Battaglie In Sintesi
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Dal suo nome si presume fosse di origini armene. Secondo una fonte tarda, fu cubicularius sotto Tiberio II (574-582), Imperatore d'Oriente. Questa notizia non è però confermata da fonti più antiche e più affidabili e potrebbe essere dunque un errore. Potrebbe essere il Narsete nominato da Tiberio II (fine 577-inizio 578) comandante subordinato a Maurizio quando venne formato un nuovo esercito per combattere i Sasanidi; in tal caso, insieme a Maurizio, avrebbe sconfitto in numerose occasioni i Persiani. Tuttavia alcuni storici identificano il Narsete comandante subordinato con un altro Narsete, un cubicularius morto nel 581. Tra la fine del 587 e l'inizio del 588 Narsete ricevette da Filippico l'incarico di presidiare Costantina (in Osroene) e il comando dell'esercito d'Oriente, che era già stato di Eraclio il Vecchio. Probabilmente era dux di Costantina e ricevette il titolo di magister militum, onorifico o vacans, che lo rendeva parigrado di Eraclio. Nel 591/592 era una delle guardie del corpo del magister militum per Orientem Comenziolo durante la spedizione per riportare Cosroe II sul trono di Persia dopo che egli era stato spodestato dall'usurpatore Bahram VI Chobin. Probabilmente nel gennaio 591 divenne magister militum per Orientem sostituendo Comenziolo al comando della spedizione. Secondo una tarda fonte siriana, Narsete venne nominato anche patricius Syriae e dux exercitus e restò in carica come magister militum fino alla fine del regno di Maurizio. Secondo Teofane, Narsete era ancora magister militum quando si ribellò a Foca, mentre secondo il vescovo Sebeos, al momento della ribellione era ancora in carica. La spedizione ebbe successo: Bahram venne sconfitto e Cosroe II poté finalmente tornare sul trono sasanide. Secondo Macler potrebbe essere lui il comandante che assediò la città armena (allora in mano persiana) di Nakhishevan, ritirandosi poi all'arrivo di un esercito persiano. Nel 602 Narsete era a Dara, dove venne rimosso e sostituito da Germano, probabilmente a causa delle pressioni esercitate da Cosroe II sull'imperatore Maurizio.
Nel 603 si ribellò all'imperatore Foca e occupò Edessa; chiese aiuto all'Imperatore di Persia sostenendo di avere con sé il figlio sopravvissuto di Maurizio, Teodosio. Tuttavia i bizantini riuscirono a liberare Edessa ma nonostante tutto Narsete riuscì a fuggire a Hierapolis. In seguito alla morte di Leonzio (il generale che aveva liberato Edessa), Foca mandò Domnitziolus in oriente a persuadere Narsete a capitolare, promettendogli che gli sarebbe stata risparmiata la vita. Tuttavia quando Narsete capitolò, fu bruciato vivo su ordine di Foca, nel mercato di Costantinopoli. Mentre era a Edessa condannò a morte il vescovo di Calcedonia Severo. Fece edificare le chiese di San Panteleemon e dei Santi Martiri e fondò anche un ospizio. Viene ricordato per i suoi successi contro Bahram VI Chobin di Persia e per aver restaurato l'imperatore legittimo Cosroe II sul trono di Persia. Secondo alcune fonti era molto temuto dai persiani tanto che, riporta il Gibbon nella sua monumentale Storia del declino e della caduta dell'Impero romano, le madri assire erano solite spaventare i loro piccoli pronunciando il suo nome.
Soprannominato Mystacon per i suoi mustacchi (baffi), e nativo della Tracia, dal 579 al 582 combatté come generale in Armenia. Nel 582, con l'elevazione a imperatore di Maurizio, Giovanni Mystacon gli succedette come magister militum per Orientem. Mystacon non si dimostrò però all'altezza della carica ricevuta e già poco tempo dopo la nomina, subì una prima sconfitta contro i Persiani nei pressi della confluenza tra il Tigri e il Nymphius, principalmente a causa dell'inazione del generale Cours. Poco tempo dopo, nel tentativo di espugnare la fortezza di Achbas, fu di nuovo sconfitto dal nemico. A causa degli scarsi risultati ottenuti, fu destituito e sostituito da Filippico (583). Nel 587 Maurizio mise Giovanni al comando di truppe fresche, dandogli il compito di respingere un'incursione avara in Tracia; grazie anche al valore combattivo di un ex duca longobardo passato dalla parte dell'Impero, Droctulfo, i Bizantini vinsero gli Avari presso Adrianopoli anche se Giovanni, per cautela, rinunciò ad inseguire il nemico in fuga. Tra il 589 e il 591 circa ricoprì anche la carica di magister militum per Armeniam. Rivestiva questa carica quando, durante l'assedio di Dvin, scoprì che in Persia era scoppiata una grave rivolta contro lo scià Ormisda IV; abbandonò quindi l'assedio e invase l'Azerbaijan dal quale si ritirò con un grande bottino e molti prigionieri. Nell'autunno 590 ricevette dall'Imperatore l'incarico di ricongiungersi con il generale Narsete per attaccare l'usurpatore Bahram Chobin e restaurare sul trono di Persia il legittimo scià Cosroe II, figlio di Ormisda. Nell'estate del 591 lasciò l'Armenia e raggiunse Narsete, con cui marciò in direzione della Persia nel tentativo di deporre Bahram. Contribuito alla sconfitta dell'usurpatore e alla restaurazione di Cosroe, Giovanni Mystacon mantenne la carica di magister militum per Armeniam per qualche tempo fino alla sua sostituzione con Eraclio il Vecchio (595 circa).
Valoroso generale persiano della casata dei Mihran, si era distinto nella repressione della rivolta degli Armeni sotto Cosroe I, e sotto Ormazd IV (578-590), difendendo con successo contro i Turchi i confini settentrionali del regno. Offeso da Ormazd che lo aveva trattato con alterigia e lo aveva destituito, egli, fidando sull'aiuto della nobiltà e della classe sacerdotale, prese le armi contro il suo sovrano costringendolo a lasciare la capitale e a rifugiarsi a Vehkavadh. Per qualche tempo Bahram risiedette come re a Ctesifonte e batté moneta. Ma il figlio di Ormazd, Cosroe, che si era per suo conto posto contro il padre, abbandonato dall'esercito di Mesopotamia che in un primo tempo lo aveva sostenuto, trovò aiuto presso l'imperatore Maurizio. Le forze riunite di Bindoe, zio materno di Cosroe, del generale Bestam e del generale bizantino Narsete, strinsero dappresso Bahram e lo sconfissero a Blarathon nelle vicinanze di Gazaca nell'Iran nord-occidentale. Bahram si rifugiò presso i Turchi, dai quali poi fu posto a morte. La sua figura di ribelle cavalleresco e avventuroso fu presa a soggetto di racconti romanzeschi che ebbero voga nel medioevo persiano.
I prosperi incomincianienti (l'enorme potenziale umano messo a disposizione dall'Imperatore bizantino Maurizio) davano a Cosroe ottime speranze nella sua campagna per riottenere il trono alle spese dell'usurpatore Bahram. Attribuiva i suoi successi al Dio de' Romani. Questo principe idolatra fino negli omaggi che prestava all'Esser Supremo, si credeva di onorarlo mettendolo al di sopra di Mitra e delle altre divinità della Persia; protestava altamente, che d'allora in poi egli non avrebbe adorato altri dei che lui: ma confidava ancora più nella protezione di Maurizio. Lo informò del cambiamento della fortuna, lo supplicò di secondarla con nuovi sforzi, e gli domandò una grossa somma di danaro, che si obbligò in iscritto di restituire tosto che fosse rimèsso ne'suoi stati. Maurizio non indugiò a soddisfarlo, e Cosroe impiegò questa somma nel ricompensare coloro che gli erano affezionati, e nel guadagnare nuovi partigiani. Malcontento di Comenziolo, da cui si credeva disprezzato, e che accusava di negligenza, e di una lentezza pregiudicevole ai suoi interessi, ottenne che fosse richiamato, e che il comando dell'armata fosse dato a Narsete. Per assicurarsi de' luoghi circonvicini a Nisibe, si trasportò al castello di Marda, posto al settentrione di questa citta sul monte Masio. Tutti i signori di quelle contrade si portarono quivi per assicurarlo della loro fedeltà, e gli diedero nelle mani alcuni ostaggi, de' quali affidò la cura ai Romani. Poco tempo dopo Narsete venne a Dara col suo esercito. La visita di queste truppe riccamente fornite, e ben provvedute di munizioni, ispirò una nuova fiducia a Cosroe; fece il suo ingresso alla loro testa con tutto l'orgoglio di un vincitore, e mosso da una vana curiosità, o forse da una bizzarra divozione entra a cavallo coperto di tutte le sue armi nella chiesa maggiore di Dara in tempo che celebravanosi i sacri misteri. Gli abitanti scandalizzati di questa indecenza mandano grida d'indignazione; e si tornano a memoria, che il gran Cosroe dopo aver presa la città, non aveva fatta alcuna cosa contro il rispetto dovuto alla religione. Il vescovo Domiziano corre incontro al re, e prendendo la briglia del suo cavallo lo minaccia di condurre sul fatto le sue truppe a Costantina, se non esce dalla chiesa. Cosroe confuso si ritira, adducendo in iscusa l'ignoranza in cui era ancora delle pratiche del cristianesimo. Sei giorni dopo ricevette per parte dell'imperatore un pendaglio arricchito di gemme, una tiara, dei letti e delle tavole d'oro; e per rendere la persona di questo principe ugualmente rispettabile ai Romani e ai Persiani, Maurizio gli spediva una parte delle sue guardie, e gli formava una famiglia, quale si conveniva alla maesta di un gran re. Questa pompa contribuì più che ogni altro più solido motivo a ricondurre alla obbedienza il più di coloro che si erano lasciati indurre atta ribellione. Il re pieno di riconoscenza fece portare all'imperatore da uno de' principali satrapi le chiavi di Dara con un atto antentico, col quale faceva donazione di questa citta all'impero. Il satrapo fu accolto con grandi onori; Maurizio lo ricolmò di presenti, e confermò il trattato fatto con Cosroe, al quale diede il titolo di figliuolo.
Il re di Persia sostenuto da un così valido soccorso credette che fosse tempo di marciare contro Baramo, e di strappargli dal capo la corona che aveva usurpata. Singaro era riputata una piazza inespugnabile per la forza de' suoi baluardi, per la sua numerosa guarnigione, e per la sua situazione in una pianura: sabbiosa, dove non trovavasi nemmeno una goccia di acqua. Fece trasportar quivi le sue mogli e i suoi figliuoli sotto la condona di Mebodete, seguito da duemila uomini, e gli ordinò di marciare in appresso dirittameute a Selencia sul Tigri. Alcuni giorni dopo si partt di Dai a con tutta l' armata. Quando fu due leghe discosto da questa città, Dounziano prese da lui congedo per tornarsene a Melanta. Gregorio era già ritornato ad Antiochia, dove morì poco dipoi, lasciando la sede ad Anastasio, esiliato da ventine anni indietro. Innanzi di lasciar Cosroe, Domiziano gli pose davanti 'agli occhi i benefizi dell'imperatore, e più ancora i favori che aveva ricevuti dal Dio unico e vero; gli raccomandò di seguire i consigli di Narsete, e volle prestargli un ultimo servigio, risvegliando nelle truppe romane quello stimolo di gloria, e quel nobile ardore che assicura la vittoria. Essendo adunque salito sopra un luogo elevato, questo eloquente prelato seppe così bene infiammare il coraggio de' snidati, che li lasciò tutti ardenti d'impazienza di vincere o di morire con onore. Tre giorni dopo l'armata arrivò alle sponde del Tigri, dove si fermò per attendere le truppe che venivano d'Armenia. Cosroe scelse mille soldati della guarnigione, tutta composta di Romani, e comandò loro di passare il fiume per osservare i movimenti degl'inimici. Accostandosi al fiume di Zab, seppero che Bizazio inviato da Baramo per lo stesso oggetto accampava in quelle vicinanze. Lo assaltarono di notte tempo, tagliarono a pezzi la sua truppa, presero lui medesimo, e lo mandarono a Cosroe dopo avergli tagliato il naso e gli orecchi. Il re preso ardire e coraggio da questo primo vantaggio, esorta Narsete a profittarne; l'armata passa il Tigri, e si trincera in un luogo detto Dinobod. Cosroe dà quivi un grande e lauto pranzo si principali uffiziali dei Persiani e dei Romani; e per rallegrare il convitto, questo principe crudele fa condurre Bizazio. Dopo che il deplorabile stato di questo sciagurato prigioniero ebbe servito per molto tempo di divertimento ai convitati, il re fece un segno colla mano: imperocché secondo l'usanza de' Persiani non era permesso di parlare durante il pranzo, e incontanente Bizazio fu fatto a brani sotto ai loro occhi. I Romani si ritirarono fremendo di orrore di servire ad un sì barbaro principe.
Il giorno appresso Cosroe passò il Zab. Frattanto Mebodete arrivato vicino a Seleucia manda ordine al governatore di somministrargli viveri e denaro sotto pena di morte se indugia ad obbedire. Il governatore spaventato si fugge la notte cò suoi soldati, e si salva a Ctesifonte. Mebodete informato della sua fuga aspetta la notte seguente; ordina alle sue truppe di gettare a terra le porte, di entrare nella città mandando alte grida, e di far man bassa sopra tutti quelli che si pareranno loro dinanzi. Gli abitanti impauriti si rinserrano nelle loro case, e si preservano dalla strage protestando di sottomettersi a Cosroe. Il terrore passa in un momento a Ctesifonte; i principali della città vanno a recare le chiavi a Mebodete; il quale mette in sicuro sotto buona guardia i tesori della corona; e fa proclamar Cosroe re di Persia. Marcia tosto alla nuova Antiochia, fabbricata una giornata discosta da Ctesifonte cinquant'anni avanti dal gran Cosroe, che aveva in questo luogo stabiliti i prigionieri fatti sulle terre dell'impero. Mebodete scrive agli abitanti, che viene per liberarli da una troppo lunga schiavitù, ma che per meritare questo favore è d'uopo che gli diano nelle mani i partigiani dell'imperatore; e in caso di negativa li minaccia di trattarli come nemici. Obbediscono incontanente àsuoi ordini, e danno agl'inviati coloro che si erano dichiarati in favor di Baramo, insieme col loro capo. Mebodete gli fa dar la tortura per discoprire i disegni de' ribelli, e dopo avergli fatto tagliare il naso e gli orecchi, lo manda a Cosroe. Gli altri furono messi a fil di spada. Impadronitisi del palazzo, ne scelse i più ricchi arredi, che fece portare al re. Sei giorni dopo fece morire con diversi supplizi tutti i giudei stabiliti in numero grande in questa città, che s'erano segnalati nella rivoluzione. I giudei formavano allora in Persia un formidabile partito. Dopo la rovina di Gerusalemme, risguardando la Persia come la culla della loro nazione, perché il patriarca Abramo era uscito dalla Caldea, s'erano quivi ridotti in folla, e vi avevano recati i loro più preziosi effetti. Essendosi ancora da quel tempo in poi arricchiti colle usure e col commercio, erano diventati potenti, e la loro facilità e propensione a sollevarsi aveva più di una volta messo timore ai suoi re di Persia. Un autore di quei tempi fa il loro ritratto con queste parole: «Questa è, diss'egli, una nazione perversa, sediziosa, invidiosa, perfida nell'amicizia, ed irreconciliabile nel suo odio». Mebodete diede ad essi allora una terribile lezione; il castigo di quelli della novella Antiochia dovette far tornare agli altri in memoria il sanguinoso editto, che Assuero aveva anticamente pubblicato in quelle istesse contrade: ma al tempo di cui parlo non ritrovarono alcuna Ester.
Intanto che Mebodete riduceva sotto all'obbedienza del suo legittimo padrone le principali città della Persia, l'armata di Cosroe dopo quattro giorni di marcia era arrivata in un luogo chiamato Alessandria, dove vedevansi ancora le rovine di una fortezza distrutta nei tempi addietro da Alessandro il Grande. Andò ad accampare il giorno appresso nella pianura di Cnethas. In questo frattempo Giovanni di Mistacone si avvicinava, e Bindoe si era a lui unito colle sue truppe. Non erano molto lontani da Zab, quando Mistacone spedì mille cavalieri per assicurarsi del passo. Baramo, che si proponeva di batterlo innanzi che avesse raggiunto Narsete, fu avvisato del suo avvicinamento, e s'impadronì del ponte. Narsete informato di questi movimenti, se ne tornò indietro, ed avendo in quattro giorni riguadagnato le rive del Zab, passò ancor egli il fiume al di sopra di Baramo, e diede il guasto alle terre degli Aniseniani. Baramo per impedire l'unione de' due eserciti divise le sue truppe in due corpi, uno dei quali faceva fronte all'Oriente per arrestare Narsete, mentre l'altro marciava verso Tramontana incontro a Mistacone. Questi riscontrarono indi a poco le truppe di Armenia, le quali non erano da essi separate che da un gran lago; e Mistacone si disponeva a dar battaglia, quando ricevette ordine da Narsete di scansare il combattimento. Bindoe, che conosceva il paese, fece la notte sfilar le truppe all'Oriente del lago, sicché alla mattina si ritrovarono tra Baramo e il fiume Zab.
Fu allora che Cosroe ricevette la nuova dei rapidi successi di Mebodete; e questo generale si portò presto in persona presso al re per dividere l'onore di una giornata, che decider doveva della sorte della Persia. Mistacone erasi già unito a Narsete, e i due eserciti congiunti insieme si comunicarono reciprocamente coraggio e fiducia. Cosroe vedevasi alla testa di sopra a sessantamila uomini: Baramo che non ne aveva più che quarantamila, tentò di sorprendere i nemici col favor della notte; ma la difficoltà delle strade ritardò in tal modo la sua marcia, tanto che fu prevenuto dalla chiarezza del giorno. I due eserciti stettero dirimpetto uno all'altro due giorni; il terzo, le truppe di Baramo impazienti di combattere, uscirono tumultuosamente dal loro campo, mandando grandissime grida. I Persiani di Cosroe imitavano questo disordine; ed all'opposto i Romani si ordinavano in battaglia senza romore e senza confusione; ed avendo Narsete ripreso Bindoe e Mebodete, perché non potevano tener in dovere le truppe, e ridurle a silenzio, venne a capo di ristabilire quella tranquillita, che mette un'armata ben disciplinata in grado di udire il comando, e di ubbidire ad esso di concerto. L'armata romana era divisa in tre corpi: Cosroe e Narsete erano alla testa del centro; Mebodete comandava l'ala destra, dove erano i Persiani; Mistacone l'ala sinistra composta delle truppe di Armenia. I Romani tutti infiammati di ardore attendevano il segno, quando l'armata di Baramo spaventata dal loro aspetto, e dal loro ordine di battaglia, prese la fuga, e si ritirò sopra un monte. Anzi vi fu un corpo di cinquecento uomini, il quale depose le armi e passò dal canto de'Romani. Cosroe voleva attaccar l'inimico sopra questa eminenza, e sollecitava Narsete a salire colà le sue truppe; ma questo generale che s'intendeva di guerra, giudicando questa impresa del tutto temeraria ed imprudente, ritenne i Romani nel loro posto. Il re irritato per questa ripulsa, diede ordine ai Persiani che salissero sull'eminenza, e non tardò a pentirsene; i Persiani ributtati con grave perdita sarebbero stati tagliati a pezzi, se i Romani non avessero arrestato l'impeto de'nemici. Al tramontare del sole le due armate rientrarono nel loro campo.
Baramo avendo riconosciuta la superiorita degl'inimici, si partì allo spuntar del giorno, ed andò ad accampare tra alcune eminenze inaccessibili alla cavalleria. I Romani lo seguirono, e si avanzarono fino alla pianura di Gazaca. Varamo per istancarli e rallentare il loro ardore mutò posto, e dopo averli condotti per molti andirivieni, si fermò alla fine presso ad un fiume detto Blarathon. I Romani che non lo perdevano di vista, andarono ad accampare poco discosto, e subito il giorno dopo si schierarono in ordine di battaglia nella pianura che giaceva lungo il fiume. La loro armata conservò quel medesimo ordine che avevano tenuto sulle sponde del Zab. Narsete animò le sue truppe, e diede loro per segnale le prime parole della salutazione angelica. Erano queste parole ignote ai Persiani, ed egli le avea scelte a bella posta perché nella confusione della battaglia i Persiani del suo esercito potessero distinguersi dà loro compatrioti che formavano l'armata nemica. Varamo non potendo scansare il combattimento, fece uso di tutto il suo sapere per disporre vantaggiosamente la sua armata. Si pose alla testa del centro; collocò dinanzi alla sua cavalleria i suoi elefanti come altrettante torri, e li fece montare dai suoi più bravi soldati. Ve n'erano ancora nell'armata di Cosroe; e questo principe scortato da cinquecento cavalieri, esortava i Persiani del suo partito a non cedere ai Romani il pregio del valore. Alle grida dei Persiani succede un orribile silenzio; più non si ode che il suono minaccioso delle trombe; e le due armate si appressano con quel tetro furore che annunzia la strage. Non durò molto tempo la scarica delle frecce, e si venne presto alla mischia. Baramo credendo di ritrovar minor resistenza dalla parte dei Persiani, che formavano l'ala destra dell'armata romana, lasciò il centro e si portò sopra la sua ala sinistra, alla testa del quale assaltò le truppe di Mebodete. Tutto piego dinanzi a lui, ed i Persiani in procinto di volger la schiena stavano per trar seco nella fuga il resto dell'esercito , quando Narsete , inviando loro molti rinforzi gli uni dopo gli altri, venne a capo di sostenerli. Baramo perdendo ogni speranza di romperli, ritorna al centro, ed assalisce Narsete ; ma questo intrepido generale disprezzando il furore degli elefanti, penetra tra loro, si avventa sul centro degli inimici, rompe le loro file, e rovescia i cavalieri sopra i fanti: nulla resisteva alla violenza del suo attacco, e tutta l'armata di Baramo si dilegua e sparisce come un vortice di polvere. I Romani inseguiscono con ardore, e presto tutta la pianura è seminata ed ingombra di cadaveri. Gli elefanti si difendevano ancora, ed i Persiani montati sul loro dorso non cessavano di tirare sopra i vincitori; ma circondati da ogni intorno, e gettati a terra i loro conduttori sono presi e dati in potere di Cosroe. Seimila Persiani che si erano ridotti sopra un monte, furono rinserrati per ogni parte, e forzati ad arrendersi. I Romani li condussero al re, e questo inumano principe ebbe il barbaro piacere di vederli trafiggere a colpi di frecce, o schiacciare sotto i piedi degli elefanti. Avendo saputo che vi erano de' Turchi tra i prigionieri , gli fece separare e mandare a Maurizio come altrettanti trofei che facevano testimonianza del valor de' Romani. Fu osservato che portavano tutti sulla fronte l'impronta di una croce. Avendo Maurizio chiesto loro di ciò la ragione, risposero che in un tempo di pestilenza alcuni cristiani avevano consigliate le donne turche di segnare così i loro figliuoli, e che di fatto erano stati preservati dal contagio. I Romani predarono il campo di Baramo, e s'impadronirono delle sue donne, de' suoi figliuoli e degli ornamenti reali di cui fecero presente a Cosroe.
Il giorno seguente si raccolsero le spoglie, e si portarono le più preziose alla tenda del re. Di tutta l'armata di Baramo non camparono più che diecimila uomini con Varamo medesimo. Fu fatto partire per inseguirli un grosso distaccamento sotto la condotta di Marino e di Bestamo; i quali ritornarono alcuni giorni dopo senza ricondurre alcun prigioniero. Si erano tutti dispersi; e sia che Baramo fosse perito nella fuga, sia che si fosse salvato in un qualche paese barbaro, non se ne seppe da quel tempo in poi alcuna novella. Essendo i vincitori restati accampati tre giorni vicino al luogo della battaglia, l'infezione de'cadaveri li obbligò a discostarsene. Si ritirarono a Gazaca, dove il re più insuperbito delle sue prosperità che se le avesse meritate col suo proprio valore, fece agli uffiziali romani un superbo convito, accompagnato da tutti gl'istrutitenti ch'erano in uso presso ai Persiani, per celebrare la sua vittoria. Dieci giorni dopo congedò le truppe dell'impero senza ricompensarli de' loro servigi, altrimenti che con parole; e conducendo seco i soldati persiani prese il cammino di Seleucia. Narsete lasciando gli raccomandò di non dimenticarsi giammai ch'era debitore della sua vita e della sua corona alla generosità de'Romani. Cosroe scrisse a Maurizio una lettera piena di proteste di riconoscenza; e confidando più ne' Romani che nei propri suoi sudditi, de'quali aveva sperimentata la perfidia, lo pregava per ultima grazia di lasciargli per sua guardia mille soldati romani: il che gli fu concesso.
Cosroe restituito ne'suoi stati non si scordò del voto che aveva fatto nella sua disgrazia. Fece recare alla chiesa di S. Sergio la croce d' oro che aveva promessa. Questa era quella che suo avo aveva levata da Sergiopoli, e deposta nel suo tesoro. Cosroe aggiunse de' nuovi ornamenti a questo ricco presente, con una iscrizione che attestava la sua riconoscenza. Questo principe fantastico e stravagante, ad onta di questi atti di cristiana divozione, ad onta delle proteste più volte reiterate nel mezzo delle disgrazie di non adorare giammai altro Dio che quello de'Romani, persistette per tutto il tempo di sua vita nel paganesimo qual'era stabilito in Persia. Sempre in apparenza attaccato alla religione del paese, che nel suo cuore disprezzava, perché non ne aveva alcuna, derogò ancora ad essa, sposando contro le leggi del paese, e facendo dichiarare regina una cristiana chiamata Sita, romana di nascita, della quale si era perdutamente invaghito. Avendo passati seco lei due anni senz'averne figliuoli, ebbe di nuovo ricorso a S. Sergio, ed essendosi dieci giorni dopo avveduto dell'effetto della sua preghiera, mandò di nuovo de' magnifici presenti con una lettera diretta a questo santo martire, implorando la sua protezione sopra Sira e sopra il frutto di cui era incinta. Subito che si vide pacifico possessore della corona de'suoi antenati, il suo primo pensiero fu quello di punire i ribelli. Baramo gli era fuggito; ma fece morire coloro che avevano avuto parte nella sua ribellione. Pareva che Bindoe non dovesse attendere che ricompense e premi: aveva convinto Cosroe; ed aveva segnalato il suo zelo in tutto il corso della guerra contro Baramo. Nonostante subito che cessò di esser utile, Cosroe altro più non vide in lui che un audace ribelle, il quale aveva osato portare sopra il suo re Ormisda una sacrilega mano, e lo fece annegare nel Tigri. La pace fu ristabilita tra la Persia e l'impero. A questo modo Maurizio anziché approfittare con una vile ed inumana politica delle turbolenze di uno stato vicino sempre geloso e sovente nemico, ebbe l'onore di restituire la calma alla Persia, di rimettere sul trono il principe legittimo, e di por fine con una generosità più gloriosa di tutte le vittorie, ad una guerra ostinata e funesta ad ambedue i popoli.
Bibliografia:
"Storia degli imperatori romani da Augusto sino a Costantino Paleologo", Lebeau e Crevier, Satmperie e Carteiere del Fibreno, Napoli, 1848