Battaglie In Sintesi
315 a.C.
Fu eletto console nel 323 a.C. con Gaio Sulpicio Longo, al secondo consolato. A Sulpicio toccò la campagna contro i Sanniti, che rientrati nelle loro città, avevano defezionato il trattato appena firmato con i romani, mentre a Quinto toccò la campagna contro gli Apuli. In entrambi i casi, i romani devastarono i territori dei nemici, senza però riuscire ad arrivare ad uno scontro in campo aperto. Fu eletto console nel 319 a.C., con il collega Lucio Papirio Cursore. Con la vittoria in un'unica battaglia, Aulo pose fine alla guerra coi Ferentani, dove erando andati a rifuggiarsi gli sbandati Sanniti, dolo la sconfitta di Luceria. Nel 315 a.C. fu nominato magister equitum dal dittatore Quinto Fabio Massimo Rulliano. Secondo la versione riporta da Livio, sarebbe morto in uno scontro contro i cavalieri Sanniti, sotto le mura di Saticola.
Alla fine dell'anno i consoli Gaio Giunio Bubulco e Quinto Emilio Barbula consegnarono le legioni non nelle mani dei consoli che essi stessi avevano proclamati eletti, e cioè Spurio Nauzio e Marco Popilio, bensì al dittatore Lucio Emilio. Quest'ultimo, accintosi insieme al maestro di cavalleria Lucio Fulvio ad attaccare Saticula, offrì ai Sanniti un motivo pretestuoso per riaprire le ostilità. Per i Romani ne conseguì quindi una doppia minaccia: mentre da una parte i Sanniti, dopo aver raccolto un grosso esercito, si erano andati ad accampare non lontano dai Romani, nell'intento di liberare gli alleati dall'assedio, dall'altra gli abitanti di Saticula, aperte all'improvviso le porte, attaccarono violentemente i posti di guardia nemici. Così l'una e l'altra parte, confidando più negli aiuti altrui che nelle proprie forze, diedero immediato inizio alle ostilità e misero in difficoltà i Romani. Ma pur avendo un impegno su due fronti, il dittatore riusciva a tenere duro da entrambe le parti, perché aveva scelto una posizione difficile da accerchiare, e aveva distribuito i suoi manipoli in diverse direzioni. Il grosso delle forze lo concentrò però contro gli assediati che avevano dato vita alla sortita, e riuscì a ricacciarli tra le mura dopo una lotta non priva di durezze. Poi rivolse tutte le sue forze contro i Sanniti. In quel settore la battaglia fu più accanita. La vittoria arrivò tardi, ma non fu né incerta né limitata. E i Sanniti, dopo essersi rifugiati in disordine all'interno dell'accampamento, spenti i fuochi in piena notte, si ritirarono in silenzio, e, avendo perso ogni speranza di difendere Saticula, si misero ad assediare Plistica, città alleata dei Romani, per restituire al nemico un colpo di uguale portata. A fine anno, la guerra fu poi proseguita dal dittatore Quinto Fabio. I nuovi consoli, così come i loro predecessori, rimasero a Roma. Fabio arrivò a Saticula con rinforzi per prendere in consegna l'esercito da Emilio. I Sanniti, infatti, non erano rimasti nei dintorni di Plistica ma, fatte arrivare dalla patria delle nuove forze e confidando nella loro superiorità numerica, si erano accampati nella stessa posizione di prima, e cercavano di distogliere i Romani dall'assedio provocandoli allo scontro. E il dittatore, rivoltosi con impeto ancora maggiore contro le mura nemiche, convinto che la vera guerra fosse soltanto quella che aveva come meta ultima l'espugnazione della città, non dava troppo peso ai Sanniti, opponendosi alle loro sortite solo con presidi armati a guardia dell'accampamento, per premunirsi di fronte a un'eventuale incursione nemica.
Per questo i Sanniti cavalcavano tanto più baldanzosi davanti alla trincea, senza concedersi un attimo di tregua. E poiché il nemico era ormai quasi alle porte del campo, il maestro di cavalleria Quinto Aulio Cerretano, senza richiedere il parere del dittatore, utilizzando tutti gli squadroni di cavalleria, organizzò un'impetuosa sortita e respinse i Sanniti. In quel frangente, in un combattimento che di solito non vede mai troppa determinazione, la sorte esercitò il suo potere al punto da mietere stragi in entrambi gli schieramenti e causare la morte gloriosa dei comandanti stessi. Il capo dei Sanniti per primo, non accettando l'eventualità di essere sconfitto e messo in fuga da posizioni occupate con tanta ostinazione, pregò e incitò i suoi cavalieri a rituffarsi nella mischia. Contro di lui, che si distingueva tra i suoi nel rinnovare la battaglia, il maestro di cavalleria romano, la lancia spianata, spronò il cavallo con tanta furia da sbalzarlo esanime di sella al primo colpo. Le truppe, contrariamente al solito, non furono scoraggiate dalla caduta del loro comandante: anzi, si infiammarono. I Sanniti in massa scagliarono le loro frecce contro Aulio, che si era spinto imprudentemente in mezzo agli squadroni nemici. Fu soprattutto al fratello che gli dei concessero la gloria di vendicarsi del comandante sannita caduto: dopo aver trascinato già dal cavallo il maestro di cavalleria vincitore, lo massacrò col cuore gonfio di rabbia e di dolore, e poco mancò che i Sanniti si impossessassero anche della salma, finita tra gli squadroni nemici. Ma i Romani scesero immediatamente da cavallo e si misero a combattere da fanti, costringendo i Sanniti a fare altrettanto. L'improvvisata fanteria iniziò il combattimento intorno ai cadaveri dei comandanti. I Romani ebbero la meglio, rientrando così in possesso del corpo di Aulio, che riportarono vittoriosi all'accampamento, divisi tra il dolore e la gioia.
I Sanniti, perso il comandante, stremati dalla battaglia a cavallo, abbandonarono Saticula, che ormai sembrava inutile difendere, e tornarono all'assedio di Plistica. Così, nell'arco di pochi giorni, i Romani presero Saticula che si arrese spontaneamente, mentre i Sanniti conquistarono Plistica con il ricorso alla forza.
Bibliografia:
"Ab Urbe Condita", Tito Livio, Libro IX