Battaglie In Sintesi
23 - 24 maggio 1915
I primi colpi di fucile della "Grande Guerra" furono esplosi alle 22,40 del 23 maggio 1915 dai finanzieri Pietro Dell'Acqua e Costantino Carta, sentinelle al ponte di Brazzano, sullo Judrio. La Guardia di finanza, partecipò alle operazioni con diciotto battaglioni ed altri reparti minori mobilitati, impiegati come unità di fanteria sul fronte trentino, in Carnia, sull'Isonzo e sul Carso. Distaccamenti speciali di sciatori si distinsero sull'Ortles e sulla Marmolada, unità navali operarono sul Lago di Garda, ed i reparti litoranei concorsero alla difesa costiera. Tre battaglioni parteciparono alla resistenza sul Piave e poi alla vittoriosa "Battaglia del solstizio" del giugno 1918, meritando alla Bandiera del Corpo la prima ricompensa al Valor Militare. Altri tre operarono con il corpo di spedizione in Albania. Dopo la fine delle ostilità, la Guardia di finanza, oltre a provvedere alla vigilanza lungo la linea di armistizio ed all'organizzazione del servizio d'istituto nelle nuove province annesse, inviò reparti in Dalmazia, in Albania ed in Anatolia. Due compagnie furono autorizzate a permanere a Fiume occupata dai volontari di D'Annunzio, uniche unità regolari incaricate della protezione della popolazione civile e del controllo dell'area portuale. Su un totale di circa 12.000 mobilitati (la metà dell'organico del Corpo) si contarono 2.392 caduti, 500 mutilati ed invalidi e 2600 feriti.
Nell'estate del 1914 dopo l'assassinio dell'Arciduca d'Austria, Francesco Ferdinando, scatta in tutta Europa e non solo, un complesso sistema d'alleanze militari, nelle quali, in un secondo momento, anche l'Italia verrà coinvolta. La monarchia austro-ungarica, era retta, da più di 65 anni, dal vecchio Francesco Giuseppe; dopo la tragica morte del figlio Rodolfo, a Mayerling, l'erede al trono divenne di conseguenza lo stesso Francesco Ferdinando d'Este, che, in quanto rappresentate del futuro potere asburgico, avrebbe continuato, teoricamente, a mantenere sotto il proprio controllo le popolazioni slave, e serbe in particolare, di buona parte della penisola balcanica. I colpi esplosi da Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914 a Sarajevo, uno studente di nazionalità austro ungarica, ma che portava addosso con se l'emblema di un'associazione terroristica panserba, non solo interromperanno la vita del giovane arciduca e di sua moglie Sofia, ma anche la sua idea (ipotetica) di portare magiari, austriaci e slavi balcanici sullo stesso piano di diritti nei confronti dell'autorità imperiale, cosa mai profondamente accettata dall'etnia serba che viveva sotto il dominio austriaco. L'impero asburgico non poteva sopportare di buon grado una perdita del genere con leggerezza, e nonostante le responsabilità serbe fossero abbastanza chiare, il problema di uno scontro tra Austria e Serbia sarebbe stato che lo stesso avrebbe avuto conseguenze che sarebbero andate ben oltre i due stessi paesi. Dietro la Serbia, o meglio, a fianco della Serbia, anche per via delle famose teorie panslaviste risalenti ai primi del XX secolo, vi era la Russia, mentre in rispetto agli accordi presi già da tempo con la triplice Intesa, a fianco dell'Austria si sarebbe schierata la potentissima Germania. Questo gioco di alleanze, avrebbe coinvolto, in funzione antigermanica anche Francia ed Inghilterra, componenti con la Russia della Triplice Intesa, poi anche l'Italia, con tempi e linee diverse da quelle perseguite dalle altre potenze appena citate.
In effetti l'Italia, seguendo quelle che erano le alleanze già costituite, era legata, con la Triplice Alleanza, proprio con la Germania e con l'Austria stessa con cui aveva combattuto durante tutto l'arco risorgimentale e con la quale aveva ancora in sospeso la sorte delle famose terre irredente allora ancora nelle mani austriache (Trento e Trieste su tutte), si era legata al suo antico nemico il 20 maggio 1882 a Vienna principalmente perché desiderosa di rompere il suo isolamento dopo l'occupazione francese della Tunisia alla quale anche lei aspirava. Successivamente, con il mutarsi della situazione in Europa, l'alleanza fu sostenuta soprattutto dalla Germania desiderosa di paralizzare la politica della Francia; ma, la Triplice Alleanza nasceva come una alleanza a scopo difensivo, e quindi, giuridicamente, l'Italia aveva tutte le ragioni per tirarsi fuori, almeno inizialmente, da un conflitto in cui era proprio l'Austria, sua formale alleata, a far partire l'offensiva contro la Serbia che nel frattempo rifiutava l'ultimatum pervenutole da Vienna (23 luglio 1914). La scelta della neutralità dell'Italia, non sarà una scelta condivisa con le camere, che non verranno nemmeno convocate (sciolte da poco per le vacanze estive!), ma solo del Salandra, primo ministro, che, lapidariamente, fece intendere al re come solo una scelta di entrata in guerra del paese avrebbe richiesto una convocazione "straordinaria" delle camere per esprimersi in merito. In effetti, considerando che l'Austria non avrebbe, probabilmente, occupato permanentemente la Serbia, e visto anche il probabile intervento tedesco, un eventuale e successivo intervento italiano avrebbe lasciato ben poche spoglie ad un eventuale tavolo della vittoria, e vista anche la presenza delle navi britanniche e francesi nel mediterraneo già pronte all'azione (che poteva coinvolgere molte città costiere italiane), la scelta di rimanere neutrali fu la più saggia in quel momento. La diplomazia italiana si mise in movimento, visto che le parti che andavano mobilitandosi avevano interesse che l'Italia divenisse o uno stabile alleato di una delle due o che rimanesse, se possibile, esterna al conflitto. Salandra e Sonnino decisero di approfittare di questo interesse per giocare su due tavoli: le trattative con gli imperi centrali iniziarono nel dicembre del 1914, e già a gennaio dell'anno successivo il ministro austriaco Berchtold si dimostrava possibilista su una soluzione del problema trentino, ma Francesco Giuseppe si oppose da subito a questa ipotesi, temendo che queste concessioni avrebbero potuto creare un pericoloso precedente per le varie etnie da cui l'impero stesso era formato. Gli austriaci erano convinti che l'Italia non sarebbe mai entrata in guerra e che queste manovre erano solo un tentativo per alzare la posta ed avere quanto volevano senza ricorrere alla forza. Il "lato tedesco" della Triplice Alleanza, rappresentato dal principe Bernhard von Bulow, inviato a Roma per mantenere la neutralità italiana, ebbe impressioni assai diverse dal polso sia delle alte sfere della politica italiana, così come di larghe fasce della popolazione, che trovava assai ostili nei confronti degli stessi imperi centrali. Ma il principe tedesco, riuscì a muovere quelle che erano secondo la sua idea sfere importanti in Italia, come Giolitti, da sempre stimatissimo sia dal re che dal parlamento, ed altolocati in Vaticano, ambiente in cui si disprezzava fortemente una guerra con la cattolicissima Austria e che per questo inviarono a Vienna Eugenio Pacelli (futuro papa Pio XII), onde convincere l'imperatore a cedere parte del Trentino all'Italia evitando il conflitto. Ed in effetti, nel Marzo dello stesso anno, l'Austria offre all'Italia parte del Trentino, con Trento Rovereto e Riva del Garda, ma è troppo poco per le ambizioni italiane. Salandra e Sonnino rilanceranno sulla proposta austriaca chiedendo la cessione del sud Tirolo, sul lato trentino, ed aprono il lato adriatico delle proprie richieste chiedendo la cessione di Gorizia, Gradisca e anche Trieste con le zone limitrofe divenuti uno stato autonomo demilitarizzato. Ma qui entravano forti interessi austriaci, che spinsero l'impero a negare queste richieste italiane. Lo sbocco sul mare di una potenza che si sviluppava quasi integralmente sulla terraferma era fondamentale; ed i porti strategici per gli asburgici all'epoca erano: Pola, il vero e proprio porto militare austriaco, Fiume, porto di sbocco di Budapest, quindi sotto controllo ungherese (ricordiamo la natura dualista dell'impero asburgico), mentre il vero e proprio porto commerciale di Vienna, e quindi il suo vitale sbocco sul mare, era proprio la Trieste richiesta dal governo italiano.
Ma ormai siamo quasi ad un anno dall'inizio del conflitto e le pressioni sull'Italia andavano aumentando da entrambe le parti in guerra. I componenti della Triplice Intesa decisero così di alzare così tanto la posta per l'Italia da garantirsi la sua alleanza e l'apertura di un nuovo fronte che avrebbe impegnato l'Austria ed alleviato la pressione della stessa sugli altri fronti in cui erano impegnati Russia, Francia ed Inghilterra. Il 26 aprile a Londra venne così firmato il patto che prende il nome della stessa città, e che, impegnando militarmente l'Italia entro un mese dalla firma del patto stesso, ne riconosceva tutti i diritti sul controllo dell'intero Trentino alto Adige, di Trieste e della Venezia Giulia, dell'Istria con l'esclusione di Fiume, di parte della Dalmazia insieme ad un buon numero delle Isole dell'Adriatico, del controllo di Valona, in Albania, nonché di alcuni territori dell'Impero Ottomano e il riconoscimento definitivo della sovranità italiana su Libia e Dodecanneso. A firmare il patto saranno il ministro degli esteri inglese Sir Edward Grey, gli ambasciatori di Francia e Russia, e l'ambasciatore d'Italia a Londra, il marchese Guglielmo Imperiali di Francavilla. L'accordo sarà inizialmente tenuto segreto in Italia, anzitutto perché nelle camere e nell'opinione pubblica, i sentimenti neutralisti erano ancora in maggioranza, ma anche perché la mobilitazione dell'esercito era ancora una lontanissima idea ed una eventuale immediata offensiva austriaca nelle terre italiane non avrebbe potuto essere stata arginata. Il 4 maggio 1915 l'ambasciatore italiano a Vienna, Giuseppe Avarna, informa il governo austriaco che la Triplice Alleanza è da considerarsi nulla, il 5 D'Annunzio, da Quarto dove salparono i mille, inveisce, incontrando il consenso della folla presente, all'ostilità nei confronti degli austriaci. Nel parlamento, Giolitti, che deteneva ancora una buona maggioranza numerica, rimaneva ancorato sulle proprie posizioni neutraliste, ed intimò a Salandra di dichiarare nullo il patto appena firmato a Londra; il presidente del Consiglio, come risposta, si dimise prima di un'eventuale sconfitta in parlamento, scatenando una serie di fortissime dimostrazioni di piazza in tutta la penisola, che vedevano quasi sempre prevalere le ragioni interventiste visto il caos che quelle neutraliste andavano generando allo stesso governo italiano. Il 16 maggio le dimissioni di Salandra sono respinte dal re, ed il 20 dello stesso mese, il presidente del Consiglio si reca alla camera dove viene accolto in tripudio, e dove il governo ottiene in breve il conferimento dei poteri straordinari per lo stato di guerra. La piazza ed il re sono risultate decisive per le sorti dell'Italia durante il primo conflitto mondiale. Il 22 maggio il governo decreta la mobilitazione generale, ed il giorno dopo, l'ambasciatore Avarna comunica a Vienna che il re d'Italia si considera in guerra con l'Austria a partire dalla mezzanotte del giorno dopo.
La mobilitazione di tutte le forze della penisola italiana era in atto dal 22, come detto in precedenza, ma chi era già sul fronte austro-italiano, si trovò a saltare del tutto la fase stessa della mobilitazione. Tra coloro che vennero coinvolti in questa situazione vi erano, nei pressi di un ponte di legno di Brazzano sul fiume Judrio (che all'epoca segnava il confine con l'Austria), la notte tra il 23 ed il 24 maggio 1915, due finanzieri: uno trevigiano, Pietro Dall'Acqua, e l'altro nuorese, Costantino Carta; essi avevano il compito di impedire che il ponte venisse sabotato dagli incursori nemici ancor prima dell'inizio delle ostilità, e se possibile di verificare consistenza ed organizzazione del nemico dall'altro lato del fiume. Ricordiamo che ufficialmente l'inizio delle ostilità non doveva verificarsi prima della mezzanotte del 23 maggio 1915, e quindi gli ordini erano che fino a quell'ora non si dovesse sparare alcun colpo se non per difesa. Ma verso le 22:40 del 23, i due finanzieri si accorsero che un gruppo di austriaci stava tentando di minare il ponte, e senza esitare, aprirono il fuoco sugli avversari; ne seguì uno scambio di colpi tra le due parti che se ufficialmente non portò dei caduti, portò comunque al ferimento di un sottufficiale austriaco il quale ricorse alle cure di un medico condotto di Cormons. Il fronte italiano della grande guerra era aperto.
La mattina dopo sul ponte furono ritrovati gli attrezzi con cui i soldati imperiali stavano tentando di minare il ponte. La decisione di Dell'Acqua e Carta permise alle truppe italiane (i reparti della brigata Re dell'undicesima divisione di fanteria) di passare lo Judrio evitando uno scomodo guado. L'atto di coraggio guadagnò ai due finanzieri una medaglia di bronzo al valor militare, e ancora oggi, nel centro di Visinale, un monumento ricorda il luogo in cui risuonarono i primi colpi del grande conflitto. Con una prosa non immune alla retorica (niente di strano), l'epigrafe recita: «Il primo colpo di fucile/ della Grande guerra/ fu esploso da questo luogo/ la notte del XXIII maggio MCMXV/ il nemico mosso alla ruina del ponte/ scorsero colpirono fugarono/ due guardie di finanza/ vedette insonni del confine/ le più avanzate e le più sole/ sempre/ perché questo è il comando/ il giuramento/ il premio».
Bibliografia:
Sito Ufficiale del Museo Storico della GDF - http://www.gdf.gov.it/GdF/it/Chi_siamo/Museo_Storico/Visita_virtuale_del_Museo_Storico/Piano_Terra_del_Museo_Storico/info1091742119.html