5 Luglio 371 a.C.
La vittoria di Epaminonda sancisce la crisi da cui Sparta non avrà più la forza di risollevarsi e l'inizio dell'egemonia Tebana.
LEUTTRA
Nato a Tebe verso il 420 a.C., di nobile famiglia ma di mediocre agiatezza, Epaminonda ebbe un'accuratissima educazione che potè perfezionare grazie alla quotidiana frequentazione del filosofo pitagorico Liside di Tarante, che fino alla morte visse ospite nella sua casa.
Si esercitò nella ginnastica, curò anche la musica e praticò una severa virtù conseguendo elevatezza morale e senso di umanità rari ai suoi tempi anche negli uomini più ragguardevoli della Grecia. Epaminonda era di tendenze aristocratiche ma non aveva mai preso parte al governo oligarchico e si era tenuto lontano dalle fazioni politiche del suo paese. Era tuttavia molto amico di Pelopida, che era esponente della parte democratica e che per questo aveva dovuto lasciare Tebe per un periodo. Nel 379 una congiura diretta da Pelopida abbatté gli oligarchi; Epaminonda s'avvicinò al nuovo governo con una schiera di giovani che egli cresceva alle virtù repubblicane e fu il più sicuro sostegno della nuova libertà, portando a beneficio di tutti il suo senso di moderazione e riunendo le forze contro il nemico di fuori.
La crisi tra Sparta e il nuovo regime tebano, che aveva esteso la sua supremazia a tutta la Beozia a danno di Sparta, esplose nel 371 quando Epaminonda, che era stato eletto beotarco (cioè comandante supremo della lega beotica), nel corso del congresso di pace riunito a Sparta per mettere fine al conflitto tra Ateniesi, Spartani e rispettivi alleati, rifiutò di firmare il trattato di pace se non a nome, oltreché dei tebani, anche di tutta la lega beotica. Sparta non intendeva cedere su questo punto perchè ciò avrebbe rappresentato il riconoscimento dell'egemonia tebana sulla regione. Così fu la guerra, che si risolse con l'invasione della Beozia e con la battaglia di Leuttra (5 luglio 371).
La Grecia centrale aderì ai Tebani e anche nel Peloponneso si estese il movimento antispartano. Epaminonda invase la Laconia, ridando la libertà ai Messeni, i quali sulle pendici del monte Itome fondarono la nuova capitale Messene; ma un partito pacifista in patria lo accusò di tradimento: fu assolto ma privato del comando. Più tardi tornò con un esercito nel Peloponneso, in aiuto della lega arcadica la quale fondò Megalopoli; poi (364) tentò di trasformare Tebe in una potenza navale costruendo 100 triremi che compirono qualche impresa contro la lega ateniese; alla fine del 362, per gravi avvenimenti succeduti nel Peloponneso, intraprese la quarta invasione, giungendo fino nel cuore di Sparta. Contro Spartani e Ateniesi alleati diede battaglia a Mantinea: aveva ormai col suo solito metodo conquistata la vittoria quando cadde mortalmente ferito.
Portato fuori del campo di battaglia, quando gli venne recato lo scudo ed egli apprese che i Tebani avevano vinto, si fece estrarre la punta dell'asta dalla ferita e morì serenamente, non senza aver raccomandato ai suoi concittadini di fare la pace, vale a dire di abbandonare la politica seguita fino a quel momento. Con Epaminonda erano stati pure colpiti Iolaida e Defanto, i due che egli considerava i suoi migliori collaboratori. La grande vittoria diventava sterile per Tebe. Epaminonda fu dunque grandissimo capitano, raro esempio di onestà e la sua nobiltà di carattere impressionò fortemente la tradizione. Come politico non uscì fuori dei criteri del suo tempo e degli schemi che avevano già perduto le egemonie di Atene e di Sparta: anche l'egemonia tebana, non sostenuta da un contenuto ideale, se pure riuscì a reggersi momentaneamente sulla forza e sulle discordie dei Greci, non potè essere duratura.
Generale tebano. Nel 382 venne cacciato da Tebe dall'oligarchia sostenuta dagli Spartani e si rifugiò ad Atene; nel 379, rientrato in patria, assieme ad Eparninonda rovesciò l'oligarchia spartana e istituì un regime democratico. Tra i riorganizzatori dell'esercito, sconfisse gli Spartani presso Leuttra nel 371, estendendo il dominio tebano sulla Grecia. Durante la spedizione tebana in Tessaglia per condurre la mediazione tra Alessandro di Fere e i Tessali, Pelopida fu fatto prigioniero (368), ma venne liberato da Epaminonda l'anno seguente.
In seguito fu inviato a Susa come ambasciatore presso i Persiani; nel 364 cadde nella battaglia di Cinocefale, dove sconfisse Alessandro di Fere.
LEUTTRA
Dopo la vittoria contro l'invasore persiano la Grecia non era più stata capace di trovare, nelle comuni lingua e cultura, i motivi per costruire un qualsiasi tipo di unità politica. I dissidi strategici già emersi durante la seconda guerra persiana nascondevano, in realtà, differenze di obiettivi politici ed economici che subito dopo portarono allo scoppio di un conflitto, la guerra del Peloponneso, destinato a durare quasi un secolo e a lasciare in ultima analisi l'Ellade in uno stato di sfinimento politico e militare assoluto. La contrapposizione militare tra Sparta e Atene, basata, oltre che su diverse visioni del mondo, soprattutto su contrapposte necessità di egemonia politica ed economica, era terminata con la disfatta della città attica, la quale, nel 404, fu costretta ad accettare una resa umiliante.
Scomparsa di fatto la rivale ateniese dalla scena politica, sembrava che la Grecia dovesse subire un lungo periodo di egemonia spartana. Sparta, che durante la guerra aveva beneficiato della politica ateniese di oppressione e talvolta di annullamento delle tradizionali libertà delle poleis, commise però lo stesso errore che aveva, alla lunga, condotto Atene alla disfatta. Nel tentativo di dare concretezza ed effettività al loro potere sui Greci, i Lacedemoni iniziarono ad installare governi-fantoccio, spesso sostenuti dalla presenza di guarnigioni spartane nelle città più importanti, con l'aggravante che, al contrario di ciò che avevano fatto gli Ateniesi, tali governi erano espressione delle oligarchie più retrive, suscitando quindi ancora più forte il malcontento popolare. Tra alti e bassi e con una serie di evoluzioni politiche e strategiche, la politica spartana era, bene o male, riuscita a mantenersi per circa 25 anni.
Fu nel 381 a.C. che iniziò la catena di avvenimenti destinata a cambiare per sempre il corso delle cose nella penisola ellenica. La città di Tebe, che aveva saputo mantenere un certo grado di autonomia, fu accusata dal governo spartano di tramare, contro la libertà della Grecia, col nemico persiano. In realtà tale accusa presupponeva una buona dose di ipocrisia, dato che proprio l'amicizia con i Persiani e il loro sostegno economico avevano consentito a Sparta di rafforzare il proprio potere sugli altri Greci.
Mentre si preparava a resistere, Tebe fu consegnata da una congiura di una minoranza oligarchica ad un esercito spartano che, insediata una guarnigione sull'acropoli, consentì agli oligarchici l'instaurazione di un governo di terrore e di vendette personali e politiche. La maggioranza dei cittadini tebani mal sopportava questo stato di cose e, dopo 10 anni di tale governo, insorse, sotto la guida di Pelopida ed Epaminonda, cacciando i governanti oligarchici e le truppe spartane.
Non potendo permettere incrinature al suo sistema di potere, Sparta dovette reagire subito. Nella primavera-estate del 371 un esercito spartano sotto il comando del re Cleombroto invase la Beozia e mise il campo nella pianura di Leuttra, vicino alle mura di Tebe.
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La battaglia di Leuttra, combattuta nei pressi di Tebe, in Beozia, nell'anno 371 avanti Cristo, rappresenta un punto di svolta importante nella storia dell'arte della guerra nel mondo ellenico.
Per almeno quattro secoli il panorama dell'arte della guerra in Grecia, sia nei numerosi conflitti interni tra le poleis che nello scontro con l'invasore persiano, era stato dominato dalla supremazia del sistema militare spartano, mai messo seriamente in discussione. Sparta non era sempre uscita vincente dalle molteplici battaglie che i suoi opliti avevano combattuto, tuttavia la saldezza della falange lacedemone, il valore dei suoi opliti, reclutati tra i cittadini di diritto, e la robustezza delle sue istituzioni, meno soggette che in altre città al variare delle fortune politiche, avevano fatto della città peloponnesiaca una sorta di punto di riferimento in campo militare non solo nel mondo ellenico.
Dopo le vittorie nelle guerre messeniche, attorno ai secoli VIII e VII avanti Cristo, il potere spartano si era diffuso in tutto il Peloponneso, strutturandosi secondo il sistema istituzionale, tradizionalmente fatto risalire al mitico legislatore Licurgo, di una rigida oligarchia militare, con una stretta divisione in classi e una mobilità sociale praticamente nulla.
L'organizzazione sociale dello stato spartano aveva consentito la nascita di una classe di cittadini, gli omoioi, uguali, in grado di dedicarsi soltanto all'addestramento militare e alla preparazione della guerra fin dalla tenera età, fornendo allo stato lacedemone uno strumento bellico permanente, altamente addestrato e del tutto - diremmo oggi - professionale.
Nei confronti delle altre poleis Sparta disponeva quindi di un esercito di gran lunga più efficace rispetto alle forze di cittadini, che prendevano le armi solo in caso di necessità, che tutte le altre città erano in grado di mettere in campo. Tale sistema, se aveva consentito a Sparta di assumere, dopo la resa ateniese del 404 a.C., l'egemonia sull'intera Ellade, conteneva già al proprio interno i germi della crisi e della conseguente decadenza. L'organizzazione sociale chiusa, il controllo della qualità delle nascite, e la totale mancanza di mobilità in seno alla società spartana avevano alla lunga portato ad un indebolimento della città e dello stato. Proprio quando sembrava che Sparta avesse ottenuto la supremazia sulle altre poleis questa crisi emerse in tutta la sua drammaticità.
Nella piana di Leuttra toccò ai Tebani di Pelopida ed Epaminonda mettere a nudo questa decadenza, infrangendo assieme alle file della falange spartana anche il mito della sua invincibilità.
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Alle origini della storia greca si trova, come si è visto più volte, il concetto che la vera cittadinanza è composta soltanto da quelli degli abitanti i quali, in seguito a ragioni storiche ed etniche, facevano parte delle forze armate e quindi prestavano allo Stato e alla sua difesa la loro persona, i loro mezzi e la loro opera.
L'esercito spartano, nelle sue origini, era composto dai contingenti forniti dalle tre tribù originarie. Tutti gli Spartiati compresi nelle tribù appartenevano a una di queste tre grandi unità, disponevano delle armi e, in caso di mobilitazione, dovevano presentarsi al loro reparto, mentre i re assumevano il comando generale. In questo primitivo esercito, è possibile non esistessero altro che i reparti Spartiati: in ogni caso, era soltanto riservala a loro la funzione del combattimento diretto, di prima linea, che, nelle forme più antiche della tattica, era una specie di duello corpo a corpo contro i nemici. E quindi probabile che il contingente spartiate fosse tutto composto di promacoi, cioè di questa categoria di combattenti scelti di prima schiera. Il pletys, cioè i reparti ausiliari, i servizi e le unità di sostegno nell'esercito spartano antichissimo, poteva anche non esistere, in quanto sarebbe stato contraddittorio con il principio di eguaglianza esistente tra gli homoioi. Nell'esercito spartano il pletys comparì soltanto quando Sparta arruolò regolarmente perieci o quando, eccezionalmente, riunì anche reparti di opliti.
Dopo le guerre di Messenia si ebbe una riorganizzazione, attribuita al leggendario legislatore Licurgo. Le grandi unità dell'esercito spartano vennero denominate locai, e furono cinque, conformemente alla nuova organizzazione dello stato lacedemone in cinque distretti territoriali. L'organizzazione militare degli Spartiati non si limitava ai reparti in servizio attivo, ma si preoccupava dell'efficienza e dell'inquadramento di tutta la popolazione maschile spartiate dai 18 ai 60 anni.
Quindi esisteva, nel mondo lacedemone, oltre ai locai, anzitutto l'organizzazione del sissitio, cioè il raggruppamento di soldati delle unità minori, in congedo ma obbligati a prendere insieme i pasti, in modo che si tenessero in costante contatto. I sissizi comprendevano 15 uomini di truppa e il loro ufficiale, quindi erano mense di 16 membri; con due sissizi si formava un reparto tatticamente più efficiente nell'articolazione delle maggiori unità, cioè l'enamotia che sarebbe quindi stata formata di 32 uomini, di cui due ufficiali; il comando del reparto toccava a quello dei due che era maggiore di età. Lenomotia sostituiva, nella nuova organizzazione dell'esercito spartano, un altro reparto, pure di 30 persone, che doveva essere stato fin dai tempi più antichi il reparto tattico basilare dell'esercito spartano. Nel sec. V, gli Spartani cominciarono a formare reparti autonomi di perieci e ad arruolare iloti nell'esercito, nella proporzione fissa di sette iloti per ogni Spartiate, affidando agli iloti tutti i servizi costituenti la base per i reparti di prima schiera.
Prima della guerra del Peloponneso, nella prima metà del sec. V, altre, nuove e profonde riforme furono introdotte nell'esercito spartano. I perieci vennero largamente arruolati, e dispersi nei vari reparti per evitare raggruppamenti regionali che avrebbero favorito rivolte. In questo secolo, si stabilì il principio che ogni Spartiate doveva essere soldato di fanteria pesante (oplita) oppure doveva prestare servizio nella cavalleria; la cavalleria spartana fu comunque sempre molto scarsa di effettivi. Durante le guerre persiane, si era ancora al reclutamento sulla base di 5000 opliti spartiati, 5000 opliti perieci e 35.000 "servi militari" iloti: i cinque locai avrebbero potuto avere 9000 uomini l'uno, naturalmente compreso il "ruolo servizi".
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Nel sec. IV l'esercito spartano ebbe una successiva riorganizzazione, che ci è nota attraverso l'opera di Senofonte sul governo degli Spartani. Si crearono delle maggiori unità, dette morai, una di cavalleria e cinque di fanteria pesante. Le morai inquadravano il contingente degli Spartiati ed erano suddivise, ciascuna, in quattro locai, otto pentecostie e sedici enomotie. Lo stato maggiore era composto da un comandante della mora, con il titolo di pale-marco, da quattro locagoi, da otto penteconteri e da sedici enomotarchi. Nel suo complesso questa riforma corrisponde al bisogno di articolare i reparti frazionandoli maggiormente, poiché al di sopra del locos, i cui effettivi saranno certamente stati ridotti aumentandone il numero, veniva creato un reparto che lo sostituiva, benché, in complesso, le maggiori unità si riducessero da sette a sei. E anche possibile che la maggiore suddivisione dei reparti fosse dovuta alla consueta necessità dell'amministrazione militare spartana di evitare concentrazioni regionali, la quale, nello stesso tempo in cui doveva ricorrere a un crescente reclutamento di perieci, doveva contemporaneamente far fronte alla decadenza demografica della categoria degli Spartiati. Per ragioni di sicurezza, l'unico mezzo per conciliare queste due esigenze era quello di disperdere i perieci, ed eventualmente gli iloti, in reparti più piccoli e più numerosi, perché gli Spartiati potessero sorvegliarli meglio. E' probabile che, già durante la guerra del Peloponneso, si sia introdotto il principio che gli Spartiati in ogni caso dovevano essere i graduati responsabili dei reparti più piccoli.
Gli obblighi di leva cominciavano, come si è detto a diciotto anni e non finivano che a sessanta; però le classi più giovani e le più anziane erano tenute come riserva per casi estremi, come accadde per esempio nel 418. In generale, le due classi più giovani e le dieci più anziane venivano esentate dal servizio attivo, che quindi si restringeva agli uomini tra i venti e i cinquanta anni. Al principio del sec. V, i perieci formavano ancora reparti autonomi. I trecento uomini della guardia reale si chiamavano hippeis; però non erano soldati di cavalleria. La cavalleria era formata con altri elementi, ma la dottrina di guerra spartana non dava un grande credito alle prestazioni della cavalleria, se non per la ricognizione, poiché era tutta basata sopra il principio della pesante massa d'urto formata dallo schieramento dei fanti muniti di pesante armatura (opliti).
L'oplita è l'esempio più tipico e caratteristico del soldato greco in genere, e non solamente spartano. Vi era una derivazione diretta dell'oplita dell'età classica dal soldato del periodo miceneo, quest'ultimo armato con un grande scudo con la forma di un "8" fatto con pelle di bue, tenuto appeso al collo, mentre l'equipaggiamento era completato da un elmetto metallico. Il soldato miceneo aveva anche una lunga spada non molto pesante e piuttosto sottile. Nel periodo successivo a quello miceneo rimase sempre il concetto di questo tipo di armamento piuttosto pesante, ma si trovò opportuno di non imbarazzare più i soldati con uno scudo di grandi dimensioni, dandogli invece una corazza, che copriva il petto e il ventre, e delle gambiere, pure metalliche, cosicché lo scudo fu ridotto di dimensioni, e divenne una larga piastra rotonda o ellittica, molto più piccola di quella minoica, che poteva essere sostenuta dal braccio sinistro. L'armamento si completava, poi, con una lancia di notevole lunghezza, un poco più alta della persona, e con una corta sciabola a due tagli. La lancia veniva portata con il braccio destro, mentre la sciabola veniva lasciata pendere sulla sinistra. Questo tipo di armamento subì pochi cambiamenti quando si passò all'età classica.
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Le istituzioni di molte città greche prevedevano, per la gioventù cittadina, un periodo di regolare addestramento militare, l'efebia, che veniva fatto a cura e a spese della città. Ad Atene questo servizio era imposto ai giovani dai 18 ai 20 anni. Grazie alla obbligatorietà dell'efebia, non vi furono giovani greci privi di un minimo di istruzione militare. Non è da credere che, per il fatto che praticamente mancavano forme di regolare divisa militare, non vi fossero gli elementi di addestramento militare formale che sono rimasti in uso sino ai nostri tempi. I Greci dovevano conoscere anche formule fisse simili a dei comandi, come l'equivalente di «fianco dest» che, per le truppe greche, suonava «voltati verso la lancia» e «fianco sinist», che suonava «voltati verso lo scudo».
Addestrati in questo modo, i Greci ebbero lungamente una grande reputazione militare, e, durante la guerra del Peloponneso, le parti combattenti cercarono di accrescere i loro effettivi assoldando mercenari, per rafforzare i reparti oplitici e introdurre la sorpresa di nuovi metodi di combattimento, cui il nemico non era preparato. Arcieri di Creta, frombolieri di Rodi, peltasti di Tracia furono largamente impiegati. La fine della guerra e l'inversione della congiuntura economica nel IV secolo diedero luogo a una grande disponibilità di uomini pronti a prestare servizio nelle truppe mercenarie, tra le fila di chiunque fosse disposto a pagarli. Per le loro guerre, i Focesi reclutarono 20.000 soldati mercenari al cui pagamento provvedevano con somme tolte al tesoro di Delfi; nella rivolta che Ciro tentò contro il fratello Artaserse per togliergli il trono, assoldò un celebre reparto di 10.000 uomini, quelli che furono i protagonisti della Anabasi comandata e raccontata da Senofonte. La maggior parte dei superstiti dei 10.000 di Ciro furono assoldati dagli Spartani; intanto, in Sicilia, a Cartagine e in Persia continuarono ad assoldarsi grandi reparti di mercenari greci.
La paga offerta ai mercenari non era molto elevata: Ciro pagava un darico al mese, cioè quattro oboli al giorno, che era esattamente la stessa paga corrisposta agli opliti ateniesi durante la guerra del Peloponneso; sennonché cittadini come nelle truppe mercenarie, ogni soldato combattente aveva diritto ad avere una specie di attendente, che lo sollevava dalla fatica di portare lo scudo e le provviste (ogni militare chiamato alle armi doveva presentarsi al reparto con i viveri per tre giorni e questa scorta doveva essere regolarmente ricostituita). In condizioni eccezionali, anche durante la guerra del Peloponneso, il soldo militare venne aumentato di un terzo, cioè portato a una dracma tanto per l'oplita come per il suo attendente. L'ufficialità mercenaria aveva otto oboli al giorno per i comandanti di locai e sedici oboli al giorno per gli ufficiali generali.
Come si diceva, lo sviluppo del mercenarismo nel mondo ellenico ebbe grande progresso nel corso del IV secolo. Alessandro Magno assoldò molti mercenari, ma li usò soltanto per servizi di guarnigione e per altri compiti ausiliari, poiché, per le grandi operazioni militari preferì l'esercito macedone e i reparti cittadini fornitigli dalle città greche. Peraltro nelle file persiane combattevano 30.000 mercenari greci, causa di non piccole preoccupazioni per Alessandro Magno, che con ogni mezzo cercò di scoraggiarli e di esortarli a passare nelle sue file.
Nel corso del IV secolo si era notevolmente sviluppato il sistema dell'organizzazione di truppe mercenarie e del loro impiego in guerra. Sino alla guerra del Peloponneso, i mercenari erano pochi e, all'infuori dei corpi di guardia dei tiranni, la leva dei cittadini era usata prevalentemente in tutto il mondo ellenico, all'infuori che in Sicilia. Peraltro, molti Greci che non trovavano soddisfacenti condizioni di lavoro nella loro madrepatria, già prima delle conquiste di Ciro, venivano largamente assoldati dai sovrani egiziani e dai Babilonesi in Mesopotamia. L'usanza non fu smessa nemmeno dopo Ciro, perché soprattutto i satrapi della regione anatolica usavano assoldare reparti greci e trovavano soprattutto contingenti disponibili in Arcadia.
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Il termine deriva dal greco falanx, che significa «rullo». È l'ordine di combattimento delle fanterie greche di età classica. Impiegata dapprima in quanto unica formazione idonea a resistere, per la sua compattezza, al disordinato attacco delle orde asiatiche e dei carri, la falange, particolarmente adatta al movimento e alla manovra, portò l'arte militare greca a un alto livello, consentendo a Epaminonda di attuare la sua tattica, e ad Alessandro la realizzazione di concezioni strategiche tra le più ardite e geniali che la storia ricordi.
Nell'esercito macedone di età ellenistica, formavano la falange 16 sintagmi di opliti serrati l'uno accanto all'altro: il sintagma era costituito di un quadrato di 16 file per 16 righe di uomini. L'oplita era il fante armato di una «sarisa» (una lancia lunga oltre 4 metri). Nel combattimento difensivo gli opliti delle prime 6 righe abbassavano la rispettiva sarisa, puntandola verso il nemico e tenendola ferma al suolo con le due mani, così da rompere l'attacco dei carri e ogni tentativo di irruzione nella compatta ordinanza; le altre dieci righe sollevavano in aria le sarise sino a coprire le righe precedenti. Nel combattimento offensivo invece la falange avanzava compatta «al passo» con le sarise in parte abbassate e in parte sollevate, come è detto sopra, agendo sull'avversario con la potenza dell'urto. La falange, pur nella sua disciplinata compattezza, presentava punti di estrema vulnerabilità sui fianchi e a tergo; conseguentemente il suo schieramento in battaglia era normalmente protetto su ciascun lato da un corpo di cavalleria formato di 8 squadroni, ciascuno con 8 cavalieri di fronte e 8 in profondità; a tergo, invece, da una retroguardia mercenaria di peltasti, costituita di 16 unità di fanteria leggera ciascuna di 16 uomini di fronte per 8 in profondità, in funzione sia di protezione della retroguardia, sia di riserva. Con Alessandro, alleggerita nel numero delle file e delle righe degli opliti così da renderla idonea al movimento in terreno vario, la falange normalmente venne impiegata al centro dello schieramento, e appoggiata su un'ala a una grossa formazione di cavalleria destinata sia a manovrare sul fianco e sulle retrovie del nemico, sia a sfruttare l'eventuale successo mediante inseguimento.
Questo tipo di combattimento eroico e cavalieresco ormai non aveva molto a che fare con l'ordine di battaglia con cui i Greci affrontarono i Persiani al principio del V secolo, quando l'oplita e la falange erano diventati il tipo normale delle forze militari di tutto il mondo ellenico. L'urto delle falangi era un contrasto di masse, nelle quali lo sforzo e il peso costituivano l'elemento decisivo della battaglia. La falange non aveva nessuna possibilità di ricomporsi se l'assalto nemico, con il suo peso, riusciva a romperne il fronte, e questo ordine di battaglia non serviva ad altro che a contrapporre due masse d'urto l'una all'altra, senza nessuna possibilità di manovrare, all'infuori della preparazione di un'imboscata che colpisse e sorprendesse il nemico mentre si trovava in ordine di marcia e non in ordine di battaglia.
In complesso, la falange non aveva utilità quando si trattava di dare l'assalto a una città fortificata, ove anche le donne e i bambini, dall'alto delle mura, potevano uccidere soldati attaccanti solamente gettando pietre contro di loro. Allo stesso modo, alla battaglia di Platea, i Persiani si erano fortificati circondando il loro accampamento con una palizzata, e l'urto della falange serviva a ben poco contro questa sia pur modesta fortificazione. La battaglia fu decisa sotto la palizzata solo quando entrarono in azione i reparti ateniesi, i quali, combattendo, riuscirono a farvi una breccia e a entrare nel campo persiano decidendo a loro favore la giornata. La battaglia di Platea, la cui cronaca dobbiamo allo storico Erodoto, rivela comunque che l'impiego della fanteria oplitica della falange non era da intendersi in ogni caso in una maniera così rigida come può ritenersi, cioè che la falange non veniva usata esclusivamente come massa d'urto, scudo contro scudo, per elementari forme di combattimento.
Quando i raccolti erano maturi, poteva accadere che da una città vicina si mandasse un reparto militare a invadere il territorio, con la speranza di poter portare via il raccolto e magari il bestiame. In un caso come questo, tutta la strategia difensiva consisteva nello schierare la falange, in località opportuna, possibilmente presso la linea di confine. Le truppe venivano schierate nella profondità di parecchie file di uomini armati, in modo che, sopraggiungendo l'invasore, gli scudi delle due prime file venissero a contatto fisico fra di loro, ciascuna delle due prime file cercando di spingere indietro quella avversaria, mentre tutte le file retrostanti, schierate in profondità, aiutandosi anch'esse con gli scudi e con le braccia, cercavano di impedire alla prima fila il minimo cedimento. Questo singolare combattimento di fatto poteva moltiplicare su migliaia di uomini un esercizio non troppo diverso da un «braccio di ferro», o da una mischia nel gioco del rugby. Se qualcuno dei combattenti di prima fila veniva ucciso dal nemico che stava di fronte, il suo posto doveva essere preso automaticamente dal commilitone della fila retrostante; e tutte le file, sino all'ultima, avrebbero scalato allo stesso modo. Se per qualche motivo, questo movimento di sostituzione non riusciva, iniziava quel disordine che poteva significare la decisione del fatto d'armi.
Da questa forma estremamente semplice e primitiva di combattimento, si poteva passare ad azioni più articolate, nelle quali l'importanza dell'elemento individuale diventava più apprezzabile, cioè quando il soldato era addestrato per muoversi e combattere anche se non era spalla a spalla e scudo a scudo con i suoi vicini di destra e di sinistra.
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I Peloponnesiaci e i loro alleati erano più numerosi dell'esercito tebano e, soprattutto, contavano tra le loro fila almeno 2.000 opliti spartiati con la loro fama di invincibilità. Epaminonda, che aveva preso il controllo della politica tebana, riuscì tuttavia a convincere i propri concittadini della necessità di opporre resistenza. L'esercito tebano, forte di 9.000 uomini, di cui 6.500 opliti, si mosse così per incontrare i 14.000 uomini accampati nei pressi della città.
L'esercito spartano si schierò nella pianura assumendo la formazione di combattimento e disponendo le truppe in una sorta di ampia e schiacciata mezzaluna con la concavità rivolta verso il nemico; sulla destra dello schieramento, nel posto tradizionalmente ritenuto più onorevole, stavano i 2.000 spartiati con tra di loro il re Cleombroto. Le novità tattiche stavano tutte dalla parte dei Tebani; Epaminonda aveva schierato l'esercito in una formazione fino ad allora sconosciuta nelle battaglie di opliti: rifiutato il fianco destro, con una formazione in obliqua, aveva schierato sulla sinistra il reparto d'élite della falange tebana al comando di Pelopida, il battaglione sacro, in una formazione molto profonda, 50 ranghi invece dei soliti 12, mettendo davanti al quadrato di opliti la propria cavalleria.
Fu proprio sul lato sinistro che la battaglia si decise; la cavalleria tebana, leggermente superiore in numero a quella avversaria, mise in rotta quella nemica e si schierò a protezione del fianco sinistro tebano mentre la falange del battaglione sacro, con Pelopida in prima linea, si schiantava contro le file lacedemoni. Subito si accese una violenta mischia ma, lentamente, il maggior peso della formazione tebana iniziò ad avere la meglio.
Epaminonda aveva certamente ben presenti le difficoltà che avevano le truppe spartane a manovrare sul campo di battaglia: infatti gli Spartani, attaccati in quel modo, avevano come unica contromisura logica quella di far compiere un'evoluzione alla formazione sulla destra, in modo da colpire il fianco che i Tebani necessariamente lasciavano scoperto.
Come aveva previsto Epaminonda la manovra fu fatta con troppa lentezza e nel movimento la falange spartana si allargò troppo, cosicché Epaminonda potè mandare Pelopida con un reparto di 300 uomini scelti ad attaccare gli Spartani nel momento critico dello sviluppo della loro manovra.
La falange spartana non riuscì a mantenersi compatta e la battaglia fu vinta. Epaminonda aveva applicato a Leuttra un espediente tattico già conosciuto da tempo in Beozia, non per avere attaccato al centro, ma per avere fatto uno schieramento più lungo del solito, in maniera da tenere in riserva qualche elemento di truppa.
Quando lungo le file spartane si seppe che assieme a molti ufficiali lo stesso re Cleombroto era stato ucciso dalla lancia di un oplita tebano la formazione peloponnesiaca iniziò a vacillare. Era quello che Pelopida aspettava: incalzati dalla spinta del battaglione sacro, gli Spartani si misero presto in fuga. L'ala sinistra lacedemone non era ancora entrata in combattimento ma, vista la fuga delle migliori truppe sul campo, ruppe la formazione e si mise anch'essa in rotta, inseguita dalla cavalleria tebana.
La battaglia era durata solo un'ora e sul campo rimanevano più di 1.000 spartiati assieme a 300 opliti tebani.
Con l'abilità della manovra e la spregiudicatezza dello schieramento, Epaminonda aveva ottenuto una vittoria decisiva su quello che era considerato il miglior esercito dell'epoca.
L'esempio di Epaminonda influì largamente la tattica di Alessandro Magno e determinò alcune delle sue decisive battaglie, soprattutto quella di Gaugamela (detta anche battaglia di Arbela) contro i Persiani di Dario (331 a.C.).
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La sconfitta subita dagli Spartani a Leuttra ebbe conseguenze dirompenti sugli equilibri politici di tutta l'Ellade. Incapaci di riprendere il controllo della città di Tebe i Lacedemoni, che pure nove anni dopo si presero una parziale rivincita a Mantinea, dove Epaminonda trovò la morte, non furono più capaci di mantenere una qualsiasi forma di potere egemonico sulle città-stato della Grecia. Lasciata in balia di se stessa la politica ellenica tornò alle divisioni e agli scontri che avevano caratterizzato il periodo immediatamente precedente alla fine della guerra peloponnesiaca.
Quando sembrava che si potesse instaurare una fase di chiara supremazia tebana, si profilò all'orizzonte un altro nemico esterno per la libertà delle poleis.
A nord, Filippo II della dinastia argeade, che in gioventù era stato ostaggio a Tebe, dove aveva conosciuto Epaminonda e Pelopida, aveva rafforzato lo stato macedone e, soprattutto, sviluppando ulteriormente i concetti strategici e tattici tebani aveva riformato e rinforzato il suo esercito.
Stavolta l'invasore, i Macedoni, veniva da nord e, per quanto considerato semibarbaro, era di lingua greca.
Nel 338 a.C. l'armata macedone, guidata da Filippo, sconfiggeva un esercito ateniese e tebano nella battaglia di Cheronea ponendo fine, di fatto, alla libertà della Grecia. Sottomessa sul piano politico l'Ellade non vide però scomparire la sua cultura; toccò al figlio di Filippo, Alessandro, che a Cheronea aveva comandato la cavalleria del padre, portare con le armi la cultura greca in Asia, ponendo le basi per quello sviluppo della civiltà greca che fu l'ellenismo.
LEUTTRA
La vittoria tebana a Leuttra e la morte di Giasone inaugurarono un periodo di crescente potere tebano. Nel frattempo nella Grecia meridionale erano scoppiati gravi disordini civili. I ricchi detenevano il potere e la classe media e i poveri erano giunti a un livello tale di esasperazione da essere pronti, come era già successo ad Argo, a ribellarsi.
Nel Peloponneso serpeggiava il malcontento. Nell'Arcadia orientale fu ricostruita Mantinea, e Tegea espulse 800 cittadini che avevano garantito la loro fedeltà a Sparta. L'appello che gli Arcadi rivolsero ad Atene fu vano, più fortunato fu invece quello rivolto a Tebe. Epaminonda decise di invadere il sud. Sparta non era certo in buone condizioni, gli spartiati erano calati di numero, e per la prima volta nella storia della città un esercito nemico faceva razzia nel suo territorio incontrando solo la resistenza di pochi. Sparta fu salvata in extremis dai pochi alleati che le restavano, ma dovette in cambio liberare circa 6000 schiavi. Epaminonda ricostruì Messene dotandola di imponenti fortificazioni per servirsene come baluardo contro Sparta (le splendide rovine delle sue fortificazioni sono tuttora visibili). Atene, però, odiando Tebe ancor più che Sparta, nel 369 si alleò con la sua eterna rivale.
Epaminonda invase Sparta diverse volte, e la storia degli anni immediatamente seguenti fu caratterizzata dal continuo costituirsi e disfarsi di alleanze. Nel 365 Elide entrò in guerra con l'Arcadia, e nel 364 nuovi belligeranti si affrontarono in una grande battaglia presso Olimpia, proprio in occasione delle tradizionali celebrazioni. Epaminonda fu ferito a morte a Mantinea mentre inseguiva vittorioso la cavalleria degli Ateniesi, degli Spartani e degli Arcadi. Durante la sua gloriosa carriera non solo aveva dato una lezione all'orgoglio spartano, ma aveva anche fondato o rifondato due città energiche e destinate a tenere Sparta sotto scacco: Megalopoli, costruita nel 370 a.C. da popolazioni montane dell'Arcadia, e Messene, la capitale di una nuova Messenia non più asservita a Sparta.
Tuttavia la potenza militare tebana non ebbe lunga vita dopo la scomparsa del suo creatore, Epaminonda, proprio come l'impero di Giasone di Pere non sopravvisse al suo signore, o come fu effimero il potere di Siracusa in Sicilia.
Pubblicato il 14/04/2010