Battaglie In Sintesi
22-24 Luglio 1848
La prima espressione della sua attitudine militare si ebbe - dopo le Cinque giornate di Milano e la fuga del maresciallo Josef Radetzky in direzione del Quadrilatero - già all'inizio della prima guerra di indipendenza, allorché si dice avesse suggerito un audace piano d'azione in occasione del Consiglio di Guerra del 4 aprile 1848, in totale contrasto con la prudenza che ispirava invece le mosse dello Stato Maggiore piemontese. La sua idea era cioè di «avanzare lungo il Po, aggirare la fortezza di Mantova, penetrare nel Veneto, collegandosi coi pontifici e facendo di Venezia la propria base di operazioni».Prevalse invece la tesi assai più cauta (e di fatto dannosa) di far attestare l'esercito piemontese sul medio Mincio per costringere l'esercito austro-ungarico del maresciallo Radetzky a far arretrare la propria retroguardia, ponendo così fine alle espropriazioni che consentivano all'imperial-regio governo di approvvigionare le sue fortezze del Quadrilatero.
A quell'epoca De Sonnaz era comandante del II Corpo d'armata sardo, mentre il I era affidato al generale Eusebio Bava, che a Governolo aveva colto un brillante successo grazie all'intrepida azione di bersaglieri, Genova Cavalleria e artiglieri ma che non aveva saputo impedire alle sue truppe di schierarsi su un fronte di circa 70 chilometri e di dividersi in due tronconi, uno intorno a Mantova e uno presso Verona, raccordati dalla sola cavalleria e dalla 2ª Divisione di riserva. La sua personalità militare è controversa e non sempre giudicata positivamente dagli storici militari. A suo demerito, ad esempio, va ricordata l'inadatta condotta in occasione del "forzamento" del Mincio da parte austro-ungarica il 23 luglio che De Sonnaz credeva quanto mai improbabile. Militare di carriera, fu nominato luogotenente nel 1813 e capitano nel 1814 (nell'esercito napoleonico). Nell'esercito sabaudo fu creato maggiore (1821), luogotenente colonnello (1828), colonnello (1831), maggiore generale (1834) e luogotenente generale dal 1842 al 1848. Nella prima guerra di indipendenza fu Governatore e comandante generale della Divisione militare di Novara dal 9 febbraio 1848 al 19 agosto 1848. Fu Ministro della guerra e della marina dal 16 dicembre 1848 al 2 febbraio 1849 e fece parte sia della deputazione per recare al sovrano la risposta al discorso della Corona nel 1849 sia di quella per ricevere a Genova la salma del re Carlo Alberto, sempre nel 1849. Nominato Commissario straordinario per la Savoia dal 24 febbraio 1849, fu poi membro di svariate commissioni (per l'esame della legge sul reclutamento militare dal 29 dicembre 1853, per l'esame del progetto di legge sul Codice penale militare dal 21 gennaio 1856, per l'esame del progetto di legge per il trasferimento della marina militare da Genova alla Spezia dal 26 maggio 1857, per l'esame del progetto di legge sulle servitù militari dal 7 aprile 1858). Fu anche Inviato straordinario presso l'imperatore di Russia il 24 luglio 1862.
La vittoria di Governolo era certamente un brillante successo piemontese, e avrebbe potuto servire a frenare davvero in seguito le scorrerie austriache, ma purtroppo per l'incalzare degli eventi si risolse in un danno. Già il Bava aveva disposto che la 2a divisione si portasse a sud di Mantova e vi rimanesse finché la divisione lombarda non si fosse adeguatamente sistemata; ora egli disponeva che, analogamente, la brigata Regina restasse pel momento a Governolo, fino a piena sistemazione dei volontari mantovani; in questo modo il fronte si prolungava di altri venti chilometri fino al Po, e nel momento decisivo della lotta una divisione e mezzo si sarebbero trovate lontane. Al contrario, la brigata Liechtenstein, impedita d'entrare in Mantova, veniva a trovarsi riunita al grosso delle forze del maresciallo. Il 20 luglio l'esercito piemontese si trova così dislocato: attorno a Mantova, lato sud, la 2a divisione, oltre la divisione lombarda; lato nord, la 1a divisione, la divisione di riserva, metà della 4a divisione. Ossia 3 e mezzo delle 5 divisioni di prima linea e una delle 2 di seconda linea. Di fronte a Verona, da Villafranca a Rivoli, la 3a divisione e metà della 4a, più la brigata regolare toscana, ossia i 2 piccoli reggimenti di fanteria. L'esercito piemontese risulta così diviso in due gruppi, uno attorno a Mantova e uno presso l'Adige e di fronte a Verona. Di collegamento fra loro la divisione di cavalleria, e dietro, sul Mincio, la 2a divisione di riserva. Il fatto più grave è che i due nuclei, notevolmente distanti fra loro, sono a loro volta disseminati, e quello maggiore è separato dal Mincio e dalla piazza di Mantova; cosicché l'esercito risulta davvero diluito sopra una fronte di settanta chilometri e per voler proteggere tutto è debole ovunque. Tanto più che non ha saputo appoggiarsi al terreno e sistemarlo a difesa. Ma due giorni dopo la nuova dislocazione, già il cannone tuona lontano dal lato di Rivoli, e il terzo giorno tuona più vicino dal lato di Sona e Sommacampagna: il Radetzky è subito passato alla controffensiva, con forze imponenti e colla ferma intenzione di giungere al più presto alla decisione. Siamo veramente all'ultimo atto del dramma.
All'alba del 22 luglio gli austriaci attaccano a nord di Rivoli, all'estrema sinistra dello schieramento piemontese. Inizia le operazioni il III Corpo austriaco, quello del Tirolo meridionale: dovrebbe impadronirsi dell'altipiano di Rivoli, per marciare poi l'indomani verso Santa Giustina o Castelnuovo, così da agire sul fianco dei piemontesi, mentre da Verona verrà sferrato il grande attacco frontale. L'azione contro Rivoli è però condotta con forze troppo scarse. L'attacco iniziale trova una vigorosa resistenza e procede lentamente; accorre il De Sonnaz da Sandrà e il nemico non solo è fermato, ma viene energicamente contrattaccato. Però il De Sonnaz sospetta che l'azione nemica miri a richiamare forze piemontesi alla sinistra indebolendo il centro; perciò nella notte sul 23 luglio fa iniziare il ripiegamento. Al mattino le truppe di Rivoli sono però ancora fra Cavaion e Calmasino, alcuni chilometri a nord di Pastrengo, quando si sferra fra Sona e Sommacampagna il grande attacco austriaco. Attaccano il II Corpo e il I, mentre il corpo dì riserva si tiene a breve distanza. Una massa di 60 battaglioni o poco meno, di cui due terzi di prima schiera, con 183 cannoni, sta per rovesciarsi contro la 3a divisione e i suoi scarsi elementi sussidiari (soprattutto 10 piccole compagnie toscane, 1200 uomini), in complesso 11 battaglioni e 20 cannoni in linea, 3 battaglioni in riserva, e 16 pezzi. Per di più non v'è alcuna mente direttrice che diriga e coordini l'azione dei diversi nuclei di difesa. Il De Sonnaz, al momento del grande attacco, è a Calmasino, a una quindicina di chilometri da Sona; il Comando supremo è a Marmirolo, a otto chilometri da Mantova; il Bava, che ha il proprio comando a Goito, si trova quel mattino in ispezione a sud di Mantova. Inoltre, come si è detto, non ci sono che scarsissimi lavori di sistemazione difensiva, in parte anche per il principio che non si deve abituare il soldato a cercare dei ripari, per non sminuirne l'ardore. Alle sette e mezzo si sferra l'attacco nemico. La difesa è spesso tenace, ma la sproporzione delle forze è troppo grande. Il concetto operativo austriaco è di penetrare fra i capisaldi della linea difensiva nemica e avvolgerla tutta quanta: proprio ciò che i piemontesi non hanno fatto a Santa Lucia! A mezzogiorno gli austriaci del II Corpo sono padroni delle forti posizioni ove i piemontesi erano ormai da quasi tre mesi e che sembravano il naturale baluardo della Lombardia. Alla sinistra, la difesa, dopo due ore e mezzo di lotta accanita, è stata pure rovesciata. Nell'insieme la linea piemontese dall'Adige a Sommacampagna, costituita dalla 3a divisione, dal piccolo contingente toscano, da un battaglione parmense e da uno modenese, è stata travolta dall'attacco di tre corpi d'armata austriaci, attacco sferratosi quasi di sorpresa, senza che né il Comando supremo, né il Comando del II Corpo d'armata fossero in grado d'intervenire, senza che nessun capo abbia veramente coordinato e diretto la difesa, senza che ci fossero precedenti disposizioni superiori al riguardo e senza che nessuno avesse veste e autorità per l'impiego delle poche forze disponibili a Villafranca, e della divisione di cavalleria dislocata in pianura. Nel pomeriggio del 23 luglio il II Corpo d'armata De Sonnaz è dovunque in ritirata; a sera il De Sonnaz si trova ad aver riunito tutte le sue truppe (tolto il presidio di Villafranca), per quanto stanchissime, presso Cavai-caselle, tre chilometri davanti a Peschiera. È stato anzi detto che il Radetzky non è riuscito, nei giorni 22 e 23 luglio, che a migliorare notevolmente la posizione del De Sonnaz, facendogli correggere il grave difetto del suo estesissimo schieramento a cordone. Tanto più che le perdite del II Corpo sardo sono state relativamente minime: 34 morti e 92 feriti a Rivoli, il 22 luglio; 26 morti e 79 feriti a Sona e a Sommacampagna, il giorno dopo, più 193 prigionieri: in totale 424 uomini. E gli austriaci hanno avuto in complesso perdite doppie dei piemontesi: 96 morti, 501 feriti, 224 prigionieri o dispersi. Gli austrìaci avevano vinto sempre grazie alle azioni avvolgenti, ma anche queste condotte cautamente, a scarso raggio, cosicché piemontesi e toscani erano sfuggiti quasi sempre alla stretta, mettendo in salvo pressoché tutte le artiglierie. E l'inseguimento era stato o nullo o prudente e tardivo. Restava al Radetzky ancora da forzare il Mincio, colla possibilità d'un'azione del De Sonnaz sul suo fianco destro, e del grosso piemontese, già attorno a Mantova, contro il fianco sinistro. Tuttavia, egli aveva ottenuto un innegabile successo col separare l'ala sinistra e il centro piemontesi dalla destra; così che la coordinazione dei movimenti, già lenta e tardiva in condizioni normali, sarebbe divenuta estremamente difficile o praticamente impossibile nelle nuove condizioni. Già le truppe del De Sonnaz erano giunte a Cavai-caselle in uno stato di anormale prostrazione, dovuto alla stanchezza, al caldo, e soprattutto alla mancanza di viveri, la vera e maggior piaga non mai guarita dell'esercito piemontese. Quanto agli austriaci, la sera del 23 essi si trovano riuniti in due grossi nuclei, di cui uno rappresentato dal I Corpo, maggiormente proteso in avanti e l'altro dal II Corpo, più arretrato, e dal I di riserva oltre un nucleo ancora lontano, a Rivoli. E poi un fiancheggiamento a sinistra, sull'orlo dell'anfiteatro morenico, costituito dalla brigata Clam del I Corpo, mentre a est di Villafranca è la grossa brigata Simbschen, tagliata fuori dal corpo di Mantova e in marcia per raggiungere il I Corpo, così da rafforzare il fiancheggiamento fatto dalla brigata Clam. Ma del resto i 3 maggiori corpi risultano collocati così da sostenersi sempre reciprocamente. E per il 24 il Radetzky dispone in modo da poter far passare 4 delle sue 12 brigate oltre il Mincio e altre 4 sull'orlo meridionale dell'anfiteatro morenico.
Il Radetzky intende avanzare prudentemente, metodicamente, così da poter fronteggiare e respingere un'azione controffensiva piemontese dalla zona Villafranca-Va-leggio in direzione sud-nord, o da poter rincalzare le truppe oltre il fiume. Ma è evidente che le sue maggiori preoccupazioni sono rivolte a parare la minaccia di una controffensiva nemica dal piano. Siamo lontani dalla rapidità e dalla semplicità lineare di molte mosse napoleoniche; tuttavia la macchina procede lenta, ma sicura; il Comando supremo austriaco agisce con chiarezza di vedute e sicurezza d'intenti. Da parte piemontese, al contrario, incertezze ed esitazioni, sorgono come ovvia conseguenza della sorpresa subita.
Tratto da: "Storia militare del Risorgimento", Piero Pieri, Torino, Einaudi, 1962