Battaglie In Sintesi
21 marzo 1849
Studente di medicina a Parma, per aver partecipato ai moti del 1831 fu costretto all'esilio in Francia. Nel 1833 combatté con le forze liberali e costituzionali prima in Portogallo e poi in Spagna nella guerra per la successione al trono dove si schierò a sostegno della reggente Maria Cristina. Si distinse in numerosi episodi di valore e nel 1847 raggiunse il grado di colonnello nell'esercito spagnolo. Inviato poi in Francia per adempiere a un incarico militare, fu raggiunto all'inizio del 1848 dalla notizia dei primi moti in Italia. Dimessosi dall'esercito spagnolo, rientrò in Italia e si unì alle truppe pontificie che erano entrate nel Veneto. Ferito gravemente nella difesa di Vicenza (giugno), dopo la convalescenza chiese di essere arruolato nell'esercito sardo e combatté, alla ripresa del conflitto, al comando di un reggimento composto in gran parte di rifugiati parmensi e modenesi. Durante la guerra di Crimea fu comandante di una delle cinque brigate piemontesi destinate alle operazioni, ma le sue truppe non furono coinvolte nei combattimenti. Promosso generale (1855) e aiutante di campo del re, nel 1859 coadiuvò Garibaldi nell'organizzare i volontari del corpo dei Cacciatori delle Alpi. Allo scoppio della guerra guidò la spedizione nelle Marche, occupò Pesaro e fu al comando delle truppe che sconfissero l'esercito pontificio a Castelfidardo (settembre 1860). A Gaeta comandò l'assedio della fortezza dove si erano rifugiati i Borbone che capitolò il 12 febbraio 1861; un mese più tardi anche la guarnigione della cittadella di Messina si arrendeva alle truppe di Cialdini, ultima fortezza del Regno delle Due Sicilie ad essere conquistata. I grandi successi militari conseguiti, l'amicizia del re (che lo nominò duca di Gaeta), la stima di Cavour e l'elezione alla camera nel 1860 e 1861 determinarono la rapida ascesa della carriera di Cialdini: comandante del VI corpo d'armata nel luglio 1861, alla fine dello stesso anno fu nominato luogotenente del re a Napoli. In questa veste diresse la repressione del brigantaggio ricorrendo a misure di durissima rappresaglia che tolsero alle bande il sostegno della popolazione. Nominato commissario straordinario in Sicilia nel 1862, diede l'ordine di affrontare e fermare Garibaldi all'Aspromonte (29 agosto). Nel corso della guerra del 1866 i contrasti tra lui e il presidente del Consiglio La Marmora, capo di stato maggiore, impedirono un accordo sul piano delle operazioni militari, determinando un mancato coordinamento delle truppe: mentre La Marmora comandava l'offensiva attraverso il Mincio, Cialdini assumeva il comando delle forze armate schierate sul basso Po. Dopo la sconfitta di La Marmora a Custoza (26 giugno 1866), Cialdini si ritirava e sospendeva il passaggio del Po; investito del comando delle operazioni, guidò l'avanzata dell'esercito fino a Udine, ma i contrasti con La Marmora non si attutirono e alimentarono astiose polemiche anche dopo la conclusione delle operazioni. Nominato senatore nel 1864, fu designato da Vittorio Emanuele II ambasciatore straordinario a Madrid nel 1870. Ambasciatore a Parigi dal 1876, si ritirò dalla vita diplomatica nel 1881.
Le sei ore di resistenza sul campo della Cava da parte piemontese, creò nel Comando supremo italiano un clima di attesa angosciosa. Nessun ufficiale del Comando supremo è stato messo di collegamento o mandato per un'ispezione alla Cava! Finalmente, alle otto di sera si hanno al Quartier Generale di Trecate le prime notizie date dal tenente Casati, addetto al comando della 2a divisione, e mandato di propria iniziativa dal generale Bes a rendersi esatto conto della dislocazione della divisione lombarda, e quindi dallo stesso Bes mandato a riferire al Comando supremo. Il Casati riferisce d'aver visto nella zona della Cava solo un battaglione del 21° fanteria e il battaglione Manara, ha inteso che il grosso della divisione era a Casatisma oltre il Po, e il suo comandante a Stradella, una grossa massa nemica ha varcato il Ticino al Gravellone ed è risalita lungo la sponda destra, per una decina di chilometri, fino a Zerbolò. Ora soltanto lo Chrzanowski dirama, verso le otto e mezzo dì sera, i primi ordini, uscendo dalla sua inerzia: il generale Durando (1a divisione) si porti da Vespolate su Mortara, il generale Bes, qualora gli risulti che il nemico è penetrato in forze nella Lomellina, comìnci a concentrare la 2a divisione a Vigevano. Ma null'altro. Di fronte alla nuova situazione si presentavano tre possibilità: a) avanzare decisamente su Milano e sul Quadrilatero quasi sguarnito, provocando ovunque l'insurrezione; b) volgere da Magenta su Abbiategrasso e Pavia per recidere la linea d'operazione nemica; c) concentrare le forze sopra Mortara e Vigevano, e dar battaglia. Ora dunque Io Chrzanowski mostra di preferire quest'ultima più semplice soluzione, ma al solito con indecisione, e dopo aver già in parte guastato collo spostamento della 4a divisione lo schieramento più idoneo. Ma v'e' di più: ora egli rimane dubbioso se il nemico, penetrato in Lomellina, volgerà verso il Po o su Mortara, e perciò egli non muove tutto l'esercito e nemmeno le 2 divisioni più meridionali, ma soltanto i comandi e gli elementi celeri di queste !. Alle dieci di sera giunge il maggiore Barìola, inviato come s'è visto dal Ramaorino. Ora le notizie sono chiare ed esplicite; pure, il capo non prende nessuna nuova misura al riguardo. Si limita a ordinare al Ramorino di cedere il comando della divisione lombarda al generale Fanti, ma prescrive al tempo stesso a questi di attenersi alle istruzioni già avute dal suo divisionario. È evidente che il generale polacco teme anch'egli per Alessandria, L'incertezza, accompagnata da una funesta inazione, dura ancora per alcune ore. A notte fonda, presumibilmente verso le tre del 21 marzo, giungono nuove notizie da parte del Bes: pare che 10 000 austriaci siano già presso Garlasco, a sedici chilometri da Mortara, egli dispone che la 2a divisione si concentri a Vigevano. Ora soltanto lo Chrzanowski da gli ordini per il cambiamento di fronte di tutto l'esercito: la 2a divisione (Bes) si porti davanti a Vigevano, la 3a (Perrone) si muova a suo sostegno; la 4a (duca di Genova) ripassi il Ticino e si porti anch'essa a Vigevano in sostegno della 2a; la la divisione (Durando) prenda posizione dinanzi a Mortara, la divisione di riserva (duca di Savoia) marci pure su Mortara a sostegno della la divisione. Infine, i 4 battaglioni di reclute, dì collegamento fra l'esercito e la brigata Solaroli, si portino a Gravellona, a nord della strada Mortara-Vigevano, e la brigata Solaroli si ponga a guardia del ponte sul Ticino. Bene o male prende ora corpo il piano del generai maggiore: trattenere con 2 divisioni il nemico davanti a Mortara e agire sul suo fianco destro da Vigevano colle altre 3, nella zona da Tromello a Mortara. Ma il capo è ora assillato da un altro dubbio: prima era incerto se il nemico sboccato da Pavia mirasse ad Alessandria oppure a Mortara, ossia se dovesse volgere a sud o a nord; adesso, pur essendo persuaso che volge verso nord, rimane incerto se punterà colla massa principale su Mortara o su Vigevano, se intenda fare insomma una manovra avvolgente a raggio ristretto o assai più ampio. Perciò, delle 5 divisioni 4 hanno ugualmente compito difensivo, e una sola funge per ora da vera riserva, da massa di manovra. In questo modo la massa di 3 divisioni, che doveva agire contro il fianco del nemico, non è subito dislocata e orientata a questo fondamentale compito; si vengono a perdere altre ore preziosissime e vien meno la necessaria concomitanza d'azione fra le due masse. Il piano del general maggiore teoricamente è tutt'altro che cattivo; ma in guerra il concepire è poco, l'eseguire è tutto, secondo la massima napoleonica! Contro Mortara stanno per avanzare 3 corpi austriaci; e le 2 divisioni piemontesi colà avviate potranno sostenersi, anche se ben schierate, solo se tempestivamente sostenute dalle 3 che sono a Vigevano. I comandanti dì queste non sono invece per nulla orientati verso il nuovo difficile compito, e per di più le mosse sono tardive, senza alcuna disposizione circa il dispositivo di marcia; il collegamento è affidato ai 4 battaglioni dì reclute, posti in posizione molto arretrata e senza un comandante che lì diriga. Come potranno dunque le due masse separate agire armonicamente?
I contatti col nemico cominciano contro il I Corpo, che accosto al Ticino per Borgo San Sìro e Gambolò deve proteggere la marcia del Radetzky su Mortara. Solo alle dieci del mattino del 21 marzo, l'esercito austriaco ha cominciato a rimettersi in moto: il II Corpo sullo stradone di Mortara, il IV alla sua sinistra e il I alla sua destra; alle undici, sullo stradone di Mortara si sono posti in movimento gli altri due, III e I di riserva. Verso le undici l'avanguardia del I Corpo, quello fiancheggiante, urta contro una ricognizione piemontese della 2a divisione, spintasi da Vigevano fino a Borgo San Siro, una dozzina di chilometri più avanti. Non sono che 5 compagnie di reclute, sostenute da una di bersaglièri, uno squadrone di Piemonte Reale e 2 cannoni, meno d'un migliaio d'uomini; pure gli austriaci, più che doppi di numero, non riescono ad averne ragione, e solo dopo un'ora, quando sono saliti a 6500 uomini, riprendono l'attacco: i piemontesi si difendono tenacemente; vecchi bersaglieri e giovani fanti, gareggiano in bravura, validamente sostenuti dalla sezione d'artiglieria. Alla fine, il valoroso colonnello Montevecchio, del Piemonte Reale, che comanda la ricognizione, per evitare un duplice accerchiamento ordina la ritirata e la protegge con una magnifica carica del suo squadrone di cavalleria. Ma la lotta riprende nelle strette vie del villaggio e la difesa si protrae tenace per altre due ore; finché i valorosi piemontesi possono retrocedere non molestati fin presso la Sforzesca. Il generale Bes è giunto a Vigevano alle otto di mattina e ha posto davanti alla città, alla Sforzesca (la grande villa con parco degli Sforza), a tre chilometri oltre la città, la brigata composta (17° fanteria Acqui e 23° fanteria parmense e modenese); mentre ha mandato la brigata Casale molto più avanti e a destra, a Garbana, col compito di molestare di fianco il nemico in marcia su Mortara, compito che va oltre le direttive strettamente difensive date alla 2a divisione. Alle 13 giungono alla Sforzesca il re ed il Chrzanowski: la 2a divisione dovrà tutta quanta sbarrare la strada di Borgo San Siro e la 3a quella di Gambolò a destra. In questo modo, però, col richiamo della brigata Casale e il sopraggiungere di elementi della 3a divisione, sì hanno ingorghi e intralci, cosicché quando l'avanguardia della copertura del I Corpo austriaco giunge presso la Sforzesca con 2 battaglioni, 2 squadroni e 3 cannoni, sulla linea avanzata piemontese non si trovano che 2 battaglioni del 17° fanteria, 2 compagnie di bersaglieri e 2 cannoni (si ricordi che i battaglioni austrìaci sono di 1000 uomini e quelli piemontesi dì soli 600). Gli austriaci, superiori di numero, tentano una manovra avvolgente; accorre il Bes e ordina al retrostante 23° fanteria (guidato dal colonnello Enrico Cialdini, veterano delle guerre di Spagna e della difesa di Vicenza, e destinato a un brillante avvenire), con 2 squadroni di Piemonte Reale e 4 cannoni, di avanzare. Le truppe attaccano con mirabile slancio e la cavalleria carica vigorosamente: il nemico ripiega in disordine. Accorrono altri 2 battaglioni austriaci con artiglieria; ad onta di ciò il Bes sostiene l'urto e travolge i nuovi rinforzi. Ma ora intervengono 3 nuovi battaglioni austriaci, mentre da parte piemontese, per gl'ingorghi stradali già ricordati, le altre truppe tardano a giungere. Il Bes, che si è spinto avanti a quasi sei chilometri oltre la Sforzesca, rinnova ad onta di tutto i suoi attacchi, ma questi sono ora respinti; per di più un nuovo rinforzo austriaco minaccia d'avvolgere la sua ala destra; ormai vien buio, e il Bes ordina la ritirata. Verso le sette tutte le truppe sono di nuovo raccolte presso la Sforzesca, dove anche la brigata Casale si è riunita al grosso; al tempo stesso, la strada di Gambolò è adesso sbarrata da tutta la 3a divisione. L'ultima fase del combattimento della Sforzesca è stata accompagnata da un'azione offensiva austrìaca anche su quest'ultima strada. Un battaglione di cacciatori, 2 compagnie di fanteria, uno squadrone di usseri con 2 cannoni, hanno attaccato, verso le sei pomeridiane, il 1° fanteria Savoia ed elementi del Genova Cavalleria. Ma il nemico è stato subito fermato e poi vigorosamente contrattaccato. È il combattimento detto impropriamente di Gambolo.
Questa la battaglia della Sforzesca, che comprende in sé anche gli scontri di Borgo San Siro e di Gambolo. La prima prova del rinnovato esercito piemontese non è stata affatto cattiva: tutti hanno combattuto valorosamente, e le stesse giovani reclute di Acqui e di Casale hanno mostrato al fuoco grande fermezza. Nell'insieme hanno partecipato ai combattimenti 8500 uomini contro 9000 austriaci. Le perdite sono state lievi dalle due parti: 21 morti, 94 feriti e un centinaio di dispersi da parte piemontese; 25 morti, 180 feriti e 120 dispersi da parte austriaca. Di chi la vittoria? Entrambi gli avversari hanno conseguito, a rigore, il proprio obbiettivo tattico e strategico; gli austriaci volevano proteggere la marcia dei loro tre corpi (II, III e I riserva) lungo lo stradone Pavia-Mortara, e occupare Borgo San Siro e Gambolò, e hanno conseguito il loro scopo; i piemontesi si proponevano di sbarrare gli accessi di Vigevano e dì concentrare 3 divisioni davanti a questa città, e vi sono riusciti. Ma in realtà l'obbiettivo piemontese era troppo limitato: l'occupazione andava estesa a Gambolò e a Borgo San Siro; solo in questo caso si sarebbe potuto parlare veramente di vittoria piemontese, e il comando austriaco sarebbe stato obbligato a sospendere la sua marcia su Mortara. Cosicché, se nel campo tattico la vittoria potrebbe anche considerarsi piemontese, in quello strategico, ben più importante, il successo deve piuttosto ritenersi austriaco. E non certo per deficienza delle truppe, ma per mancanza d'iniziativa nel Comando supremo, e per l'inguaribile cattiva organizzazione dell'esercito, sempre lento e impacciato nei suoi movimenti, sempre disturbato dal cattivo funzionamento delle sussistenze. Di fronte a una semplice azione di copertura nemica, il Comando supremo piemontese avrebbe dovuto trovarsi in condizione non solo di difendere Vigevano all'altezza della Sforzesca, ma d'occupare Gambolò e Borgo San Siro, punti essenziali per la progettata manovra sul fianco destro austriaco! Il vantaggio di scegliere la battaglia campale nel proprio territorio avrebbe dovuto manifestarsi soprattutto nella maggiore rapidità dei movimenti, nel perfezionato servizio logistico, nella scelta, entro certi limiti, del terreno. Comunque, il nemico era stato nettamente fermato oltre la Sforzesca, le truppe si erano portate bene. Ci si sentiva tranquilli poi dalla parte di Mortara, e si pensava di poter avanzare la mattina dopo colle 3 divisioni (2a, 3a e 4a) riunite. Da questo lato si era inteso alle cinque pomeridiane un cannoneggiamento intenso, poi s'era affievolito, pur continuando con intermittenza fin verso le otto. Ma si sapeva che a Mortara erano 2 divisioni, con 3 reggimenti di cavalleria e 48 cannoni, e non si nutrivano apprensioni. Lo Chrzanowski vi aveva inviato il capo di Stato Maggiore, Alessandro La Marmora, per coordinare l'azione di tali divisioni. Si preparava dunque a dare gli ordini per la grande battaglia del giorno dopo, quando verso l'una di notte due ufficiali di Stato Maggiore del seguito del La Marmora capitavano all'improvviso portando le più tristi notizie: Mortara era stata occupata dagli austriaci dopo breve combattimento e le 2 divisioni erano in piena ritirata verso Novara e verso Vercelli!
Tratto da: "Storia militare del Risorgimento", Piero Pieri, Torino, Einaudi, 1962