Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Assedio di Amida

Ottobre 502 - Gennaio 503

Il comandante persiano

Kavad I, anche noto come Kaveh, (449 - settembre 531)

Imperatore dei Sasanidi dal 488 al 496 e dal 498 alla sua morte. Alla fine del V secolo, l'Impero sasanide era nel caos a causa dell'invasione degli Eftaliti (Unni bianchi) da oriente. Gli invasori sconfissero il re Peroz I, il quale dovette dare loro in ostaggio il figlio Kavad per due anni, ritornato solo dopo il pagamento di un grande riscatto. Nel 484 Peroz I e il suo intero esercito furono uccisi dopo una sconfitta. Gli succedette il fratello Balash, che però non fu in grado di restaurare l'autorità regale. Gli aristocratici e l'alta gerarchia religiosa puntarono su Kavad, eleggendolo sovrano nel 488, ma questi presto li deluse. Kavad I, infatti, diede il proprio sostegno alla setta comunistica fondata da Mazdak, figlio di Bamdad, secondo la quale i ricchi dovevano dividere le proprie mogli e i propri possedimenti con i poveri; l'intento di Kavad era, probabilmente, quello di minare l'influenza dei ricchi possidenti, ma questi, nel 496, lo deposero e incarcerarono nel "Castello dell'oblio" in Susiana, ponendo sul trono suo fratello Jamasp. Kavad riuscì però a fuggire, trovando rifugio presso gli Eftaliti, sposando anche la figlia del loro re. Gli Eftaliti aiutarono Kavad a ritornare in Persia: nel 498 tornò sul trono sasanide, punendo i suoi oppositori. Dovendo pagare un tributo agli Eftaliti, chiese aiuto finanziario all'Impero romano d'Oriente, come era già avvenuto in passato, ma l'imperatore Anastasio I rifiutò, contando di creare una frazione tra Sasanidi ed Eftaliti. Kavad, invece, attaccò i Romani, dando vita alla guerra romano-sasanide del 502-506. Col sostegno degli Eftaliti conquistò nel 502 Teodosiopoli in Armenia, per poi prendere possesso della vitale città-fortezza frontaliera di Amida nel 503. La guerra andò avanti fino al 505, quando gli Unni invasero dal Caucaso l'Armenia: i due imperi belligeranti trovarono un nemico comune e si accordarono per una tregua, seguita da una pace l'anno successivo, che non prevedeva cambiamenti territoriali ma, probabilmente, il pagamento di un tributo ai Sasanidi.

Nel 518 Anastasio morì, succeduto da Giustino I (518-527): un vassallo persiano, al-Mundhir IV ibn al-Mundhir, devastò la Mesopotamia, uccidendo monaci e suore. Nel 529 accolse i sette neoplatonici emigrati in Persia a seguito della chiusura dell'Accademia di Atene da parte di Giustiniano I. Nel 524/525, Kavad, temendo per il proprio figlio e successore (il futuro Cosroe I) a causa dei suoi fratelli e della setta di Mazdak (Cosroe aveva grande influenza sul padre e lo convinse ad abbandonare la setta a causa dei problemi sociali prodotti dal suo messaggio), propose a Giustino di adottare Cosroe: la proposta, inizialmente accettata, fu poi respinta e, nel 526, scoppiò la guerra iberica, terminata nel 532 e culminata con la sconfitta del generale Belisario nella battaglia di Callinicum (531). Poco dopo, Kavad morì e Cosroe salì al trono. Lo storico bizantino Procopio di Cesarea, suo contemporaneo, afferma che Kavad era un sovrano energico e, cosa rara, con una visione chiara. Sebbene non fosse stato in grado di liberarsi dall'influenza eftalita, riuscì a ristabilire l'autorità regale sull'impero e ad ottenere successi militari contro i Romani di Bisanzio; riformò inoltre il sistema fiscale. Sul piano religioso, dopo essere stato un sostenitore della dottrina eretica di Mazdak ne divenne avversario per le conseguenze sociali che causava: nel 529 tale dottrina fu refutata dai Magi, i sostenitori del mazdakismo perseguitati e Mazdak stesso impiccato.

La genesi

La guerra di Anastasio o guerra romano-persiana del 502-506 fu il primo scontro dopo un lungo periodo di pace e, sebbene conclusosi con un nulla di fatto dal punto di vista dei cambiamenti territoriali, segnò l'inizio di una serie di scontri tra i due imperi. Il fattore che interruppe la pace tra persiani e bizantini, la quale, lo ricordiamo, durava da quasi un secolo, fu il disastroso stato finanziario del sovrano sasanide. Kavad I era stato infatti spodestato ed era tornato sul trono sasanide nel 498, ma doveva pagare un tributo agli Eftaliti (Unni bianchi) per il sostegno ricevuto; inoltre il Tigri aveva recentemente cambiato il proprio corso nella Mesopotamia meridionale, causando carestie e alluvioni. Kavad decise allora di chiedere un aiuto finanziario ai Romani, come già avvenuto in passato. L'imperatore Anastasio I, consultatosi con i propri consiglieri, decise di non rafforzare il suo nemico con il proprio denaro, contando sulla possibilità che Sasanidi ed Eftaliti si scontrassero indebolendosi vicendevolmente. Kavad, allora, rafforzò l'alleanza con gli Eftaliti, gli Arabi e gli Armeni, e attaccò i Romani, con obiettivi mirati piu' al conseguimento di beni finanziari che non territoriali. Cosi', nell'agosto 502, Kavad catturò facilmente l'impreparata città di Teodosiopoli, capitale dell'Armenia Interior, forse con l'aiuto di qualche locale; ad ogni modo, la città non aveva guarnigioni a difenderla ed era poco fortificata. Venuto a conoscenza dell'attacco, Anastasio inviò Rufino a parlamentare con Kavad, che però si mosse verso sud, passò da Martiriopoli dove ottenne due anni di tasse dal locale satrapo Teodoro e, in seguito si preparò ad assediare l'importante fortezza frontaliera di Amida, ritenuta strategica come eventuale contropartita per dei futuri accordi di pace con i romei.

La battaglia

L'assedio persiano della città-fortezza di Amida si snodò attraverso l'autunno del 502 e l'inverno del 503 e si trattò di un'impresa vera e propria, quale lo stesso Kavadah non avrebbe mai sospettato.

E gli abitatori di lei, avvegnaché sorpresi in una profondissima pace e sprovveduti di truppa e di vittuaglia, risolverono tentare nondimeno la sorte delle armi, preparandosi contra la universale espettazione ad una ostinata difesa. Cavado intanto proseguiva l'assedio travagliando in più luoghi le mura d'Amida coin arieti, il cui urto reprimevano gli assediati interponendovi fortissime travi; né cessò dal batterle che al mirar vano ogni suo sforzo, rimanendo esse dopo replicati attacchi quali appresentavansi dapprincipio; tanta era la solidità loro. Dimessa perciò l'inutil opera altra ne sostituì, inalzando un cavaliere che dominasse le torri. Gli Amideni allora presero anch'egli a scavare disotto al nuovo artifizio traendone, senza dare il menomo indizio al di fuori, grande quantità di terra; cosicché il nemico libero da ogni sospetto ascendeva il cavaliere, e da quivi pertinacemente molestava la città. Se non che al ragnnarvisi tal altro giorno truppe in copia maggiore del consueto, esso in un subito profondò, avvolgendo nelle rovine quasi l'intiero novero de' sostenuti guerrieri. Il Persiano sbigottitosi pel tristo accidente deliberò sciogliere l'assedio, facendo bandire à suoi la partenza col di venturo. In quella però gli Amideni vedendo svanito ogni loro pericolo diedersi ad ollraggiare il nemico, e sin di alcune meretrici giunse a tale l'orgoglio che, alzate lor gonne, mostrarono al re quanto vuole onestà si tenga celato, alla qual cosa i maghi fecero istanza a Cavado di contraddire l'andata, essendo per essi l'avvenuto un segno certo che gli assediati appaleserebbero dell'egual modo tra brev'ora quanto aveano di più recondito là entro. Dopo qualche giorno di fatto un Persiano osservato non lunge da altra delle torri l'ingresso d'un ippodromo, che noi diremmo capanna di pastori da cavalli, superficialmente chiuso al di fuori, venuta la notte da solo tornatovi affrancollo, e giunse per esso al di là delle mura; quindi ai primi albori corse ad informarne Cavado, il quale con le tenebre della prossima notte fecevi trasportare copia di scale, e dietro a queste marciava egli stesso con piccola mano de' suoi. Qui la fortuna dichiarossi tutta in prodigioso modo a favor dei Persiani, imperocchè la torre contigua all'ippodromo era in quel tempo guardata da monaci, uomini che tra' cristiani professano austerissima vita. Or questi, vuoi per istanchezza derivata loro dalle fatiche della precedente anniversaria festività, vuoi per indulgenza maggiore in grazia de' solenni riti nel cibo e nel beveraggio, lasciaronsi di tal fatta vincere dal sonno che per nulla s'accorsero delle tramate insidie. Ebbero così gli avversari mezzo, penetrati l'un dopo l'altro nelle mura, di ascendere la torre, e di trucidarvi tutte le guardie profondamente addormentate. Il re allora fa cenno di por mano alle scale, ma, illuminatosi l'orizzonte, i difensori della torre vicina mirato il pericolo accorsero a contrastargli la vittoria con ostinatissimo combattimento. Gli Amideni più forti di numero avean già trafitto molti nemici, e pur molti avevanne rovesciati dalla torre, quando Cavado sguainato l'acinace intimò la scalata alle truppe, e di uccidere chiunque tentasse evitare il cimento; di questa guisa egli addivenne armata mano padrone della città dopo ottanta giorni di assedio.

Le conseguenze

L'ingresso del vincitore fu segnalato da orribile massacro di cittadini; al giugnere però del condottiero tal sacerdote, venerabilissimo per l'età sua, ripetevagli animosamente disconveuire ad un re l'esterminio dei vinti. E quegli nel bollor di sua collera: perché dunque, rispose, v'opponeste cotanto alle mie armi? Fu volere divino, replicava l'altro, che tu occupassi la città colla forza del tuo braccio, e non col nostro volontario arrendimento. li Persiano tranquillatosi alle costui parole proibì di versare nuovo sangue, accordando bensì alle truppe un generale saccheggio ed i prigionieri, meno alcuni de' più appariscenti individui che dichiarò suoi. Posto quindi in Amida un presidio di mille uomini sotto gli ordini del persiano Glone, e lasciativi alcuni pochi abitatori indigentissimi per condurre ai soldati la necessaria vittuaglia, fe retrocedere l'esercito con tutti i prigionieri, a'quali nondimeno trascorso qualche tempo con tratto di regale clemenza permise il ritorno alla patria loro. L'imperatore Anastasio trattò anch'egli in appresso con molta liberalità gli Amideni, sollevandoli pel corso di sette anni da ogni antico tributo, e ricolmando si gl'individui come l'intiera popolazione di sue beneficenze; mercé di che poté questa obbliare, ma non così presto, tutte le sofferte sciagure.