Battaglie In Sintesi
881 - 882
Chiamato Musilikes nella Vita Ignatii, sembra aver officiato prima dell'880 in Mesopotamia con il grado di basilikos Spatharokandidatos. Nell'880 fu stratega di Kephallenia ed è menzionato nel Logothetenchronik negli elenchi dei "temi occidentali" coinvolti nella campagna di Procopio nell'Italia meridionale. Nella Vita Ignatii è riportato anche che lo strategos di Sicilia Musulice, un tempo si mosse in Sicilia contro gli arabi. Nella lotta ha chiamato il defunto Patriarca Ignazio per assisterlo in battaglia. Il santo, seduto su un cavallo bianco, gli si avvicinò in aria e gli consigliò il lato in cui guidare l'esercito. Musulice seguì il consiglio e così fu in grado di sconfiggere il nemico.
Nell'880, una serie di successi navali sotto l'ammiraglio Nasar rese padroni oramai del mare i Bizantini cominciarono a dar la caccia alle navi mercantili dei
Musulmani, e grande copia vi presero di ricche merci, soprattutto d'olio, il quale fu tanto che il venderono a un obolo la libbra: depredazioni esiziali in quell'anno,
in cui era una spaventevole carestia in Africa, e però molto bisogno delle derrate di Sicilia. Al tempo stesso Nasar mandò torme di cavalli a dare il guasto ai
territorii delle città fatte tributarie dei Musulmani: parecchi mesi durò frastornando il commercio della colonia, senza attentarsi ad assalirla altrimenti; finchè
andossene in Terraferma ov'era più agevole a fare acquisto di territorio. Ben ei lasciò una squadra di salandre a Termini, o Cefalù, con soldati che continuassero
l'infestagione per terra; e forse allor fu che Basilio, con intento di ordinare la guerra in Sicilia, fecevi capitano Euprassio, e poi Musulice. Allora per certo si
cominciò a fabbricare o rafforzare una città, alla quale i Bizantini poser nome di Città del Re; com'io credo, l'odierna Polizzi, la quale sorge sopra un colle in
mezzo alla valle principale delle Madonie, a brevissima distanza dalle scaturigini dei due Imera, settentrionale e meridionale, o vogliam dire fiume Grande e fiume
Salso. Cotesti fiumi, correndo in dirittura opposta, l'uno al Tirreno, l'altro al mar d'Affrica, tagliano la Sicilia d'una linea non interrotta, la quale segnò la
divisione amministrativa sotto i Romani, e poi di nuovo nel decimoterzo secolo; e le due provincie si chiamarono la prima volta Lilibetana e Siracusana, poi Sicilia di
là e di quà del Salso, ossia Occidentale ed Orientale, e l'una rispondea al Val di Mazara, l'altra a quei di Demona e Noto uniti insieme. Da quella fortezza i
Bizantini tenendo il passo delle Madonie, poteano dominare l'uno e l'altro pendio; chiudere i Musulmani nel Val di Mazara; e assicurare le popolazioni cristiane di Val
Demone e Val di Noto. Con pari intento il conte Ruggiero due secoli appresso affortificava Polizzi, sì che a lui ne fu attribuita la fondazione.
Scambiato per cagion di quelle sconfitte, o forse uccisovi, Hosein-ibn-Ribah, e rifatto governatore della colonia Hasan-ibn-Abbas, i cavalleggieri musulmani
prorompeano di Palermo a infestar tutta la Sicilia, l'anno dugento sessantasette dell'egira (11 agosto 880 a 30 luglio 881), nella state cioè dell'ottocento ottantuno;
e Hasan col grosso delle genti, attraversata risolutamente l'isola, andava a bruciare le mèssi nel contado di Catania. Di lì passato in quel di Taormina, distruggeva
le ricolte e tagliava gli alberi: onde uscitogli contro Barsamio, capitano del presidio, uomo di Siria come parrebbe al nome, questi toccò una sconfitta, che il
biografo di Elia da Castrogiovanni dice predetta dal Santo. Il vincitor musulmano, tornandosi a Palermo, dava il guasto al territorio di Bekara, non so bene se Vicari,
ovvero un castel distrutto nelle vicinanze di Gangi, che non son guari lontani nè l'uno nè l'altro dal luogo ov'eransi afforzati i Bizantini. Questi dal canto loro non
intermessero le incursioni ne' territorii dei Musulmani ai quali recarono gravissimi danni. Così con varia fortuna si combattea.
L'anno appresso, che fu il dugento sessantotto dell'egira (31 luglio 881 a 19 luglio 882), cominciò con atroce sconfitta e terminossi con splendide vittorie dei
Musulmani. Narra Ibn-el-Athir che una gualdana condotta da Abu-Thur, "Quel dal Toro," come noi diremmo, imbattutasi nell'esercito bizantino, fu tagliata a pezzi; sì
che ne scamparon sette uomini soli. Il nome di Caltavuturo, che significa la rocca di Abu-Thûr, discosta cinque miglia da Polizzi, addita il luogo dello scontro. La
quale notizia accozzata con quel rigo di annali è esempio dei materiali su cui ci tocca ordinariamente a compilare questo nostro lavoro: ragguagli talvolta precisi, ma
come iscrizioni sepolcrali; nè ci dipingono le sembianze, nè ci rivelano le passioni, i pensieri, tutto quel movimento fu tale che piace e giova intendere nella
storia. Ma alle memorie storiche come noi le vorremmo, come l'ebbero alle mani i grandi maestri dell'arte, suppliscono un po' le leggende: almeno ci svelano in che
modo allor gli uomini delirassero, che è pur segno di vita. Un'agiografia greca ed un'agiografia arabica s'abbattono entrambe, com'e' pare, nel medesimo fatto di
Caltavuturo; narrando le visioni di due avversarii in alcuna sconfitta toccata dai Musulmani.
Niceta Davide di Paflagonia, nella Vita d'Ignazio Patriarca di
Costantinopoli scritta in greco, novera questo tra i cento prodigii del patriarca: che Musulice, stratego di Sicilia, in un'aspra battaglia contro i Saraceni,
sbigottito, nè sapendo che farsi, invocava l'anima beata d'Ignazio, e che quegli, apparso in aria sopra un possente caval bianco, gli accennava di muover le schiere
contro la sinistra del nemico; e così fece il pio capitano, e, contro il solito, vinse.In luogo di un vescovo che venisse a dimostrare arte di strategia, la leggenda
musulmana fa scendere dall'empireo le Huri dai begli occhi negri, per chiamare a novella vita i martiri della fede unitaria. Il narratore è AbuHasan-Hariri, siciliano
di santissimi costumi secondo sua setta, trapassato il novecento trentuno. « Al tempo, diceva egli in sua vecchiezza, al tempo che questa nostra patria nudriva prodi
cavalieri, non trascorsi per anco a lacerarsi in guerra civile, io mossi con gli altri ad una impresa contro Infedeli; nella quale scontratici col nemico, fe'
carnificina di noi. Tra i cadaveri trovai semivivo Abu-Abd-Selem-Moferreg, uom virtuoso, dato ad esercizii di pietà, a dura penitenza, e a combattere per la fede; il
quale così mi parlò: " Ti giuro," ei disse," per Dio, che ho visto tante scale drizzate da questo campo infino al cielo, per le quali scendeano giovanette che mai più
vaghe non ne conobbi al mondo. Tenendo alle mani uno sciugatoio di drappo verde, ciascuna s'accostò a un dei martiri nostri, e presogli il capo e posatoselo in
grembo, gli astergeva il sangue; poi, levando nelle sue braccia il trafitto, se ne risaliva con esso lui in cielo. Ma la donzella che venne a me, addandosi ch'io
respirassi, mi volse le spalle tutta sconsolata, esclamando: --- Oh sventura, egli vive! Oh vergogna mia appo le compagne! - Ed ella mi lasciò, » finiva singhiozzando
Moferreg, "ch' io la vidi con questi occhi miei aperti e risentiti. Mi lasciò la dolce sorella: or come mai potrò cessare il pianto finch' io non la ritrovi?" » Da
quel dì in poi Moferreg si profondò tanto più a meditare su la divinità e su l'altro mondo; raddoppiò ogni più strano rigor di vita ascetica; si cibo d'erbe; e quando
alcuno gli diceva: "Smetti, o Abu-Abd-Selem, che hai fatto abbastanza per guadagnare il Paradiso; " ei gli dava su la voce: Sciagurato ch'io non ho scusa appo il mio
Signore; " e ricominciava a piangere: nel qual modo si travagliò per sei anni che gli rimaser di vita.
Deposto dopo la sconfitta di Caltavuturo Hasan-ibn-Abbas, e surrogatogli Mohammed-ibn-Fadhl, rinnovava, nella primavera dell' ottocento ottantadue, il disegno di Hasan; spargendo le gualdane per ogni luogo ove i Cristiani non fossero sottomessi; e movendo' egli medesimo con lo esercito sopra Catania. Andò seco lui grande sforzo di gente, levatasi in massa alla guerra sacra, com'e' pare dal testo d'Ibn el-Athir. ' Dato il guasto alle messi in quel di Catania, Mohammed improvvisamente si voltò contro i soldati delle salandre bizantine, i quali non si ritrae se abbiano fatto sbarco nella costiera orientale, o, per terra, tenuto dietro all'esercito musulmano; o se questo sia ito a trovarli su la costiera settentrionale, valicando i monti. Muhammed li combattè e ruppe con molta strage. Poi andò a guastare le ricolte di Taormina; e al ritorno scontrossi con più forte esercito cristiano, accozzato forse dai municipii di Sicilia. Lo sbaragliò; ne uccise tremila uomini, e mandò le teste in Palermo. Usando la vittoria, assaltò poi la Città del Re, Polizzi, se regge il mio supposto; della quale impadronissi per forza d'armi, e messe a morte tutt'i combattenti, e ogni altra persona fe' schiava. ' Cosi erano sgombrati gli avanzi della espedizione di Nasar. Le forze bizantine, bastando appena alla guerra di Calabria, abbandonavano la Sicilia; o forse vi lasciavano pochissimi presidii. Il territorio cristiano pertanto si ristrinse ai monti della Peloriade, all'Etna, e alla valle ch'è di mezzo.