Battaglie In Sintesi
Ottobre 774
Nato nel dicembre 718, incoronato e associato al trono nel marzo 720, seguì le vie tracciate dal padre, Leone III Isaurico, tanto nella politica estera quanto in quella interna. Irreducibile avversario del culto delle immagini, gl'iconoduli gli furono avversi sin dai primi giorni del regno e nel 741 favorirono la rivolta di Artavasde, il quale riuscì a farsi incoronare imperatore dal patriarca Anastasio. La rivolta però fu domata (novembre 742) e l'atteggiamento degli oppositori non ebbe altro risultato se non quello di rendere più rigida la politica iconoclastica. Costantino non solo mantenne i precedenti decreti, ma da un concilio convocato a Hieria nel 753 e al quale parteciparono 338 vescovi ottenne che fosse proclamato come contrario alla dottrina cristiana il culto delle immagini. Si aprì un periodo di violenta persecuzione: alti prelati e funzionarî furono colpiti di pena capitale o esiliati; molti conventi furono o secolarizzati o trasformati in caserme, i beni dei monaci furono confiscati. Gli scrittori iconoduli e le genti timorate si vendicarono del monarca, affibbiandogli i titoli più offensivi, come quelli di "staffiere" e di "copronimo" (da "sterco" e "nome") col quale è passato alla storia. Ma bisogna riconoscere che egli non si ispirò se non al nobile proposito di eliminare dal culto usanze che erano degenerate in una vera idolatria, e di ristabilire nello stato la preminenza del potere civile insidiato dalle usurpazioni del clero.
Le lotte interne non distrassero Costantino dalle guerre contro i nemici esterni. La controffensiva contro gli Arabi era cominciata già sotto Leone III, e Costantino aveva preso parte alla battaglia di Acroinos (739), finita con la vittoria dei Bizantini. Costretto a interrompere le operazioni per la rivolta di Artavasde, egli le riprese nel 745, in un momento molto favorevole, essendo scoppiata nel mondo arabo una guerra civile in seguito all'uccisione del califfo al-Walid II. Sotto la guida dello stesso imperatore i Bizantini sconfissero la flotta musulmana nelle acque di Cipro e per terra occuparono Germanicia, Melitene e Teodosiopoli. Ma la guerra più dura fu quella contro i Bulgari. Dal 755 al 775 Costantino intraprese contro di loro non meno di nove spedizioni e riportò anche splendide vittorie, come quelle di Marcellae (759), di Anchialo (762), di Lithosoria (766). La frontiera dell'Impero fu ricondotta più a nord e rafforzata, e la Tracia e Costantinopoli ebbero per qualche tempo un po' di respiro, ma il pericolo bulgaro non fu eliminato. Un colpo sensibile al prestigio di Bisanzio in Occidente fu la perdita dell'esarcato di Ravenna e del ducato di Roma, passati alle dipendenze del papa: Costantino, impegnato in Oriente, ben poco fece per la difesa di quelle due lontane provincie. Le lunghe e dispendiose guerre non impedirono che Costantino dedicasse somme notevoli a opere di pubblica utilità. Fra queste sono da ricordare: la restaurazione dell'antico acquedotto della capitale, il ripopolamento della stessa capitale e di molti luoghi della Tracia e della Grecia dopo i grandi vuoti lasciati dalla peste del 747, il riscatto di migliaia di prigionieri di guerra. Con tutto ciò egli lasciò l'erario in floridissime condizioni. Morì il 23 settembre 775.
Giunto al potere nel 768 dopo un certo numero di regnanti più o meno effimeri, il nuovo khan si dimostrò subito ostile verso l'Impero bizantino. Percependone la minaccia, Costantino V di Bisanzio lo attaccò e sconfisse nel 773. Sempre nel 773, un tentativo d'invasione della Macedonia da parte di Telerig venne respinto dall'esercito bizantino. Solo l'improvvisa morte di Costantino V salvò Telerig e l'indebolito Impero bulgaro da una nuova offensiva bizantina. Questi fallimenti non fecero che aumentare il malcontento della popolazione bulgara che iniziò a rivoltarsi: nel 776 o 777 Telerig si vide costretto a trovare asilo a Costantinopoli, dove venne battezzato e sposò una cugina della moglie del nuovo imperatore Leone IV di Bisanzio.
L'imperatore Costantino pensava, riguardo al confine con la Tracia, maggiormente a difendersi da un vicino pericolo. I Bulgari, che avevano ripigliate le armi, mettevano frequentemente Costantinopoli in confusione e spavento, e gli Sclavoni, con essi collegati, si spargevano nella Grecia. L'imperatore marciò sul principio in persona contro gli Sclavoni, i quali non fecero resistenza a questo improvviso attacco, e si sottomisero, deliberati di scuotere il giogo tosto che i Romani si fossero allontanati. Non ebbe lo stesso successo però, la campagna coi Bulgari. Essendosi avanzato tra le montagne, i barbari si avventarono sopra di lui, tagliarono a pezzi la sua armata, gli uccisero molti offiziali, e l'obbligarono a tornarsene a Costantinopoli senz'armi e senza bagaglio. La sua collera lo accese contro i cattolici. Un secondo editto più minaccevole del primo portò lo spavento in tutto l'Oriente. I cattolici fuggivano; le città restavano deserte; le prigioni erano piene non di malfattori, ma di confessori. Egli se la prendeva particolarmente contro i monaci, e per abolire la monastica professione proibiva loro di ricevere novizii. Moltissimi di loro si rifuggirono a Roma, e per dare ad essi un asilo, il papa Paolo fece della sua casa paterna un monastero, ed ordinò che l'uffiziatura si facesse quivi in greco. Il papa gli scrisse invano molte lettere per mitigare questo barbaro cuore. Ma solo una nuova guerra contro i Bulgari sospese per alcun tempo il corso della persecuzione. Questa barbara nazione, recatasi a noia di ubbidire per lungo tempo alla medesima famiglia, la trucidò tutta intiera, ed elesse re un giovane audace chiamato Telesi, anche se parte degli Sclavoni, uniti allora ai Bulgari, ricusarono di prestargli obbedienza; passarono il Ponto Eusino in numero da 50.000 a 200.000, e vennero a domandare terre all'imperatore, il quale li stabilì in Bitinia sulle sponde del fiume Artanas. Telesi volendo farsi stimare da' suoi nuovi sudditi, fece tosto delle scorrerie sulle terre de' Romani. Per arrestare al primo passo questo impetuoso nemico, l'imperatore si parti di Costantinopoli il 17 di giugno; andò ad accamparsi alle porte di Anchiala, mentre una flotta di duecento barche, ciascuna delle quali portava dodici cavalli, traversava il Ponto Eusino per guadagnare le foci del Danubio. Telesi alla testa de' Bulgari, sostenuti da ventimila Sclavoni, si avvicinò al campo dell'imperatore. Guerni di truppe i passi de' monti, e venne a presentare la battaglia il di 30 di Giugno. Fu sanguinosissima: la zuffa durò dalle otto ore della mattina infino a sera. In ultimo i Bulgari cedettero all'ostinazione dei Romani. Moltissimi di loro furono in appresso uccisi, o presi dai vincitori. Altri, scampati dal macello, vennero a darsi spontaneamente all'imperatore, e chiesero di arruolarsi nelle sue truppe. L'imperatore, glorioso per una così illustre vittoria, volle rinnovare i fasti degli antichi trionfi. Rientrò in Costantinopoli armato di tutto punto sopra un cocchio risplendente, seguito dalla sua armata in ordine di battaglia. Gli abitanti mandavano grida di allegrezza. Dietro al cocchio venivano i prigionieri carichi di catene. Quando fu arrivato al palazzo, li fece condurre fuori della porta dorata, e per un inumano capriccio li distribuì alle diverse fazioni del circo, perché troncassero loro il capo. Si videro allora parecchie migliaia di uomini perire per le mani degli abitanti, divenuti tanti carnefici, e questa festa crudele fu terminata coi giuochi del circo, ne' quali furono portate intorno le spoglie de' vinti. Furono in esse osservati due hacini d'oro, ciascuno del peso di ottocento libre, che i re bulgari avevano fatti fare in Sicilia.
La sconfitta di Telesi lo rendette dispregevole. I Bulgari si ribellano, lo uccidono, e mettono lo scettro in mano di Sabino, genero di un re della nazione morto alcuni anni innanzi. Non fu si tosto sul trono, che vedendo lo stato di debolezza che il cattivo successo della guerra ridotti aveva i Bulgari, mandò a chiedere la pace all'imperatore. Quest'azione offese l'alterigia di questo popolo indomabile. Essendosi gli stati adunati, si opposero al disegno del re, rinfacciandogli di voler assoggettare ai Romani un popolo libero, che anteponeva la morte alla schiavitù. Crescendo vieppiù il tumulto, ed essendo la sedizione vicina a scoppiare, Sabino temette la sorte che trovata aveva il suo antecessore, e se ne fuggì a Mesimbria, e di lì alla corte dell'imperatore insieme coi più fedeli amici. Le loro mogli e i loro figliuoli si tenevano nascosti per sottrarsi al furore de' sediziosi. Alcuni offiziali spediti dall'imperatore ebbero l'accortezza di trargli fuori de' loro ritiri, e di condurgli a Costantinopoli. In questo mezzo avendo il primo impeto de' Bulgari dato luogo alla riflessione, riconobbero che non erano in grado di continuare la guerra, e mandarono eglino stessi deputati all'imperatore per trattare di pace. Costantino non volle udirli, e si pose di nuovo in campagna. I barbari ritirati tra le loro montagne ne fortificarono cosi bene tutti i passi, che sarebbe costato molto sangue il superarli. L'imperatore si mostrò allora più trattabile, ed acconsenti' di dare un salvocondolto pel loro nuovo re, chiamato Pagan, che venne a ritrovarlo co' suoi offiziali. Furono accolti in presenza di Sabino, assiso a lato dell'imperatore, il quale dopo averli ripresi della loro infedeltà verso i Romani e verso del loro principe, accordò ad essi la pace. Ma Pagan, re dei Bulgari, diffidava a ragione della lealtà dell'imperatore. Domando la permissione di portarsi a Costantinopoli, per conferir seco lui, ed assicurarsi delle sue disposizioni. Avendola ottenuta, ci venne coi principali signori della sua corte. L'imperatore affettando una orgogliosa maggioranza, li ricevette senz'alzarsi dal suo trono, con Sabino assiso accanto di lui; e dopo aver loro anche rinfacciato il trattamento che fatto avevano a Sabino, gli congedò con parole di pace, le quali erano solamente sulle labbra. Tosto che si furono partiti , spedì segretamente alcuni soldati, i quali travestiti ed introdottisi per questo mezzo in Bulgaria, rapirono un capo dei Sclavoni chiamato Severo, e lo condussero a Costantinopoli. Erasi costui segnalato co' suoi saccheggiamenti nella Tracia. Sorpresero similmente un famoso capo di malandrini, eristiano apostata, cognominato Cristino, il quale s'era reso formidabile. Non si dice quello che fosse fatto di Severo; ma Cristino fu trattato con una barbarie che superava la sua. Fu condotto, questo sciagurato, sul molo di san Tommaso; e in dipoi dato vivo in balia de' chirurgi dell'imperatore,i quali gli apersero il ventre sul luogo medesimo alla vista di tutto il popolo, e ricercarono nelle sue interiora, per farvi delle osservazioni anatomiche; dopo quest'orribile spettacolo il suo corpo fu gettato nelle fiamme. Costantino, il quale non aveva rassicurati i Bulgari che per meglio ingannarli, non indugiò ad entrare nel loro paese; trovò i passi aperti e gli abitanti senza sospetto, visto che riposavano sulla parola dell'imperatore. Penetrò fino a Tunzes, nel centro della Bulgaria. I Bulgari, assaliti più presto che avvisati, si salvavano nei boschi vicini al Danubio. I nobili e lo stesso Pagan perirono in questa sorpresa. Campagnano, il primo capo della nazione dopo il re, essendosi rifuggito a Varna, dove si credeva al sicuro, fu ucciso da' suoi proprii schiavi. I Romani appiccarono il fuoco in tutte le campagne, e questa contrada poteva in questa occasione intieramente riconquistarsi, se Costantino avesse saputo far la guerra. Ma preso da un inspiegabile terrore, se ne tornò a Costantinopoli dopo molto sangue sparso, senz'aver guadagnato un palmo di terreno.
Subito l'anno appresso ripigliò le armi, e senza aspettare la buona stagione parti di Costantinopoli il di 20 gennaio. Mentre marciava verso la frontiera, una flotta di duemila e seicento barche cariche di truppe s'inviava verso Anchiala e Mesimbria. I barbari, sbigottiti per un si grande apparecchio, imploravano la misericordia dell'imperatore, quando un accidente, che potevasi di leggeri prevedere, restituì loro il coraggio. La flotta non osando allargarsi in una stagione e in un mare tanto burrascoso, costeggiava queste pericolose spiagge. All'improvviso sorse con violenza un vento di tramontana, che rompe gli alberi, straccia le vele, trasporta via inavigli, ne sommerge una parte, e ne infrange l' altra ne' scogli. Costantino, che non era lungi di là, accorre, e vede tutta la costa coperta di rottami e di cadaveri. Questo capriccioso e strano principe, che aveva abbandonate le pratiche del cristianesimo, parve allora che volesse richiamare le antiche superstizioni della Grecia; e come se temuto avesse il castigo che avevano in altro tempo sofferti i generali ateniesi dopo la battaglia di Arginusa, perdette quattro mesi nel raccogliere i corpi galleggianti sulle acque, e nel far loro i funerali. Rientrò in Costantinopoli solo il 17 di luglio, non conducendo seco se non il piccolo numero di truppe che aveva condotto via terra. Un cattivo successo nella guerra annunziava quasi sempre un rinnovamento di persecuzione. L'imperatore si vendicava de' Bulgari o de' Saraceui sopra i cattolici de' suoi stati. Il suo furore prendeva di mira particolarmente i monaci. L'esito infelice della spedizione intrapresa otto anni prima contro i bulgari pareva che avesse scoraggiato l'imperatore; il naufragio che ei aveva sofferto, gli faceva temere il mar Nero come il sepolcro delle flotte romane. Ciò nonostante, nell'anno 771, si espose di nuovo a questo così tempestoso mare. Fece vela nel mese di maggio con duemila barche, risoluto d'entrare nel Danubio, nell'istesso tempo in cui la di lui cavalleria ebbe ordine di fermarsi nelle gole delle montagne, ed allorché tutte le forze dei Bulgari si fossero volte contro di lui, di penetrare nel paese. Ma la flotta non era ancora in Varna, allorché questo principe timido ed incostante, sorpreso da un vano terrore, ad altro più non pensò che a ritirarsi. I Bulgari, che erano stati spaventati da si fatti movimenti, pieni di terrore andarono a domandare la pace; la quale fu subito stabilita e confermata con giuramento dall'una e dall'altra parte. L'imperatore nel ritirarsi forni' di truppe le fortezze che aveva fatto costruire sopra quella frontiera.
Ma egli manteneva nel consiglio dei Bulgari alcune spie, dalle quali nel mese di ottobre ricevé l'avviso che i Bulgari istessi, essendosi risoluti di distruggere una delle suddette fortezze chiamata Berzecia, si preparavano a spedirvi dodicimila uomini. Si trovavano allora in Costantinopoli alcuni deputati di quella nazione, onde egli avendo pubblicato, ad oggetto di tener loro occulto il suo disegno, di marciare contro i Saraceni, radunò una numerosa armata, e fece loro passare nell'Asia le sue bandiere ed i suoi equipaggi da guerra. Avendo in seguito licenziati i deputati suddetti, allorché seppe che i medesimi erano entrati nella Bulgaria, si pose alla testa d'ottantamila uomini, e marciò con tanta speditezza, che i Bulgari lo videro nel loro paese prima d'aver saputa la di lui partenza. Ei rovesciò a guisa di un torrente tuttocciò che gli si fece davanti per istrada; tagliò a pezzi dodicimila uomini che assediavano Berzecia: devastò il paese, fece un numero grande di prigionieri; e se ne tornò, carico di spoglie e ricoperto del sangue de' Bulgari, a Costantinopoli, dove rientrò colla pompa magnifica di un trionfo, vantandosi di aver condotto alla fine una così gloriosa impresa senza che la medesima fosse costata all'impero una sola goccia di sangue.
Non contento di questa vendetta, nell'anno seguente, pose in mare una flotta, sopra la quale fece imbarcare dodicimila soldati a cavallo; ed in seguito dal resto della sua cavalleria prese la strada di terra. Questa formava allora tutta la forza delle armate romane; perocché nello stato di decadenza in cui si trovava la milizia, non si faceva alcun conto dell'infanteria, come ho osservato in tempo della guerra de' Goti. All'altura di Mesembria la flotta soffri una furiosa tempesta, che la distrusse quasi tutta, e l'imperatore se ne tornò in Costantinopoli senza aver veduto il paese nemico. Ciò che era accaduto nell'anno precedente, faceva chiaramente conoscere a Telerico re dei Bulgari, che vi erano traditori nel suo consiglio; ond'egli per iscoprirli usò un artifizio che gli riuscì. Scrisse all'imperatore, che era stanco di comandare ad una indocile nazione: che gli esempii de' suoi predecessori trucidati dai proprii sudditi gli facevano temere una tragica fine: che invidiava la sorte di Sabino, più felice nella corte di Costantinopoli che sopra il trono della Bulgaria: che quindi era risoluto di andare a condurre i suoi giorni presso dell'imperatore: ma che per eseguire un tal disegno, aveva bisogno di persone di confidenza, non osando fidarsi di alcuno della sua corte: e che perciò supplicava l'imperatore a fargli sapere se i Romani avevano nella Bulgaria qualche numero di amici, la cui fedeltà e la cui discrezione de' quali lo potessero aiutare a salvare la sua famiglia, e procurargli una facile e sicura ritirata. L'imperatore cadde nella rete, e gli mandò i nomi dei suoi corrispondenti, che Telerico fece tutti morire fra i più crudeli supplizii. Costantino, confuso per la sua imprudenza, partì alla testa di un'armata, per lavare la sua vergogna nel sangue dei Bulgari. Ma appena ebbe passato Arcadiopoli, lontana da Costantinopoli circa venticinque leghe, fu obbligato a tornare indietro. Alcuni carbonchi apparsi sopra le di lui gambe gli cagionarono una febbre così ardente, che non vi fu medicina bastante ad alleviarla. Ei si fece portare in Selimbria, d'onde essendosi imbarcato per trasferirsi in Costantinopoli, spirò nella nave a piè del castello di Strongilo nel giorno decimoquarto di settembre, in età di cinquantasei anni, dopo aver regnato per trentaquattro, due mesi e ventisei giorni. Si dice, che in mezzo agli ardori crudeli dai quali era divorato, esclamasse come disperato di sentire già tutti i furori delle fiamme eterne, e che ordinasse di ripararsi le ingiurie da esso fatte alla S. Vergine ed ai santi, e di rispettarsi le reliquie e le chiese; e che raccomandasse ad alta voce al suo cappellano Teofane di custodire l'importante segreto che gli aveva confidato. Leone dopo la morte del di lui padre avendo voluto sapere da Teofane quale fosse tal segreto, venne in cognizione che Costantino aveva sotterrata una somma di cinquantamila libbre d'oro, la quale doveva servire per uso dei Cesari e del Nobilissimo. Ei mandò subito a prenderla, senza farne alcuna parte ai suoi fratelli, per i quali era essa riservata. Costantino fu seppellito nella chiesa dei ss. Apostoli, ma la di lui memoria restò talmente e per si' lungo tempo in orrore, che ottanta anni dopo, l'imperatore Michele I, il quale ristabilì il culto delle immagini, avendo fatto dissotterar le di lui ossa, le fece bruciare in una piazza di Costantinopoli destinata al supplizio degli omicidi.
Bibliografia:
"Storia degli imperatori romani da Augusto sino a Costantino Paleologo", Lebeau e Crevier, Satmperie e Carteiere del Fibreno, Napoli, 1848