Battaglie In Sintesi
296 a.C.
È stato un politico e militare romano. Fu eletto console nel 307 a.C., con il collega Appio Claudio Cieco. Mentre Appio rimaneva a Roma, e a Quinto Fabio Massimo Rulliano, console dell'anno precedente, era stato prolungato l'incarico nel Sannio, a Lucio venne affidata la guerra contro i Sallentini, durante la quale i romani ebbero la meglio in parecchi scontri e presero con la forza numerose città nemiche. Fu eletto una seconda volta nel 296 a.C., sempre con Appio Claudio Cieco come collega. Mentre a Volumnio era toccata la campagna nel Sannio, ad Appio, toccò quella in Etruria, dove i popoli Etruschi si erano nuovamente sollevati, in seguito all'arrivo di un grosso esercito Sannita. Dopo aver fronteggiato gli eserciti nemici in piccole scaramucce di poco conto, all'esercito romano in Etruria guidato da Appio, arrivò l'aiuto di quello condotto da Volumnio, arrivato dal Sannio, dove si era inizialmente recato, avendo lasciato ai due consoli dell'anno precedente il potere proconsolare, con l'incarico di tenere il Sannio. Nonostante l'inimicizia tra i due consoli, l'esercito romano riunito ebbe la meglio su quello Etrusco-Sannita. Nel 295 a.C., con poteri proconsolari, sconfisse i Sanniti nei pressi di Triferno, e successivamente, insieme all'altro proconsole Appio Claudio, quanto restava dell'esercito Sannita, scampato alla battaglia del Sentino, in uno scontro in campo aperto, nei pressi di Caiazia
È stato un politico e letterato romano, nato di nobili origini in quanto membro dell'antica gens Claudia. Fu un personaggio particolarmente significativo, caratterizzato da una marcata sensibilità verso la società greca, che lo portò ad intendere la fusione tra di essa e il mondo romano come un profondo arricchimento per l'Urbe. Fu il primo intellettuale latino, dedito all'attività letteraria e interessato alla filosofia, nella tradizione romana arcaica considerate attività infruttuose ed indegne di un civis. Percorse un brillante cursus honorum, in quanto rivestì quasi tutte le più importanti cariche pubbliche e militari. Fu censore nel 312 a.C., e console nel 307 e nel 296 a.C., sempre con Lucio Volumnio Flamma Violente come collega. Mentre a Voluminio era toccata la campagna nel Sannio, ad Appio, toccò quella in Etruria, dove i popoli Etruschi si erano nuovamente sollevati, in seguito all'arrivo di un grosso esercito Sannita. Dopo aver fronteggiato gli eserciti nemici in piccole scaramucce di poco conto, all'esercito romano in Etruria arrivò l'aiuto di quello condotto da Volumnio, arrivato dal Sannio, dove si era inizialmente recato. Nonostante l'inimicizia tra i due consoli, l'esercito romano riunito ebbe la meglio su quello Etrusco-Sannita. Nel 295 a.C., con poteri proconsolari, insieme all'altro proconsole Lucio Volumnio Flamma Violente, sconfisse quanto restava dell'esercito Sannita, scampato alla battaglia del Sentino, in uno scontro in campo aperto, nei pressi di Caiazia. Fu inoltre dittatore nel 292 e nel 285 a.C. Ebbe un ruolo rilevante nelle guerre contro Etruschi, Latini, Sabini e Sanniti, che sconfisse in battaglia nel 296 a.C.
A lui si deve la costruzione del primo acquedotto, l'Aqua Appia, della via Appia, che da lui prese nome e che rappresenta una chiara traccia dell'interesse di Appio Claudio per un'espansione romana verso la Magna Grecia, e del tempio di Bellona. Pur essendo un patrizio appartenente all'alta aristocrazia romana, aprì in qualità di censore il senato ai cittadini di bassa estrazione sociale e ai figli di liberti. Combattendo le istanze più conservatrici della società romana, decise anche di ripartire i cittadini tra le classi previste dall'ordinamento centuriato tenendo in considerazione i beni mobili oltre che le proprietà terriere. Permise, inoltre, agli abitanti humiles di Roma di iscriversi alle tribù rustiche, che erano precedentemente controllate dai membri dell'aristocrazia terriera. Di lui si ricorda la grande abilità oratoria: fu una sua orazione del 280 a.C., in senato, a dissuadere i Romani dall'accettare le proposte di pace di Pirro. Per sua iniziativa nel 304 a.C. fu pubblicato a cura del suo segretario Gneo Flavio il civile ius, il testo delle formule di procedura civile (legis actiones), chiamato Ius Flavianum e il calendario in cui erano distinti i dies fasti e dies nefasti.
Mentre nel Sannio venivano compiute queste imprese (non importa sotto il comando e gli auspici di chi), in Etruria molti popoli stavano preparando una grossa guerra contro i Romani; la mente dell'operazione era il sannita Gellio Egnazio. Quasi tutti gli Etruschi avevano deciso di prendere parte a quel conflitto, che aveva contagiato le popolazioni della vicina Umbria, e anche truppe ausiliarie formate da Galli attirati dai soldi. Tutta questa gente si stava radunando presso l'accampamento dei Sanniti. Quando la notizia dell'improvvisa sollevazione arrivò a Roma - dato che il console Lucio Volumnio era già partito alla volta del Sannio con la seconda e la terza legione e con 15.000 alleati -, si decise che Appio Claudio partisse quanto prima per l'Etruria. Lo seguivano due legioni, la prima e la quarta, e 12.000 alleati. L'accampamento venne posto non lontano dal nemico. L'arrivo del console servì più perché giunse opportunamente a trattenere con la sola paura del nome di Roma alcune popolazioni dell'Etruria che avevano già intenzione di entrare in guerra, che perché sotto il suo comando fosse stata realizzata qualche abile o riuscita operazione. Molti scontri si svolsero in punti e momenti sfavorevoli, e i nemici, fiduciosi com'erano nelle proprie forze, diventavano giorno dopo giorno sempre più temibili. Ormai si era già quasi arrivati al punto che i soldati romani non avevano fiducia nel comandante, né il comandante nei soldati. In tre diversi annalisti ho trovato che Appio avrebbe inviato al collega un messaggio col quale lo richiamava dal Sannio. Tuttavia non mi sento di accettare come vera la notizia, perché i due consoli romani - che ricoprivano quella stessa carica già per la seconda volta - si trovarono in disaccordo sullo svolgimento dei fatti: Appio negava di aver mandato il messaggio, mentre Volumnio sosteneva di esser stato convocato da una lettera di Appio. Volumnio aveva già espugnato nel Sannio tre piazzeforti, uccidendovi circa 3.000 nemici e facendone prigionieri 1.500. In Lucania c'era poi stata un'insurrezione organizzata da plebei e indigenti: a sedarla, con grande soddisfazione degli ottimati, era stato Quinto Fabio, spedito in quella zona come proconsole, con il vecchio esercito. Volumnio lasciò al collega l'incarico di mettere a ferro e fuoco il territorio nemico, e partì coi suoi uomini per l'Etruria, per raggiungervi il collega. Il suo arrivo venne salutato con entusiasmo da tutti. Ma Appio che, immagino, in base alla sua coscienza avrebbe dovuto o sentirsi a buon diritto in collera (nel caso non avesse scritto nulla), oppure dimostrarsi ingiusto e ingrato (qualora stesse cercando di nascondere la cosa pur avendo chiesto soccorso), gli andò incontro senza ricambiare il saluto e disse: "Come va, Lucio Volumnio? E la situazione nel Sannio? Cosa ti ha spinto ad abbandonare il fronte di guerra che ti è stato assegnato?". Volumnio replicò che le cose nel Sannio procedevano bene, e aggiunse di essersi presentato perché convocato da un suo messaggio. Se però si trattava di un falso allarme, e non c'era bisogno di lui in Etruria, allora sarebbe immediatamente ripartito. "Vai pure, allora", replicò Appio, "nessuno ti trattiene: non ha senso che tu, che sei a malapena in grado di fronteggiare la tua campagna, ti debba vantare di esser venuto a portare aiuto agli altri". Augurandosi che Ercole potesse fare andare tutto per il meglio, Volumnio disse che preferiva aver perduto tempo invano, piuttosto che fosse successo qualcosa per cui in Etruria un solo esercito consolare non fosse sufficiente.
Mentre erano già sul punto di congedarsi, i due consoli vennero circondati dai luogotenenti e dai tribuni dell'esercito di Appio. Alcuni di essi imploravano il loro comandante di non respingere l'aiuto offerto spontaneamente dal collega (aiuto che sarebbe stato necessario richiedere); la maggior parte, attorniando Volumnio in atto di partire, lo supplicava di non tradire il paese per un'insulsa rivalità col collega: se solo ci fosse stato qualche disastro, la responsabilità sarebbe stata addossata più su chi aveva abbandonato l'altro che su chi era stato abbandonato. La situazione era tale, che ormai tutto il merito di un successo o il disonore di un insuccesso sarebbero toccati a Lucio Volumnio. Nessuno si sarebbe preoccupato di sapere quali fossero state le parole di Appio, ma solo quale sorte fosse toccata all'esercito. Appio lo aveva congedato, ma a trattenerlo erano la repubblica e l'esercito: bastava solo mettesse alla prova la volontà dei soldati. Con queste parole di monito e queste suppliche essi riuscirono a trascinare nell'assemblea i due consoli riluttanti. Là vennero pronunciati dei discorsi più argomentati, ma identici nella sostanza a quelli già pronunciati nella discussione ristretta. E poiché Volumnio, il quale aveva maggiori ragioni, quanto a doti oratorie non sembrava meno dotato del brillante collega, Appio disse ironicamente che i soldati gli dovevano gratitudine, se ora avevano un console eloquente, da muto e senza lingua ch'era prima: nel corso del precedente consolato, non era mai riuscito ad aprire bocca, mentre adesso teneva discorsi che conquistavano il favore delle masse. Volumnio allora ribatté: "Come preferirei che tu avessi imparato da me ad agire con decisione, piuttosto che io da te a esprimermi in maniera raffinata!". Poi propose di stabilire in questo modo chi dei due fosse non tanto il miglior oratore (non di questo aveva bisogno lo Stato), quanto il miglior generale: poiché le zone di operazione erano l'Etruria e il Sannio, Appio scegliesse pure quella che preferiva. Lui, Volumnio, con il suo esercito avrebbe condotto la campagna indifferentemente sia in Etruria che nel Sannio. Allora i soldati cominciarono a gridare che la guerra contro gli Etruschi doveva essere condotta collegialmente da entrambi. E Volumnio, vedendo che tutti erano di questo avviso, disse: 'Poiché ho sbagliato nell'interpretare le intenzioni del collega, non lascerò che restino dubbi circa le vostre: fatemi capire col vostro grido se preferite che io resti oppure che me ne vada". L'urlo che allora si levò fu così potente, che i nemici uscirono dalle tende e presero le armi andandosi a schierare in campo. Anche Volumnio fece dare il segnale di battaglia e ordinò di uscire dall'accampamento.
Pare che Appio abbia avuto un attimo di esitazione, constatando che la vittoria sarebbe stata merito del collega, che egli intervenisse nel combattimento o no. Poi, temendo che le sue legioni seguissero Volumnio, diede anch'egli il segnale di battaglia ai suoi che lo stavano chiedendo con impazienza. I due eserciti non avevano potuto schierarsi in maniera ordinata. Infatti da una parte il comandante dei Sanniti si era allontanato con alcune coorti per andare alla ricerca di rifornimenti e i soldati si gettavano nella mischia seguendo più l'stinto che gli ordini e la guida di un comandante; dall'altra, gli eserciti romani non erano stati portati in linea di combattimento nello stesso istante e non c'era stato nemmeno il tempo sufficiente perché le forze venissero schierate. Volumnio si scontrò col nemico prima dell'arrivo di Appio, e così nel fronte di combattimento non ci fu continuità. E poi, come se il destino avesse voluto invertire i nemici di sempre, gli Etruschi andarono a fronteggiare Volumnio, mentre i Sanniti, dopo un attimo di esitazione per l'assenza del loro comandante, si presentarono nella zona di Appio. Pare che nel pieno dello scontro Appio levò le mani al cielo tra le prime file (in modo che tutti lo vedessero), pronunciando questa preghiera: "O Bellona, se oggi ci garantisci la vittoria, prometto di dedicarti un tempio". Dopo aver rivolto questa preghiera, quasi lo sospingesse la dea, eguagliò il collega in atti di valore, e i suoi uomini furono pari al generale. I comandanti fecero il loro dovere, mentre i soldati si impegnarono al massimo perché la vittoria non avesse inizio dall'altra parte dell'esercito. Così travolsero e misero in fuga i nemici, che non potevano reggere l'urto di forze superiori a quelle con cui di solito combattevano in passato. Incalzandoli quando cominciavano a cedere e poi inseguendoli mentre fuggivano disordinatamente, li ricacciarono verso l'accampamento. Lì l'arrivo di Gellio e delle coorti sannite fece sì che la battaglia si riaccendesse per un po' di tempo. Ma anche queste nuove forze vennero in breve sopraffatte, e i vincitori si lanciarono all'assalto dell'accampamento. Mentre Volumnio in persona spingeva le sue truppe contro la porta, e Appio infiammava gli animi dei suoi soldati continuando ad acclamare Bellona vincitrice, fecero breccia attraverso il terrapieno e il fossato. L'accampamento fu preso e saccheggiato. Il bottino prelevato fu cospicuo e venne lasciato ai soldati. Furono uccisi 7.800 nemici, fatti prigionieri 2.120.
Mentre entrambi i consoli e tutte le forze romane erano impegnati sul fronte della guerra etrusca, i Sanniti, allestito un nuovo esercito, cominciarono a mettere a ferro e fuoco i territori soggetti al dominio romano: scesi in Campania e nell'agro Falerno attraverso il territorio dei Vescini, colsero un ingente bottino. Mentre Volumnio stava rientrando nel Sannio a marce forzate - per Fabio e Decio si stava già infatti avvicinando il termine della proroga dell'incarico -, le notizie relative all'esercito sannita e alle devastazioni nel territorio campano lo fecero deviare per andare a proteggere gli alleati.
Bibliografia:
"Ab Urbe Condita", Tito Livio, Libro X