Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Messina

397 a.C.

Il comandante cartaginese

Imilcone II (Cartagine, ... - Cartagine, 396 a.C. o 394 a.C.)

È stato un generale e suffeta cartaginese. Dopo aver sostituito Annibale Magone al comando delle truppe cartaginesi nella terza campagna siciliana, nel 406 a.C. conquistò Agrigento e nel 405 a.C. Gela e Camarina, costringendo Dionisio I, tiranno di Siracusa, alla pace dopo aver assediato Siracusa. Nel 396 a.C. ritornò in Sicilia (quarta campagna siciliana di Cartagine) dopo che Dionisio I aveva riaperto le ostilità nel 397 a.C. Dopo aver riconquistato le città di Erice e Mozia, distrutta dai Greci l'anno precedente, marciò lungo la costa settentrionale siciliana, espugnò Messina e avanzò verso Siracusa, che pose in assedio. Una pestilenza e un contrattacco di Dionisio I lo costrinsero ad abbandonare l'assedio e tornare a Cartagine con i superstiti. Tornato in patria, si uccise per la vergogna della sconfitta. Egli fu, nei fatti, uno dei più grandi grande condottieri punici, il massimo dell'età classica, quello che riuscì ad espugnare Agrigento, la più grossa "preda" della storia di Cartagine. Fu il primo a durare in carica dieci anni, dal 406 a.C. circa al 396 a.C. circa. Il suo successore fu Magone II.

La genesi

Al tempo in cui Formione fu fatto arconte in Atene, e in Roma furono fatti tribuni militari con consolare podestà Gn. Genuzio, L. Attilio, M. Pomponio, G. Duilio, M. Veturio, e Volerone Publilio, Dionigi, tiranno di Siracusa, condotto fuori della città il suo esercito, andò ad assaltare i territorj tenuti dai Cartaginesi; e mentre ne saccheggiava le campagne, gli Aliciei, percossi da paura, mandarongli oratori, e fecero alleanza con esso lui. Ma dall'altro canto gli Egestani assalirono all'improvviso il campo degli assedianti, e messo il fuoco agli alloggiamenti, empirono tutto di spavento e di confusione; onde propagatesi da ogni parte le fiamme, e non potendosi sì facilmente estinguere, accadde che pochi bensì dei fanti accorsi a smorzare il fuoco perissero, ma che si abbruciassero insieme cogli alloggiamenti moltissimi cavalieri. Dionigi però continuava a saccheggiare ostilmente le campagne senza che nissuno vi si opponesse. Intanto Leptine stava coll'armata presso Mozia, attento a vedere se comparissero dalla parte di mare nemici. I Cartaginesi ben informati delle tante forze, che Dionigi aveva, s'erano rivolti a fare tal apparecchio di guerra, che di assai lunga superasse le forze di lui. Perciò in conformità delle loro leggi crearonsi re Imilcone, e da tutta l'Africa, ed anche dalla Spagna fecero reclute, parte esigendole dai confederati, e parte stipendiandole coi proprj denari; così che misero insieme trecento mila uomini a piedi, e quattro mila a cavallo; e vi aggiunsero quattrocento carri. Vollero inoltre quattrocento navi lunghe; e non meno di seicento da trasporto, secondo che riferisce Eforo, per le macchine e per ogni altra opportuna provvigione. Bisogna però dire, che Timeo suppone non essersi trasportati dalla Libia in Sicilia più di cento mila uomini, a cui crede che non se ne aggiungessero di Siculi, che trentamila. Imilcone diede ad ognuno de' piloti ordini sigillati, i quali comandò che non leggessero se non quando fossero usciti del porto, prescrivendo che allora poi li eseguissero. E fece questo colla idea, che nissuna spia potesse avvisare Dionigi della passata: l'ordine intanto portava, che dovessero immantinente far vela per Panormo. E così tutti con favorevole vento salparono; e le navi da carico presero l'alto mare; le triremi però andarono costeggiando i lidi dell'Africa. Or tosto che spinte da gagliardissimo vento le navi da carico furono alla vista di Sicilia, Dionigi mandò Leptine con trenta triremi contro quelle, comandandogli, che a quante giugnesse addosso, facesse impeto co' rostri, e le fracassasse. E Leptine infatti preso immantinente il largo, e venuto all'incontro delle prime, attaccò battaglia con esse, ed alcune affondò cogli uomini, che v'erano sopra; ma le altre, quantunque gravi assai pel carico, poterono felicemente, ajutate dal vento, scappare. Però di queste cinquanta all'incirca perirono sommerse, le quali portavano seicento uomini, e dugento carri. Nel frattempo Imilcone passò a Panormo, e messe a campo le sue truppe mosse verso il nemico; e dato ordine alle triremi di navigare oltre, egli marciando ebbe per tradimento Erice; indi andò ad accamparsi a Mozia; e perchè allora Dionigi stava coll'esercito assediando Egesta, Imilcone ebbe Mozia per assalto. Quantunque poi i Siculi si mostrassero dispostissimi a misurarsi col nemico, Dionigi, e per trovarsi lontano dalle città seco confederate, e per mancare di vettovaglie, pensò meglio trasferire altrove la guerra. Laonde avendo stabilito di condur via l'esercito, incominciò ad esortare i Sicani, onde, attesa la premente necessità, abbandonate le città loro, volessero unirsi colle armi a lui, in grazia di che prometteva ad essi di dar loro un miglior territorio, né minore di quello che aveano; ed inoltre a guerra fluita di ricondurre alla patria loro quelli che volessero ritornarvi. Pochi tra i Sicani, presi da paura che, rifiutando le condizioni proposte, l'esercito di Dionigi non li saccheggiasse, acconsentirono di seguirlo; ma gli altri vollero andare alle loro case. E in quel tempo gli Aliciei si distaccarono da esso lui, e mandati oratori al campo de' Cartaginesi rinnovarono l'alleanza con questi. Dionigi dunque in fretta andò a Siracusa, dopo avere dappertutto devastato le campagne.

L'assedio

Imilcone veduto, che le cose andavano secondo il desiderio suo, mosse l'esercito contro Messana, desideroso di farsi padrone di quella città, per la situazione opportunissima a' suoi disegni; poiché ivi era un porto capace di ricevere tutta la sua armata, la quale era composta di oltre seicento navi; e di più, se si fosse impadronito dello Stretto, poteva sperare d'impedire il passaggio degli ausiliari d'Italia, e quello delle navi che venute fossero dal Peloponneso. Volgendo nell'animo queste cose, fece amicizia cogl'Imerj, e cogli abitanti del castello di Cefaledio; ed impossessatosi della città di Lipara, multò gli abitanti dell'isola perla somma di trenta talenti. Poi con tutto l'esercito marciò verso Messana, sempre seguito alla costa dall'armata, e in breve tempo fatta la lunga strada si accampò al Peloro, di maniera che non era più distante da Messana che cento stadj. Gli abitanti di Messana intanto, saputo l'avvicinamento dell' esercito nemico, non tutti erano rispetto alla guerra del medesimo parere. Alcuni, udendo la forza grande dell'oste nemica, e vedendosi privi dell'ajuto degli alleati, e del presidio de' loro cavalieri, che mandati aveano a Siracusa, diffidavano di potere difendere la città; e la diffidenza loro accrescevasi per la considerazione, che le mura loro erano demolite; né l'urgente circostanza dava loro il tempo sufficiente per preparare le cose necessarie. Per lo che presi i figli, le mogli, e le loro più preziose cose, le trasportarono nelle città vicine. Altri poi ricordevoli di un antico oratolo, pel quale era predetto dovere i Cartaginesi portare in quella città acqua, interpretando la cosa ad opinione del volgo in senso ad essi favorevole, si davano a pensare, che i Cartaginesi dovessero servire a Messana. E quindi s'empirono di grande speranza, e cercavano d'infonderla negli altri, e con ciò disporli di buon animo a valorosamente affrontare per la comune libertà i pericoli imminenti. Ond'è, che tosto fatto reclutamento de' loro giovani, i più robusti di questi mandarono al Peloro, onde impedissero al nemico d'invadere la campagna. Mentre questi così facevano, Imilcone vedendo i Messani sparsi intorno per impedirgli la discesa, manda dugento navi verso la città, stimando, com'era facile da concepirsi, che mentre il presidio de' Messani attendeva ad impedire la discesa a que' dell'armata, egli potesse occupare la città vuota di difensori. Spirava allora sulle poppe un gagliardo borea, col sussidio del quale accadde, che le navi entrassero a piene vele nel porto; e che l'armata prevenisse le squadre mandate al Peloro, quantunque esse sollecitassero pure il loro ritorno. I Cartaginesi adunque sparso intorno l'esercito, essendosi introdotti per le grandi aperture lasciate dalle mura demolite, si fecero padroni di Messana; e gli abitanti di essa, quanti vollero combattere l'inimico, generosamente morirono. In quanto agli altri, essi corsero a ripararsi nelle vicine città; e la più parte del volgo, scappando per le montagne adjacenti, andò a disperdersi per le castella del paese: alcuni che rimasero in città furono dai nemici uccisi; e alcuni serrati nelle strette vicine al porto, non ebbero altro partito che di precipitarsi in mare, sperando di salvarsi a nuoto. Furono questi più di dugento, la maggior parte de' quali perì predi dei flutti, e cinquanta appena arrivarono vivi alle coste d'Italia.

Le conseguenze

Imilcone entrato in Messana con tutto l'esercito, primieramente si mise a battere i castelli, ch'erano intorno alla città, i quali siccome erano ben muniti, e valorosamente difesi da quelli, che vi si erano chiusi dentro, vedendo egli di non potere averli, per allora lasciò, e si ritirò in città. Poi riordinate le sue truppe, andò verso Siracusa.