Battaglie In Sintesi
339 a.C.
Figlio di Lucio Manlio Capitolino, avrebbe assunto il cognome di Torquato per aver spogliato della collana (torque) un gallo da lui vinto in singolar tenzone. Dittatore (353 e 349), console nel 347, 344 e 340, quando ebbe un ruolo importante nella guerra latina: vinse, forse presso il Monte Vescino, quella grande battaglia che la tradizione localizza alla falde del Vesuvio e abbellisce con il racconto del sacrificio di Publio Decio Mure e con quello della condanna a morte inflitta da Manlio al figlio, reo di essere uscito, contro gli ordini, dalle file per combattere in duello il tuscolano Gemino Mecio.
Anche se la memoria di ogni usanza sacra e profana è stata cancellata dal favore che gli uomini tributano alle cose nuove e straniere, preferendole a quelle antiche e trasmesse dagli antenati, ho ritenuto che non fosse fuori luogo riferire queste procedure con le parole con le quali sono state formulate e tramandate. Presso alcuni autori ho trovato che fu soltanto a battaglia conclusa che i Sanniti intervennero in aiuto dei Romani, dopo aver atteso l'esito dello scontro. E anche che i Latini erano già stati messi in fuga quando gli abitanti di Lavinio, che continuavano a perdere tempo in discussioni sul da farsi, portarono finalmente il loro aiuto. E ricevuta la notizia della disfatta patita dai Latini quando ormai la loro avanguardia e parte dell'esercito erano usciti dalle porte, con una rapida inversione di marcia sarebbero rientrati in città, poiché il loro pretore di nome Milonio - a quanto si racconta - avrebbe ricordato ai suoi che quella breve sortita sarebbe costata cara ai Romani. I Latini sopravvissuti alla battaglia, dispersi in varie direzioni, si riunirono in un unico nucleo e si rifugiarono nella città di Vescia. Là, nelle assemblee che essi tenevano, il loro comandante in capo Numisio affermava che in realtà l'esito della guerra era stato incerto, che entrambe le parti avevano subito un ugual numero di perdite e che i Romani avevano vinto soltanto nominalmente, trovandosi invece, di fatto, nella condizione di sconfitti. Le tende di entrambi i consoli erano in lutto: una per l'uccisione del figlio, l'altra per la morte del console che si era offerto in voto. Il loro intero esercito era stato fatto a pezzi, hastati e principes massacrati, la carneficina aveva coinvolto dall'avanguardia alla retroguardia, e soltanto alla fine i triarii erano riusciti a ristabilire le sorti della battaglia. Anche se le forze latine erano state ugualmente decimate, tuttavia, per fornire nuovi rinforzi, tanto il Lazio quanto la terra dei Volsci erano più vicini di Roma. Perciò, se sembrava loro opportuno, egli avrebbe rapidamente messo insieme dei giovani in età militare reclutandoli dalle genti del Lazio e da quelle dei Volsci, sarebbe ritornato a Capua con un esercito pronto a combattere: il suo arrivo inatteso avrebbe gettato nello scompiglio i Romani, i quali in quel momento tutto si aspettavano fuorché una battaglia. Vennero così inviate delle lettere piene di menzogne in tutto il Lazio e nella terra dei Volsci: poiché quanti non avevano preso parte alla battaglia erano pronti a credere ciecamente al messaggio in esse contenuto, venne rapidamente messo insieme, da tutte le parti, un esercito raccogliticcio. A questo contingente andò incontro presso Trifano - tra Sinuessa e Minturno - il console Torquato.
Entrambi gli eserciti, senza neppure aver scelto un punto per porre l'accampamento, ammassate le salmerie, vennero a battaglia e posero fine alla guerra. Le truppe nemiche subirono infatti una tale decimazione che, quando il console guidò il suo esercito vincitore a devastare il territorio dei Latini, questi ultimi si consegnarono dal primo all'ultimo, e i Campani seguirono il loro esempio.
Il Lazio e Capua vennero privati del territorio. Il territorio dei Latini, invece, in aggiunta a quello dei Privernati e a quello di Falerno (appartenuto al popolo campano) fino al fiume Volturno, venne diviso tra la plebe romana. A ciascun cittadino furono assegnati due iugeri nel Lazio, in modo da aggiungere un terzo di iugero nel territorio di Priverno, mentre in quello di Falerno vennero assegnati tre iugeri di terra a testa con in più un quarto di iugero dato come compenso per la lontananza. Tra i Latini non incorsero in punizioni i Laurenti, tra i Campani i cavalieri, in quanto non avevano preso parte all'ammutinamento. Fu data disposizione di rinnovare il trattato coi Laurenti, e da quel giorno è stato rinnovato ogni anno dieci giorni dopo le ferie latine. Ai cavalieri campani venne concessa la cittadinanza romana e per commemorare la cosa venne affissa una tavoletta di bronzo nel tempio di Castore a Roma. Inoltre venne ordinato al popolo campano di pagare a ciascuno di essi (si trattava di mille e seicento uomini) un tributo annuo di quattrocentocinquanta denari.
Bibliografia:
"Ab Urbe Condita", Tito Livio, Libro VIII