Battaglie In Sintesi
Agosto 503
Ipazio era un aristocratico di discendenza imperiale, in quanto nipote dell'imperatore Anastasio I: suo padre era Flavio Secondino, console e praefectus urbi, sua madre Cesaria, sorella di Anastasio; sua moglie era imparentata con l'influente Anicia Giuliana, legata alla casata di Leone. Fu per l'influenza dello zio, che non aveva figli e vedeva nei suoi nipoti dei possibili eredi, che Ipazio divenne console per l'anno 500. Nel 502 iniziò la guerra romano-sasanide del 502-506. Ipazio, che era tra i generali dell'esercito bizantino, partecipò al contrattacco del 503, che si risolse in una sconfitta: ritenuto responsabile della disfatta, venne richiamato. Ipazio rimase al fianco dello zio per il resto del suo regno: nel 515 lo aiutò durante la rivolta di Vitaliano, ma fu sconfitto anche questa volta, e Anastasio dovette pagare una forte somma per riscattarlo. Quando Anastasio morì, nel 518, Ipazio era un candidato alla porpora, ma era lontano da Costantinopoli e non giocò alcun ruolo nella determinazione del successore. Il nuovo imperatore, Giustino I, lo trattò con benevolenza, e Ipazio, ottenuto il rango di magister militum per Orientem (il massimo grado militare), fece parte assieme a Rufino dell'ambasciata inviata da Giustino al re sasanide Cosroe I, il quale voleva che Giustino adottasse suo figlio: secondo le accuse di Rufino, Ipazio sabotò volontariamente la missione, e Giustino lo destituì temporaneamente. In seguito a Giustino succedette il nipote, Giustiniano I, ma il favore imperiale verso Ipazio non cambiò. Tuttavia Ipazio, senatore e patricius, divenne il candidato ideale di quella fazione politica che si opponeva all'imperatore. Nel gennaio 532 Giustiniano dovette affrontare la rivolta di Nika, durante la quale la popolazione di Costantinopoli, ribellatasi contro l'imperatore, cercò un possibile successore: i nipoti di Anastasio (Ipazio, il fratello Pompeo e il cugino Probo) erano dei candidati naturali. Mentre Probo abbandonò la città, Ipazio e Pompeo si rinchiusero con Giustiniano e i senatori a palazzo, in quanto ritenevano che un eventuale usurpatore avrebbe avuto poche possibilità contro Giustiniano. Giustiniano, però, allontanò dal palazzo i senatori, incluso Ipazio, il quale fu preso dalla folla nella sua casa, trascinato all'Ippodromo di Costantinopoli e acclamato imperatore: riluttante, Ipazio acconsentì all'elezione. La rivolta fu spenta nel sangue e Ipazio venne catturato e portato da Giustiniano: l'imperatore aveva intenzione di risparmiargli la vita, ma l'imperatrice Teodora lo convinse a mettere a morte l'involontario usurpatore. Il cadavere di Ipazio venne gettato in mare.
Alla fine del V secolo, l'Impero sasanide era nel caos a causa dell'invasione degli Eftaliti (Unni bianchi) da oriente. Gli invasori sconfissero il re Peroz I, il quale dovette dare loro in ostaggio il figlio Kavad per due anni, ritornato solo dopo il pagamento di un grande riscatto. Nel 484 Peroz I e il suo intero esercito furono uccisi dopo una sconfitta. Gli succedette il fratello Balash, che però non fu in grado di restaurare l'autorità regale. Gli aristocratici e l'alta gerarchia religiosa puntarono su Kavad, eleggendolo sovrano nel 488, ma questi presto li deluse. Kavad I, infatti, diede il proprio sostegno alla setta comunistica fondata da Mazdak, figlio di Bamdad, secondo la quale i ricchi dovevano dividere le proprie mogli e i propri possedimenti con i poveri; l'intento di Kavad era, probabilmente, quello di minare l'influenza dei ricchi possidenti, ma questi, nel 496, lo deposero e incarcerarono nel "Castello dell'oblio" in Susiana, ponendo sul trono suo fratello Jamasp. Kavad riuscì però a fuggire, trovando rifugio presso gli Eftaliti, sposando anche la figlia del loro re. Gli Eftaliti aiutarono Kavad a ritornare in Persia: nel 498 tornò sul trono sasanide, punendo i suoi oppositori. Dovendo pagare un tributo agli Eftaliti, chiese aiuto finanziario all'Impero romano d'Oriente, come era già avvenuto in passato, ma l'imperatore Anastasio I rifiutò, contando di creare una frazione tra Sasanidi ed Eftaliti. Kavad, invece, attaccò i Romani, dando vita alla guerra romano-sasanide del 502-506. Col sostegno degli Eftaliti conquistò nel 502 Teodosiopoli in Armenia, per poi prendere possesso della vitale città-fortezza frontaliera di Amida nel 503. La guerra andò avanti fino al 505, quando gli Unni invasero dal Caucaso l'Armenia: i due imperi belligeranti trovarono un nemico comune e si accordarono per una tregua, seguita da una pace l'anno successivo, che non prevedeva cambiamenti territoriali ma, probabilmente, il pagamento di un tributo ai Sasanidi. Nel 518 Anastasio morì, succeduto da Giustino I (518-527): un vassallo persiano, al-Mundhir IV ibn al-Mundhir, devastò la Mesopotamia, uccidendo monaci e suore. Nel 529 accolse i sette neoplatonici emigrati in Persia a seguito della chiusura dell'Accademia di Atene da parte di Giustiniano I. Nel 524/525, Kavad, temendo per il proprio figlio e successore (il futuro Cosroe I) a causa dei suoi fratelli e della setta di Mazdak (Cosroe aveva grande influenza sul padre e lo convinse ad abbandonare la setta a causa dei problemi sociali prodotti dal suo messaggio), propose a Giustino di adottare Cosroe: la proposta, inizialmente accettata, fu poi respinta e, nel 526, scoppiò la guerra iberica, terminata nel 532 e culminata con la sconfitta del generale Belisario nella battaglia di Callinicum (531). Poco dopo, Kavad morì e Cosroe salì al trono. Lo storico bizantino Procopio di Cesarea, suo contemporaneo, afferma che Kavad era un sovrano energico e, cosa rara, con una visione chiara. Sebbene non fosse stato in grado di liberarsi dall'influenza eftalita, riuscì a ristabilire l'autorità regale sull'impero e ad ottenere successi militari contro i Romani di Bisanzio; riformò inoltre il sistema fiscale. Sul piano religioso, dopo essere stato un sostenitore della dottrina eretica di Mazdak ne divenne avversario per le conseguenze sociali che causava: nel 529 tale dottrina fu refutata dai Magi, i sostenitori del mazdakismo perseguitati e Mazdak stesso impiccato.
Tratto da: "Continuazione della storia degl'Imperatori Romani, Ossia storia del basso Impero da Costantino il grande fino alla presa di Costantinopoli", a cura del Sig. Le Beau (traduzione dal francese di Abate Marco Fassadoni, Siena 1778, pagg. 174-177)
Subito che Anastasio aveva inteso, che Amido era assediata, aveva levato in Tracia un esercito di 52.000 uomini, composto particolarmente di Goti. Ne aveva dato il comando a tre capi; Ipazio suo nipote, Patrizio il Frigio, ed Areobindo. Questi era, figliuolo di Dagalaeso Console nel 461 e nipote di quell'Areobindo, ch'erasi segnalato nella Guerra di Persia sotto il regno di Teodosio il giovane. Per parte di sua Madre Dagistea era nipote di Ardabùro fatto trucidare, da Leone. Il suo Matrimonio rendevalo ancora più illustre; aveva sposata Giuliana, figliuola dell'lmperatore Olibrío, e gli storici lo chiamano il grande Areobindo. Sarebbé stato certamente più fortunato, se non avesse avutó colleghi Ipazio e Patrizio, più Cortigiani che Capitani, i quali amarono meglio opporsi a' successi Areobindo che vincere co' suoi consigli; e la loro gelosia fece riuscir vani i gran progetti di questa campagna. Nessuna armata aveva mai alla sua partenza da Costantinopoli lasciate più belle speranze: questa aveva raccolto in se tutto il valore, e tutta la gloria dell'Impero: distinguevansi in essa il Conte Giustino, e Zemarco suo compagno di fortuna, e valoroso del pari che lui, Patrizio figliuolo di Aspare, che aveva osato di comparire di bel nuovo dopo la morte di Zenone, e che prendeva il nome modesto di Patriziolo, insieme con suo figliuolo Vitaliano; Romano, che abbiam veduto vincitore de Saraceni in Palestina, e in Arabia; Boruso, Timostrate, il Conte Pietro, e molti altri Offiziali celebri pel loro valore. Vi si vedevano ancora de' Capitani forestieri di gran fama; Farasrnane il Lazico, Godiscaclo, e Sbesa che comandavano i Goti, ed Asuado, Capo di una tribù di Arabi. Se il merito de' Subalterni supplìr potesse all'incapacità de' Generali, o riparare ai mali, che cagìona l'invidia, eravi in questo esercito valor bastante a fare la conquista della Persia. Perchè non le mancasse alcuna delle cose necessarie al buon esito esito delle spedizioni, Anastasio aveva eletto soprintendente, e Tesoriere delle truppe l'egiziano Apione, uomo di mente, ed innalzato già al rango di Patrizio; e siccome conosceva il suo zelo pel pubblico bene la sua attività, e la sua prudenza, così gli aveva dato un'amplissima autorita' nell'esercizio della sua commissione dichiarandolo indipendente da' Generali, come se tenuto avesse in questa parte il luogo dell'imperatore.
Quando l'esercito Romano passò l'Eufrate, vicino a Nisibe il primo fallo che fecero i Generali, fu di separarsi. Ipazio e Patrizio presero seco quarantamila uomini, e marciarono alla volta di Amido come per assediarla; e non lasciarono più di dodicimila uomini ad Areobindo, il quale marcio' verso Nisibe. Apione fece della Città di Edessa il magazzino dell'armata; e prese delle saggie precauzioni per la sicurezza da convoglj. I due Generali trovando Amido in grado di difendersi, non osarono assediarla, e si trattennero a saccheggiare il paese. Ma Areobindo col suo piccolo esercito inquietava continua mente i Persiani: attento a scegliere posti vantaggiosi, non si lasciava sfuggire alcuna occasione di battergli. Egli attaccava separatamente; in un incontro a disfece un corpo di ventimila uomini, ed inseguì i fuggitivi fino alle porte di Nisibe. Un soldato Goto, avendo ucciso in questo combattimento il primo de Generali di Kavad, s'impadronì della sua spada, e del suo braccialetto arricchito di gemme, ed andò a presentarli ad Areobindo, il quale gli spedì all'Imperatore come una testimonianza della sua vittoria. Alla fine fine Kavad, dopo che avea perduto una gran parte delle sue truppe fu costretto ad allontanarsi da Nisibe. Attendeva un grosso rinforzo di Persiani, Unni, e di Arabi, i quali arrivarono nel mese di Luglio. Quest'era un nuovo esercito e ne diede il comando a tale Costantino. Questo taditore, essendo fuggito dal Teodosiopoli quando questa Città fu ripresa da Eugenio, era venuto a ricoverarsi nel campo di Kavad. Per contrario, Teodoro, che Kavad lasciato aveva in Martiropoli, aveva abbandonata questa città tosto che s'era veduto in liberta, ed erasi portato al campo dinanzi ad Amido. Quindi Anastasio, finita la guerra invece di punirlo lo lodò per aver salvato con una finta sommossa gli abitanti di una Piazza, la quale sarebbe già stata presa di assalto. Alla testa delle nuove truppe Costantino andò in traccia di Areobindo, il quale, conoscendo di essere troppo debole; ricórse a' suoi, due Colleghi. Questi, sotto pretesto dell'assedio di Amido, che non facevano, negarono di soccorerlo. Questo bravo Generale, vedendosi abbandonato, voleva ripassare l'Eufrate, e tornarsene a Costantinopoli. Riuscì ad Apione di calmarlo, e lo persuase a restare in Mesopotamia. Si ritirò prontamente a Costantina con perdita de suoi bagagli, i quali furono tolti da' Persiani.
Ipazio e Patrizio, lieti di questa disgrazia, vollero trarne vantaggio, e marciarono alla volta di Costantino, al quale erano superiori di forze. Essendosi questi ritirato al loro avvicinamento, andò ad unirsi a Kavad, il quale avanzava con tutte le sue truppe. I due Generali non erano informati della marcia del Re, e credendo di aver a che fare solo con Costantino, incontrarono gli scorridori dell'armata, i quali erano ottocento Nestaliti, che da Farasmane e Teodoro furono tagliati a pezzi. Il bravo Naamano, che li conduceva, fuggi mortalmente ferito, ed andò a recare questa nuova a Kavad. Subito, il Re accelerò la marcia ed accorse con tutta la sua Cavalieria. Ipazio e Pa trizio insuperbiti di questo primo vantaggio, s'erano fermati presso il Castello di Sufrin o Astarin, a quindici leghe discosto da Amido; ad altro non pensando che a riposarsi, e a rallegrarsi della loro vittoria. I loro soldati disarmati, assisi sulle sponde di un ruscello, apparecchiavano il loro pranzo; alcuni si bagnavano; e i Generali erano a tavola, quando gli scorridori vennero a briglia sciolta ad annunziare che i Persiani arrivavano. I soldati in un estremo disordine hanno appena tempo di prendere i loro vestiti; e le loro armi: i Persiani piombano loro addosso con immane furia; la maggior parte sono messi a fil di spada, gli altri son fatti prigionieri, alcuni si salvano sulle vicine montagne; ma lo spavento, da cui sono colti, turba e confonde loro gli occhi, ed agghiaccia loro per modo il cuore, che cadono giù rotolando ne' precipizj. Di tutto questo grande esercito non si salvarono che i due Generali, i quali fuggirono per primi, e correndo sempre, senza mai volgersi indietro, ripassarono l'Eufrate, e si salvarono a Samosata. Il Conte Pietro ritiratosi con alcuni soldati nel Castello di Safrin, fu dato dagli abitanti in mano di Kavad, il quale fece uccidere i soldati, e tenne il Conte prigioniero.
Di tutto questo grande esercito non si salvarono che i due Generali, i quali fuggirono per primi, e correndo sempre, senza mai volgersi indietro, ripassarono l'Eufrate, e si salvarono a Samosata. Il Conte Pietro ritiratosi con alcuni soldati nel Castello di Safrin, fu dato dagli abitanti in mano di Kavad, il quale fece uccidere i soldati, e tenne il Conte prigioniero.