Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Assedi di Milionia e Feritro

294 a.C.

Il console romano

Lucio Postumio Megello

Fu eletto console nel 305 a.C., con il collega Tiberio Minucio Augurino. Entrambi i consoli si diressero nel Sannio, dirigendosi però in zone diverse, Postumio a Tiferno e Minucio a Boviano. Postumio, che comandava la colonna orientale, superò e batté una forte resistenza sannita a Tiferno, prima di rincongiungersi con le truppe guidate da Minucio. I due eserciti romani, così riuniti, si scontrarono contro i Sanniti nella battaglia di Boviano, che risultò decisiva per l'esito finale della seconda guerra sannitica. Fu eletto console nel 294 a.C., con il collega Marco Atilio Regolo. Entrambi i consoli vennero comandati di guidare l'esercito romano nel Sannio, perché si riteneva che i Sanniti stessero armando tre eserciti: uno da inviare in Etruria, un secondo in Campania ed il terzo per la difesa del loro territorio. Postumio, prima si diresse a Sora, e da lì nel Sannio, dove prese Milionia con la forza, poi Feritro, abbandonata dagli abitanti ai romani. Quindi Postumio guidò l'esercito in Etruria, dove sconfisse gli etruschi in campo aperto davanti alla città dei Volsinii e conquistò la città di Roselle. Dopo queste azioni, le città di Volsinii, Perugia e Arezzo, chiesero la pace a Roma, ottenendo una tregua trenttennale. Megello fu ancora console nel 291 a.C., quando combatté contro gli Irpini conquistando Venusia, una località particolarmente importante sotto l'aspetto strategico. Costruì il tempio della Vittoria sul Palatino.

La genesi

A Quinto Fabio e Publio Decio seguirono come consoli Lucio Postumio Megello e Marco Atilio Regolo. Vennero entrambi inviati nel Sannio, perché correva voce che i nemici avessero arruolato tre eserciti, e cioè uno per ritornare in Etruria, uno per riprendere a devastare le terre della Campania e uno per difendere il proprio territorio. Postumio venne trattenuto a Roma da una malattia. Atilio, ligio alle decisioni prese dal senato, partì invece immediatamente per piegare la resistenza dei nemici prima che uscissero dal Sannio. L'imboscata sannita al campo romano nei pressi dei Monti della Meta, non fu certo privo di efficacia e ridiede coraggio ai Sanniti, che non solo impedirono ai Romani di avanzare, ma anche di andare a rifornirsi di viveri nel loro territorio: gli uomini addetti al vettovagliamento erano costretti a tornare indietro nella zona assoggettata di Sora. La notizia dell'episodio, descritto a Roma in termini più allarmanti di quanto in realtà non fosse, spinse il console Lucio Postumio appena uscito dalla malattia a partire dalla città. Comunque, prima di mettersi in marcia, dopo aver dato ordine ai soldati di concentrarsi a Sora, inaugurò il tempio della Vittoria, che aveva fatto edificare in qualità di edile curule usando il denaro ricavato dalle ammende. Ricongiuntosi poi con l'esercito a Sora, di lì raggiunse il campo del collega nel Sannio. I Sanniti allora si ritirarono, non avendo più speranze di poter fronteggiare con successo i due eserciti, e i consoli si misero in marcia in direzioni diverse con l'intento di mettere a ferro e fuoco le campagne e di attaccare i centri abitati.

La battaglia

Postumio cercò in un primo tempo di impossessarsi con la forza di Milionia. Poi, vedendo che questa tattica non dava grossi risultati, ricorse a dispositivi d'assedio e alla fine riuscì a conquistarla appoggiando vigne alle mura. Lì, nonostante la città fosse già occupata, si continuò a combattere in tutti i settori dalle dieci fino quasi alle due del pomeriggio, e l'esito fu a lungo incerto; ma alla fine i Romani si impadronirono della cittadella. I Sanniti uccisi furono 3.200, quelli fatti prigionieri 4.700; venne raccolto altro bottino. L'esercito fu poi condotto a Feritro, i cui abitanti erano usciti di nascosto nel cuore della notte attraverso la porta opposta, portando con sé quanto poteva essere trasportato. Di conseguenza il console, non appena arrivò nei pressi della città, cominciò ad avvicinarsi con l'esercito schierato e pronto a sostenere una battaglia simile a quella affrontata a Milionia. In un secondo tempo, notando che in città regnava un profondo silenzio e vedendo che sulle torri e sulle mura non c'erano né armi né uomini, per non cadere incautamente in un tranello, trattenne i soldati che non vedevano l'ora di scalare le mura deserte, e ordinò a due squadroni di cavalieri latini di esplorare accuratamente tutta la cinta muraria. I cavalieri videro spalancate una porta e lì accanto un'altra nella stessa zona, e sulle vie che le attraversavano riconobbero le tracce della fuga notturna dei nemici. Cavalcarono poi con prudenza attraverso le porte, e si resero conto che le vie cittadine si potevano percorrere in assoluta tranquillità. Riferirono al console che la città era stata abbandonata, come era evidente dall'assenza di abitanti, dalle tracce recenti della fuga e dai cumuli di oggetti abbandonati alla rinfusa nel trambusto della notte. Ascoltato questo rapporto, il console guidò l'esercito verso la zona dove erano entrati i cavalieri latini. Fatte fermare le truppe non lontano dalla porta, ordinò a cinque cavalieri di entrare in città, predisponendo che dopo una limitata perlustrazione all'interno tre rimanessero in quello stesso punto (se tutto sembrava tranquillo), e due tornassero a riferire l'esito della missione. Quando i cinque rientrarono riferendo di essere arrivati fino a un punto da dove si poteva spingere lo sguardo in tutte le direzioni e di aver di là ovunque constatato solitudine e silenzio, il console ordinò subito ai reparti armati alla leggera di entrare in città, dando nel frattempo agli altri disposizione di fortificare l'accampamento. Entrati in città e abbattute le porte delle abitazioni, i soldati trovarono soltanto pochi vecchi e invalidi, insieme con le sole cose che, essendo troppo difficili da trasportare, erano state abbandonate.

Le conseguenze

Se ne impossessarono, e dai prigionieri vennero a sapere che in molte città dei dintorni era stato deciso per volontà comune l'evacuazione dei residenti; che i loro concittadini erano partiti nel cuore della notte, e che probabilmente avrebbero trovato lo stesso deserto anche in molti altri centri. Si prestò fede alle parole dei prigionieri, e il console occupò le città deserte.



Bibliografia:
"Ab Urbe Condita", Tito Livio, Libro X