Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia di Dogali

26 Gennaio 1887

Gli avvesari

DE CRISTOFORIS, Tommaso

Tenente colonnello, nato il 6 giugno 1841 a Casale. Uscito dall'Accademia militare di Torino alla fine del 1859 sottotenente nel 12° regg. fanteria, prese parte ancora giovanissimo alla campagna di guerra del 1860 per l'unità italiana, meritando una medaglia d'argento al valore nel combattimento del Macerone, e poi a quella dell'indipendenza del 1866 come capitano aggregato allo Stato maggiore. Nella prima campagna d'Africa il De Cristoforis trovò gloriosa morte, cadendo eroicamente con tutti i suoi giovani soldati nell'impari lotta contro gli Abissini condotti dal Ras Alula, sulla collina di Dogali fra Moncullo e Sahati, il 26 gennaio 1887. Alla memoria del De Cristoforis fu decretata la medaglia d'oro al valore militare.

Alula

Ras tigrino (m. 1897), originario del Tambien, ebbe il governo dello Hamasien; vincitore dei Dervisci a Kufit (1885), avversò (1887) l'espansione italiana (assalto al forte di Saati e distruzione del battaglione De Cristofori a Dogali, arresto della spedizione Salimbeni). Contrario al convegno del Mareb, vi aderì (1891) ma dal dicembre 1892 si ribellò a Mangascià e fu privato dei beni feudali; più tardi si avvicinò a Menelik col quale combatté ad Adua contro gli Italiani (1896).

La genesi

Dopo l'occupazione di Massaua (5 febbr. 1885) le truppe italiane si erano impossessate di alcune postazioni, tra cui Saati, a circa 30 chilometri da Massaua, rivendicata dal negus Giovanni in base al trattato Hewett (22 apr. 1884). Per questo ras Alula, che governava la regione di Hamasen confinante con i territori italiani, al principio del gennaio 1887, catturata una missione diretta nel Goggiam e inviato un ultimatum al generale Carlo Genè, comandante superiore delle truppe italiane in Africa, si diresse con 10.000 uomini alla volta di Saati. Questa località, presidiata da truppe di irregolari (i cosidetti "basci-buzuk"), venne fatta rafforzare dal Genè con due compagnie di fanteria e una sezione di artiglieria, che il 25 gennaio riuscirono a contenere un attacco abissino, rimanendo però a corto di viveri e di munizioni. Al De Cristoforis, che comandava il presidio di Monkullo, il più vicino a Saati, fu ordinato allora dì partire immediatamente per portare i soccorsi necessari. Dopo aver mercanteggiato a lungo per procurarsi i cammelli per il trasporto, riuscì a mettersi in marcia all'alba del 26 gennaio con una colonna composta di poco più di 500 soldati di compagnie diverse (alcuni dei quali sbarcati appena 48 ore prima), di So basci-buzuk e fornita di due mitragliere Gatling. Per affrettare la marcia spinse in avanguardia alcune truppe ausiliarie, tralasciando però altre misure di sicurezza. Alle 8,20, ad un'ora circa da Saati, nei pressi di una località chiamata Dogali, gli esploratori segnalarono la presenza di forti concentramenti abissini.

La battaglia

Consultatosi con i suoi ufficiali, il De Cristoforis decise di accettare lo scontro, disponendo gli uomini a quadrilatero su una collinetta accanto alla carovaniera. Inceppatesi in poco tempo le mitragliere, egli inviò a Monkullo (a piedi, non a cavallo) una staffetta per segnalare la gravità della situazione. Soltanto un'ora dopo spedì un secondo corriere (questa volta a cavallo) per chiedere espressamente "uomini e cannoni". Nel frattempo, poiché l'altura occupata era minacciata di accerchiamento, fece ritirare la colonna su un colle retrostante, più elevato del primo; disponendo i soldati a semicerchio e impegnandoli in un fuoco violentissimo a lunga distanza. Dopo che fu esaurita una buona scorta di munizioni, gli Abissini compirono una nuova manovra di accerchiamento e per i soldati italiani, ridotti a combattere all'arma bianca, non vi fu scampo. Quattrocentotrenta restarono uccisi, un centinaio feriti, mentre molti basci-buzuk riuscirono a fuggire durante il combattimento. La compagnia di soccorso, comandata dal capitano Tanturri, giunse troppo tardi e anche la ricerca dei feriti risultò affrettata e superficiale, tanto che per tre giorni continuarono a giungere alla spicciolata agli avamposti italiani decine di superstiti (tra i quali, unico ufficiale, il capitano C. Michelini). Anche il De Cristoforis era caduto sul campo. Anche tra le file abissine le perdite furono assai rilevanti: circa un migliaio tra morti e feriti.

Le conseguenze

In Italia le ripercussioni dell'evento furono vastissime e su Dogali e i suoi protagonisti si costruì una vera e propria leggenda. Ma al di là della retorica ufficiale (con la quale si sperava di placare il malumore soprattutto tra i ceti popolari), l'intera vicenda e il comportamento del De Cristoforis in particolare hanno dato luogo a diverse considerazioni critiche. Sono state evidenziate la "leggerezza" con la quale sarebbe stata guidata la marcia della colonna (pattugliamento insufficiente, scarso interesse per i movimenti dell'avversario) e l'ingenua disposizione delle truppe che, schierate a quadrilatero, facevano fuoco in piedi, comandate da ufficiali in fascia azzurra, facilmente individuabili. Quanto ai motivi per i quali il De Cristoforis, di fronte alla difficoltà dell'impresa, optò per la resistenza ad oltranza piuttosto che per la ritirata (cosa che avrebbe potuto fare anche a combattimento iniziato, come precisò lo stesso ministro della guerra C. Ricotti Magnani) sono state avanzate due ipotesi. Da un lato il carattere deciso, impetuoso dell'ufficiale piemontese, disposto a qualsiasi sacrificio ("fino a morire", come scrisse in una lettera pochi giorni prima dell'avvenimento in Giusteschi, p. 8) per salvare la colonia; dall'altro la sottovalutazione delle risorse e delle capacità degli Abissini propria di tutto l'alto comando, convinto, più per preconcetto culturale che per reale cognizione, dell'indiscussa superiorità delle forze italiane anche rispetto ad un nemico molto più numeroso. Ma al di là di questo, precise responsabilità nel disastro di Dogali vanno fatte risalire ad un grave errore tattico del generale Genè. Questi, infatti, decidendo di occupare Saati con regolari e cannoni, senza tenere conto del parere sfavorevole del ministro della Guerra, veniva a disperdere in un territorio assai ampio e per di più apertissimo un contingente militare esiguo (neppure 2.700 uomini). Per essere in grado di occupare e, quindi, di sostenere efficacemente il distaccamento di Saati, si sarebbe dovuto prima provvedere ad ampliare il presidio di Massaua, cosa che non fu fatta. Il De Cristoforis e la sua colonna finirono così per scontare un errore di cui non furono né i soli né i maggiori responsabili.