Ars Bellica

Battaglia di Cheronea

338 a.C.

Filippo II sconfigge ateniesi e tebani, consolidando il primato della Macedonia sulle poleis greche grazie anche all'apporto del figlio Alessandro che dimostra da subito il proprio valore sul campo.

CHERONEA

Gli avversari

Filippo II di Macedonia - Figlio di Aminta III (382 a.C. circa - 336 a.C.)

Filippo II di Macedonia

Negli anni della pubertà fu ostaggio in Tebe dove poté conoscere a fondo gli ordinamenti militari beotici, allora i migliori della Grecia. Nel 359, alla morte del fratello Perdicca III, Filippo si sbarazzava di altri pretendenti e riusciva a esser nominato tutore del nipote minorenne Aminta, ufficio che rivestì fino al 354 o 353, quando, conculcando il diritto del pupillo, si fece proclamare re. Lottò contro le tendenze disgregatrici interne riducendo all'obbedienza i principati semindipendenti di Elimiotide, Orestide e Lincestide (358); nello stesso tempo assicurava i confini della Macedonia con felici campagne contro Illiri, Tessali, Traci, Peoni. Si procacciò tuttavia l'inimicizia profonda di Atene occupando ora con la frode ora con la violenza piazzeforti marittime ateniesi nel mare Tracio (Anfipoli, Pidna, Potidea, Metone). Nel 354 intervenne nella cosiddetta terza guerra sacra contribuendo in modo decisivo alla lotta contro i Focesi e inserendosi nelle vicende della Grecia centrale: intervento che fu però violentemente osteggiato da Atene e Sparta. Negli anni successivi Filippo compì spedizioni contro gli Illiri, il re Cerseblepte e distrusse la città di Olinto (348), che aveva ricevuto un tardivo soccorso da Atene; segnò poi (346) con Atene la vantaggiosa pace di Filocrate, la quale gli diede mano libera contro l'ultimo generale focese, Faleco, che fu costretto alla resa. Filippo, che era stato riconosciuto arconte perpetuo dai Tessali e aveva ottenuto due voti nell'anfizionia delfica, era in tal modo saldamente accampato nel cuore della Grecia. La resistenza ateniese, per opera di Demostene e dei suoi amici democratici, si irrigidì: ciò valse a due città alleate di Atene, Perinto e Bisanzio, un assedio da parte dei Macedoni (341-40) e poi l'intervento armato di Filippo contro Atene che, al momento del pericolo, ebbe alleata Tebe. I collegati greci furono battuti a Cheronea (338) e subirono gravi condizioni: tra l'altro Atene dovette rinunciare al Chersoneso tracio mentre Tebe doveva accogliere un presidio macedone. Poi Filippo entrò nel Peloponneso, ricostituì la lega arcadica e quasi ovunque impose governi oligarchici a lui favorevoli; nel 336 infine convocò a Corinto i delegati degli stati greci, per la costituzione di una federazione panellenica che, sotto la sua egemonia, avrebbe dovuto combattere il nemico avito dei Greci, la Persia. Già 10.000 uomini erano passati in Asia quando Filippo fu ucciso in Ege, vittima di una congiura di palazzo, a soli 46 anni. Fu il più abile, energico e perspicace sovrano macedone, e forse superiore, sotto molti riguardi, al figlio Alessandro Magno; sotto di lui la Macedonia si era evoluta da modesta potenza periferica a grande potenza, ricca di mezzi, con una rinnovata organizzazione militare, con un'estensione territoriale superiore a quella che mai avesse avuto alcuno stato greco. Egli pensò che il togliere la libertà ai Greci potesse essere compensato dalle grandi possibilità economiche che la conquista dell'Asia avrebbe dischiuso alla nazione ellenica, ma l'amore di libertà era così forte nei Greci, che essi, pur seguendo lui e poi Alessandro solo perché domati con la forza, furono sempre pronti a prendere le armi per riscattare la propria autonomia.


Carète di Atene - Generale (IV secolo a.C.)

Durante la guerra sociale fu al comando, insieme a Timoteo e Ifìcrate della flotta inviata contro le città ribelli di Bisanzio, Chio e Rodi. Subì ad opera loro una grave sconfitta (356) e attribuì il fallimento della missione a due suoi colleghi, giudicati inetti, ed in seguito processati. Poco dopo ebbe qualche successo lottando, assieme al satrapo ribelle Artabazo, contro il re di Persia, cosa che provocò pesanti reazioni da parte degli orientali e per tale motivo, nel 335 a.C. fu richiamato in patria da Eubulo.

Partecipò alla battaglia di Cheronea (338) al comando dei suoi concittadini; nel 335, distrutta Tebe, si ritirò nei suoi possessi del Sigeo, sull'Ellesponto. Alcuni anni più tardi era al servizio della Persia contro Alessandro Magno; sicuramente già morto nel 324.

CHERONEA

L'ascesa di Filippo

In Epiro, Alceta re dei Molossi e il figlio Neottolemo erano alleati di Atene: Neottolemo governerà con il fratello minore Aribba, che gli succederà alla sua morte. Aribba intorno al 340 a.C. sarà ricevuto con tutti gli onori ad Atene, come attesta un'iscrizione che è giunta fino a noi. Da quanto leggiamo, Aribba è degno di questi onori «dal momento che la cittadinanza e i conseguenti privilegi che erano stati concessi a suo padre e a suo nonno vengono estesi anche a lui». L'iscrizione termina con queste presaghe parole: «i generali in carica dovranno fare in modo che Aribba e i suoi figli si riprendano il regno dei loro antenati». In effetti il regno di Macedonia controllava ora i Molossi e tutte le altre tribù dell'Epiro. La regione aveva acquisito una doppia natura sociale, tipico effetto dell'influenza ateniese; la sua corte, infatti, e le sue principali città erano greche e conducevano un alto livello di vita, mentre il resto della popolazione, ovvero tutto quell'insieme di tribù al di fuori dei grossi centri, rimaneva estraneo a ogni influenza ellenica. Nel 359 a.C. Filippo di Macedonia, reggente come tutore del nipote Aminta IV il cui regno era minacciato a nord dagli Illiri, prese il potere e organizzò il suo esercito.

Alessandro
Alessandro e un giovane tebano alla battaglia di Cheronea, dettaglio della stele di Pancare.

Filippo aveva 24 anni. Nel 358 poteva contare su un esercito di 10.000 soldati e 600 cavalieri, di ogni rispetto ben preparati e disciplinati. Apprendiamo che in una cruenta battaglia contro le tribù illiriche Filippo lasciò sul campo 7000 uomini. Assunto il controllo della Macedonia, Filippo si spostò verso oriente, e precisamente verso la Tracia, regione vitale per gli interessi di Atene. Si impossessò di Anfipoli e delle miniere d'oro nel 357 e fece costruire una fortezza per difendere le sue nuove acquisizioni. Seguirono altre conquiste in quella regione, che suscitarono nuove tensioni e ostilità, ma a questo punto la situazione era la seguente: i Peoni erano stati ridotti a vassalli, gli Illiri erano stati soggiogati e i Traci per denaro avevano abbandonato i territori che occupavano; nel 356 Filippo assunse il titolo di re, e in quello stesso anno nacque il figlio Alessandro dal matrimonio con Olimpiade, figlia di Neottolemo re dell'Epiro.

CHERONEA

L'intervento di Filippo in Grecia

Nel 355 circa una disputa sorta tra la Focide e le città-stato limitrofe sul controllo di Delfi portò la guerra nella Grecia centrale. Il conflitto, provocato da Tebe, presto coinvolse Sparta ed Atene, sue eterne rivali; interessò quindi la Tessaglia e infine provocò l'intervento di Filippo il Macedone.
Occasioni di questo genere erano piuttosto frequenti nella storia greca, ma questa sembrava mandata dal cielo. Filippo occupò Melone, ultima alleata di Atene, e si mosse verso sud. Dopo una prima sconfitta in Tessaglia contro i Focesi (che peraltro avrebbe a sua volta sconfitto nel 352), fu fermato alle Termopili da Ateniesi e Spartani e ripiegò in Tracia: solo il suo cattivo stato di salute salvò il Chersoneso tracico e l'Ellesponto. Il senso di paura e di orrore dell'oratoria ateniese di questo periodo è facilmente immaginabile, ma due cose sorprendono, una positivamente, l'altra negativamente. Le vendette personali degli uomini politici sono tutto fuorché incredibili in un periodo di crisi come questo, eppure la lucidità dei loro argomenti è impressionante. Essi attribuiscono agli avvenimenti il carattere dell'inevitabilità, e i loro discorsi sembrano i monologhi della tragedia ateniese. Nessuno come questi oratori riuscì ad esprimere in modo così drammatico la resa di tutta la Grecia nelle mani di Filippo. Il più grande di essi, Demostene, affermò addirittura: «Se Filippo morisse ne fareste subito nascere un altro!».

Leone di Cheronea
Il Leone di Cheronea

Ma Filippo non morì; nel 349 invase la penisola calcidica e l'anno seguente ne distrusse la principale città, Olinto. Nel 346, con un trattato concluso ad Atene (pace di Filocrate), gli Ateniesi rinunciarono per sempre a ogni pretesa su Anfipoli, pur conservando a est la maggior parte del Chersoneso. Nel frattempo Filippo era impegnato in Tracia, dove espugnava una dopo l'altra una serie di piazzeforti. Ristabilita la pace nella zona e tagliata fuori la Focide dalle sue fonti di rifornimento, Filippo marciò un'altra volta verso sud. Nei giochi che si tennero a Delfi nel 346, egli si impose come presidente; avendo infatti assunto il controllo della Tessaglia, aveva il diritto di partecipare come membro effettivo al principale consesso panellenico. Egli era ora governatore di tutta la Tessaglia. Cherso-blepte di Tracia era suo vassallo; la Messenia, Megalopoli, Elide e Argo (ovvero quei territori e quelle città che, trovandosi nel Peloponneso, temevano Sparta) erano anch'esse sue alleate. Nel 342 circa egli cacciò dall'Epiro Aribba re dei Molossi e vi impose il fratello di sua moglie, Alessandro.

Dall'Epiro, Filippo poteva controllare il golfo di Corinto e le strade commerciali occidentali. A poco a poco, insomma, estese verso sud il suo regno. La reazione di Atene venne troppo tardi. Tutta la Tracia, la Macedonia, l'Epiro e la Tessaglia facevano ormai parte dell'impero di Filippo. Egli aveva fondato la città di Filippopoli (ora Plovdiv) e deteneva il controllo della costa occidentale della Grecia fino al fiume Acheronte. Nel 340 gli Ateniesi, aiutati da Bisanzio e dalla vicina Perinto, riuscirono a rendere indipendente l'Eubea, cacciando l'oligarchia filomacedone che vi esercitava il potere. Filippo marciò subito su Perinto, quindi su Bisanzio, ma senza conseguire immediati successi. Passò l'inverno nella Tracia nordorientale, ingaggiando battaglie contro gli Sciti sull'estuario del Danubio, e l'anno seguente ritornò a occuparsi della Grecia. Ancora una volta l'occasione gli fu data da una disputa sorta all'interno del consiglio delfico. Nel 338 Filippo piombò nella Grecia centrale, occupò le Termopili, fortificò una città nella Focide e si impossessò di Amfissa e di Naupatto sul golfo di Corinto. Tebe e Atene, con qualche alleato meno potente, gli si opposero, e nell'agosto di quello stesso anno gli eserciti alleati decisero di affrontarlo presso Cheronea, nella Beozia settentrionale.

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La Sarissa

La Sarissa (o sarisa) era la lunga lancia (3-7 metri) utilizzata dalla falange macedone.
Dal grande peso, per una lancia, di oltre 5 kg, aveva una testa di ferro a forma di foglia e una "scarpa" di bronzo che le permetteva di essere sia ancorata al suolo che bilanciata, rendendone più facile l'utilizzo per i soldati. La sua lunghezza era una grande risorsa contro opliti e altri soldati, perché questi dovevano superare la Sarissa per scatenare tutte le loro potenzialità caratteristiche. Tuttavia al di fuori della stretta formazione della falange Macedone la Sarissa risultava quasi inutile come arma e si presentava come un ostacolo durante la marcia.
Per ovviare a questa problematica la Sarissa veniva costruita in due sezioni che si univano con un "collare" di metallo prima della battaglia. Questo permetteva di suddividere l'arma in più sezioni gestibili e soprattutto facilmente trasportabili e di aumentare, quindi, la mobilità dell'esercito.

In battaglia la formazione macedone creava un "muro di picche" di lunghezza tale da coprire interamente la prima fila con cinque serie di Sarisse in modo tale che, anche se il nemico passava la prima fila, ve ne erano ancora altre quattro pronte a fermarlo.
In aggiunta, le file arretrate della formazione falangitica macedone tenevano comunque le sarisse in resta, in una posizione a metà tra l'attesa e il combattimento, creando una sorta di piccola tettoia alle file più avanzate, utile per proteggerle dall'arrivo di eventuali dardi nemici.
Grazie all'uso della Sarissa, la falange macedone era considerata quasi invulnerabile frontalmente, se non contro un altra falange uguale; gli altri modi con cui si poteva superare erano fondamentalmente due: rompendone la formazione o tramite l'aggiramento.

L'introduzione della Sarissa viene comunemente accreditato a Filippo II di Macedonia. Filippo perfezionò l'utilizzo di questa arma per i suoi combattenti che, fino ad allora, per utilizzare queste formidabili picche dovevano agire con due mani. La nuova trovata tecnico/tattica risultò inarrestabile, ed entro la fine del regno di Filippo, la Macedonia controllava già l'intera Grecia, l'Epiro e la Tracia.
L'utilizzo di quest'arma fu prolungato nel tempo sia dal figlio dello stesso Filippo, Alessandro Magno, sia dai Diadochi, quasi sempre con risultati vincenti. Ma le vittorie prodotte dalla falange macedone armata di Sarissa avevano sviluppato un'evoluzione negli eserciti ellenistici in cui, si andava puntando quasi esclusivamente su quel settore dimenticandosi dei punti deboli esistenti. Nella sconfitta di Pidna, infatti, l'aggiramento delle falangi macedoni da parte delle legioni Romane, dimostrò come questa formazione divenisse decisiva solo se inserita in un determinato contesto tattico e se ben bilanciata con tutte le altre componenti dello schieramento.

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Le Filippiche

Demostene
Demostene

Le quattro orazioni politiche contro Filippo, attribuite a Demostene (384-322 a.C.) e più note come Filippiche, furono probabilmente scritte e pronunciate contro il monarca macedone che nel 357 con la conquista della ricca città di Anfipoli, cominciò il suo metodico piano di espansione e di assoggettamento della Grecia. L'autore di queste orazioni si appella alla cittadinanza ateniese a sostegno del partito antimacedone, indicando sin dalle prime battute la vera origine dei mali che affliggono la città: l'inerzia del suo popolo, assecondata dagli oratori stessi che più volte hanno parlato senza mai dare consigli concreti sul da farsi. È questa la ragione della debolezza per cui Filippo ha potuto conquistare tutte le piazzeforti ateniesi Pidna, Potidea e Melone e legare a sé molti degli antichi alleati. Tutti s'indignano, ma nessuno pensa di reagire sul serio. È la corruzione e l'avidità che hanno reso Atene come tutta la Grecia debole e serva.

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Le forze in campo

La battaglia di Cheronea non ci è nota che dalla descrizione di Diodoro e da poche notizie di Polieno, di Frontino e di Plutarco. Diodoro riferisce che i macedoni sommavano a 30.000 fanti e circa 2.000 cavalieri mentre i greci erano sicuramente numericamente inferiori, ma Giustino dice che il loro numero era sicuramente superiore. Pare dunque che i greci dopo la distruzione del corpo di 10.000 mercenari distaccati presso Anfissa disponevano di circa 34-36.000 fanti e di circa 2.000 cavalieri. Ciò vuol dire che che al principio della campagna le loro forze avrebbero sommato a quasi 50.000 uomini. Ma se tale era lo spessore delle forze dei Beoti, non si comprende come si possa essere sviluppata da parte greca una linea così marcatamente difensivista, quindi la tesi del contemporaneo (Eforo presso Diod. XII 82,3) diventa insostenibile. Possiamo quindi ipotizzare che, una volta distrutto da Filippo il corpo di mercenari che doveva chiudergli la via di Anfissa, le forze dei greci confederati fossero in numero minore a quelle del re.

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Gli schieramenti

Il generale ateniese Carete dispose il suo esercito lungo una pianura con il lato sinistro coperto dall’acropoli di Cheronea e il lato destro fermo in un terreno paludoso lungo le sponde di un fiume. La disposizione fatta da Carete era volta alla creazione di un solido muro di falange di Opliti che doveva evitare il vantaggio alla cavalleria Macedone. Gli alleati Tebani erano situati nel suo fianco destro, mentre il Battaglione Sacro Tebano di 300 fedelissimi era ancorato all’ala vicino al fiume. Le forze Ateniesi, Eubee e Corinzie tenevano il lato sinistro dello schieramento ma gli Olpiti Ateniesi non avevano molta esperienza. Le forze Megaresi, i mercenari e gli Opliti di Leucade e Corcira erano schierate al centro. L’alleanza Greca poteva disporre anche di un gran numero di truppe leggere.

schieramenti
La battaglia di Cheronea - Gli schieramenti.

Filippo arruolò una gran forza di fanteria per questa battaglia. La Falange teneva il centro mentre Filippo con la sua guardia formava il lato destro (il lato d’onore). Il fianco sinistro era costituito dalla cavalleria leggera (Tessala molto probabilmente). Alessandro, appena 18enne comandava le unità di Cavalleria, che erano posizionate dietro la linea di battaglia come riserve.

CHERONEA

La battaglia

I dettagli della battaglia sono piuttosto scarsi, con Diodoro Siculo che rappresenta una delle fonti più attendibili.
A proposito della battaglia di Cheronea afferma che: «Una volta iniziata, la battaglia fu aspramente combattuta per lungo tempo con molti caduti per ciascuna delle parti, sì che la lotta dava speranza di vittoria ad entrambi».
Questa breve introduzione può essere affiancata a quanto riportato da Polieno, che raccolse molte delle informazioni sulla guerra tra macedoni e greci, e su questa battaglia in particolare, nei suoi "Stratagemmi". Polieno, infatti, suggerisce che Filippo «(IV.II.2) Affrontando gli ateniesi a Cheronea, simulò una ritirata. Quando Stratocle, il comandante ateniese, ordinò ai suoi uomini di spingersi avanti, gridando "li inseguiremo fin nel cuore della Macedonia", Filippo osservò tranquillamente "gli ateniesi non sanno vincere" e ordinò alla sua falange di rimanere serrata e solida e di ritirarsi lentamente, riparandosi con gli scudi dagli attacchi del nemico. Quando egli con questa manovra ebbe attirato i nemici fuori dal loro terreno vantaggioso, e guadagnata una superiorità, egli si fermò e, incoraggiando le sue truppe ad un attacco vigoroso, fece così impressione al nemico da determinare una brillante vittoria in suo favore».

ritirata
La battaglia di Cheronea - Finta ritirata di Filippo.

In un altro 'stratagemma', Polieno suggerisce che Filippo abbia deliberatamente prolungato questa fase della battaglia, per sfruttare l'animosità ma soprattutto l'inesperienza delle truppe ateniesi (sapendo inoltre che i suoi veterani erano più abituati alla fatica), ritardando il suo attacco principale fino a quando gli Ateniesi erano esausti. Polieno ha quindi indotto alcuni storici moderni a proporre timidamente la seguente sintesi: all'inizio della battaglia, dunque, gli ateniesi forse furono attirati da una "falsa ritirata" che li indusse ad abbandonare la posizione, o, più probabilmente, effettuarono una carica in discesa per sfruttare l'impeto, e furono dapprima contenuti e quindi respinti. Gli Ipaspisti, che tenevano la destra macedone, da quanto possiamo leggere, non tennero a bada gli ateniesi con le picche di circa 4,5 metri di cui dovevano essere armati, ma con gli scudi. Gli ateniesi, infatti, erano forse equipaggiati come opliti ificratei, ovvero con lance più lunghe di quella oplitica - oltre 3,5 metri - e con una corazza più leggera. Per utilizzare propriamente lo scudo, però, è improbabile che gli ipaspisti avessero le picche, che devono essere utilizzate a due mani e quindi impediscono l'uso dello scudo, o, se le avevano, si limitarono ad impugnarle con una mano sola, senza imprimere ad esse la forza necessaria ad offendere.

contenimento
La battaglia di Cheronea - Contenimento degli ateniesi.

A questo punto continua Diodoro: «Allora Alessandro, in cuore deciso a mostrare al padre il proprio valore e secondo a nessuno in volontà di vittoria, abilmente secondato dai suoi compagni (gli hetairoi), per primo riuscì a rompere la solida fronte della linea nemica e, abbattendo molti nemici, penetrò profondamente nelle truppe di fronte a lui. Lo stesso successo arrise ai suoi compagni e si aprivano varchi nella fronte nemica».

Alessandro, quindi, dalla posizione occupata all'ala sinistra, muove impetuosamente all'attacco: difficile ipotizzare che si tratti di un'azione concordata con il padre, né che si getti a capofitto frontalmente su una falange oplitica ordinata. Possibile, invece, che la decisa avanzata ateniese abbia in qualche modo scompaginato la compattezza della falange alleata: gli ateniesi cominciarono la lotta, raggiunti probabilmente in modo più titubante dal contingente delle poleis e guardati a distanza dai tebani che, se si muovessero nella stessa direzione, si troverebbero con il fianco destro scoperto e, quindi, rimangono fermi o, al massimo, possono cercare di mantenere la coesione con il centro mediante una rotazione verso sinistra. La crisi dello schieramento oplita si generò quindi centralmente: ed è probabilmente qui che Alessandro indirizzò il suo attacco con la propria cavalleria. La battaglia iniziata ha visto finora solo uno scontro su un'ala, ma la mobilità della cavalleria macedone permise ad Alessandro di approfittare dell'occasione.

attacco
La battaglia di Cheronea - Attacco di Alessandro.

A questo punto però, si apre il dibattitto sulla natura delle formazioni realmente guidata da Alessandro.
Molti storici, tra cui Hammond e Cawkwell, vedono tramite questa versione Alessandro come responsabile della cavalleria guidata durante la battaglia, forse a causa dell'uso da parte di Diodoro della parola "compagni". Tuttavia, non vi è alcuna menzione specifica di cavalleria in alcuna fonte della battaglia, né ci sembra essere stato lo spazio ad essa necessario per muovere un battaglione di cavalli contro il fianco dell'esercito greco.
Plutarco afferma (come Diodoro) che Alessandro è stato il "primo a rompere le file del Battaglione Sacro dei Tebani", l'élite della fanteria beotica, che era stanziato all'estrema destra del fronte greco. D'altra parte, egli dice anche che il Battaglione Sacro aveva "incontrato le lance della falange macedone faccia a faccia". Considerando questo, unitamente all'improbabilità di una carica della cavalleria contro i Tebani armati di lance e in posizione (anche perché i cavalli sono generalmente timidi contro le barriere), ha portato Gaebel e gli altri a suggerire che Alessandro deve essere stato comandante di una parte della falange macedone a Cheronea.

Prosegue Diodoro: «I cadaveri si accumulavano, finché Alessandro si aprì una via attraverso la linea e mise i suoi avversari in fuga. Allora anche il re in persona avanzò, ben in prima linea, e non concesse il merito della vittoria neppure ad Alessandro. Prima fece indietreggiare le truppe davanti a lui e quindi, costringendole alla fuga, divenne l'uomo responsabile della vittoria».
Il racconto di Diodoro, quindi, coincide, per molti versi, con quello di Polieno: l'azione dei macedoni fu graduale (anche per un probabile schieramento scaglionato) ma inesorabile e dopo una fase di stallo iniziale - voluta o non - rovesciarono gli ateniesi. Anche secondo Plutarco, poi, Alessandro fu il primo a gettarsi contro il Battaglione Sacro (vita di Alessandro), i membri del quale, sempre secondo Plutarco, dopo la battaglia giacevano morti tutti colpiti dalle picche dei macedoni sul petto (vita di Pelopida): sembra da escludere, quindi, che il primo attacco di Alessandro fosse diretto contro il Battaglione Sacro; è più logico immaginare che fosse stato accerchiato, preso tra un attacco frontale di picchieri macedoni e uno alle spalle o più probabilmente al fianco da parte degli hetairoi.

battaglione sacro
La battaglia di Cheronea - Cadono i 300 del Battglione Sacro.

Diodoro conclude che più di 1.000 Ateniesi morirono nella battaglia, con altri 2.000 prigionieri, e che i Tebani subirono le stesse perdite. Plutarco suggerisce inoltre che tutti i 300 del Battaglione Sacro furono uccisi in battaglia, fattore significativo in quanto, fino ad allora, erano visti da tutto il mondo ellenistico come invincibili. Nel periodo romano fu edificato, il 'Leone di Cheronea', un monumento enigmatico presente sul luogo della battaglia, che si riteneva atto a segnare il luogo di riposo del Battaglione Sacro. Scavi recenti hanno fatto venire alla luce i resti di 254 soldati sotto il monumento, per cui è stato generalmente accettato che quel luogo fosse realmente la tomba della fanteria d'elite beotica, dal momento che pare piuttosto improbabile che letteralmente ogni membro del Battaglione fosse stato ucciso in quello scontro.

CHERONEA

Le conseguenze

A partire da questo momento Filippo potè dettare le sue condizioni ai Greci. Nel 337 riunì tutti gli Stati greci in una lega da lui presieduta. Ma le sue mire concrete erano rivolte alla Persia. Sempre nel 337 Filippo ripudiò Olimpiade per sposare una nobildonna macedone, Cleopatra, nipote del generale Attalo. Per calmare il risentimento dei Molossi, Filippo combinò un matrimonio tra la figlia Cleopatra, sorella di Alessandro Magno, e suo zio, fratello di Olimpiade, il re vassallo Alessandro il Molosso.
La mattina di quel matrimonio, mentre entrava nel teatro di Pella, la capitale macedone, Filippo cadde sotto i colpi di un coltello celtico.


Pubblicato il 23/04/2010



Bibliografia:
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999