Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Shanhaiguan

27 maggio 1644

Gli avversari

Dorgon Principe mancese (n. 1612-m. 1650). Della dinastia dei Qing (1644-1912) in Cina e figlio di Nurhaci.

Prese parte a importanti campagne militari: comandò l'armata occupando Pechino nel 1644 e poi completò la conquista dell'impero cinese, sconfiggendo i mongoli e i coreani. Alla scomparsa dell'imperatore Huang Taiji (1592-1643) divenne reggente e governò il Paese fino alla morte.


Li Zicheng (22 settembre 1606 - Shaanxi, 1645) fu imperatore della Cina, unico regnante dell'effimera dinastia Shun.

Li nacque nel distretto di Mizhi, a Yan'an, durante l'ultimo periodo di regno della dinastia Ming. Inizialmente pastore di professione, iniziò ad imparare ad andare a cavallo ed a tirare con l'arco già dall'età di 20 anni lavorando successivamente sia in un negozio di vini che presso un fabbro. Secondo la cultura popolare, nel 1630, Li venne posto alla pubblica gogna perché non aveva pagato i propri debiti ad un magistrato pubblico usuraio, Ai. Quest'ultimo in particolare si era attirato l'odio popolare quando aveva colpito una guardia che aveva offerto a Li un po' di acqua, e fu così che un gruppo di contadini lo liberarono proclamandolo loro capo. I contadini erano però armati solo di bastoni, ma Li riuscì ad assaltare un gruppo di armati inviati per arrestarlo, ottenendo così le loro prime vere armi. Nello stesso tempo, la regione di Shanxi venne colpita da una grande carestia e la popolazione si risentì con il governo dei Ming, totalmente indifferente al fatto. Nel giro di tre anni, sfruttando anche occasioni come questa, Li riuscì a raccogliere dalla sua parte 20.000 persone, con i quali attaccò ed uccise i principali magistrati della regione come Sun Chuanting, e altri nelle province di Henan, Shanxi e Shaanxi. Li divenne noto col soprannome di "Dashing King". Li promosse lo slogan "dividere la terra equamente ed abolire la tassa sul grano" che ebbe molto successo tra i contadini.

L'inondazione del 1642 causata dallo straripamento del Fiume Giallo, pose fine tragicamente all'assedio di Kaifeng ed uccise 300.000 dei 378.000 residenti. Dopo le battaglie di Luoyang e Kaifeng, il governo Ming non era stato ancora in grado di fermare l'avanzata della ribellione di Li dal momento che gran parte dell'esercito era impegnato a nord contro i nemici della Manciuria che avevano sfruttato l'occasione per attaccare l'Impero cinese. Li si dichiarò Imperatore di una nuova dinastia, la dinastia Shun a Xi'an, Shaanxi. Nell'aprile 1644, i ribelli saccheggiarono la capitale Ming di Pechino, e l'Imperatore Chongzhen si suicidò con la figlia. Li venne a quel punto accettato a tutti gli effetti come nuovo imperatore della Cina. Dopo che le armate di Li vennero sconfitte il 27 maggio 1644 nella Battaglia di Shanhai dalle forze combinate del generale Wu Sangui e della Manciuria, Li si spostò alla sua base di Shaanxi abbandonando Pechino. Dopo un gran numero di sconfitte, Li scomparve misteriosamente all'età di 40 anni. Alcuni suggeriscono che si fosse suicidato impiccandosi mentre altri sostengono che sia stato ucciso durante la sua fuga. Secondo una tradizione popolare Li sarebbe riuscito a scappare divenendo poi monaco per il resto della sua vita.

La genesi

I Manciù erano una popolazione mongola della Manciuria settentrionale discendente dei Mongoli Juréin, che avevano invaso la Cina nel XII secolo, fondando la dinastia Ch'in. Dopo la caduta della dinastia Yuan, iniziata da Qubi-lai Khan, i Manciù rimasero tributari della successiva dinastia Ming (fondata nel 1368), che contrassegnò un periodo della storia cinese caratterizzato da grande sviluppo culturale e da successi militari, anche se, com'è nella natura degli imperi, gli ultimi governanti furono più inclini a godersi le ricchezze e il potere che a occuparsi dell'amministrazione del Paese. All'inizio del xvn secolo, i Ming si trovavano ormai ad affrontare una serie quasi ininterrotta di rivolte. I Manciù erano rimasti fedeli fino al 1582, quando due loro funzionari, Giocangga e suo figlio Taksi, furono uccisi nel corso di disordini civili. Il figlio di Taksi, Nurhachi, decise di vendicare la morte del padre e del nonno, e di portare il suo popolo al governo della Cina. Nurhachi si rendeva conto che la potenza dei Ming era ancora troppo grande perché i Manciù potessero sopraffarla, perciò rimase un suddito leale, aumentando però nel frattempo la propria influenza per mezzo di un matrimonio e di imprese militari. A partire dal 1599, egli cominciò a condurre campagne contro i capitribù manciù rivali, riuscendo a portare dalla sua parte quasi tutte le fazioni con la conquista o la diplomazia. Nel 1609, era ormai abbastanza potente da indurre il governo Ming ad assegnargli il controllo della Manciuria e assicurargli l'autonomia locale. Nurhachi creò un sistema di distretti che forniva un'organizzazione militare e costituiva l'inizio di una struttura governativa. Nel 1616, egli proclamò una nuova dinastia Ch'in, che prendeva il nome di quella dei Mongoli Jurcin esistita nel XII secolo. Nel 1618, cominciò a lanciare attacchi nei territori dei Ming; nel 1621, aveva ormai conquistato la regione corrispondente all'odierna Manciuria meridionale e, nel 1625, stabilì la nuova capitale a Mukden. Venne finalmente sconfitto dal generale Ming Yuan Ch'ung-huan, che disponeva di cannoni forniti dai Gesuiti ospiti a corte. Pochi mesi più tardi, nel 1626, Nurhachi morì, lasciando a succedergli il figlio di otto anni Abahai. Questi continuò il sogno del padre, conquistando la Corea e compiendo una vasta manovra di fiancheggiamento che lo portò a Pechino da occidente. Nel 1631, occupò la capitale Ming e tornò a Mukden con un immenso bottino. Ribattezzò la dinastia con il nome di Ch'ing, che significa puro, per evitare confronti con i Ch'in turbolenti e razziatori di quattro secoli prima. Malgrado ciò, i suoi eserciti continuarono a effettuare scorrerie nella Cina nord-orientale, arricchendo la dinastia a discapito dei Ming. Nel 1642, Abahai conquistò un passo strategico all'estremità orientale della Grande Muraglia, ma preferì non affrontare ancora le numerose forze Ming dall'altro lato; si dedicò invece a rendere sicuro il fianco settentrionale, consolidando il suo potere fino al fiume Amur.

Come se non bastassero i guai con i Manciù, i Ming dovettero affrontare una serie di ben organizzate rivolte contadine, la più riuscita delle quali fu quella guidata da Li Tzu-ch'eng, che nel 1640 cacciò le truppe Ming e prese il controllo delle province di Honan e Shensi, esattamente a sud e a sud-ovest di Pechino. Nel 1644, si sentiva ormai abbastanza forte da marciare sulla capitale: mentre le sue forze si avvicinavano all'obiettivo, l'imperatore Ming Chuang-lieh-ti richiamò in difesa della città due eserciti di frontiera; di questi, il più grande si trovava a Shanhaiguan ed era comandato da Wu San-kuei. Secondo alcune fonti, il generale Wu non si mosse per difendere l'imperatore; secondo altre, lo fece, ma non riuscì ad arrivare in tempo. In ogni modo, il 25 aprile 1644, Li e i suoi ribelli conquistarono Pechino senza difficoltà; poco prima che la città cadesse, l'imperatore si suicidò. Mentre era in marcia verso la capitale, il generale Wu seppe della fine dell'imperatore e prese in considerazione l'idea di arrendersi e di accettare le condizioni poste da Li, tenendo conto del fatto che suo padre era tenuto in ostaggio dal capo dei ribelli; invece, decise di tornare a Shanhaiguan. Li, dopo aver saccheggiato la città, lo seguì. Nel 1643, i Manciù avevano perso il loro capo Abahai, morto a 51 anni. In linea di successione, il suo erede era il figlio di cinque anni, ma il potere reale era in mano al reggente Dorgon, fratello di Abahai. Dorgon progettava di mettersi in contatto con alcuni dei gruppi ribelli per ottenere sostegno all'interno, ma venne avvicinato prima dal generale Wu, il quale, preso tra due nemici, preferiva accordarsi con i Manciù, piuttosto che con Li, e chiedeva assistenza per sconfiggere i ribelli e riprendere la capitale. Dorgon fu lieto di aiutarlo.

La battaglia

Li trascorse i suoi primi giorni a Pechino raccogliendo tutti gli oggetti preziosi che riuscì a trovare e fondendoli in lingotti per facilitarne il trasporto. Egli preferiva Sian, la sua città, alla capitale, e intendeva tornarvi, ma prima doveva affrontare le truppe del generale Wu. Il 18 maggio, Li guidò il suo esercito, forte di almeno 50.000 uomini, da Pechino verso oriente, raggiungendo il 22 maggio la città di Yung-p'ing. A questo punto, le cronache dello scontro cominciano a differire. Nel suo libro The History of China (1898), Boulger afferma che Li schierò 60.000 uomini appena fuori Yung-p'ing in un'ampia formazione a mezzaluna, con le estremità poste in modo da aggirare i circa 20.000 soldati dell'esercito di Wu. Questi aveva mandato a chiedere aiuto a Dorgon, ma i Manciù tardavano ad arrivare; le truppe di Li circondarono quelle di Wu e cominciarono ad annientarle, ma vennero sorpresi da un'improvvisa carica della cavalleria manciù, che travolse completamente i ribelli e li mise in fuga, lasciandosi dietro circa 30.000 morti. Probabilmente, un resoconto più affidabile è quello che compare in Peasant Rebellions ofthe Late Ming Dinasty (1970), di Parsons, secondo cui Li oltrepassò Yung-p'ing, giungendo quasi a Shanhaiguan (le due città sono vicine tra loro, per cui ciascuna delle due potrebbe legittimamente dare il proprio nome alla battaglia). Wu mandò a chiedere rinforzi il 25 maggio, e Dorgon arrivò il giorno seguente, accampandosi circa 5 chilometri a nord di Shanhaiguan, dove le sue truppe ebbero delle scaramucce con un distaccamento di ribelli e li sopraffecero. Il 21 maggio, l'esercito di Dorgon raggiunse Shanhaiguan, dove egli e Wu cominciarono a fare piani per la battaglia. A quanto pare, fu soltanto il 26 maggio che Li venne a sapere che i Manciù erano nella zona come alleati di Wu, anche se è possibile che se ne sia reso conto davvero quando la battaglia ebbe inizio. Egli schierò il grosso dell'esercito in una linea che andava dalla ritta verso sud-ovest, fino alla costa, e salì su una piccola altura che si affacciava sulle sue truppe. Il mattino del 27 maggio ebbe inizio con una tempesta di sabbia, che nascose lo spiegamento delle forze alleate. Dorgon comandava 50.000 uomini, che si aggiungevano ai 40.000 di Wu, perciò, quando la battaglia cominciò, i due comandanti erano numericamente superiori al nemico, oltre a disporre di soldati più disciplinati ed esperti. È anche possibile che Wu avesse raccolto sul posto altri 70-80.000 uomini, convincendoli a combattere per lui, ma, in tal caso, non sappiamo quale fu il loro ruolo nello scontro. Le truppe Ming di Wu si schierarono sul fianco destro dei Manciù di Dorgon e costituirono probabilmente l'elemento decisivo nell'attacco contro il fianco dei ribelli. Anche se Li era un generale esperto e aveva il comando diretto dell'esercito, le forze combinate Ming-manciù rappresentavano una sfida troppo grande per i suoi. La battaglia durò alcune ore, ma non se ne conoscono altri particolari. Le truppe di Li indietreggiarono piuttosto in disordine, e un inseguimento più deciso le avrebbe completamente annientate, ma la caccia terminò dopo circa venti chilometri. Li riuscì a raccogliere una parte dei suoi uomini a Yung-p'ing, e quindi si ritirò dietro le mura di Pechino. Egli non era preparato per un assedio, riguardo sia alle forze difensive, sia alle provviste disponibili; invece, affrettò lo svolgimento delle cerimonie necessarie per la sua proclamazione a imperatore, avvenuta il 3 giugno, dopo di che fece giustiziare il padre di Wu. Quando l'esercito Ming giunse nei pressi della capitale, il generale Wu vide la testa del padre appesa alle mura. Nelle prime ore del 4 giugno, Li abbandonò Pechino alla testa dei suoi uomini e si diresse verso occidente, lasciandosi dietro numerosi palazzi in fiamme in una città privata delle ricchezze e di tutte le bestie da soma su cui era riuscito a mettere le mani.

Le conseguenze

Il generale Wu San-kuei tentò inutilmente di imporre la propria autorità come rappresentante della dinastia Ming: l'esercito di Dorgon era troppo numeroso e potente per essere sfidato, e Wu si trovò ben presto al servizio dei Manciù. Egli accettò volentieri il compito di dare la caccia ai ribelli e, anche se gli occorse più di un anno, nell'estate del 1645 catturò Li e lo fece giustiziare. Benché fosse semplicemente il reggente, Dorgon cominciò a consolidare il potere dei Manciù. Per prima cosa, fece tutto il possibile per placare qualsiasi timore da parte dei cinesi, concedendo all'imperatore e alla consorte morti un vero e proprio funerale di Stato; quindi, proclamò di essere entrato con il suo esercito in Cina e di aver occupato la capitale soltanto per salvare la città e il Paese dai ribelli. Nel giro di pochi mesi, tuttavia, la corte manciù della dinastia Ch'ing si trasferì da Mukden a Pechino. Il primo imperatore della nuova dinastia cinese fu il figlio di Abahai, Shuri-chih, anche se Dorgon continuò a dirigere le faccende militari e governative. L'occupazione di Pechino nel 1644 segnò ufficialmente la fine della dinastia Ming e l'inizio di quella Ch'ing, ma le cose, in realtà, non si svolsero così in fretta. Suicidandosi, l'imperatore Ming Chuang-lieh-ti aveva lasciato degli eredi. Uno dei suoi figli sì proclamò a Nanchino il nuovo imperatore Ming, ma non aveva le doti di un capo. Nella primavera del 1645, a Yangchow, i Manciù sconfissero l'ultimo grande esercito che i Ming potevano ancora schierare, occupando quindi subito Nanchino. I Ming non ebbero altre possibilità di conservare il potere: dopo Yangchow, infatti, il trono fu rivendicato da una serie di pretendenti, nessuno dei quali, però, era in grado di radunare un seguito sufficiente a sfidare la potenza dei Manciù. Tra il 1648 e il 1651, il principe Kuei Wang sembrò essere l'unico capace di restaurare le fortune dei Ming, ma tutto quello che riuscì a fare fu differire l'offensiva dei Manciù: questi ultimi, con una guerra di dieci anni contro il pirata Koxinga, che combatteva per la causa dei Ming, erano riusciti a colpire le coste da una base sull'isola di Taiwan; il principe, però, non poteva sfidare la potenza manciù nel-l'entroterra, e la fazione pirata, qualsiasi importanza avesse, morì con Koxinga nel 1662. I Manciù, da Nurhachi ad Abahai e a Dorgon, furono abbastanza intelligenti da capire che la burocrazia Ming era piuttosto efficiente e non andava modificata. In effetti, i cinesi avevano molte cose dì cui i Manciù erano invidiosi: così, come aveva fatto Qubilai Khan occupando la Cina nel XIV secolo, i Manciù si adattarono alla loro nuova nazione, eleggendo funzionari non per sostituire quelli Ming, ma perché lavorassero con loro, sorvegliandoli senza interferire. Come i mongoli di Qubilai Khan, i Manciù si accontentarono di diventare una classe dirigente, in Cina, ma non della Cina. Gli imperatori Ch'ing non furono peggiori o migliori di quelli di qualsiasi altra famiglia regnante della storia cinese: vi furono governanti buoni e cattivi. Ciò che distinse soprattutto la dinastia, fu il fatto che dovette fare i conti con l'arrivo di un gran numero di occidentali. Mercanti portoghesi e olandesi avevano già cominciato a commerciare con i Ming, ma non erano ancora andati oltre i confini dei mercati e della società cinese. All'inizio del XIX secolo, tuttavia, quando duecento anni di governo stavano per segnare l'apice e l'inizio del declino della dinastia, come di solito avviene sempre, i cinesi furono costretti a trattare con gli inglesi, gli unici che potevano stare a pari con loro quanto ad atteggiamento di superiorità. Di fronte al comportamento aggressivo dei commercianti e dei diplomatici inglesi, la tradizionale xenofobia cinese si risvegliò, provocando una reazione militare cui la Cina non era in grado di opporsi. Per tutta la seconda metà dell'Ottocento, Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia e Giappone imposero tutti la loro volontà economica, militare e diplomatica sul Paese, e la dinastia Ch'ing potè fare ben poco, oltre a diventare sempre più conservatrice e reazionaria. L'influsso della cultura straniera, sostenuta dalla potenza militare, screditò i Ch'ing presso il loro popolo, che finì per ribellarsi, causando la scomparsa della dinastia nel 1911.



Bibliografia:
"The History of China", Demetrius Charles Boulger, Freeport, NY, Books of Library Press, 1898, Vol. I
"The Rise and Splendour of the Chinese Empire", Rene' Grousset, Berkeley University of California Press, 1953
"The rise of Modern China", Immanuel C.Y. Hsu, New York, Oxford University Press, 1970
"Peasant Rebellions of late Ming Dynasty", James Bunyan Parsons, Tucson, University of Arizona Press, 1970