicita (Giustino, IX, 1, 3) ci dice che rimase sette anni e fu poi venerato dai Bisanzî come eroe "fondatore" della città. Le due notizie sono verosimilmente esatte e hanno trovato di recente una certa conferma nell'osservazione che in Bisanzio fu qualche tempo nel secolo V a. C. in circolazione moneta di ferro d' imitazione spartana. Nella sostanza Pausania, valendosi del suo prestigio di generale vittorioso e della sua autorità regale, dovette mirare a imporre a Sparta una politica a cui per qualche anno essa non osò ribellarsi e a cui gli altri Greci non ebbero il coraggio di opporsi appunto perché posta sotto l'egida di Sparta. Solo nel 471 circa (se si accetta la data di Giustino) Atene ottenne il consenso di Sparta per cacciare Pausania da Bisanzio: era uno dei risultati della politica di Cimone. Pausania si insediò nella fortezza di Colone nella Troade, ma poco dopo, vista la situazione impossibile, decise di ritornare a Sparta, non per sottomettersi, ma per suscitare in Sparta stessa un nuovo moto più profondo. Egli contava sugl'iloti e soprattutto sull'agitazione che Temistocle, allora bandito da Atene, svolgeva nel Peloponneso per suscitarvi le democrazie contro Sparta. I piani di Pausania coincidevano con quelli di Temistocle almeno nel senso che anch'egli voleva distrutto il vecchio governo oligarchico spartano e voleva l'accordo con la Persia. Ma ormai gli efori erano in guardia. Accusato di tradimento, Pausania fuggì nel tempio di Atena, dove, poiché non lo si poteva toccare, lo si murò vivo, facendolo morire di fame (circa 468 a. C.). Più tardi, a giustificazione del loro procedere, gli efori pubblicarono due lettere, riportate da Tucidide (I, 128, 129), una di Pausania al re di Persia, certamente falsa, e una del re a Pausania, probabilmente autentica. Se la lettera autentica provava solo genericamente un accordo di Pausania con la Persia, la lettera falsa annessavi voleva essere la dimostrazione d'un esplicito tradimento.


Mardonio (? - 479 a.C.)

La figura di questo condottiero persiano risale solo e unicamente alle guerre persiane stesse. Genero o nipote di Dario I, nel 492 a.C. fu incaricato dallo stesso re di muovere guerra alla Grecia e di porre sotto il controllo persiano tutto l'Egeo settentrionale e la Tracia. Mardonio in effetti, cominciò bene la sua avventura da comandante conquistando da subito l'isola di Taso, ma non ebbe grande fortuna in seguito. Perse ben 300 navi a causa di una Tempesta che colse la sua flotta vicino al monte Athos, costringendolo al rientro.
Da come li descriveva il poeta Erodoto, i persiani, avevano come caratteristiche fondamentali le seguenti: grande abilità a cavallo e con l'arco; erano portatori di grande sincerità; ma soprattutto un grande coraggio in battaglia. Mardonio sicuramente era fornito di grandissimo coraggio (come molti dei condottieri persiani preferì morire in battaglia anziché indietreggiare), ma era carente in sincerità. Racconta infatti Erodoto che al suo re Serse, Mardonio riferì che in realtà i greci fossero assai meno temibili del previsto, forse perché, secondo lui, sceglievano il campo di battaglia più per la bellezza del paesaggio che per la sua praticità. Queste erano opinioni che andavano in controtendenza con quello che si raccontava in Persia dei greci, ma soprattutto era una grande falsità che il comandante scoprirà e pagherà a carissimo prezzo mostrandoci anche il suo vero carattere: accanto al coraggio si celava una grandissima presunzione.

PLATEA

L'impero Persiano

La stirpe iranica

I medi e i Persia popolazioni di origine indoeuropea si stabilirono sull'altopiano iranico nel III millennio circa occupando la parte più ricca della regione con correnti d'acqua, miniere di rame, piombo e ferro. I persiani erano assai avanzati come civiltà avevano già domato il cavallo e sapevano lavorare il ferro, due attività sconosciute a molti dei loro "vicini" come i semiti. Nel VI secolo, come è quindi logico pensare, i persiani cominciarono la "costruzione del loro impero. Il primo grande condottiero persiano fu Ciro il Grande che conquistò il regno dei Medi, la Lidia di Creso, i territori ad oriente fino al fiume Indo e nel 538 a.C. Babilonia. I suoi successori continuarono il suo progetto: Cambise si impadronì dell'Egitto (battaglia di Pelusio nel 525 a.C.) e Dario I diede una mirabile organizzazione amministrativa all'impero ormai consolidato.
I persiani venivano ricordati infatti per grandissime opere pubbliche come i tantissimi ponti in muratura, per l'efficiente servizio postale, per i collegamenti stradali tra le capitali del regno e i capoluoghi dei distretti amministrativi (le Satrapie), e per i collegamenti marittimi tra le diverse provincie dell'impero attraverso l'apertura di un canale dal Nilo al Mar Rosso, opere realizzate grazie ad un prelievo fiscale ordinato e rigoroso. Ma più di tutto vanno riconosciuti ai persiani i meriti per la modernità dei princìpi che reggevano le basi della gestione sociale come: il rispetto di culture e religioni locali, il decentramento e l'autonomia decisionale concessa alle provincie, l'accettazione delle particolarità economiche di ogni popolo da loro sottomesso.
Ma questa lungimirante amministrazione avrebbe portato dei gravi problemi, infatti con il passare degli anni i governatori delle provincie (i satrapi) riuscirono ad accumulare grandi ricchezze fino a crearsi delle milizie private difficili da controllare quanto le loro fonti di reddito. Questi fatti andavano di pari passo con una debolezza militare dovuta al fatto che i cittadini credevano che fosse il loro re a doverli difendere dagli aggressori, non che fossero loro a proteggersi difendendolo. Queste crepe interne verranno fuori con l'avanzata di Alessandro Magno che, successivamente, travolse letteralmente i persiani.

PLATEA

Mileto

Un ruolo assai importante nella cultura greca era svolto sicuramente dalla Ionia con le sue dodecàpoli (dodici città), Mileto su tutte. Costretti a spostarsi prevalentemente per mare i coloni di Mileto studiarono a fondo scienze come l'astronomia, il calcolo e la cartografia, indispensabili per chi doveva necessariamente muoversi per mare. Ma accanto a questa grande cultura scientifica a Mileto fiorì anche una delle prime culture filosofiche del mondo occidentale i cui più famosi rappresentanti furono: Talete, Anassimene e il più importante Anassimandro (615-540 a.C.).
Questi era stato discepolo di Talete e già in quegli anni affermava che la luna non brillava per luce propria bensì per luce riflessa del sole, fu il primo a pubblicare una carta geografica ed è a lui che si deve l'introduzione in Grecia dello gnomone già noto da popolazioni come gli Egizi e primo strumento per l'astronomia moderna. Grazie a questo infatti si potevano stabilire ora e stagione, ma, cosa ancora più importante per dei navigatori come i Milesii, si potevano calcolare coordinate come la latitudine di un luogo.
Ai Milesii si devono anche le fondazioni di svariati empòria, veri e propri centri commerciali che controllavano i traffici delle zone circostanti. Tra questi uno dei più famosi in antichità fu il porto di Sinope alla foce del fiume Halis, che fu sede di prestigiosi e fiorenti cantieri navali vista l'abbondanza di legna e di miniere di ferro presenti nell'entroterra.

PLATEA

Le precedenti guerre

Le protagoniste di uno dei primi scontri tra greci e persiani furono le città della Ionia, Mileto in particolare. La cittadinanza dimostrò riluttanza e malcontento da quando Dario le impose (come costume dell'amministrazione imperiale) governatori, tributi e guarnigioni straniere. Sfruttarono in pieno quest'onda di malcontento i due vecchi tiranni di Mileto, Aristagora e Istieo, che ottennero aiuto dalla città di Atene (20 navi da guerra), mostrandogli di poter ottenere un guadagno nello schierarsi a favore della causa Ionica. Ma già nel 494 a.C. la rivolta era stata sedata, Mileto distrutta e i suoi abitanti venduti come schiavi a Babilonia. Questo episodio mise però in allarme il re persiano, che inviò una spedizione per punire coloro che avevano aiutato i rivoltosi. Sfortunatamente per Dario nel 492 a.C. l'esercito persiano subì una durissima sconfitta a Maratona e la sua flotta naufragò al monte Athos, concludendo così tragicamente quella spedizione da lui voluta.

platea1

Serse, figlio dello stesso Dario, preparò una nuova spedizione con molta più cura ed abbondanza di mezzi e uomini di quanto non avesse fatto il padre. Nel 480 a.C. il nuovo re superò l'Ellesponto con un ponte di navi, proseguì alla testa del suo maestoso esercito attraversando la Tracia, la Macedonia e la Tessaglia, sempre rifornito di tutto dalla sua flotta, che lo seguiva fiancheggiandolo dal mare.

Cosi' Wilhelm Smith, in Storia di Grecia dai tempi primitivi fino alla conquista romana (Firenze 1873), descrive gli inizi della aria persiana in terra ellenica: << Sul finire dell'anno 481 a.C., tutti gli apparecchi per l'invasione in Grecia furono compiuti: Serse passò l'inverno a Sardi; e subito nella primavera dell' anno seguente (480) arti dalla capitale della Lidia, con tutta la pompa e lo splendore 'una marcia reale. L'immenso esercito fu diviso in due corpi, di numero quasi eguale, fra i quali si lasciò un grande spazio, per il Gran Re e le guardie persiane che lo accompagnavano. I bagagli segnavano primi la via, ed erano seguiti da mezzo esercito, senza distinzione di nazioni; veniva quindi dopo un certo intervallo il corteggio reale; innanzi a tutti, cento cavalieri persiani; poi altrettanti lancieri, parimente persiani, che portavano le lancie rovesciate, ed ornate all'altra estremità. con melegrane d'oro; dietro di loro, dieci cavalli sacri, magnificamente guarniti, i quali erano stati allevati nella pianura nisea, in Media quindi il carro sacro di Giove, tirato da otto cavalli bianchi; e finalmente lo stesso Serse, sopra un cocchio tirato da cavalli nisei. Il re era seguito da mille lancieri e mille cavalieri, che corrispondevano ai due squadroni dai quali era immediatamente preceduto. A questi tenevan dietro diecimila uomini di fanteria persiana detti « Immortali » perché il loro numero era invariabile; novemila portavano lancie ornate all' estremità. superiore con melegrane d' argento; e gli altri mille, che tenevano le file esteriori avevano le lancie con simile ornamento d'oro. Dietro agl' Immortali dieci ricchi cavalieri persiani formavano la retroguardia della scorta reale; e a due stadii di distanza, veniva l'altra metà dell' esercito. >>

Nel frattempo i greci, al congresso di Corinto, non riuscivano a trovare un accordo comune contro l'avanzata dei persiani: solo Atene e Sparta decisero di opporsi ai persiani mentre tutte le altre città si guardarono bene dal gettarsi in un'impresa che appariva assai dura.
Com'è ovvio pensare, il comando delle forze alleate fu affidato a Sparta. Euribiade era ufficialmente il comandante della flotta (composta da circa 300 triremi), ma il vero stratega sul mare fu l'ateniese Temistocle. Allo spartano Leonida furono affidati i 7000 opliti con i quali si diresse alle Termopili, un passo tra la Tessaglia e la Grecia centrale. Lì fu aggirato e dopo tre giorni di strenua resistenza spedì indietro la gran parte dell'esercito. Nonostante il numero degli avversari fosse enormemente superiore, rimase con circa 1000 uomini tra spartani e tespiesi (gli abitanti della Tessaglia): morirono tutti nel tentativo, vano ma eroico, di difendere fino all'ultimo il passo e ritardare l'avanzata persiana. Tutto l'esercito greco si ritirò quindi sull'istmo di Corinto, per difendere l'intera regione del Peloponneso, abbandonando persino Atene al suo destino.
Il sacrificio delle Termopili non fu del tutto inutile, la flotta ebbe il tempo di ritirarsi indenne da Capo Artemisio e aspettare così le navi persiane in uno stretto tra l'isola di Salamina e la terraferma. I veloci triremi greci costrinsero le navi persiane ad avvicinarsi alla costa. A questo punto l'agilità delle navi elleniche ebbe la meglio sulle moltissime e pesantissime navi persiane che non riuscivano più praticamente a manovrare, risultando bersagli immobili e quindi molto facili per coloro che oltretutto si muovevano in acque familiari. Ancora una volta agilità, sagacia tattica e grandissima determinazione ebbero la meglio sulla superiorità numerica.
Non essendo più protetto e fiancheggiato dalla sua flotta Serse fece ritirare le navi superstiti e lasciò Mardonio a svernare in Tessaglia, così da preparare l'assalto per l'anno successivo. Nel frattempo, Mardonio non riuscì a riaccendere i conflitti interni tra le pòlis anzi, fu costretto a ritirarsi nella alleata Beozia alla ricerca di foraggio e di una adeguata protezione degli elementi naturali.

PLATEA

PLATEA

Gli eserciti

L'esercito persiano

Il fulcro dell'esercito persiano era formato, come ovvio, da fanti cavalieri e ufficiali di nazionalità Iranica. Come completamento di questo centro, venivano richieste alle varie province imperiali ausiliari armati, navi e marinai (in caso di guerra sul mare), o ancora cavalli e sussidi logistici a seconda delle esigenze. Queste truppe, che possiamo definire d'appoggio, provenivano da ogni parte del mondo persiano, Erodoto cita ben 47 nazionalità differenti in campo, di cui ognuna con ufficiali, lingue e usanze militari diverse, ma con un elemento comune, l'attrezzatura militare di bassissimo livello.
Le truppe d'elite degli iranici dovevano avere un ottimo equipaggiamento sia per la difesa che per l'attacco, ed essendo stati tra le popolazioni che discendevano dai primi domatori del cavallo, erano maestri assoluti nelle cariche, preparate dalla distanza con i colpi sferrati dagli arcieri. La fanteria Iranica non doveva essere da meno, composta com'era dai famosi 10.000 "immortali" che discendevano dalle 10 tirbù Iraniche originarie. La tattica di guerra persiana era quindi basata sulla mobilità e potenza di carica della cavalleria, e sulla grande precisione degli arcieri.


L'esercito greco

I greci, a differenza dei persiani, non avevano un fulcro fisso sul quale contare in caso di guerra. Infatti la milizia di ogni pòlis era formata dai cittadini (contadini o commercianti) che scendevano in campo per difendere la propria città, ma non sempre a lungo a causa delle loro occupazioni. La guerra quindi per i greci doveva avere durata assai breve, ed in battaglia si era tutti legati ad un vincolo di fratellanza maturato tra le persone nelle comunità originarie da cui vivevano. Negli scontri interni tra le città si andò consolidando, secondo l'ideale di compattezza, una formazione detta Falange ("rullo"). Era formata da fanti armati pesantemente, detti Opliti, che disponevano di questa attrezzatura (panoplia): elmo, corazza anatomica, schinieri di bronzo, scudo rotondo di legno rivestito di cuoio e rinforzato di ferro ai bordi, spada e una lunga e solida lancia. Per quanto riguarda la cavalleria, era praticamente inesistente sul fronte greco poiché difficilmente manovrabile sui paesaggi montuosi della Grecia. Gli ausiliari erano numerosi ma svolgevano un ruolo marginale nella battaglia, che invece era appannaggio di coloro che avevano i mezzi economici per fornirsi della panoplia.
Gli eserciti che si affrontavano sceglievano generalmente un luogo pianeggiante, e prima di combattere compivano sacrifici in onore degli dèi. A questo punto si schieravano su 8 file, scudo su scudo, con le lance puntate verso il nemico e occupando uno spazio complessivo di circa 150 metri. Quindi si lanciavano in una spaventosa carica dritti per dritti contro l'avversario. Ad impatto avvenuto le prime file opposte, quelle subito dietro dovevano pressare i compagni in avanti, con le lance puntate sugli scudi, nel tentativo di ferire i nemici e schiacciare così le prime file e la falange intera. Quando si produceva un varco nella falange avversaria, l'allargavano con gli scudi fino a che non risultava sfaldato, in modo che gli uomini meno esperti della formazione (i più giovani generalmente posti nelle ultime file) venivano colti dal panico e scappavano.

PLATEA

I 10.000 immortali

Si ritiene che i soldati scelti della guardia del re, raffigurati nelle loro preziosissime vesti in quasi tutte le capitali del regno, fossero chiamati "immortali" per la cura posta dai regnanti nel mantenerli a numero, ma dietro a questa ipotesi se ne celano ben altre.

 1. La prima ipotesi, di certo la più affascinante, vorrebbe questi abilissimi arcieri armati di archi speciali, ovvero tratti dal legno fornito, nel mitico giardino dell'immortalità, dal melo biblico del male e del bene, l'albero dell'immortalità appunto.
 2. La seconda ipotesi invece (la più realistica) è stata interpretata come una semplice forma di propaganda della potenza del Re.

Gli immortali hanno svolto un ruolo importante nella conquista di Babilonia del 539 a.C. da parte di Ciro il Grande, nella conquista d'Egitto di Cambise II nel 525 a.C. e nell'invasione di Dario I nei piccoli regni di frontiera dell'India occidentale (Punjab occidentale e del Sindh, ora in Pakistan) e della Scizia, rispettivamente nel 520 a.C. e nel 513 a.C. Gli Immortali hanno partecipato anche alla battaglia delle Termopili 480 a.C. e furono tra le principali truppe di occupazione persiane nella campagna in Grecia del 479 a.C. agli ordini di Mardonio. Erodoto descrive il loro armamento come segue: scudo di vimini, lancia corta, spade o grandi pugnali, arco e frecce. Sotto le vesti indossavano delle protezioni probabilemte in cuoio o anche di scaglie metalliche, con lunghezza che arrivava all'altezza delle ginocchia, mentre, per differenziare i ranghi, la lancia degli ufficiali aveva dei contrappesi d'oro, al posto di quelli argentati degli altri membri dell'unita'. Il reggimento era seguito da una carovana di carri vettovagliamento, con cammelli e muli che trasportavano i loro rifornimenti, ed anche concubine e assistenti appositamente scelti per servirli; e'' da sottolineare che questa carovana era sempre molto ben fornita di cibo accuratamente selezionato che era riservato per il loro elscusivo consumo. Si ipotizza che il copricapo indossato dagli Immortali fosse una sorta di tiara persiana, la sua forma è a tutt'oggi incerta, ma alcune fonti lo descrivono come una sorta di panno che poteva essere tirato sul viso per impedire che il vento e la polvere delle aride pianure persiane potesse disturbarli durante il combattimento. A tutt'oggi esistono raffigurazioni degli immortali stessi che li rappresentano mentre indossano abiti elaborati, orecchini a cerchio e gioielli d'oro, anche se questi indumenti ed accessori erano, molto probabilmente, indossati solo in occasioni cerimoniali.

PLATEA

Le forze schierate

Mardonio, secondo l'ordine di Serse, era dovuto rimanere in Tessaglia a svernare, e grazie alle cifre forniteci da Erodoto, aveva al suo seguito circa 300.000 uomini, cifra da ritoccare forse fino a 100.000. Di questi, solo una piccola parte doveva essere Iranica, grande rilievo avevano infatti i contingenti dei mercenari Sciti, i Saka o Saci, mentre sicuramente poco affidabili erano le truppe fornite dalle regioni greche sottomesse: Tessali, Beoti e Macedoni.
I due condottieri ellenici invece (lo spartano Pausania e l'ateniese Aristide) potevano contare su un esercito di circa 80.000 uomini, (Erodoto ne indica 108.700) divisi in questa maniera: 13.000 erano opliti spartani e perieci (gli abitanti dei dintorni di Sparta), divisi a loro volta in 5.000 Spartiati, 600 Plateesi, 5.000 Corinzi, 600 Micenei e 1.800 di altri piccoli centri seguiti da ben 35.000 iloti. Tra i rimanenti opliti (23.000 circa) vi erano ben 8.000 ateniesi, nonostante le forze della città erano in gran parte impegnate sul mare, e altri 15.000 provenivano da altre città alleate.
Infine, dal punto di vista geografico, Mardonio si era accampato presso il fiume Asopo, dal quale aveva acqua in abbondanza, mentre i greci verso i primi giorni di Agosto, si fermarono ad Eritre sul monte Citerone.

PLATEA

La battaglia

1. L'attacco di Masistio

Nei giorni precedenti la battaglia vera e propria il comandante di cavalleria Masistio tentò un attacco a sorpresa per evitare che col passare dei giorni la forza d'urto greca aumentasse. Ma le sue speranze di successo si infransero contro la compattezza delle falangi greche e, soprattutto contro il terreno rotto e collinoso che di certo non favoriva i movimenti dei suoi cavalieri. Questa prima battuta d'arresto diede molta più audacia ai greci e rese più prudente lo stesso Mardonio.

platea2

2. Una fase di studio

Dopo il fallito attacco della cavalleria i greci si spostarono dalla loro posizione, ottima da difendere ma priva di acqua, per sistemarsi sulla pianura di fronte alla città di Platea. Per ben otto giorni (così riferisce Erodoto) i due schieramenti si fronteggiarono, senza attaccare, dalle due rive del fiume Asopo, i greci sulla sponda sud, i persiani sulla sponda nord. L'ottavo giorno Mardonio ordinò una incursione dei suoi cavalieri nel passo di Driocefale da dove provenivano i rifornimenti ai greci; questa azione si ripeté nei due giorni successivi, furono distrutti vari convogli senza che i greci potessero fare in tempo a intercettare i cavalieri persiani, troppo veloci per loro che erano sprovvisti di cavalleria e di arcieri.

platea3

3. Il primo attacco

platea4

Dopo le sortite ai danni dei rifornimenti greci la cavalleria sferrò finalmente l'attacco in massa e si trovò le truppe alleate disposte in questa maniera: sulla sinistra gli opliti ateniesi, sulla destra quelli spartani, mentre al centro erano disposti gli opliti degli alleati "minori"; grazie a questo schieramento ateniesi e alleati avevano accesso all'acqua del fiume Asopo mentre gli spartani usavano la sorgente del Gargafia situata alle loro spalle. La carica della cavalleria persiana fu preceduta dal lancio di numerosi giavellotti che provocarono l'arretramento di ateniesi e alleati minori, questo costrinse anche gli spartani che avevano invece mantenuto la posizione a ritirarsi insieme agli altri. I comandanti ellenici, quindi, decisero di abbandonare le posizioni della piana (e quindi le fonti d'acqua) per rioccupare le zone collinose alle loro spalle (ottenendo così la protezione dalla cavalleria), e soprattutto il passo dal quale provenivano i rifornimenti che erano stati distrutti nei giorni precedenti. Questa operazione andava fatta con precisione cronometrica e possibilmente di notte; gli alleati minori dovevano prendere posizione presso Platea stessa (sulla sinistra del fronte greco), gli ateniesi si sarebbero stabiliti al centro e gli spartani sulla destra. Qualcosa però andò storto, un contingente spartano si rifiutò di abbandonare la posizione, in un primo tempo, e questo causò un ritardo nella manovra del contingente stesso che col sorgere del sole non aveva raggiunto le posizioni prefissate.


4. L'assalto

All'alba Mardonio fece avanzare l'intero esercito, che aveva sulla destra Beoti e greci alleati, sulla sinistra i persiani e al centro gli Asiatici. Nel frattempo la cavalleria fu lanciata contro il contingente rimasto isolato sulla piana per bloccarlo in attesa della fanteria imperiale. I cavalieri persiani (si distinsero per il valore soprattutto i Saci) si guardarono bene dall'evitare lo scontro in corpo a corpo con gli opliti greci, continuando a lanciare giavellotti dalla distanza. In poco tempo giunse la fanteria, che con uno schieramento a siepe, aveva il compito di proteggere con i loro esili scudi la moltitudine di arcieri alle loro spalle, i quali cominciarono a bersagliare i fanti greci.

platea5

5. La vittoria greca

Fino a qui gli avvenimenti sembrano dar ragione a Mardonio, che però commise un grave errore: serrò troppo i ranghi tra i reparti, che assunsero un 'aspetto sicuramente più compatto, ma che non potevano reggere la potenza della "pesante" falange greca. Gli opliti fecero facilmente breccia nello schieramento persiano e rigettarono gli arcieri nemici contro gli alleati Asiatici dei persiani, creando così una situazione di caos nelle file persiane. Sebbene la fanteria tentò una strenua resistenza la morte dello stesso Mardonio, che stava combattendo nelle prime file, sancì definitivamente la sconfitta persiana.


6. Il bilancio

Non è certo facile indicare il numero delle perdite, visto che le cifre di Erodoto sono poco verosimili. Secondo il narratore i persiani che riuscirono a salvarsi furono 3.000 circa (lasciarono sul campo quindi 97.000 uomini!?!), mentre coloro che morirono sul versante greco non furono più di 2.000. Quindi, in ultima analisi, il merito di una così grande vittoria, nonostante l'aiuto offerto da ateniesi e alleati, è da assegnare a Pausania ma soprattutto ai suoi granitici opliti.

PLATEA

Le imprese individuali a Platea

Come spesso accade nei fatti d'arme piu' antichi, le gesta individuali tendono ad essere sottolineate dagli autori, e dalle fonti contemporanee in generale, molto piu' delle evoluzioni tattiche: Erodoto in questo non fa differenza e anch'egli racconta degli aneddoti sul comportamento di alcuni eroi ellennici durante la battaglia:
Amonfareto, comandante di una divisione di Spartiati, si rifiutò di intraprendere la ritirata notturna verso Platea prima della battaglia, dal momento che sarebbe stato un atto vile per un Lacedemone. Erodoto racconta di una lunga e tumultuosa discussione tra Pausania ed Amonfareto durata fino all'alba, quando il grosso dell'esercito iniziò a ritirarsi lasciandosi dietro le truppe di Amonfareto. Non aspettandosi questo gesto il comandante condusse anche le sue truppe verso Platea. Amonfareto, comunque, ottenne una grande fama a Platea, e da ciò si deduce che compì il suo gesto per proteggere la parte posteriore dello schieramento.
Aristodemo, unico sopravvissuto spartano delle Termopili grazie ad un'infezione agli occhi, che lo aveva costretto a tornare a casa, aveva preferito ritirarsi a Sparta piuttosto che combattere guidato da un ilota; in patria, però, venne bollato come codardo e subì un anno di esilio prima della battaglia di Platea. Desideroso di riscattare il suo onore, affrontò le linee persiane da solo, uccidendo i nemici selvaggiamente prima di essere ucciso. Anche se gli Spartani lo riabilitarono, non gli conferirono alcun onore speciale dal momento che non aveva combattuto in maniera disciplinata come avrebbe fatto uno Spartiata.
Callicrate, considerato l'"uomo più bello, non solo tra gli Spartani, ma in tutto il campo greco", voleva distinguersi quel giorno come valente soldato, ma venne colpito prima che potesse farlo da una freccia vagante che gli trafisse il fianco, mentre si trovava in piedi nella formazione. Quando la battaglia iniziò insistette per compiere la carica insieme al resto dei soldati, ma crollò dopo pochi passi. Le sue ultime parole, secondo Erodoto, furono: "Mi rammarico non perché devo morire per il mio paese, ma perché non ho alzato il mio braccio contro il nemico".
Sofane, ateniese del demo di Decelea, portava, secondo alcuni, un'ancora di ferro attaccata alla corazza, che piantava per terra per rimanere ben saldo quando affrontava in duello i nemici. Un'altra versione, parimenti riportata da Erodoto, sostiene che l'ancora fosse solamente disegnata sullo scudo.

PLATEA

Le conseguenze storiche

Pochi giorni dopo Platea gli alleati della Lega di Delo diedero l'assedio a Tebe città dove si erano rifugiati i resti dell'esercito persiano: la città si arrese in venti giorni. Nella stessa estate del 479 a.C. la flotta persiana sorpresa a Micale, nella Ionia, fu distrutta completamente da quella greca al comando di Leotichiade; i persiani erano stati definitivamente sconfitti.
Cosi', lo Smith, descrive i fatti seguenti allo scontro di Platea: << La gloria di aver sconfitto il nemico a Platea appartiene dunque ai Lacedemoni; gli Ateniesi peraltro ebbero anch'essi alcuna parte nell' onore della giornata. Infatti Pausania, sopraffatto dai Persiani, spedì un cavaliere ad Aristide, chiedendogli che prontamente accorresse in suo aiuto; ma lo trattenne la venuta dei Beoti coi quali gli Ateniesi impegnarono un accanito combattimento. I Tebani specialmente pugnarono con molto valore; ma all'ultimo furono respinti con grave perdita, e costretti a cedere il campo; però si ritirarono in buon ordine fino alla loro Città, tutelati dalla propria cavalleria contro la caccia che volevano dar loro gli Ateniesi. Nessun altro fra i popoli greci al servizio della Persia prese parte in questa battaglia: ma tutti volsero le spalle, appena scorsero perduta la giornata; fra gli stessi Persiani, 40,000, sotto il comando di Artabazo non trassero colpo. L'indole ardente e impetuosa di Mardonio, come pure il disprezzo in cui teneva i Lacedemoni dopo il coinvolgimento che considerava una fuga, gli avevano fatto incominciare l' assalto, senza aspettare il corpo d'Artabazo; e quando questi giunse sul campo, la rotta era già piena. Egli, che aveva sempre sconsigliato un generale combattimento, non ebbe probabilmente soverchio ardore in questa occorrenza; e, ad ogni modo, non fece nulla per ristaurare la fortuna della giornata; ed invece di ritirarsi a Tebe o nell'accampamento fortificato dei suoi concittadini, abbandonò la spedizione come irreparabilmente perduta, e si pose in marcia alla volta dell'Ellesponto. I Lacedemoni, rinforzati dai Corintii e dagli altri venuti di Platea, perseguitarono i Persiani fino al campo trincerato; ma tutti i loro sforzi per espugnarlo andarono a vuoto, finchè non giunsero in loro aiuto gli Ateniesi più esperti in siffatto modo di guerra. Allora i ripari nemici furono impetuosamente assaliti e superati, dopo fiera resistenza opposta dai Persiani; l'accampamento stesso fu teatro del più orribile eccidio, a tal segno che secondo Erodoto, di un esercito di 300,000 uomini sarebbero riusciti a salvarsi soltanto 3000, tutti del corpo di Artabazo ; e per quanto sieno probabilmente esagerati questi numeri, nulladimeno fu senza alcun dubbio immensa la perdita sofferta dai Persiani; quella dei Greci fu relativamente minore, nè sembra che abbia oltrepassato i 1300 o 1400 uomini. Restava che si seppellissero i morti e si dividesse il bottino, il qual lavoro fu si grande, che vi si spesero ben dieci giorni. Il corpo di Mardonio, che si rinvenne fra i caduti, fu trattato da Pausania col dovuto rispetto; ed il giorno seguente, forse non senza che egli vi avesse mano, fu segretamente portato via e sotterrato. Sulla sua tomba s'innalzò un monumento, che tuttavia vedevasi parecchi secoli dopo; la sua scimitarra e il suo trono coi piedi d' argento toccò in sorte agli Ateniesi, i quali serbarono queste spoglie, insieme con l'armatura di Masistio, nell'Acropoli della città. Molte e magnifiche furono le altre cose predate; monete, vasi, utensili d'oro e d' argento, vesti e tappeti ricchissimi, armi preziose per lavoro, cavalli, cammelli; in breve tutte quante le suppellettili del lusso orientale, erano colà, raccolte per esser divise fra i vincitori. Una decima fu da prima levata per Apollo Delfico, insieme con larghe offerte in favore del Giove Olimpio e del Poseidone Istmio; quindi, poiché una bella parte fu donata a Pausania, si divise il restante fra i contingenti greci in proporzione. Perché la vittoria fosse perfetta, era tuttavia necessario di prender Tebe, la quale erasi sempre dimostrata la più temibile fra gli alleati dei Persiani. L' undecimo giorno dopo la battaglia, Pausania investì la città, e chiese che gli fossero dati in mano i capi i quali avevano seguitato le parti degl'invasori, e specialmente limagenida e Attagino. I Tebani avendo negato di cedere a tal dimanda, Pausania incominciò a battere le mura con i suoi ordigni da guerra, e nel tempo stesso a predare d'ogni intorno la campagna. Finalmente dopo ché l'assedio aveva durato venti giorni, Timagenida e gli altri capi della fazione nemica si offrirono di arrendersi volontariamente, sperando probabilmente di poter ricattare le loro vite con una somma di denari ; ma questa aspettativa andò loro fallita, poiché tutti quanti, tranne Attagino il quale trovò modo di fuggire, furono trasportati a Corinto e messi a morte, senza alcuna forma di giudizio. Non si fece poi nessun tentativo per dar la caccia ad Artabazo, il quale si ritirò sano e salvo in Asia. Fra gli Spartani morti vi fu Aristodemo, il solo sopravvissuto di coloro che combatterono alle Termopili; dopo la qual, la disgrazia di non esser caduto in campo coi suoi sembra che gli fosse diventata un grave peso la vita; per liberarsene infatti, nella giornata di Platea, uscì fuori dalle file e, compiuti miracoli di valore, ricevè dal nemico quella morte di cui andava in traccia. Nulladimeno, quando si distribuirono gli onori ai defunti, tal condotta non gli ottenne alcun favore dalla severa giustizia dei suoi concittadini; i quali stimarono che a disperata temerità, e il disprezzo della disciplina non purgassero la colpa passata, e quindi non vollero porlo accanto agli altri cittadini spenti in battaglia. Ricordiamo tra questi ultimi Amonfareto, quel capitano, la cui ostinatezza aveva precipitato l'assalto dei Persiani, e forse contribuito in tal guisa, senza sua saputa, ad assicurare la vittoria. >>
L'insuccesso contro i greci non ebbe da subito grandi ripercussioni sull'impero, se non si considera il fatto che la sconfitta di Platea ne limitò la politica espansionistica; anzi il valore mostrato dai greci convinse molti Satrapi (governatori delle provincie persiane) ad acquistare mercenari opliti provenienti proprio dalle città vittoriose.
Le città greche, invece, presero coscienza che la vittoria in una guerra apparentemente impossibile contro l'impero persiano era la dimostrazione che l'unità tra i popoli del Peloponneso era la chiave per un'espansionismo ellenico anche al di fuori dei confini ionici. E così fu in effetti: Pausania si sarebbe installato sul Bosforo, Atene avrebbe rinnovato e ampliato la sua forza navale, altre città greche cominciarono a porre colonie in tutto il mediterraneo occidentale. Ma quando si trattò di espandersi ad oriente uscirono fuori le difficoltà di sempre: dissidi, gelosie e incomprensioni fecero si che l'espansione greca non arrivasse oltre l'Ellesponto. I vincitori delle guerre persiane quindi si dovettero "accontentare" di incrementare la loro presenza nei mari occidentali dalla Sicilia a Marsiglia, rinunciando così alle mire orientali rimaste di dominio persiano.

PLATEA

E se...

Se prendiamo in considerazione la netta superiorità della cavalleria persiana, una eventuale vittoria degli asiatici a Platea non avrebbe lasciato scampo a delle repliche da parte dei greci. Le città di Atene, Sparta e Corinto avrebbero dovuto scegliere tra la resa e la distruzione. Ma anche nel primo caso la sottomissione all'impero persiano non avrebbe lasciato grandi speranze di libertà, come succedeva per altre provincie, né da un punto di vista culturale, né da un punto di vista economico o politico, vista la grande opposizione offerta dalle città elleniche ai conquistatori. E' molto più facile pensare che alle città greche prima o poi sarebbe toccato il destino di Mileto lasciando così il destino della cultura europea, come oggi la intendiamo, interamente nelle mani della Magna Grecia ossia delle colonie greche in Italia.
In ultima analisi quindi, si può affermare a pieno titolo che le città che si opposero ai persiani nella battaglia di Platea rappresentavano l'ultimo baluardo di difesa al mondo occidentale nei confronti di un invasore venuto dall'est, fatto che si ripeterà nei secoli a venire con protagonisti diversi.


Pubblicato il 07/12/2004