Battaglie In Sintesi
349 a.C.
Console (348 a. C.); il soprannome gli venne, si narra, dall'aiuto che un corvo gli diede in un duello con un gigantesco Gallo (349), che Valerio riuscì a uccidere. Fu sei volte console, più volte dittatore. Prese (346) Satricum e vinse i Volsci, poi (343) batté i Sanniti presso il Gauro e Suessola e (301) trionfò su Marsi ed Etruschi. Promulgò (300) la lex Valeria de provocatione che vietava le pene corporali o di morte contro un cittadino romano senza giudizio dell'assemblea popolare. Sarebbe vissuto più di 100 anni. Le sue imprese sembrano esagerate dall'annalista Valerio Anziate.
L. Furius M. f. Camillus era figlio del conquistatore di Veio. Prese parte col padre alla guerra contro i Volsci nel 389 a. C., ed eletto nel 350 dittatore per presiedere le elezioni consolari per il 349, fece eleggere, contro le leggi Licinie-Sestie, due patrizi, sé stesso e Appio Claudio Crasso. Rimasto solo per la morte del collega, combatté nel 349 contro i Galli che s'erano installati sui colli Albani, e in questa occasione sarebbe avvenuto il duello fra M. Valerio Corvo e un capo gallo, seguito da una grande vittoria dei Romani, dopo la quale i Galli si dispersero. Il Niebuhr (Römische Geschichte, III, p. 90) riferiva a lui la notizia di Aristotele in Plutarco, Camillo, 22, 4, che un Lucio avrebbe salvato Roma dai Galli. Camillo dovette anche combattere pirati greci che infestavano il Lazio. Dittatore per la seconda volta nel 345, guerreggiò contro gli Aurunci, e votò un tempio a Giunone Moneta, che dedicò l'anno seguente.
Prima che i nuovi consoli entrassero in carica, Popilio celebrò il trionfo sui Galli con entusiasmo da parte dei plebei che, mormorando tra loro, domandavano se qualcuno rimpiangesse la nomina di quel console plebeo. Nel contempo però si lamentavano di Camillo cui rimproveravano di essersi fatto nominare console quando era ancora dittatore, conquistandosi, in spregio alla legge Licinia, un premio più infamante per la sua avidità personale che per il danno dello Stato. Quell'anno rimase nella storia per molti e svariati sommovimenti. I Galli, non essendo in grado di sopportare i rigori dell'inverno, erano scesi dai monti Albani disperdendosi a razziare le campagne e i litorali. Il mare, così come la costa di fronte ad Anzio e la zona di Laurento, erano infestati da flotte greche, al punto che una volta pirati di mare e predoni di terra si scontrarono in una battaglia dall'esito incerto, al termine della quale i Galli rientrarono all'accampamento e i Greci fecero ritorno alle navi, senza poter stabilire né gli uni né gli altri se fossero usciti vinti o vincitori. Ma l'allarme di gran lunga più preoccupante fu causato dalle assemblee che le tribù latine tenevano nel bosco di Ferentina e dalla risposta data dalle stesse a una richiesta di truppe ausiliarie avanzata dai Romani. I Latini mandarono a dire di non dare più ordini ai popoli del cui aiuto i Romani avevano bisogno: quanto a loro, avrebbero imbracciato le armi in difesa della propria libertà piuttosto che per sostenere una dominazione straniera. Con lo Stato contemporaneamente coinvolto in due guerre esterne e, in più, con la preoccupazione che veniva dalla defezione degli alleati, il senato, rendendosi conto di dover ricorrere all'intimidazione per tenere a freno chi non aveva osservato gli accordi, ordinò ai consoli di ricorrere a tutti i poteri in loro possesso per effettuare una leva militare, poiché la diserzione degli alleati rendeva necessario il ricorso a un esercito di cittadini. Stando alle fonti, vennero arruolati giovani non solo in città ma anche nelle campagne, coi quali vennero formate dieci legioni di 4200 fanti e di 300 cavalieri ciascuna, un esercito quale le attuali forze del popolo romano (cui appena basta lo spazio del mondo intero), se si presentasse una minaccia dall'esterno, non riuscirebbero facilmente ad allestire nemmeno se raccolte tutte insieme. A tal punto siamo riusciti a migliorare solo nei mali che ci affliggono, e cioè il lusso e la ricchezza. Tra i molti altri eventi che funestarono l'anno, ci fu la morte di Appio Claudio, uno dei due consoli, nel pieno dei preparativi di guerra. Il potere passò allora a Camillo, cui, in qualità di console unico - sia per l'alta considerazione di cui egli godeva e che non si riteneva subordinabile all'autorità di un dittatore, sia per il felice augurio costituito dal suo soprannome in relazione all'attacco dei Galli - i senatori non ritennero conveniente affiancare un dittatore. Il console assegnò due legioni alla difesa della città e divise le altre otto con il pretore Lucio Pinario. Memore del valore dimostrato dal padre, si accollò il comando della spedizione contro i Galli senza ricorrere al sorteggio, ordinando al pretore di salvaguardare il litorale e di impedire ai Greci di sbarcare. Disceso quindi nell'agro Pontino, non volendo affrontare il nemico in pianura se non per assoluta necessità, convinto di poter adeguatamente domare i Galli impedendo loro le razzie (cui i barbari erano costretti per sopravvivere), scelse un luogo adatto per porre un accampamento fisso.
Mentre i Romani ingannavano tranquillamente il tempo in servizi di guardia, si fece avanti un Gallo, di notevole prestanza fisica e armamento. Ottenuto il silenzio con un colpo di asta sullo scudo, il barbaro, con l'aiuto di un interprete, sfidò i Romani a scegliere un uomo che si battesse con lui. C'era un giovane tribuno dei soldati di nome Marco Valerio il quale, non ritenendosi meno degno di ottenere quell'onore di quanto lo fosse stato Tito Manlio, chiese l'autorizzazione al console, e, prese le armi, avanzò nel mezzo. Ma un intervento degli dei tolse valore a quello scontro tra uomini. Mentre il Romano stava già per lanciarsi all'assalto, un corvo improvvisamente andò a posarglisi sull'elmo, rivolgendosi verso il nemico. Subito il tribuno accolse con gioia l'evento, come un segno augurale inviato dal cielo, poi pregò che chiunque - dio o dea - gli avesse mandato quel buon augurio, lo assistesse col proprio favore e la propria protezione. Incredibile a dirsi, l'uccello non solo mantenne la posizione occupata inizialmente, ma ogni qualvolta i duellanti arrivavano a distanza ravvicinata si levava in volo andando a colpire con il becco e gli artigli la bocca e gli occhi dell'avversario. Fino a quando il soldato gallico, terrorizzato alla vista di un simile prodigio che gli offuscava insieme la mente e gli occhi, venne colpito a morte da Valerio, mentre il corvo volò via verso oriente scomparendo alla vista. Fino a quel momento le due parti avevano assistito al duello in silenzio. Ma non appena il tribuno cominciò a spogliare il corpo del nemico ucciso, i Galli non rimasero più dov'erano e i Romani furono ancora più veloci nel correre verso il vincitore.
Si formò una mischia intorno al cadavere del campione gallico e scoppiò una battaglia furibonda che non rimase circoscritta ai manipoli dei più vicini posti di guardia, ma fu combattuta dalle legioni riversatesi nella zona da entrambi le parti. Ai soldati felici per la vittoria del tribuno ma anche per il sostegno fornito in quel momento dagli dei Camillo diede allora ordine di gettarsi all'assalto. E indicando il tribuno, che indossava le spoglie del nemico, disse: "Imitatelo, soldati, fate strage dei Galli, a mucchi intorno al loro comandante!". A quella battaglia presero parte uomini e dei, e il combattimento non lasciava dubbi sulla vittoria finale, tanto il risultato del duello aveva indicato ad ambedue le parti l'esito della battaglia. Tremendo fu l'urto di quelli che dettero inizio allo scontro, trascinandosi dietro gli altri. Il resto dei Galli si diede alla fuga prima di arrivare a tiro. Dispersi in un primo tempo nel territorio dei Volsci e per l'agro Falerno, i fuggitivi si diressero poi verso l'Apulia e il mare Tirreno. Convocati i suoi uomini, il console elogiò il tribuno e gli fece dono di dieci buoi e di una corona d'oro.
Poi, per ordine del senato, Camillo andò a occuparsi della guerra sul litorale, unendo le proprie forze a quelle del pretore. Ma siccome lì sembrava che la campagna andasse per le lunghe, con i Greci che non avevano intenzione di affrontare uno scontro aperto, il senato autorizzò il console a nominare dittatore Tito Manlio Torquato, in modo che si potessero tenere le elezioni. E il dittatore, nominato maestro di cavalleria Aulo Cornelio Cosso, presiedette le elezioni consolari e annunciò, tra l'entusiasmo del popolo, che la scelta era caduta su un giovane di trentatré anni, quel Marco Valerio Corvo (dopo il duello portava ormai questo soprannome) che, in sua assenza, ne aveva emulato le gesta gloriose. Come collega di Corvo venne nominato il plebeo Marco Popilio Lenate, destinato a rivestire la carica per la quarta volta. Contro i Greci Camillo non fece nulla che sia degno di essere ricordato: non erano un popolo che prediligesse il combattimento sulla terraferma, così come i Romani non amavano quello in mare aperto. Ma alla fine, rimasti senz'acqua e senza il necessario per la prolungata assenza da terra, i Greci abbandonarono l'Italia. Non è chiaro a quale popolo e a quale razza appartenesse quella flotta. Personalmente sarei portato a credere che fosse dei tiranni siculi, perché in quel tempo la Grecia vera e propria, travagliata da lotte intestine, era già minacciata dalla potenza macedone.