Battaglie In Sintesi
397 a.C.
Ammiraglio siracusano, fratello di Dionisio I. Ebbe parte notevole nelle guerre contro i Cartaginesi nei primi vent'anni del IV secolo a.C. Comandò come luogotenente del fratello la flotta siracusana all'assedio di Mozia (397) e, dopo la caduta di questa città, fu lasciato con 130 triremi sulle coste occidentali della Sicilia a vigilare le mosse dei Cartaginesi e assediare Egesta ed Entella. Nell'anno seguente assalì con sole 30 triremi la flotta cartaginese che si appressava all'isola, mandò a picco molte navi, ma non poté impedire lo sbarco del nemico. Trasferitasi la lotta sulla costa orientale, Leptine si fece incontro nelle acque di Catania alla flotta cartaginese, che veniva dallo Stretto, combatté con audacia, ma fu circondato dal nemico e costretto a rifugiarsi a Siracusa. Durante l'assedio di questa città contribuì, insieme col lacedemone Faracida, alla distruzione delle navi puniche ancorate nel porto. Mandato a sostenere i Lucani contro gl'Italioti, rappacificò gli uni con gli altri, e per questo cadde in disgrazia di Dionisio, che gli tolse il comando e lo mandò in esilio. Leptine si domiciliò a Turii. Fu poi richiamato, e perì nella battaglia di Cronio, combattendo valorosamente (383).
Ammiraglio cartaginese (V-IV secolo a.C.). Combatté Dionisio I di Siracusa nel 397 a.C., in seguito nel 393-392 a.C. e più tardi nella battaglia di Cabala (383, o secondo altri 374 a.C.), ove morì da valoroso. Il suo apporto, particolarmente come ammiraglio nella battaglia navale di Catania, fu fondamentale per la campagna di Imilcone del 397 a.C.
Del rimanente i Siculi, già dianzi avversi a Dionigi, ed allora avendo comoda occasione, tutti si diedero al partito de' Cartaginesi, eccettuatine i soli Assorini. E Dionigi intanto chiamati a libertà i servi, ne empi sessanta navi: trasse dai Lacedemoni più di mille stipendiati; e fortificò le castella del territorio, visitandole tutte, e provvedendole di frumento. Ma spezialmente con gran diligenza fortificò le rocche de' Leontini, e le riempi di biade raccolte dalle campagne adjacenti; e persuase ai Campani, che in quel tempo stavano in Catania, di passare nella città, che chiamasi Etna, attesa la fortezza singolare del luogo. Dopo di che portatosi coll'esercito da centosessanta stadj fuori di Siracusa, si accampò al sito, che chiamasi Tauro, avendo allora sotto i suoi stendardi trentamila fanti, e più di tremila cavalli; ed in oltre cent'ottanta navi, tra le quali v'erano poche triremi. Imilcone intanto rovesciato ogni avanzo di mura di Messana, ordinò a'suoi soldati di demolirne tutti gli edifizj a modo, che non rimanesse né tegola, né legname, né reliquia veruna, ma abbruciassero, o rompessero tutto. Nè tardò ad essere pienamente eseguito quell'ordine stante l'infinita moltitudine ch'egli avea seco: e a tale fu ridotta quella città, dianzi popolarissima, che non se ne vedeva più traccia. Del qual suo consiglio la ragione si fu il vedere, che la situazione di Messana era bensì lontana dalle altre città confederate, ma però la più comoda di quante potevano vedersi in Sicilia: onde nella circostanza l'uno de' due partiti credeva egli dover prendere, o di desolarla così che non potesse essere più abitata, o almeno di trattarla in maniera, che tempo e fatica grandissima vi volesse a ristaurarla. Per questa distruzione di Messana avendo costui abbastanza chiaramente manifestato di che odio ardesse contro i Greci, ordinò a Magone, ammiraglio, che coll'armata navigasse verso il colle, che chiamasi Tauro, occupato allora dai Siculi con gran numero di gente, ma senza condottiere fisso. A costoro in addietro avea Dionigi conceduto il territorio dei Nassj: ma allora si erano posti su quel colle fidati alle promesse d'Imilcone: il qual colle, essendo per natura forte, non solamente in quell'incontro, ma anche dopo questa guerra, essi abitarono, avendolo cinto di muro, e la città fondatavi dal loro restare presso il Tauro chiamarono Tauromenio. Imilcone adunque, preso seco l'esercito, a marcie forzate giunse al già indicato luogo de' Nassj, mentre Magone colle navi radeva la costa. Ma perché l'Etna di recente avea vomitato fuoco sino alla costa marittima, l'esercito non poteva più marciare in modo da avere vicina al lido l'armata; perciocché abbruciati e rotti i luoghi marittimi dal diluvio di fuoco uscito dell'Etna, la necessità obbligava le truppe a piedi a circuir la montagna. Dà egli dunque ordine a Magone di navigar verso Catania; ed egli per l'interno del paese camminando sollecito, s'affretta di andare ad unirsi col l'armata presso la spiaggia di quella città; poiché avea paura, ch'essendo separata troppo l'armata dall'esercito, i Siculi attaccassero Magone per mare, siccome appunto accadde. Imperciocché Dionigi, sapendo che Magone avrebbe navigato alquanto lento, e che l'esercito dovea fare un cammino lungo e faticoso, andò rapidamente a Catania, prima che vi arrivasse Imilcone, onde potere far egli con Magone la giornata navale. Perciocchè sperava di mettere a' suoi fiducia mostrando sul lido bene schierato il suo esercito, e paura maggiore ai nemici; e quello che è più, in caso di sinistro evento faceva conto che le navi, che avessero sofferto, un rifugio sicuro troverebbero presso il suo esercito. Così disposte le cose manda Leptine con tutta l'armata contro il nemico, ordinandogli che strette insieme le navi venga a battaglia, nè rallenti in alcuna maniera le sue file per non cadere in qualche pericolo considerando la troppa moltitudine de' nemici; giacché Magone avea non meno di cinquecento legni tra navi da carico, e rostrate, e d'ogni altra sorta. I Cartaginesi adunque tosto che videro tutto il lido pieno subitamente di genti, e l'armata de' Greci dirigersi alla loro volta, incominciarono a costernarsi non poco , e a voltare indietro le prore. Ma considerando poi sovrastar loro estremo pericolo, se avessero a combattere e coll'armata e coll'esercito, mutata risoluzione stabilirono di tentare la fortuna di una battaglia navale, e disposte in ordine le loro navi aspettarono l'inimico.
Allora Leptine con trenta navi, le migliori ch'egli avesse, facendosi innanzi prima di tutti, incomincia la battaglia con molta forza, è vero, ma imprudentemente; e d'improvviso assaltata la prima fila, da principio affondò non poche triremi nemiche. Ma quando l'armata di Magone venne addosso a quelle trenta navi, grande fu sivvero il valore dalla parte di Leptine, ma fu maggiore la quantità delle navi africane. Perciò nato aspro combattimento, mentre i capitani accostavano le navi assai le une alle altre, quel combattimento avea il vero aspetto di una battaglia terrestre: ché mancando intervallo non poteasi menar di rostri contro i legni nemici; ma toccantisi l'una l'altra le prore, si menavano le mani da vicino di fronte a fronte. Quindi alcuni, mentre di un salto vogliono passare sulla opposta nave, precipitano in acqua: altri avendo potuto saltare, battonsi sulla tolda nemica. In fine Leptine non potendo più resistere a tanta moltitudine, è obbligato a gittarsi al largo fuggendo; e le rimanenti sue navi, scomposti gli ordini, e spinte fra nemici, vengono facilmente prese dai Cartaginesi: poiché l'andata del comandante supremo, già battuto, ispirava agli Africani fiducia, a' Siculi non poca paura. Finita così la battaglia, i Cartaginesi con gran forza inseguendo il nemico, gli ruppero più di cento navi; e come i legni da carico erano messi in fila verso il lido, li prendono, ed ammazzano quanti da questi legni cercavano notando di portarsi all'esercito. Onde perendo così molti non lontani da terra, poiché i soldati di Dionigi non potevano ajutarli, tutto quel luogo fu pieno di cadaveri, e di rottami di navi. Non pochi morti ebbero in quel fatto i Cartaginesi: ma dalla parte de' Siculi si perdettero più di cento navi, e più di ventimila uomini.
Dopo l'esito di quella battaglia, gli Africani fermarono le loro navi presso Catania, dove condussero anche le tolte ai nemici: e messe a terra le risarcirono; con che vennero non solo ad annunziare ai Cataniesi, ma a far loro vedere la grandezza della riportata vittoria. Or come i Siculi credettero, che la marcia da essi presa verso Siracusa potesse ritornare per loro in una specie di aspro assedio, e difficile da superare, istantemente domandarono a Dionigi, che tosto andasse ad attaccare Imilcone, poiché per sì repentino arrivo sarebbonsi spaventati i Barbari; ed egli li avrebbe tratti a pagare il fio della strage che aveano fatta de' suoi.