1 Ottobre 331 a.C.
Due anni dopo il trionfo di Isso, Alessandro distrugge l'ultima grande armata persiana raccolta da Dario III, aprendosi la strada per la conquista dell'Asia.
GAUGAMELA
Generale al servizio di Filippo II di Macedonia e Alessandro Magno. Durante il regno di Filippo II Parmenione ottenne una grande vittoria sugli Illiri nel 356 a.C., fu uno dei delegati designati per concludere la pace con Atene nel 346 a.C., e fu inviato con un esercito per difendere l'influenza macedone in Eubea nel 342 a.C.
Parmenione era il più fidato generale di Filippo II, ed ebbe una grande influenza nella formazione del duro, disciplinato e professionale esercito macedone, le cui tattiche avrebbero dominato il mondo ellenistico per i secoli successivi, probabilmente fino alla battaglia di Pidna tra la Macedonia e Roma nel 168 a.C.
A Parmenione è generalmente riconosciuta una parte fondamentale nell'introduzione dell'uso della Sarissa nella falange macedone, rendendola devastante contro la fanteria convenzionale, quella degli opliti greci, e quindi alla realizzazione dei sogni di potere di Filippo II.
Dopo che Alessandro venne riconosciuto re di Macedonia Parmenione stesso si fece secondo in comando dell'esercito e sembra che i suoi suggerimenti influenzarono fortemente la visione tattica di Alessandro. Ad esempio, secondo il testo "Anabasi di Alessandro" di Lucio Flavio Arriano, al Granico Parmenione suggerì di ritardare l'attacco, dato che l'esercito aveva già marciato per tutta la giornata e tenendo anche in considerazione ragioni politiche e geografiche. Pare che Alessandro attaccò dall'altra parte del fiume, ignorando il consiglio e guadagnando una vittoria. Tuttavia Diodoro Siculo contraddice Arriano indicando chiaramente che Alessandro accettò il consiglio di Parmenione. In ogni caso, il risultato ottenuto sarebbe da attribuirsi dalla sfrontatezza giovanile di Alessandro, dato che egli procedette poi con molta cautela nei seguenti sei mesi, quando liberò le città greche in Asia Minore, mostrando quindi un mutamento nella sua aggressività.
E' comunque indiscutibile che Parmenione continuò ad avere un'influenza notevole e rimase uno dei protagonisti di quella campagna fino alla conquista di Babilonia, dopo aver guidato l'ala sinistra macedone sia ad Isso che a Gaugamela (ricordiamo che la sinistra era una parte fondamentale all'interno del sistema militare macedone, che permetteva al re di trovare il tempo e la modalità per sferrare il colpo decisivo).
Dopo la conquista di Drangiana, ad Alessandro fu comunicato che Filota, figlio di Parmenione, era coinvolto in un complotto contro la sua vita. Filota venne condannato e messo a morte e Alessandro, pensando che potesse essere pericoloso per la sua incolumità consentire al padre di vivere, dopo l'esecuzione, inviò l'ordine per l'assassinio di Parmenione. Non c'era alcuna prova che Parmenione era in qualche modo implicato nella cospirazione, ma non ebbe nemmeno la possibilità di difendersi. D'altra parte possiamo affermare, in "difesa" di Alessandro, che un Parmenione "deluso" era una minaccia grave per il Re, soprattutto da quando era a capo di una fetta considerevole dell'esercito assegnato al bottino di guerra di Alessandro stesso e delle sue linee di rifornimento. Inoltre, come capo della famiglia di Filota, Parmenione sarebbe stato ritenuto responsabile per le sue azioni, nonostante la mancanza di prove concrete. Alessandro quindi decise in fretta, inviando tre suoi ufficiali i quali, attraversato rapidamente il deserto su dei cammelli, lo pugnalarono a morte sul posto.
Fu un importante satrapo della Battriana, auto-proclamatosi re di Persia. Secondo le fonti classiche, fu il responsabile della morte del suo predecessore, Dario III, dopo che l'esercito persiano era stato sconfitto da Alessandro Magno a Gaugamela.
Nella battaglia di Gaugamela Besso comandava l'ala sinistra dell'esercito persiano, composto principalmente da truppe della sua satrapia, che era stata mobilitata ancor prima della battaglia di Isso. Nonostante il fallito accerchiamento ordinato da Dario e il perdurare dei feroci combattimenti, sopravvisse e rimase, in un primo tempo, con il suo re, seguendo la rotta dell'esercito persiano che sfuggiva alle forze di Alessandro e trascorrendo l'inverno successivo alla battaglia di Gaugamela ad Ecbatana. A questo punto, Besso, cospirò con altri satrapi, deponendo Dario III, probabilmente convinto del fatto che Alessandro, dopo aver ricevuto la notizia dell'arresto di Dario, avrebbe fermato la sua marcia.
Secondo le fonti, i cospiratori ferirono mortalmente Dario III e lo abbandonarono a se stesso, in modo tale da essere poi ritrovato da un soldato macedone nel luglio del 330 a.C., in un luogo che è stato individuato vicino alla moderna Ahuan.
Besso subito si proclamò re adottando il nome di Artaserse. La sua auto-proclamata ascensione era logica, dal momento che il satrapo di Battriana, noto come mathišta, era il nobile più prossimo nella lista di successione al trono persiano. Ma dal momento che la maggior parte dell'impero persiano era stato conquistato e quindi Besso regnava solo su una libera alleanza di province rinnegate, gli storici in genere non lo considerano ufficialmente un re persiano.
Besso tornò a Battriana cercando di organizzare una resistenza tra le satrapie orientali, ma, spaventato dai Macedoni in avvicinamento, il popolo arrestò lo stesso Besso e lo consegnò al re macedone Alessandro. Quindi Alessandro ordinò che il naso e le orecchie di Besso fossero tagliate, secondo un costume persiano utilizzato per coloro che sono coinvolti in ribellione e regicidio.
A questo punto le fonti antiche sulla morte di Besso si fanno contraddittorie. Secondo alcune fonti pare che venne crocifisso nel luogo dove Dario III era stato ucciso, mentre Arriano riporta che è stato torturato e poi decapitato a Ecbatana, infine, Plutarco suggerisce che egli fu fatto a pezzi in Battriana, dopo un "processo" tenuto dai conquistatori macedoni.
GAUGAMELA
Il primo ottobre 331 a.C. ebbe luogo una delle battaglie decisive della storia. La battaglia di Gaugamela costituì il culmine della campagna militare di Alessandro. Uscito perdente dal suo primo scontro con Alessandro Magno a Isso (333 a.C.), Dario III, per scongiurare un’altra guerra, gli offrì tutte le regioni ad ovest dell’Eufrate, un alto riscatto per riavere il suo harem (che il macedone aveva catturato a Isso) e la mano di sua figlia. Ma Alessandro rifiutò. Il suo fine era conquistare l’impero achemenide.
Alessandro quindi mosse verso la Siria, la Fenicia e la città di Tiro, che si arrese a lui nel 332 a.C. dopo otto mesi di resistenza; 8000 dei suoi abitanti furono uccisi e 30.000 fatti schiavi. Dopo Tiro, cadde Gaza e dopo Gaza fu la volta dell'Egitto. Giunto nella zona del delta del Nilo, Alessandro vi fondò Alessandria e vi celebrò dei giochi secondo il costume greco, rese sacrifici agli dei egiziani e si fece proclamare re d'Egitto.
Visitò quindi l'oracolo di Ammone (che divenne di «Zeus-Ammone» per assimilazione con la divinità greca) sito nel deserto libico nell'oasi di Siwa. Il pellegrinaggio a quel santuario era, ed è ancora, particolarmente difficile e pericoloso. Alessandro vi si recò e non rivelò mai il contenuto delle sue interrogazioni, anche se, da quanto sappiamo, disse di essere soddisfatto dei responsi divini. I suoi soldati, successivamente, pensarono che probabilmente il loro capo avesse chiesto se avrebbe governato il mondo, e se tutti gli assassini di suo padre erano stati trovati e uccisi. Può anche darsi che l'oracolo abbia dato conferma al suo segreto desiderio di poter vantare un'origine divina, ovvero che il suo autentico padre fosse lo stesso Zeus-Ammone. Alessandro si rivolse quindi verso l'interno dell'Asia, attraversò l'Eufrate nel 331 a.C. e quindi il Tigri per affrontare Dario III e decise di attendere finché il Gran Re non avesse arruolato fino all’ultimo persiano; il re macedone voleva assicurarsi che, dopo quello scontro, non si rendessero necessarie altre battaglie.
Compiuta questa enorme operazione di assemblamento, Dario perlustrò i dintorni in cerca di un idoneo campo di battaglia. Voleva sfruttare la sua superiorità numerica per costringere Alessandro a dare battaglia nella vaste pianure del Tigri. Il Re ordinò quindi a uno dei suoi ufficiali di stare di guardia, ma, all’avvicinarsi del nemico, di lasciarlo passare indisturbato. Alessandro e il suo esercito dovevano infatti attraversare l’Eufrate illesi. Dario lasciò Babilonia in direzione nord e ad Arbela fece montare l’accampamento. Di lì dispose il suo esercito nelle pianure fra il Tigri e lo Zab, pianure che aveva fatto ripulire da ogni impedimento, in modo da poter usare al meglio i carri falcati.
Alessandro mirava al centro della Mesopotamia, e a Thapsakos condusse il suo esercito attraverso l’Eufrate, poi girò verso nord-est. Non appena gli fu riferito che l’esercito persiano era giunto per la battaglia ed era accampato a pochi giorni di marcia verso sud, nelle pianure di Gaugamela, Alessandro fece allestire subito il proprio accampamento.
Contando sulla superiorità numerica, sul terreno a suo vantaggio, sui carri falcati, sugli elefanti da guerra e su una grande forza bellica, Dario si sentiva sicuro della vittoria. Ma, dato che i persiani temevano un attacco notturno dei macedoni, ordinò a tutti gli uomini di restare svegli e di tenersi pronti a reagire. Parmenione progettava un assalto notturno, ma Alessandro lo trattenne e sfruttò invece la notte per preparare il suo piano, lasciando riposare gli uomini. Il piano comprendeva alcune novità nello schieramento.
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Il carro falcato che i persiani presentarono a Gaugamela era un carro da guerra con delle modifiche sensibili rispetto a quello utilizzato da Egiziani ed Hittiti molti secoli prima. Era munito di lame metalliche sulla testa e sul timone, sui mozzi delle ruote e sulle sponde, queste erano estese orizzontalmente per un metro circa su ognuno dei suoi lati che lo rendevano davvero un'arma temibile, una volta lanciato in velocità dal rapido galoppo di cavalli bardati verso le linee nemiche, faceva strage di tutto ciò che incontrava.
Il generale greco Senofonte (430-354 a.C.), testimone oculare alla battaglia di Cunassa, dice di loro: «Questi carri avevano una falce sottile che si estende ad un angolo dal perno e anche sotto il sedile del conducente, rivolto verso la terra».
Tuttavia secondo Nefiodkin l'attribuzione fatta da Senofonte, secondo cui il carro falcato fosse in dotazione già al primo re persiano Ciro, potrebbe essere errata, in quanto indica poi la loro assenza nell'invasione della Grecia (480-479 a.C.) da parte di un suo successore, Serse I. Egli sostiene, invece, che i persiani introdussero il carro falcato in un periodo successivo alle guerre greco-persiane, tra il 467 a.C. e il 458 a.C., come soluzione alternativa, vista la loro precedente "esperienza" di combattimento contro la fanteria pesante greca.
Sul carro falcato, generalmente trainato da quattro cavalli, montava un equipaggio di massimo tre uomini, un auriga (guidatore) e due guerrieri.
Teoricamente il carro falcato veniva usato come mezzo per sfondare le linee di fanteria nemiche con un'azione d'urto, veniva lanciato a tutta velocità contro lo schieramento avversario provocando il taglio a metà dei combattenti nemici che incontrava o comunque l'apertura di varchi nella linea nemica che potevano poi essere sfruttati per spezzarne le formazioni. In un momento in cui nella cavalleria non erano ancora in uso le staffe e, probabilmente, non si avevano né speroni, né un efficace sella, i carri falcati erano ritenuti l'arma più efficace per un attacco contro la fanteria. Infatti, mentre per la cavalleria era difficile matenere i cavalli al galoppo e colpire con tutta la propria forza la stretta formazione oplitica della falange greca e macedone senza il pericolo per i cavalieri di essere sbalzati dalla sella, il carro falcato riusciva in parte a evitare questo problema, e, grazie all'azione di taglio delle lame di cui era munito, risultava in qualche modo efficace anche quando i cavalli evitavano gli uomini in formazione.
Comunque un esercito ben addestrato poteva divergere all'avvicinarsi del carro, creando degli spazi attraverso cui farlo passare, per poi richiudersi rapidamente in formazione stretta alle sue spalle, permettendo quindi al carro di attraversare la formazione senza provocare molte vittime. Inoltre i carri falcati, utilizzati rigorosamente come arma offensiva contro la fanteria, richiedevano un campo di battaglia ampio e pianeggiante per poter essere impiegati, dato che gli aurighi avevano bisogno di un sufficiente spazio di manovra. Perciò dal III secolo a.C. circa vennero soppiantati dalla cavalleria, più manovrabile e flessibile (il primo ad impiegare in modo ottimale la cavalleria e a farne l'arma principale del suo esercito fu Annibale).
Secondo alcune fonti storiche i carri falcati vennero utilizzati, in rare occasioni, anche da parte greca e romana.
Il carro falcato si rivelò presto un'arma dalle limitate capacità tattiche. Un esempio dell'inefficacia del carro falcato persiano si ha in occasione dello scontro con la falange macedone condotta da Alessandro il Grande. Resosi conto che i carri costituivano un elemento d'impaccio difficile da gestire per l'esercito persiano guidato da Dario III, istruì i falangiti in maniera da aumentare questo svantaggio. Poco prima che i carri arrivassero a contatto con la fanteria, la falange si sarebbe rapidamente disposta in una formazione avvolgente (a forma di E dove il tratto intermedio della lettera rappresenta il carro) in modo da intrappolare i carri tra le fila dei soldati macedoni e soprattutto dalla loro Sarissa. Questa fu la particolare tattica utilizzata con successo nella battaglia di Gaugamela.
GAUGAMELA
L'esercito di Alessandro il Grande era composto da diversi tipi di unità (fanteria pesante e leggera, cavalleria pesante e leggera) che venivano impiegate sul campo di battaglia ognuna secondo le proprie caratteristiche e il tipo di armamento. Abbiamo già esaminato (vedi la battaglia di Isso) le formazioni di ipaspisti e della falange macedone classica, che qui riassumeremo quindi brevemente, passiamo perciò ad osservare in maniera più dettagliata quali fossero anche le altre componenti della formazione a dsiposizione di Alessandro.
La falange macedone era caratterizzata dalla sarissa, una lunga lancia di circa 4,30 metri; lo schieramento era rettangolare con una profondità di 16 linee e con alcune linee di fanti leggeri al centro dello schieramento; era suddivisa in unità pari ai reggimenti, le taxeis, di 1500 uomini l'una, a loro volta suddivise in locoi, compagnie. Le lunghe sarisse delle prime file venivano puntate orizzontalmente davanti alla falange, mentre quelle dei compagni più arretrati venivano tenute in alto, in questo modo la falange macedone si presentava terribile per la serie di lance che sporgevano sulla sua fronte, micidiali per il nemico attaccante in avvicinamento.
I reparti di fanteria degli ipaspisti erano un corpo di guardie oplitiche scelte di particolare prestanza, destinato a rafforzare e trascinare la normale fanteria di linea della falange. Avevano uno scudo analogo a quello dei peltasti; cioè la piccola pelta rotonda o a forma di cetra, e il loro armamento consisteva, oltre allo scudo, in un elmo, una corazza, schinieri, una sarissa (più corta e maneggevole) ed una spada, non differiva sostanzialmente da quello dei pezetairoi (fanti ad armatura pesante). Erano particolarmente efficaci sia in difesa che nel distruggere reparti di fanteria pesante nemica, grazie anche alla loro maggiore possibilità di manovra nella formazione.
Opliti Greci (Fanteria pesante): questa era la tradizionale fanteria greca, che combatteva, principalmente, nella formazione a falange, profonda 8 uomini, di nuovo suddivisi in taxeis di 1500 ognuna. Alessandro, come "egemone" (comandante) della Lega greca, disponeva di queste truppe delle varie città-stato greche che aveva, sebbene riluttanti, "alleato" con sé. Erano corazzate più pesantemente dei loro omologhi macedoni, con elmi e schinieri in aggiunta ad un armatura a piastre completa. Le loro picche/lance erano più corte, armi ad una mano sola, con una lunghezza di circa 2,5-3 metri; questo permetteva loro di usare un largo scudo di bronzo, legato al braccio con due cinghie, al gomito e al polso. Il loro metodo di combattimento era differente da quello dei reggimenti indigeni macedoni e perciò Alessandro non li usò come truppe di prima linea. A Gaugamela, gli opliti formavano la seconda linea della fanteria ed erano responsabili del tergo della "scatola".
Lanciatori di giavellotto agriani (Fanteria leggera/Truppe da scaramuccia): queste unità, costituite da 500 uomini ciascuna, erano formate da selvaggi uomini delle tribù di una zona remota della Macedonia. A quanto pare, costituivano una delle unità preferite di Alessandro. La loro corazza, se la impiegavano, era piccola. Di solito usavano giavellotti e spade insieme ad uno scudo piccolo e leggero. Non combattevano in una formazione specifica, ma piuttosto impegnavano continuamente le forze nemiche intatte o inseguivano quelle che fuggivano. Benché armati alla leggera, spesso erano efficaci in modo sorprendente in situazioni d'urto; svolsero idealmente il loro compito principale a Gaugamela contrattaccando i carri persiani.
Arcieri (Truppe da scaramuccia e, molto saltuariamente, Fanteria leggera): in unità di 500 uomini, gli arcieri dell'esercito di Alessandro erano composti di indigeni macedoni e mercenari cretesi. Ovviamente non indossavano corazza, portavano spade ma non erano addestrati ad affrontare combattimenti corpo a corpo.
Eteri (Cavalleria pesante): la Cavalleria degli Eteri era formata, principalmente, dai nobili macedoni e seguaci del Re (perciò compagni). Gli otto "ilai" (squadroni) erano composti di circa 200-300 uomini ciascuno (dopo il 330 a.C. ogni "ile" verrà diviso in due compagnie). Durante la battaglia di Gaugamela, alcuni Greci sostituirono i Macedoni caduti nel corso della lunga campagna di Alessandro. L'unità d'élite del corpo, l'altra parte dell'agema (come i già menzionati Hypaspisti), cavalcava con lo stesso Alessandro. Indossavano elmi e corazze di metallo, a volte con piastre fissate al braccio superiore. Usavano la pelta e un'arma conosciuta come "xyston", una lancia fatta di legno di corniolo con una lama ad ogni estremità, lunga 3,5 metri e maneggiabile con una sola mano. Dopo la carica iniziale, la lancia, se era rotta, veniva abbandonata, altrimenti era scagliata, in modo da non disarcionare il cavaliere, che quindi usava la spada (Kopis). Questa cavalleria di solito impiegava la formazione "a cuneo" con la punta diretta verso il nemico. Benché incapace di un assalto diretto alla fanteria pesante nemica, poteva facilmente sfruttare le brecce, portando attacchi mortali ai fianchi o alle terga. Il loro ruolo a Gaugamela fu quello tipico, da quando Alessandro provò sempre ad assicurare che fossero in testa all'azione, insieme a lui. Forse l'esempio più lampante di questo fu alla battaglia di Granico, dove Alessandro guidò una carica incredibilmente avventata attraverso il fiume, contro il centro nemico.
Tessali (Cavalleria pesante): i Tessali, un popolo conquistato che era stato "assimilato" nel regno macedone, era abbastanza ricco per permettersi i cavalli e la corazza necessarie a formare unità di cavalleria pesante. Nella composizione erano simili agli Eteri e secondi solo per reputazione. La loro unità d'elite era composta da alcuni tra i nobili più ricchi della Tessaglia. Indossavano pettorale ed elmo, come gli Eteri, maneggiavano due lance lunghe 2,5 metri (una era scagliata) e spade che usavano dopo la carica. Combattevano in formazione chiusa, preferendo la forma romboidale al cuneo degli Eteri. A Gaugamela, come in molte altre battaglie, furono posti all'ala sinistra dell'esercito di Alessandro.
Lancieri (Cavalleria leggera): questi "prodromoi" (esploratori), composti in origine interamente da nativi macedoni, sebbene iniziassero ad accettare Greci tra il loro numero al tempo di Gaugamela, erano organizzati in unità di circa 300 uomini ciascuna. Maneggiavano una lunga sarissa, forse più lunga di quella della Fanteria degli Eteri, così che furono conosciuti come "sarissophoroi". Indossavano una piccola corazza e non avevano possibilità di lancio. Furono protagonisti di una delle azioni chiave a Gaugamela, rompendo il collegamento tra il centrosinistra e l'ala sinistra persiana.
Lanciatori di giavellotto peoni e traci (Cavalleria leggera): queste unità, divise in "ilai" di 200-300 uomini, erano composte dalle tribù all'interno del regno di Macedonia. La cavalleria greca alleata fornita ad Alessandro dalle città-stato era simile per composizione a queste unità. Non indossavano alcuna corazza ed erano equipaggiate solo di giavellotti e lungi coltelli; combattevano in ordine aperto. Con un ruolo simile alla Fanteria agriana, il loro scopo era quello di tormentare il nemico non rotto e inseguire i nemici in ritirata; non avevano effetto negli urti. E' noto che i Peoni, almeno, avevano scudi.
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L’esercito di Alessandro era costituito da 40.000 fanti e 7.000 cavalieri. Rispetto ai persiani Alessandro era in netto svantaggio numerico, ma il suo esercito era costituito in gran parte da veterani avvezzi alla guerra; inoltre una breve catena di comando sarebbe stata un vantaggio in battaglia. L’esercito macedone era costituito da una cavalleria di eteri armati di lance e dagli ipaspisti, armati in modo simile agli opliti greci, ma meno limitati nei movimenti. Alessandro disponeva anche dei pezeteri, armati di lunghe picche, e delle consuete truppe con armamento leggero. Filippo, padre di Alessandro, aveva assemblato un potente esercito, su cui il figlio poteva ora contare, con una chiamata alle armi fra le tribù. All’esercito di Alessandro si unirono molti alleati e soldati della Grecia e di tutta la regione balcanica.
Dopo la sconfitta a Isso, Dario aveva avuto quasi due anni per costituire un esercito. Per raggiungere la superiorità numerica reclutò ogni maschio in età da combattimento del suo impero. Ma molti di questi soldati erano poco o per nulla preparati alla guerra, cosa che alla fine portò a un panico di massa. L’esercito del Re era formato da molte tribù diverse mischiate insieme – fanti e cavalieri della Mesopotamia, di Babilonia e delle coste del Golfo del Persico – e comprendeva almeno 250.000 uomini, di cui 30.000 soldati greci e 12.000 cavalieri battriani con armamento pesante. Diversamente dalla maggior parte dell’esercito, la cavalleria era costituita da molti combattenti con esperienza, la miglior cavalleria reclutabile dalle sue satrapie e dagli alleati delle tribù scite; il suo nucleo, la kara (chiamata generale alle armi) era permanentemente armato. Gli indiani misero a disposizione 15 elefanti da guerra per la battaglia; si prevedeva anche l’utilizzo di 200 carri falcati – veicoli molto temuti – che avrebbero dovuto rompere la falange macedone durante la battaglia. Inoltre c’erano la guardia reale e le unità di opliti greci.
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Prima dell'inizio della battaglia i Persiani erano già schierati sul campo di battaglia. Dario, per favorire la carica ed aumentare l'efficacia dei suoi carri da guerra, aveva fatto preparare il terreno davanti alle sue truppe facendo rimuovere arbusti e cespugli. A supporto dei carri falcati c'erano anche i 15 elefanti indiani, anche se sembra che questi non abbiano avuto un ruolo determinante nella battaglia.
Quindi i carri erano posizionati davanti allo schieramento con un piccolo gruppo di Battriani. La cavalleria era schierata sulle due ali: Besso comandava l'ala sinistra, in cui erano i cavalieri Battriani, Daha, Aracrosiani, Persiani, Susi, Cadusi e Sciti; Mazeo comandava l'ala destra, composta dai cavalieri Siri, Medi, Mesopotamici, Parti, Saci, Tapuri, Ircani, Albani, Sacesini, Cappadoci e Armeni. I Cappadoci e gli Armeni erano schierati davanti alle altre unità di cavalleria e condussero l'attacco. Ai cavalieri Albani e Sacesini fu dato ordine di allargarsi per colpire il fianco sinistro dei Macedoni. Dario si posizionò al centro del suo esercito, circondato dalle sue migliori truppe, com'era tradizione dei Re Persiani. Alla sua destra stavano i cavalieri Carii, i Mercenari Greci e le Guardie Persiane a Cavallo. Tra il centro e l'ala destra dello schieramento sistemò le Guardie Persiane a Piedi (i famosi Immortali), la Cavalleria Indiana e gli arcieri Mardiani.
I Macedoni furono divisi in due, con la parte destra dell'esercito sotto il comando diretto di Alessandro e la parte sinistra affidata a Parmenione. Alessandro combatté con i suoi cavalieri scelti, accompagnato dai Peoni e dalla cavalleria leggera Macedone. Parmenione con i Tessali, i mercenari Greci e le unità di cavalleria Tracia. Furono messi in quella posizione con l'ordine di compiere una manovra di contenimento, mentre Alessandro avrebbe assestato il colpo decisivo dalla destra. La cavalleria mercenaria fu divisa in due gruppi, con i veterani disposti sul fianco destro e gli altri davanti agli Agriani ed agli arcieri macedoni, i quali erano posizionati a fianco della falange.
Tra il centro e l'ala destra della formazione c'erano dei mercenari Cretesi. Dietro di loro c'era un gruppo di cavalieri Tessali, comandati da Filippo, e dei mercenari Achei. Alla loro destra c'era un'altra parte della cavalleria Greca alleata. Da lì si muoveva la falange, che era disposta su una linea doppia. Poiché il rapporto numerico fra le cavallerie era di 5 ad 1, e la linea formata dai Persiani superava di oltre un miglio quella della falange, sembrava inevitabile che i Macedoni sarebbero stati presi sui fianchi dai Persiani. La seconda linea aveva proprio l'ordine di combattere con qualsiasi unità nemica che si fosse affiancata a loro. Questa seconda linea era costituita prevalentemente da mercenari.
Il piano strategico di Alessandro era quello di attirare le cavallerie persiane sui fianchi, allo scopo di creare un vuoto tra le linee nemiche attraverso il quale potesse essere lanciato un attacco decisivo al centro contro Dario. Per realizzarlo erano richiesti un tempismo ed una capacità di manovra perfetti, ed avrebbe funzionato solo se il Gran Re avesse attaccato per primo. Quindi i Macedoni avanzarono lentamente verso destra con le ali scaglionate, disposte a formare angoli di 45° all'indietro, così da invitare la cavalleria Persiana ad attaccare.
Dario non aveva intenzione di attaccare per primo, avendo ancora in mente quello che era accaduto ad Isso contro una simile formazione, ma alla fine, poiché sarebbero presto usciti dal terreno preparato per lo scontro, fu costretto ad attaccare.
Dario lanciò quindi i suoi carri, alcuni dei quali furono intercettati dagli Agriani, e le cavallerie.
L'esercito Macedone era stato addestrato ad una nuova tattica per contrastare il devastante attacco dei carri falcati persiani, quando i carri fossero arrivati quasi al contatto, le prime linee avrebbero dovuto spostarsi lateralmente, aprendo così un vuoto. I cavalli si sarebbero rifiutati di schiantarsi contro le sarisse delle schiere più avanzate e sarebbero entrati negli spazi creati tra le linee per fermarsi poi di fronte alle sarisse delle seconde linee rimanendo così intrappolati. I soldati sui carri sarebbero allora stati uccisi con facilità. Così i Macedoni riuscirono a neutralizzare l'attacco dei carri persiani.
Mentre i Persiani portavano il loro attacco ai fianchi dei Macedoni, Alessandro lentamente scivolava nella sua retroguardia. La manovra dei Persiani aprì un vuoto tra l'ala sinistra di Besso e il centro, proprio quando Alessandro aveva gettato nella mischia le sue ultime riserve a cavallo. A questo punto Alessandro diede ordine alla sua cavalleria personale di disimpegnarsi per prepararsi all'attacco decisivo. Continuando a marciare, dispose le sue unità come a formare un'enorme freccia, la cui punta era egli stesso. Dietro di se aveva la sua cavalleria personale e, poi, tutti i battaglioni della falange che riuscì a sottrarre alla battaglia.
Nel frattempo, mentre i Macedoni cercavano di tamponare l'offensiva sul fianco sinistro, un vuoto si aprì anche nelle loro linee, tra l'ala sinistra ed il centro. Le unità di cavalleria Persiane ed Indiane posizionate al centro con Dario vi irruppero ma, invece di attaccare la falange di Parmenione da dietro, proseguirono verso l'accampamento per farne razzia.
La falange di riserva nelle retrovie si mise all'inseguimento delle cavallerie Persiane dirette verso l'accampamento. Alessandro attaccò al centro i Persiani, proprio dove erano più sguarniti, mettendo fuori gioco la guardia reale di Dario ed i mercenari Greci. Besso, sulla sinistra, si trovò separato da Dario e, temendo di essere attaccato anche lui da quella formazione, cominciò a ritirare le sue truppe. Anche Dario rischiava di restare isolato: a questo punto, le varie fonti differiscono su cosa accadde. Secondo l'opinione più diffusa, Dario andò in rotta e fuggì, ed il resto dell'esercito lo seguì.
Ma l'unica fonte contemporanea a noi nota, un diario astronomico babilonese scritto nei giorni della battaglia, dice:
Il ventiquattresimo [giorno del mese lunare], nel mattino, il re del mondo [cioè, Alessandro] [ha instaurato il suo] ordine [lacuna]. Opposti l'uno all'altro, combatterono ed una pesante sconfitta delle truppe [del re fu inflitta da lui]. Il re [cioè, Dario], le sue truppe lo hanno abbandonato ed alle loro città [sono tornate]. Sono fuggite nella terra del Guti. Diodoro concorda con questa versione, confermandone la validità. Sembrerebbe il resoconto più verosimile della battaglia.
A quel punto Alessandro non poté inseguire Dario poiché ricevette una richiesta d'aiuto da Parmenione (evento che sarebbe stato usato, in seguito, da Callistene ed altri per screditare Parmenione). Quindi anche Mazeo cominciò a ritirare le sue forze, come già faceva Besso. Però, a differenza di quest'ultimo, Mazeo e le sue truppe si disunirono e, mentre fuggivano, subirono la carica dei Tessali e di altre unità di cavalleria Macedoni.
Alla fine della battaglia, i Macedoni contarono tra le proprie fila più di 1.200 tra morti e feriti; le perdite tra i Persiani furono in numero circa pari a 53.000.
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Come ad Isso, considerevoli quantità di bottino furono acquisite a seguito della battaglia, si parla addirittura di: 4.000 talenti, del carro personale del Re e di gran parte degli elefanti da guerra. In tutto, si trattava di una disastrosa sconfitta per i Persiani, e forse una delle più belle vittorie di Alessandro. Dario era riuscito a fuggire dalla battaglia con un piccolo nucleo delle sue rimanenti forze ossia: parte della cavalleria Battriana di Besso, alcuni dei sopravvissuti della Guardia Reale e 2.000 mercenari greci. Ma a questo punto, l'impero persiano era ormai diviso in due metà - Est ed Ovest.
Durante la sua fuga, sembra che Dario ha tenne un discorso a ciò che rimaneva del suo esercito. Egli prevedeva di tener testa ai macedoni più a est, sollevando un altro esercito, mentre questi erano diretti verso Babilonia. Al tempo stesso inviò lettere ai suoi satrapi orientali chiedendo loro di rimanere fedeli. Le satrapie, tuttavia, avevano altre intenzioni. Lo stesso Besso, rimastogli accanto nella fuga successiva alla sconfitta, uccise Dario, prima di fuggire verso est.
Alessandro avrebbe perseguitato Besso, fino alla cattura e all'esecuzione dello stesso l'anno successivo, così, la maggior parte dei satrapi esistenti manifestarono la loro fedeltà ad Alessandro, venenedo autorizzati dallo stesso re macedone a mantenere le loro posizioni di governo.
Tuttavia, nonstante questa mossa mostrasse il tentativo di mantenerne la continuità istituzionale da parte di Alessandro, l'impero persiano viene tradizionalmente considerato caduto con la morte di Dario III.
Pubblicato il 05/06/2010