Ars Bellica

Assedio di Alesia

Settembre 52 a.C.

Nell'assedio di Alesia la sconfitta di Vercingetorige determina la fine della civiltà celta transalpina e pone le basi per la cultura neo-latina francese e provenzale.

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I due comandanti

Caio Giulio Cesare (101 a.C. - 44 a.C.)

Statua di Giulio Cesare

Rampollo della famosa e nobile famiglia romana che faceva parte della gens Julia, a cui si ricollega addirittura la discendenza da Enea, Cesare non poteva contare però su di un patrimonio che altri provenienti da altre famiglie avevano a disposizione, quindi col tempo dovette sviluppare delle "doti" politico-diplomatiche (nonché propagandistiche) che gli consentirono la scalata al cursus honorum seppure con ritardo rispetto ad altri.
All'inizio della sua carriera politica si schierò dalla parte dei popolari ingraziandosi così la plebe in funzione anti-senatoria, in seguito, vista la situazione di diffidenza tra il Senato stesso e Pompeo, si unì a quest'ultimo e a Crasso per costituire il primo triumvirato che gli portò la carica di console e, in seguito, il proconsolato quinquennale della Gallia.
I suoi successi in quelle terre, la seguente sottomissione di quei popoli e la loro fedeltà assoluta gli permisero, quando il Senato gli rifiutò la candidatura al consolato, di far scoppiare una guerra civile in cui i protagonisti erano lui e Pompeo stesso. Cesare marciò su Roma senza incontrare grandi resistenze, inseguì Pompeo fino in Grecia e lo sconfisse a Farsalo nel 46 a.C., a questo punto, padrone assoluto di Roma, fu nominato dittatore per 10 anni.
La sua visione politica quindi incominciò a venire fuori. Il suo progetto statale era una attenta ricerca della pacificazione civile, votato a mantenere un rapporto di collaborazione tra Roma stessa e le provincie e orientato per ottenere il consenso popolare. Persino il suo poco obiettivo racconto della guerra Gallica (il De Bello Gallico, in cui è descritto l'assedio di Alesia tra i paragrafi 69 e 90 del Libro settimo) è una mossa di tipo esclusivamente politico.
Come risaputo Cesare non ebbe per tutta la vita l'approvazione di tutti, infatti sia il senato che i repubblicani gli erano ancora ostili. E fu proprio un gruppo di giovani repubblicani, tra cui il figlioccio Bruto (da cui la famosa frase Quoque te Bruto filii mihi!), ad assassinarlo il 15 Marzo del 44 a.C., senza però avere un programma politico alternativo a quello dell'ex dittatore. Se quindi dopo la morte di Cesare la situazione della repubblica poteva apparire risorgere fu invece l'esatto contrario.


Vercingetorige (? - 46 a.C.)

Le notizie che ci giungono da questo condottiero Gallico sono esclusivamente legate al racconto di Cesare (il De Bello Gallico). Di sicuro si sa che era originario della tribù degli Arverni nella parte a sud della Francia attuale. Il suo prestigio era fondato sul grande coraggio (dote richiesta a tutti i capi gallici), sul fatto di provenire da una delle popolazioni dalle antiche tradizioni celtiche e di essere custode di un famoso sito druidico (i druidi erano i sacerdoti dei celti) meta di pellegrinaggio da parte delle tante tribù galliche. La sua origine quindi e l'autenticità del suo odio nei confronti dei romani fecero sì che Vercingetorige riuscisse lì dove nessuno mai prima di lui era riuscito, unire sotto un solo comandante tutte le popolazioni della Gallia. Cesare, che vedeva la faccenda dal suo punto di vista, afferma che questa impresa era riuscita a Vercingetorige grazie ad una serie di minacce e lusinghe, nonché di un dispotico autoritarismo.
Vercingetorige riuscì perfino ad infliggere una sconfitta a Cesare, a Gergovia, ma spinto dalle esigenze politiche interne ai suoi popoli affrontò Cesare in campo aperto e fu pesantemente sconfitto e costretto alla ritirata nella città di Alesia dove, nuovamente sconfitto, si offrì come prigioniero.
Così ci racconta Plutarco: indossò l'armatura più bella, bardò il cavallo, uscì in sella dalla porta e fece un giro attorno a Cesare che lo aspettava seduto. Qui giunto scese da cavallo e spogliatosi delle armi restò in silenzio ai suoi piedi. Cesare lo portò a Roma come ornamento della sua vittoria, quindi lo fece uccidere (46 a.C.).

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L'ascesa al potere di Cesare

mappa

La prima apparizione sulla scena del mondo politico di Cesare la si deve alla fondazione del primo triumvirato insieme a Crasso e Pompeo nel 60 a.C.
In seguito egli rivestì il consolato nel 59 a.C. e, soprattutto, ottenne dal senato il governo per ben cinque anni di Gallia Cisalpina e Gallia Narbonese (58 - 54 a.C.), dove, appena arrivato, cominciò ad agire secondo una vecchia tattica romana, quella di proteggere la popolazione locale dai suoi popoli nemici, facendoli diventare alleati e ponendo le basi per un protettorato di diritto sull'intera regione Gallica (che era solo il preludio all'occupazione fisica dei territori).
Nel 54 a.C. scadeva il mandato di Cesare in Gallia, ma grazie all'astuzia che lo caratterizzava riuscì a farsi rinnovare dal senato il suo mandato per altri cinque anni. Questo mandò su tutte le furie Vercingetorige il re degli Arverni: egli stesso infatti comandò la sollevazione generale che avrà come conclusione la battaglia di Alesia.

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L'impostazione strategica

La guerriglia di Vercingetorige

Da prima dello scontro di Alesia Vercingetorige doveva fronteggiare due problemi di non poco conto. Questi erano: la diffidenza del suo stesso popolo e la superiorità militare romana; la sua speranza di stringere a sé tutte le tribù gallichge non poteva essere attuabile se non presentava almeno qualche vittoria contro i romani sul tavolo degli accordi, ma, d'altra parte, se non poteva contare su alleati fidati e su un contingente assai numeroso, era difficile immaginare di poter avere la meglio sulle legioni romane.
Così, per la prima volta nella storia, la tattica della guerriglia fu attuata in grande stile. Lo scopo di Vercingetorige era infatti quello di fare terra bruciata attorno al grosso dell'esercito romano, attaccando gli avamposti più isolati o le colonne logistiche in più parti del paese lontane le une dalle altre, dividendo così le forze romane e riducendone la potenza offensiva. Nel frattempo poteva dedicarsi a sollevare nuovi focolai di ribellione anti-romana e a stringere nuove alleanze tra le tribù galliche, consolidando il suo potere.
Finalmente, al congresso di Bibracte, Vercingetorige fu eletto dagli ambasciatori dei popoli della Gallia come il comandante supremo ma, non essendo ancora pronto ad affrontare in campo aperto i romani, inviò tre corpi da 10.000 uomini ciascuno contro la stessa provincia romana, sperando di portare il conflitto ai confini dell'Italia oppure di far addirittura indietreggiare Cesare verso sud (cosa che gli avrebbe dato tempo per far arrivare le truppe alleate dalle regioni più lontane del paese).

La scelta del campo aperto per Cesare

Fino alla battaglia di Gergovia Cesare pensava che i focolai di rivolta facevano parte della semplice rivolta stagionale dei Galli, da risolversi in poco tempo e con poco sforzo, a tal proposito infatti inviò Labieno con quattro legioni a nord contro i Parisii, mentre egli stesso si dirigeva verso sud con ben sei legioni. Ma dopo lo sfortunato combattimento di Gergovia e la rivolta degli Edui, Cesare stesso si rese conto che la situazione questa volta era cambiata.
Davanti a lui si presentavano tre possibiltà: la prima era ritirarsi a sud verso la regione romana abbandonando Labieno (essendo un pupillo di Pompeo il suo abbandono avrebbe potuto creare ripercussioni sull'immagine di Cesare a Roma); la seconda era trattare con i Galli usando l'arma della corruzione (ma questo avrebbe fatto guadagnare solo tempo a Vercingetorige); l'ultima possibilità era quella di riunirsi con il suo luogotenente e ritirarsi subito verso la provincia nella speranza che il comandante Gallico, spinto dall'entusiasmo, seguisse le legioni romane in modo da scoprire in campo aperto (e in una sola battaglia) tutte le forze che con grande fatica si era costruito nel tempo. Vercingetorige cadde nella trappola preparata da Cesare e, spinto dall'euforia dei suoi guerrieri, lanciò un attacco contro le legioni romane riportando una pesantissima sconfitta.
Si ritirò allora nella fortificata Alesia dove Cesare era determinato a chiudere i conti con i Galli una volta per tutte.

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Gergovia

Quando nel 53 a.C. Vercingetorige, nel pieno della guerra Gallica, stava riunendo le tribù ribelli, Cesare si trovava ancora a Roma. Appena informato dell'inizio della rivolta Cesare si diresse verso la Gallia con le sue legioni. Arrivò a Gergovia, la capitale degli averni, dove,Vercingetorige, con una furiosa carica a sorpresa, costrinse il grande Cesare a ritirarsi.
Era la prima sconfitta di Cesare in cinque anni di guerra: lasciò sul campo 46 centurioni e 800 legionari.

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L'arte bellica ai tempi di Cesare

Negli anni in cui si svolgevano le guerre galliche l'ingegneria bellica stava facendo grandi passi modificando anche l'andamento e la tattica delle battaglie. Si erano ormai definitivamente perfezionate le macchine da guerra (che i romani chiamavano tormenta) già scoperte dai popoli ellenici, ma grandemente perfezionate e rese assai più potenti dai romani. Queste macchine potevano essere usate come una vera e propria artiglieria, non solo per protezione o fuoco di copertura per i fanti, ma anche sugli scenari navali grazie alla progettazione di macchinari più leggeri (i cosiddetti scorpioni). Le macchine da guerra che dovevano essere usate dall'esercito erano costruite e manovrate sempre dai famosi cohortes fabrum in forza agli eserciti legionari e si dividevano in: balliste, catapulte ed onagri che lanciavano rispettivamente, pali acuminati, sassi o sfere di piombo ad una distanza di addirittura 350 metri.
L'avvento delle macchine da guerra non fu il solo simbolo del cambiamento portato dai romani nel modo di combattere di tutto il mondo occidentale. Infatti alla granitica falange greca (vedi Platea), ottima negli spazi larghi ma assai limitata negli spazi un pò più chiusi o collinosi, i romani opposero la più manovrabile e dinamica (vista la sua divisibilità) legione sia al suo primo apparire (con organizzazione in manipoli) sia al tempo di Cesare (organizzazione in coorti).
Con il passare degli anni l'esercito romano si era assai modificato. Nel II secolo a.C. infatti non era più formato da cittadini che andavano a combattere per la patria quando ve n'era bisogno ma da professionisti che sottostavano ad un arruolamento di sedici anni. Questo cambiamento fu parte della rovina della repubblica poiché le truppe tendevano a seguire il loro dux, che era in parole povere il datore di lavoro, anziché obbedire ai voleri del Senato, portando alle guerre civili come quella tra Cesare e Pompeo. D'altra parte però un esercito di professionisti permetteva di perfezionare e specializzare al massimo la figura del legionario che fino ad allora era stato soltanto un combattente "part-time".

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La legione romana

La legione era l'unità base della fanteria romana ed era divisa in dieci coorti, ognuna delle quali era formata da un numero variabile (a seconda delle epoche) di uomini, da un minimo di 3.000 ad un massimo di 10.000, e a sua volta poteva dividersi in altre sottounità di diversa consistenza numerica. Queste piccole unità potevano agire sia autonomamente e singolarmente sia schierarsi in una formazione compatta: la centuria.
La centuria era formata da 60 fanti e 20 veliti, il manipolo, quindi, era formato da due centurie e la coorte era formata a sua volta da tre manipoli, dimostrando quindi di essere reparti abbastanza mobili e ponendo le basi per la suddivisione degli eserciti in battaglioni, compagnie e plotoni.

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L'assedio e le opere di fortificazione

La situazione in cui si trovava Cesare ad Alesia era senz'altro una delle più pericolose che un assediante possa dover affrontare, cioè essere circondati da un esercito nemico durante l'assedio stesso. D'altra parte, se la città di Alesia era ben situata su una collina di 150 metri d'altezza e bagnata alle pendici da due fiumi, non era abbastanza grande da ospitare tutto l'esercito di Vercingetorige che fu costretto a costruire un fosso ed un terrapieno attorno alla stessa Alesia dove trincerarsi. Cesare era ben consapevole che non era in grado di prendere Alesia con un solo attacco, e decise quindi che doveva stringerla d'assedio con un'opera dalle dimensioni colossali che gli permise di fronteggiare gli attacchi simultanei di due eserciti nettamente superiori nel numero.
La prima cosa ordinata da Cesare fu di scavare un grandissimo fossato tra la collina di Alesia e la piana sottostante, dove gli eventuali attacchi di disturbo dei Galli alla costruzione della fortificazione sarebbero stati ritardati. A cento metri di distanza fece preparare altri due larghi fossati da 4 metri di profondità e larghezza (il precedente era da 6 x 6), il più interno fu riempito dall'acqua di uno dei fiumi il cui corso era stato deviato, ancora dietro a questo fossato furono innalzate delle palizzate da tre metri d'altezza con parapetti, e, sul resto del terrapieno sul quale poggiavano le palizzate, c'erano dei tronchi con dei rami dalla punta aguzza rivolti verso il nemico. Ma non si fermò qui, ad ogni 25 metri di palizzate Cesare fece erigere delle torri con in cima delle macchine da guerra, probabilmente delle catapulte leggere, poi tra il primo dei fossati (quello più esterno) e gli altri, fece costruire una serie di trappole anti-uomo: la prima era costituita da quindici file di fosse con all'interno, conficcati nel terreno, tronchi con i rami intrecciati e pungenti (una sorta di filo spinato) detti "cippi", davanti a questi otto file di pali aguzzi camuffati e mascherati con dei cespugli, erano chiamati "gigli", infine una fascia di pioli muniti di uncini di ferro chiamati "stimoli".
La costruzione del vallo ad Alesia costò ai romani ben un mese di lavoro, nel quale Vercingetorige approfittò per inviare messaggeri in tutta la Gallia e riunire una armata dalle proporzioni numeriche enormi. Per difendersi dall'attacco di questa imponente armata, Cesare fece costruire lo stesso tipo di fortificazioni rivolte ora anche verso "l'esterno" racchiudendo i suoi 7 accampamenti (3 di fanteria e 4 di cavalleria) con provviste per oltre un mese e acqua in abbondanza proveniente dal fiume deviato. Alla fine dei lavori il vallo aveva un perimetro di 15 km, mentre la circonvallazione esterna si estendeva per ben 21 km.

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Le forze in campo

I romani

Ad Alesia Cesare accusava una abissale inferiorità numerica, infatti, nonostante si fosse riunito a Labieno, non poteva contare su più di dieci legioni, oltretutto assai provate dalle battaglie di Gergovia e Lutetia, che in numero non dovevano superare le 45.000 unità, con altri 5.000 ausiliari armati alla meglio e alcune centinaia di mercenari germani appiedati. Il punto di forza dell'esercito romano era quindi la fanteria legionaria anche se la cavalleria doveva avere la sua importanza. Infatti per quantità e qualità di cavalieri i galli erano assai superiori ai romani, ma questi ultimi avevano tra le loro file i germani, abilissimi cavalieri di cui i galli avevano un timore sacro. Cesare, essendo a conoscenza di questo e volendo così limitare i danni che la cavalleria nemica poteva provocare, appiedò perfino i suoi tribuni per dare un cavallo ai germani. In conclusione Cesare poteva contare, prima dello scontro di Alesia, su 48.000 combattenti a piedi e 4.000 cavalieri quasi tutti di nazionalità germanica. Da ricordare che gli eserciti romani avevano un solo comandante (dux), vi erano poi diversi ufficiali, i tribuni militari, in genere sei per legione, e i centurioni che costituivano la vera spina dorsale della legione ed erano generalmente due per manipolo. I legatus erano delle figure che non assumevano con precisione un grado militare ma guidavano un corpo distaccato finché non sopraggiungeva l'armata principale al comandante della quale doveva fare posto. Cesare menziona, nel suo racconto sull'assedio di Alesia, i tribuni Marco Antonio e Caio Trebonio, responsabili dei settori più esposti all'attacco nemico, oltre a Caio Antistio Regino e Caio Caninio Rebilo difensori del Monte Rea.

I galli

Sul numero dei galli ad Alesia abbiamo cifre un pò meno certe e precise. Prima dell'inseguimento di Vercingetorige a Cesare, i galli potevano contare su 15.000 cavalieri, 50.000 fanti, di cui 6.000 verranno uccisi nello scontro, altri cavalieri ancora prima di ritirarsi in Alesia o per andare a chiamare i rinforzi. Prima dell'assedio erano presenti ad Alesia circa 45.000 fanti e soltanto poche centinaia di cavalieri. Ciò che invece spaventa davvero è la dimensione dell'esercito di soccorso: secondo le stime del De bello gallico erano presenti ben 240.000 uomini di cui circa 8.000 a cavallo, cifra che è tanto enorme quanto credibile, contando che i galli nella scelta di questo esercito non avevano fatto una raccolta di massa ma si erano limitati a prendere un contingente da ogni popolo della Gallia. Quasi sicuramente però dei 240.000 solo 60.000 erano equipaggiati bene o avevano l'età giusta. A differenza dei romani i Galli avevano diversi comandanti. C'erano infatti ben quattro "principi": Commio degli Atrebati, Viridomaro ed Eporedorige degli Edui, Vercasivellauno degli Arverni (cugino di Vercingetorige). Tra tutti i presenti in campo ad Alesia si distinsero oltre allo stesso Vercingetorige un certo Critognato che si spinse, come altri suoi barbari compagni, fino a proporre il cannibalismo per continuare la difesa della città.

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La battaglia di Alesia

1. Le prime mosse e l'attacco delle cavallerie di soccorso

La cavalleria gallica di stanza all'interno di Alesia tenta un attacco fulmineo ma viene respinta e decimata dai romani che li costringono al rientro in città. Nel frattempo i cittadini mandubii presenti all'interno di Alesia stessa vengono cacciati da Vercingetorige e lasciati al loro destino. Respinti anche da Cesare moriranno di inedia nella terra a metà strada tra romani e galli. Cesare nel frattempo aveva rubato i cavalli ai cavalieri gallici morti durante l'attacco per darli ai germani.

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Il giorno successivo Vercingetorige ordinò un attacco sia dalle truppe di Alesia sia dalle cavallerie dell'esercito di soccorso, obiettivo i tre campi romani sulla piana. A sorpresa escono anche i cavalieri romani che però in un primo momento sono costretti ad indietreggiare; ma l'intervento della cavalleria germanica, che sfonda a sinistra, ribalta completamente le sorti di questo scontro mandando in rotta i galli a cavallo e, sull'altro fronte, i fanti di Vercingetorige saranno costretti a ritirarsi nella città ancora una volta.

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2. L'attacco notturno di Vercingetorige

Durante la notte che segue il primo scontro tra le due parti le fanterie galliche, sia dell'esterno di Alesia che di Alesia stessa, si rilanciano all'assalto del campo romano. Le perdite sono grandi da ambo le parti ma ancora una volta i galli si ritirano mentre i romani seppur esausti resistono.

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3. L'assalto finale

Dopo quasi cinquanta giorni di assedio i comandanti galli decisero di attaccare il campo romano di monte Rea; il più lontano da Alesia ma anche il più scomodo da difendere vista la conformazione del territorio e considerando la scarsa visibilità. Il fattore sorpresa doveva giocare un ruolo assai importante e quindi vennero scelti per questa operazione 60.000 tra i più valorosi combattenti gallici sotto il comando di Vercasivellauno. Dopo 7 ore di marcia e 5 di riposo, sono finalmente pronti per l'attacco; nel frattempo, nella piana sottostante, tutti i cavalieri escono dalle tende e tutti i fanti dai bivacchi andando a schierarsi davanti al perimetro ovest delle fortificazioni. Contemporaneamente anche gli esausti galli rimasti ad Alesia escono al comando di Vercingetorige per lanciare l'assalto finale.

alesia4 I galli si lanciano in una carica devastante, ma non solo, avendo ormai capito la conformazione delle trappole romane, stavolta si portano stuoie e fascine per coprirle o comunque renderle innocue, superano anche i terrapieni arrivando all'impatto con i legionari in un cruento corpo a corpo. I tribuni chiedono rinforzi da ogni parte dell'accampamento che è attaccato sia dall'interno che dall'esterno, mentre giunge notizia a Cesare che i galli hanno sfondato nel campo di Monte Rea. Lì viene inviato Labieno con 6 coorti e, con l'ordine di resistere e se possibile di fare una sortita; ma il numero e la violenza delle cariche dei nemici inducono Cesare a togliere truppe dal monte Flavigny, che secondo i romani era imprendibile, per rinforzare altri settori che avevano più pressione. Vercingetorige cogliendo in pieno questa mossa del suo rivale armò di scalette i suoi guerrieri e prese d'assalto il monte stesso. Cesare fu costretto a inviare nuovamente delle truppe sul Flavigny per arginare questo nuovo attacco nemico, ma non bastarono né Caio Fabio, né Decimo Bruto, dovette intervenire lui stesso per ristabilire la situazione. Alle tre del pomeriggio vi è una situazione di equilibrio sulla piana e sul Flavigny ma resta il grande pericolo sul Monte Rea.


4. La mossa vincente di Cesare

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Cesare allora si dirige verso il monte raccogliendo 4 coorti e quanti più cavalieri possibile; a questi ultimi chiede di fare una manovra assai rischiosa: di percorrere tutto il perimetro delle fortificazioni fino all'estremo nord e, da lì, attaccare alle spalle i 60.000 galli di Vercasivellauno. Così facendo però rischiava perché si privava delle ultime riserve mobili (i cavalieri) per una manovra che sarebbe durata non meno di due ore, considerando anche un andatura dei cavalieri da trotto sostenuto. Labieno nel frattempo aveva richiamato a sé per resistere 33 coorti (quasi tre legioni su dieci disponibili dall'inizio) e l'aiuto di Cesare stesso. Quando arrivò, il comandante romano si rese conto della situazione: le linee romane e galliche erano così mischiate che non si poteva tirare un giavellotto senza rischiare di colpire un proprio compagno, le legioni erano in grande affanno, ma finalmente come aveva previsto Cesare la cavalleria romana arrivò in tempo per fare strage dei galli e ristabilire l'ordine sul Monte Rea.




"Nostri, omissis pilis, gladiis rem gerunt. Repente post tergum equitatus cernitur. Cohortes aliae adpropinquabant: hostes terga vertunt. Fugientibus equites occurrunt. Fit magna caedes"
("I nostri rinunciano ai giavellotti e impugnano i gladii. All'improvviso appare alle spalle (del nemico) la nostra cavalleria. Le altre coorti incalzano: i nemici porgono le spalle. I cavalieri inseguono i fuggitivi. C'è una grande strage").

CESARE, De Bello Gallico LXXXVIII, 5-7

In realtà non si distrusse una grandissima parte dell'esercito nemico ma la fuga di quei 60.000 fece scoppiare la paura nei galli rimanenti che fuggirono in preda al panico. Dopo quasi 50 giorni di attacchi non erano mai riusciti a sfondare e si erano giocati la loro ultima carta. La rivolta è finalmente finita e ancora una volta Roma ha vinto!


5. Un piccolo bilancio

Cesare era riuscito a sconfiggere i galli in soli 7 mesi, mentre il suo grande avversario Vercingetorige, secondo alcune fonti, fu portato a Roma come trofeo di guerra e fatto sfilare durante il trionfo che lo stesso duce romano celebrò sulla Gallia. Da quello che si racconta alla fine della cerimonia fu fatto strangolare ai piedi del Campidoglio.

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Le conseguenze storiche

Con la caduta di Alesia Cesare ebbe finalmente la meglio su Vercingetorige, così si chiude quasi del tutto la sconfitta del popolo celtico, che diventerà definitiva quando, dopo un anno, Cesare farà di tutta l'intera Gallia una provincia romana.
Questa vittoria può avere diversi risvolti, infatti i romani, grazie a questa vittoria e alla conquista della Britannia (l'attuale Inghilterra), sposteranno parte del "centro di gravità" dell'impero dal solo Mediterraneo all'Atlantico e al Mare del Nord. Ma non solo, la fusione delle popolazioni celtiche con quelle latine (con l'aggiunta dei popoli germanici invasori del V secolo a.C.) e la fusione delle loro usanze e culture, saranno la base per le culture neolatine di Provenza, per la fondazione della lingua d'oil e d'oc, per la poesia cortese e soprattutto i poemi cavallereschi del ciclo carolingio.
Accanto ad un nuovo ciclo che si andava ad aprire ce n'era uno che si andava spegnendo, quello dei Celti, antica e fiorente civiltà che sopravvisse ancora a lungo soltanto nella lontana e meravigliosa isola d'Irlanda.

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Parcere subiectis, debellare superbos

Questa sentenza non è una semplice definizione latina ma una registrazione della politica adottata in generale da Roma. I romani, in effetti, con i popoli conquistati erano molto generosi, come con quei popoli che avevano riconosciuto l'autorità di Roma; al contrario erano assai spietati e duri con coloro che, anche da conquistati, cercavano l'indipendenza. Cesare sperimenterà appieno questo tipo di politica romana proprio nel confronto di Alesia quando gli inermi cittadini di Alesia chiederanno di passare attraverso il campo fortificato romano e il comandante delle legioni gli negherà questo permesso. Questa mossa se da un lato può apparire crudele è la dimostrazione di come Cesare non concepisse alcun tipo di diritto per i barbari nemici di Roma.
D'altra parte bisogna immaginare che un atteggiamento che possiamo definire "buonista" da parte dei romani non avrebbe di certo intimorito gli avversari, anzi, furono gli stessi Galli ribelli che per primi decisero di non poter aiutare la popolazione di Alesia e la lasciarono morire di fame. Cesare quindi, ad Alesia, applicherà la formula parcere subiectis, debellare superbos alla lettera in una situazione assai difficile ma nella quale dimostrerà tutto il suo ferreo carattere.

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Il vallo di Alesia

Il doppio vallo che fu eretto dai romani ad Alesia non ha nessun precedente storico, neanche per i romani stessi. Si trattava di un originalissimo sistema difensivo escogitato in breve tempo e per la prima volta da quando Roma aveva cominciato la sua espansione e di cui rimangono ancora oggi le tracce.
Si stava ricordando il fatto che per i romani un tipo di fortificazione del genere è una "prima" assoluta. Difatti l'esercito romano non disponeva di un vero e proprio genio militare, portava al seguito delle legioni le cohortes fabrum, capaci nel lavorare il metallo ma soprattutto nell'erigere costruzioni come accampamenti, strade, fortificazioni e qualsiasi altra opera necessaria in una campagna militare.
Cesare stesso per intimidire i Germani "usò" la costruzione di un ponte sul Reno realizzata in pochissimi giorni (nel 55 a.C.) che fu un esempio straordinario, se si considera l'epoca, di ingegneria militare e dell'efficacia dei costruttori che aveva a disposizione il condottiero romano.

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E se Cesare avesse perso?

Una sconfitta romana ad Alesia avrebbe comportato degli stravolgimenti nella storia dell'impero romano. Innanzi tutto la perdita di ben dieci legioni ad Alesia sarebbe stata una grave falla nella potenza bellica romana, ma i problemi per i "nostri" non si sarebbero conclusi qui.
L'ascesa e la carriera di Cesare si sarebbe fermata bruscamente e la provincia sarebbe stata sciolta in poco tempo. Tutto questo sarebbe andato a favore dei Galli che, non più sotto pressione diretta delle legioni romane, potevano tentare una alleanza non difficile in Spagna, dove la parte celtica era assai numerosa (i celtiberi). Questa mossa avrebbe troncato i commerci romani con la penisola iberica, creando gravissimi danni all'economia di Roma ma ricreando un'altra volta la situazione che si era formata con le guerre puniche, due super potenze, la Gallia e Roma, a fronteggiarsi per il controllo del mediterraneo occidentale.
Da questo punto in poi può partire l'ancor più fantasioso gioco delle alleanze che si sarebbero potute formare dopo una sconfitta ad Alesia, da una parte i romani avrebbero provato a fare delle antipatie dei Germani un pretesto per averli come alleati (anche se i rapporti tra le due popolazioni non erano certo rosei), mentre i galli avrebbero tentato l'alleanza con i lontani, ma ancora potenti, Egizi e Parti contro l'impero romano. Da qui forse l'unico grande favorito sarebbe stato l'Egitto che non aveva nemici alle porte ed al contrario avrebbe avuto alleati sicuri.


Pubblicato il 06/12/2004



Bibliografia:
Livio Agostini, Piero Pastoretto, Le grandi Battaglie della Storia, Viviani Editore, Il Giornale, 1999