Battaglie In Sintesi
8-9 agosto 1030
È stato un imperatore bizantino. Fu basileus dei romei dal 15 novembre 1028 fino alla sua morte. Fu scelto quale successore da Costantino VIII che, in mancanza di eredi maschi, lo obbligò a divorziare e a sposare sua figlia Zoe. Le campagne militari che intraprese in Sicilia ed in Siria contro gli Arabi furono un totale fallimento; nello stesso tempo cambiò incautamente la politica finanziaria dei suoi predecessori (difesa della piccola proprietà a svantaggio della grande aristocrazia terriera). Queste sue scelte lo portarono ad essere malvisto da gran parte della popolazione e alla rottura con la moglie Zoe. Pare che la consorte, con l'aiuto del suo amante Michele Paflagonio, lo abbia fatto assassinare e nello stesso giorno Zoe sposò Michele, che salì al potere.
Nel 1030, l'imperatore Romano III Argiro decise di rivalersi sulle incursioni dei musulmani perpetrate sulle frontiere orientali dell'impero guidando personalmente un grande esercito per assicurarsi Antiochia, e marciare poi verso est contro Aleppo. L'Emiro di Aleppo, vistosi in grave pericolo, invito' lo stesso imperatore per negoziare i termini della pace ma Romano si rifiutò di trattare. Romano, richiamato Spondilo, gli mandò per successore Costantino Carantene, uno dei suoi cognati, e lo segui ben presto per andare in persona ad attaccare i Saracini; ma non era che a Filomelio nella Frigia, oggidi Filgoun nella Caramania, quando vide arrivare alcuni ambasciatori da Aleppo, che gli recavano vari doni, e gli chiedevan perdono, promettendo di pagargli per l'avvenire fedelmente l'annuo tributo, al quale si erano obbligati sotto il regno di Niceforo. I più distinti ed abili uffiziali consigliavano l'imperatore ad accettarne la sommessione, e a non esporre la sua armata a perire nella Siria ne' calori estivi, ponendogli sotto gli occhi: che tutte le surgenti si diseccavano in quella stagione; e ch'essi non potriano resistere agli Arabi quasi nudi, che soffrivano facilmente gli ardori insoffribili a truppe gravemente armate. Romano non diede orecchio a si prudenti consigli. Geloso della gloria di Niceforo e di Zemisces, e lusingandosi d'avere una capacità anche superiore, entrò nella Siria, e si pose a campo presso Azaz, due giornate lungo da Aleppo. Di là manda Leone Cherosfatto, comandante delle guardie notturne, con un drappello di soldati per riconoscere il nimico, e scegliere un luogo proprio dove poter osteggiare nel giorno seguente.
Subito che Leone si allontanò in maniera dal grosso dell'armata, che non poteva esserne soccorso, gli Arabi, dispersi per la pianura, gli si avventano da tutti i lati, lo inviluppano, e lo opprimono col loro numero: dopo di che, vanno ad appostarsi in un'imboscata intorno al campo dei Greci, e trucidano tutti quelli che n'escono per andare in cerca d'acqua e foraggi; cosicché gli uomini ed i cavalli morivano di sete, o cadevano sotto il ferro dei nimici. Costantino Dalassene, per allontanarli, sorti con un gran corpo di cavalleggieri; ma gli Arabi, montati sopra cavalli agili al pari delle aquile, assalendo ad un tempo i nimici alla testa, nel fianco ed alla coda, ritirandosi e tornando continuamente, tagliarono a pezzi uomini e cavalli, e costrinsero Dalassene a fuggire, a lasciare sul campo una parte dei suoi soldati a cavallo, ed a ricondurre gli altri insanguinati, e sfigurati da orribili ferite. Una tal vista atterri tutto il campo, mentre i vantaggi riportati incoraggiarono i nimici, i quali accorsero ai trinceramenti, mettendo grandi urli; e siccome i medesimi sembravano più numerosi di quello che lo fossero di fatti, perché dispersi senza ordine pel campo ad istrappare le palafitte che vi erano piantate all'intorno, così l'esercito, atterrito, si diede alla fuga. L'imperatore, spaventato anch'esso in guisa ch'era come fuori di se, ed abbandonato dalle sue guardie, sarebbe rimasto prigioniero, se un cavalleggiere, fattolo montare sopra il suo, destriero, non lo avesse salvato dalla strage. I Greci fuggivano in iscompiglio; e gli Arabi, attoniti essi medesimi pel terrore che inspiravano, invece d'inseguirli, entrarono nel campo, dove trovarono ancora alcuni uffiziali quivi trattenuti dalle malattie o dalle ferite, che fecero prigionieri. Finalmente saccheggiarono il campo, principalmente la tenda dell'imperatore: il lusso e la magnificenza di lui servirono ad arricchirli. Gli Arabi, caricati di tutto il bottino i cammelli, si dileguarono così rapidamente com'eran venuti.
Correva il nono giorno d'agosto, ed era estremo il caldo. I fuggitivi, rannodàtisi dopo la ritirata dei nimici, presero insieme la strada d'Antiochia; e l'imperatore, che marciava in mezzo ad essi, si vedeva cadere all'intorno gli uffiziali ed i soldati, gli uni moribondi di sete, gli altri tormentati da fiere coliche, per aver beuto acque malsane. S'incominciava a scuoprire Antiochia, allorché i nimici, appariti di nuovo, attaccarono quest'infelice armata. Essa era già vinta; quindi isoldati fuggendo o furono fatti prigionieri senza contrasto, o caddero, o furono calpestati dai cavalli. L'imperatore non si sarebbe salvato questa seconda volta, se le di lui guardie non fossero state animate da uno straordinario valore. Rimproverandosi d'averlo una volta abbandonato, lo ricoprirono delle loro persone; e combattendo intrepidamente per cancellare la loro vergogna, lo condussero finalmente in Antiochia. La popolarità di Romano II ebbe un colpo ferale dopo questa sconfitta, nonostante che il prestigio Bizantino venne pienamente ripristinato dopo la cattura di Edessa l'anno successivo a questa disfatta.
Bibliografia:
"Grande collezione storica con aggiunte, note, osservazioni e chiraimenti" Charles Rollin, Jean-Baptiste Crevier, Charles Le Beau, Venezia 1852