Battaglie In Sintesi
Aprile 1102
Figlio cadetto di Eustachio II conte di Boulogne e di Ida figlia di Goffredo II, duca della Bassa Lorena; iniziato alla vita ecclesiastica, si volse poi alle armi e seguì nel 1096 il fratello maggiore Goffredo di Buglione nella prima crociata. Ad essa partecipò attivamente: in Ungheria fu ostaggio di quel re; a Costantinopoli contrastò le pretese egemoniche dell'imperatore; all'assedio di Nicea e alla battaglia di Dorileo fu combattente valoroso. Anelando a imprese audaci e a conquiste, lasciò nel 1097 l'esercito crociato e col normanno Tancredi occupò Tarso e altre città. Poi, contese con Tancredi; e con duecento cavalieri si recò a Edessa per invito di quel principe armeno Thoros, tributario dei Turchi. Adottato come figlio, successe già nel marzo del 1098 a Thoros, caduto vittima di una congiura, e assunse il titolo di conte di Edessa. Arditamente combatté contro i Turchi di Siwas e di Aleppo e occupò Samosata e molte altre città del bacino superiore dell'Eufrate. Gli Armeni lo appoggiarono e Baldovino rimasto vedovo di Godehild di Toeni, che l'aveva seguito dalle Fiandre, sposò Arda, parente di Rupen I, principe della Piccola Armenia. Giuntagli la notizia della presa di Gerusalemme, vi si recò con audace viaggio, attraverso paesi ancora musulmani, per sciogliere il voto (1099). Designato a successore dal fratello Goffredo, fu riconosciuto re da tutti i signori latini. Cedé allora al cugino Baldovino di Bourcq la contea di Edessa. Proclamato re in Gerusalemme l'11 novembre 1100, si fece incoronare a Betlemme nel Natale. Riunì a parlamento i feudatari e mise mano a riordinare i feudi, iniziando la redazione delle Assisi di Gerusalemme. Poiché il patriarca Daiberto insisteva nella sua ostilità all'organizzazione monarchica dello stato, desiderando fare di Gerusalemme una sua signoria teocratica, Baldovino lo fece sospendere e deporre (marzo 1101). Per sistemare la conquista in uno stabile organismo, iniziò dopo il 1101 l'occupazione della zona marittima, con l'appoggio della flotta genovese, occupando le città di Arsüf (9 maggio 1101) e Cesarea (31 maggio).
Dall'Egitto si svolse allora un'energica offensiva musulmana: Baldovino vinse gli Egiziani ad Ascalona (7 settembre 1101), ma, inferiore per numero, fu vinto ad ar-Ramlah: si salvò ad Arsuf e per mare burrascoso a Giaffa, dove raccolse forze e ricacciò i nemici con l'aiuto di una flotta di pellegrini inglesi allora giunti. La figura gigantesca, il valore, l'ostentata celebrazione delle solennità resero il re presto popolare e temuto in tutto l'Oriente islamico. A Giaffa (27 agosto 1105), ad Ascalona (ottobre 1106), ad ar-Ramlah (1107) inflisse nuove sconfitte agli Egiziani, mentre a Tiberiade batteva i Turchi di Damasco (1107). Per assicurare le comunicazioni di Gerusalemme con i principati latini della Siria settentrionale, attaccò Acri nel 1103 e l'ebbe per capitolazione nel maggio 1104, mentre Tiro (maggio 1108) e Sidone (agosto 1108) furono salvate dalla comparsa di flotte egiziane o da scorrerie dei Turchi di Damasco. Fra una spedizione e l'altra, Baldovino attendeva ad organizzare il regno, assistito dal cancelliere Arnolfo. Intervemie ripetutamente nelle lotte degli stati latini del nord. Quando, nel 1109, giunse in Siria Bertrando di Tolosa, il re accorse in suo aiuto per occupare Tripoli (1° aprile 1109); pacificò poi Bertrando col conte Guglielmo Giordano e con Tancredi d'Antiochia, e questo con Baldovino d'Edessa; in soccorso del quale, gravemente minacciato dai Turchi di Aleppo, accorse nella regione dell'Eufrate nel 1110. Molto coltivò il re l'amicizia delle repubbliche marinare italiane, concedendo loro quartieri e privilegi commerciali nelle città marittime alla cui conquista avevano partecipato: Berito (Beirut) e Sidone. Tiro ed Ascalona resistettero invece energicamente a tutti gli attacchi cristiani. Dal 1112 al 1113, si svolse una nuova duplice offensiva musulmana, da Damasco e dall'Egitto. Ma essa fallì, per la mancanza di unità di azione più che per le forze cristiane. Baldovino che aveva ripudiato nel 1113 Arda, per sposare Adelaide di Monferrato, vedova di Ruggero duca di Sicilia, ripudiò poi anche Adelaide, nel 1117, quando, temendo di morire, si pentì di quel matrimonio illegale. Sebbene stanco ed esausto, Baldovino diresse una spedizione a sud verso l'Egitto: ammalatosi, volle ritornare a Gerusalemme per morirvi, ma giunto in lettiga a el-Arish, vi morì il 2 aprile. La sua salma venne deposta a Gerusalemme nel Santo Sepolcro, presso quella di Goffredo di Buglione.
Fu un visir dei califfi fatimidi d'Egitto. In latino il suo nome fu tradotto come "Lavendalius" o "Elafdalio".
Nacque a San Giovanni d'Acri, figlio di al-Badr al-Jamali, governatore armeno di Acri, che era stato il potente visir dei califfi fatimidi, a Il Cairo, dal 1074 fino alla sua morte nel 1094, quando al-Afdal ne fu nominato successore dall'Imam/Califfo al-Mustanir che, a sua volta, morì poco tempo dopo. «Badr ed al-Afdal sono i primi esempi di generali che detengono tutto il potere e nelle cui mani i califfi sono ridotti a marionette insignificanti, un fenomeno che caratterizza tutta la parte finale della storia dei Fatimidi.» Erede designato dell'Imam/Califfo era il suo figlio maggiore Nizar, un cinquantenne. Piuttosto che rischiare di dover condividere con lui il potere, al-Afdal però preferì sostenere il figlio cadetto ventenne, che mise sul trono califfale con il titolo di al-Mustali. La corte, i notabili del Cairo e la missione (dawa) ismailita riconobbero al-Mustali come nuovo califfo ed imam ismailita. La voce che al-Mustansir avesse cambiato parere in merito al nome del suo successore e la testimonianza della sorella del califfo sostennero questa operazione. Al-Afdal attaccò poi Alessandria, dove Nizar aveva trovato rifugio ed appoggio; inizialmente fallì e fu respinto fino alla periferia de Il Cairo, ma alla fine del 1095 al-Afdal tornò, pose sotto assedio Alessandria e questa volta riuscì a catturare Nizar, che condusse al Cairo, dove fu murato vivo per ordine di suo fratello al-Mustali; Nizar morì nella sua prigione nel 1097. Contemporaneamente fu ucciso anche suo figlio Nizar ibn Ali al-Hadi. Solo il figlio minore di Nizar scampò alla morte grazie a servitori fedeli che lo condussero in Persia dove si rifugiò ad Alamut, ospite di Hasan-i Sabbah, che ne ebbe cura e lo crebbe in gran segreto, perpetuando così la linea successoria dell'Ismailismo nizarita.
All'epoca il potere fatimide in Palestina era stato ridotto dall'arrivo dei Turchi selgiuchidi, ma nel 1097 al-Afdal conquistò Tiro togliendola ai Selgiuchidi. Nel 1098, approfittando delle difficoltà dei Selgiuchidi, alle prese con la Prima crociata, al-Afdal Shahanshah attaccò la Palestina e, nel luglio 1098, mise sotto assedio Gerusalemme, che suo padre aveva perduto nel 1078 cercando vanamente di piegare i Selgiuchidi guidati da Tutush. Quest'ultimo aveva affidato il governatorato della città ad Artuq (fondatore della dinastia degli Artuqidi) e poi ai suoi figli Soqman ed Il Ghazi che, il 26 agosto 1098, furono costretti a capitolare e a consegnare la città. Al-Afdal espulse gli Artuqidi, ai quali fu permesso di raggiungere liberamente Damasco, e affidò la città ad uno dei suoi ufficiali, Iftikhar al-Dawla; così riportò la maggior parte della Palestina sotto il controllo dei Fatimidi, anche se per breve tempo. Al-Afdal, malgrado le sconfitte subite, rimase il vero arbitro del regime fatimide durante il tutto il regno di al-Mustali, fino al 1101. Al-Afdal commise un grave errore di valutazione sulla natura dell'invasione della Terra Santa da parte dei Crociati, che scambiò per mercenari bizantini e considerò naturali alleati contro il comune nemico, i turchi selgiuchidi. Gli approcci dei Fatimidi per un'alleanza con i cristiani furono respinti e i Crociati continuarono verso sud da Antiochia verso Gerusalemme. Quando divenne evidente che non si sarebbero fermati prima di aver conquistato la città, al-Afdal mosse da Il Cairo, ma era troppo tardi per salvare Gerusalemme, che cadde il 15 luglio 1099. Il 12 agosto, i Crociati al comando di Goffredo di Buglione sorpresero al-Afdal alla Battaglia di Ascalona e gli inflissero una sonora sconfitta. Al-Afdal poté riaffermare il controllo fatimide su Ascalona, poiché i Crociati non tentarono di tenerla, e la utilizzò come base logistica per i successivi attacchi agli Stati crociati. Al-Afdal mosse ogni anno contro il nascente Regno di Gerusalemme. Nel 1103 ottiene un primo successo contro Baldovino; nel 1105 tentò di instaurare una cooperazione con l'atabeg di Damasco ma senza risultato, fu sconfitto di nuovo a Ramla. Al-Afdal e il suo esercito conseguirono effimeri successi fintanto che nessuna flotta europea interferì, poi non colsero altre vittorie. Anche se egli mandò a combattere le sue truppe migliori perse gradualmente il controllo delle fortezze costiere e le città della Palestina caddero una dopo l'altra nelle mani dei Crociati. Nel 1109 Tripoli fu conquistata, nonostante la flotta e i rifornimenti inviate da al-Afdal, e divenne il centro di un'importante contea crociata. Nel 1110 il governatore di Ascalona, Shams al-Khilafa, si ribellò contro al-Afdal con l'intenzione di consegnare la città a Gerusalemme in cambio di un grosso compenso, ma le sue stesse truppe berbere lo assassinarono e mandarono la sua testa ad al-Afdal. Baldovino arrivò a spingersi nello stesso Egitto, dove razziò Pelusium, ma morì durante la ritirata (1118). In seguito i Crociati presero Tiro come pure San Giovanni d'Acri e rimasero a Gerusalemme per decadi, fino all'arrivo di Saladino. Fu soprannominato Jalal al-Islam (gloria dell'Islam) e Nair al-Din (Protettore della Religione). Ibn al-Qalanisi lo descrive come: « un fermo credente nelle dottrine della Sunna, retto nella condotta, un amante della giustizia sia nei confronti delle truppe che della popolazione civile, prudente nei consigli e nei progetti, ambizioso e risoluto, di penetrante conoscenza e dal tatto squisito, di natura generosa, preciso nelle sue intuizioni ed in possesso di un senso di giustizia che lo ha preservato dalle azioni malvagie e lo ha portato ad evitare tutti i metodi tirannici. » Nel dicembre 1121, al-Afdal fu aggredito per strada da tre nizariti venuti da Aleppo e morì poco dopo per le ferite. Secondo Ibn al-Qalanisi: « si dichiarò che i Nizariti erano i responsabili del suo assassinio, ma questa affermazione non è vera. Al contrario si tratta di un vuoto pretesto e di una calunnia senza fondamento. » La vera causa fu il risentimento per il potere di al-Afdal covato dal figlio dell'Imam/Califfo al-Mustali, che alla morte di quest'ultimo nel 1101, al-Afdal aveva messo sul trono, quando aveva solo cinque anni, con il titolo di al-Amir bi-ahkam Allah e che, divenuto adulto aveva deciso di sbarazzarsi del suo ingombrante visir. Ibn al-Qalanisi afferma che: « tutti gli occhi piansero e tutti i cuori si rattristarono per lui; il tempo non ha prodotto un suo simile dopo di lui, dopo la sua perdita il governo cadde in discredito. » Gli succedette come visir al-Mamun al-Bataihi.
Nell'anno medesimo infauste novelle giunsero in Palestina, recando che tre grandi eserciti di pellegrini, simili ad altrettante nazioni d'Occidente , erano periti nelle montagne e nei diserti dell'Asia Minore. Guglielmo conte dì Pontieri, Stefano cònte di Bloise, Stefanò cónte di Borgogna, Arpino signore di Bruggia, il corife di Niversa, Corrado contestabile dell'impero germanico, ed altri principi scampati a quel disastro e rifuggitisi in Antiochia a Tancredi, erarisi posti in cammino per fornire il loro pellegrinaggio ai luoghi santi. Baldovino avutone avvide, mosse loro incontro fino alle foci di Berito, dffine di tutelare il loro viaggio a Gerusalemme. Dove giunti furono molto miserevole spettacolo' al popolo, che considerava con terrore, soli o appena seguitati da pochi famigliari quegli illustri pellegrini ch'eransi mossi d'Europa con fioritissimi eserciti. Trattènnersi eglino alcuni mési in Giudea, e pochi giorni dopo le feste di Pasqua, andarono a Ioppe per ritornare in Europa.
Aspettavano colà il vento favorevole, quando giunse dvviso che i Mussulmani esciti di Ascalona, correvano i territori di Lidda e di Ramla. Il re che trovavasi a Ioppe raccoglie prestamente le sue genti e muove contro il nimico, seguitato dai predetti pellegrini; ne in tanta fretta potè condur seco più di dugento civalli. Dopo breve cammino trova i nemici che ascendevano al numero di circa ventimila; riè ragguardando a tanta loro superiorità, appicci la zuffa. Al primo urto i Cristiani sono presi in mezzo trucidati agevolmente, cadendo fra morti, il conte di Bloise e e quello di Borgogna. Guglielmo Tirense, raccontando la morte del conte di Bloise, dice: Aver Iddio usata a quello sventurato principe tutta la sua misericordia, permettendoli di espiare allora la vergogna della sua diserzione da Antiochia. Arpino conte di Bruggia fu fatto prigione col contestabile Corrado, il quale nella zuffa aveva dimostrata straordinaria vigoria, ammirata anco dai nemici e per cui gli fu perdonata la vita. Dicesi che prima della battaglia Arpino consigliasse prudentemente al re di non si cimentare a manifesto pericolo, e che il re gli rispondesse: Arpino, se hai paura vattene e ritornatene a Bruggia. I Cronisti attribuiscono la sconfitta di Baldovino al non si esser fatto procedere dalla Vera Croce.
Egli escito del campo di battaglia quasi solo, si nascose fra le erbe e i cespugli di che era ingombra la pianura; ma i vincitori avendovi posto il fuoco correndo pericolo di esser soffocato dalle fiamme, sì rifugiò in Ramla, favorito nella fuga dalle tenebre della notte. Il di appresso Ramla fu circondata dai Mussulmani nè si potea difèndere; e il rè consideravasi ormai come prigioniero degli assediatori; quando un incognito che pareva uomo d'alto affare, introdótto nella città, chiede udiènza a Baldovino, che credendosi nascosto, ammirato, gliene concedè. L'incognito intromesso parlò in questa Sentenza: Signore, mi conduce a te la gratitudine; tu usasti generosità a una moglie che io amo, tu l'hai resitutita alla sua famiglia dopo averle salvata la vita; ed io ti vengo a renderti il merito della tua buona azione. I Saraceni stringono la città, ove tu ripari, domani sarà prèsa, e ogni anima vivente che vi è dentro è destinata à morte. Io vengo a liberarti; so le strade che non son guardate, è i passi non presi, affrettati, il tempo fugge, vien mèco, è prima che sorgà il sole tu sarai in luogo di sicurezzà.
Di poco adunque Baldovino aveva ripassato il Giordano, quando ode d'in tra certe fronde escir voci come di donna che si rammarichi. Corre colà e trova veramente giovine donna che era ne'dolori del parto; onde egli fattosele presso, per amore della decenza la coperse subito del suo mantello, e dipoi fatto fare un comodo letto di tappeti ve l'adagiò sopra, confortandola di buone frutta e di quelle altre cose che il luogo e la circostanza permettevano fornire a tanta necessità. Posele oltreciò due otri piene di acqua da lato e la femmina d'un cammello per allattare il bambino che nacque appunto allora. Fatto ciò, perché la donna era mussulmana, le dette una schiava di sua religione che la custodisse « al suo sposo la riconducesse. Era lo sposo uomo di alto affare presso i Mussulmani , e quando rivide la moglie che credeva morta o ridotta in ischiavitù, ne pianse d'allegrezza e giurò di tenersi in petto l'azione generosa di re Baldovino: «quando giunse Baldovino al Giordano, alcuna di quelle tribù mussulmane trovavasi attendata sulle sponde e veggendo sopravvenire ri nimico, diedesi, precipitosamente alla fuga, rimanendo a dietro quella donna già impedita dai primi dolori del parto, sicché ritornando Baldovino dalla sua fazione oltre il Giordano, che sarà durata non molte ore, trovava la detta donna omai sul punto di figliare', mentre il marito di lei, credendola morta o caduta in ischiavitù, seguitava la fuga della sua tribù». Baldovino stette dapprima alquanto dubbioso; ma esortato dai compagni a fidarsi dell'emiro, lo seguitò e con luì esci dalla città. Protetto dalle tenebre, con la sua guida fedele sempre a fianco, prende le vie più inusitate e remote, esce di pericolo; e col nuovo sole trovasi giunse ad Arsura, ovè l'Emiro pagato il debito della gratitùdine, prèse da lui congedo.
Tratto da:
"Storia delle crociate" scritta da Giuseppe Francesco Michaud, Volume 1, Firenze 1842