Battaglie In Sintesi
6 aprile 402
Uomo politico e generale. Era figlio di un valoroso vandalo, che sotto l'imperatore Valente aveva comandato un corpo
di cavalieri germanici. La madre era probabilmente romana: San Girolamo lo chiama infatti semibarbarus. Ci è ignoto
l'anno della sua nascita, ma si può assegnare al più presto al 360.
Entrò molto giovane in un corpo scelto, probabilmente nei protectores, e vi fece regolare ma rapida carriera. Con
Sporacio nel 383 si recò ambasciatore alla corte persiana: era il momento in cui Teodosio aveva bisogno di concludere
la pace con la Persia per risolvere la questione gotica e per combattere l'usurpazione di Massimo in Gallia. Dalla sua
missione Stilicone uscì con molto onore, il che lo rafforzò sempre di più nel favore di cui godeva presso l'imperatore,
che gli diede in moglie la propria nipote Serena. Da quest'epoca comincia ad avere una posizione preminente alla
corte di Costantinopoli. Sin da ora fu probabilmente comandante della guardia imperiale (comes domesticorum). Al
comando supremo deve essere giunto verso il 392, ma già prima di esser magister militum fu di fatto tra i più importanti
generali del suo tempo. Si distinse specialmente nella guerra contro l'usurpatore Massimo (388) e nella campagna del 391-392
contro i Visigoti. Quando Teodosio, nel 394, mosse nuovamente verso l'Occidente a combattervi Arbogasto ed Eugenio, Stilicone
lo accompagnava e dopo la vittoria del Frigido venne con lui in Italia.
Quivi il 17 gennaio 395 moriva Teodosio in Milano e Stilicone riceveva da lui la raccomandazione di tutelare i suoi figli e
successori. Da questo momento l'ingegno e il valore di Stilicone, di tanto superiori non solo a quelli dei suoi pupilli, ma
anche degli altri dignitarî suoi pari, sorretti dal consiglio e dall'opera di Serena, ne fanno l'arbitro quasi assoluto
dell'Impero d'Occidente. Molto si è parlato dei lati negativi del suo carattere, soprattutto della doppiezza che si è
creduto di scorgere nella sua politica, specialmente nei suoi rapporti con Alarico. È un fatto però che al suo lealismo
verso la casa del gran Teodosio si deve forse se egli non afferrasse per sé o per i suoi discendenti il diadema.
La missione affidatagli da Teodosio fu da Stilicone intesa nel senso che l'unità dell'impero non avrebbe dovuto rompersi,
ma Arcadio e la sua corte erano signoreggiati da uomini, nemici acerrimi di Stilicone, che in lui avversavano non tanto il
nemico personale, quanto il protettore dei barbari annidati nell'impero e barbaro esso stesso. È una reazione romana
e senatoria scoppiata dopo la morte di Teodosio alla sua politica filogermanica. A questa corrente, che a poco a poco
doveva farsi strada anche in Occidente, Stilicone doveva finire per soccombere.
Il primo sintomo d'una tale condizione di cose si ebbe appunto nella profonda separazione tra i due governi dell'impero che
si verificò dopo la morte di Teodosio. L'occasione fu data dalla grande rivolta dei Visigoti. Teodosio li aveva sistemati
su di una zona confinaria lungo il Danubio, nelle provincie di Mesia e di Dacia; un gran numero poi serviva nelle armate
imperiali qua e là disperso. Nel 395 tutte queste masse si concentrano nuovamente ed acclamano re Alarico che, già distintosi
sotto Teodosio, pretende ora un alto comando nell'Impero. Contro di lui accorre Stilicone, oltre che per difender la Pannonia e
l'Italia minacciate dagl'insorti, anche per la convinzione che le due parti dell'impero dovessero agire come per l'innanzi
con unità di piani e di strategia. Ma a Costantinopoli si era ben lontani da una tal concezione. A Tessalonica, dove si era
collocato sbarrando la strada ad Alarico, che sempre più si vedeva costretto a ripiegare verso mezzogiorno, gli giunse
l'ordine di licenziare immediatamente le truppe dell'armata orientale e di ritirarsi oltre l'Illirico con le truppe dell'Occidente.
Un simile ordine era l'affermazione da parte della corte di Bisanzio che si voleva la secessione dall'Occidente: Stilicone non osò
disobbedire, si affrettò ad eseguire l'ordine e si ritirò dall'Illirico (395). Non trascorsero però molti mesi che si dovette
di nuovo ricorrere ai suoi servigi. Avendo infatti Alarico devastato orribilmente la Grecia ed essendo stato nel frattempo
tolto di mezzo a Costantinopoli il più fiero nemico di Stilicone, Rufino, egli marciò col beneplacito dell'Oriente contro Alarico,
che si trovava nel Peloponneso. Ma non essendo riuscito a schiacciarlo né ad impedire che i Visigoti si stabilissero in Epiro,
cadde nuovamente in disgrazia e la rottura con l'Oriente fu ora completa e definitiva. Accusato di connivenza col visigoto,
fu dichiarato a Bisanzio nemico pubblico e i suoi beni furono confiscati.
Da allora Stilicone perse ogni ingerenza in Oriente, ma in compenso si dedicò con più energia all'Occidente, dove poté affermarsi
con più fortuna. Il giovanetto Onorio, al quale nel 398 aveva dato in moglie la propria figliuola Maria, era completamente
sotto l'influsso suo e di Serena. Il governo e l'amministrazione interna, a cui Stilicone dedicò molte cure, tornano a suo onore.
Curò il benessere del paese con il restauro di strade rovinate e di edifici cadenti. Represse le violenze e gli abusi di soldati,
giudici ed esattori di tasse. Moderazione ed equilibrio, rispetto verso il senato, ancora in gran parte pagano, tolleranza verso
i culti non cattolici e verso i pagani ispirano la sua politica religiosa. I pagani furono lasciati liberi di celebrare le loro
feste, ad eccezione dei sacrifici, sempre proibiti, e si impedì l'invasione dei templi. Del resto egli fu quasi sempre impegnato
in quelle guerre di gigantesca portata che si scatenarono negli anni che governò l'Occidente.
Ne apre la serie la rivolta di Gildone in Africa, che fu preoccupante per l'interruzione nei rifornimenti di granaglie (398).
A questa seguirono le irruzioni dei Goti e d'altri barbari in Italia (invasioni di Alarico del 400, e di Radagaiso del 405),
dei Vandali, degli Alani e di altri barbari nella Gallia (406-409), né mancarono le usurpazioni, principale quella di Costantino.
Stilicone vinse Alarico con lunghe e geniali manovre a Pollenza (6 aprile 402), schiacciò a Fiesole Radagasio (primavera del 405); ma
l'immane sforzo per difendere il vecchio centro dell'impero indebolì questo sempre di più, lasciandone necessariamente sguernite
le frontiere fuori d'Italia. Così la Britannia e la Gallia furono quasi totalmente abbandonate a sé stesse; la buona fede dei Franchi,
guadagnati alla causa imperiale dalla diplomazia di Stilicone, difese in un primo momento la Gallia dai Vandali, che premevano minacciosi
sull'alto Reno; ma poi, visti inutili i loro sforzi, si unirono anch'essi agl'invasori della Gallia, in cui si videro irrompere,
oltre a loro e ai Vandali, Burgundî, Svevi ed Alani. Con tutto ciò Stilicone non sembrò disperare e, mentre i suoi nemici gli muovevano
le più gravi accuse e preparavano la sua rovina, egli meditava di servirsi di Alarico, al quale aveva sempre evitato di assestare
un colpo mortale. Ma purtroppo l'opposizione stava ormai guadagnando l'imperatore stesso, ed era proprio forse con questo piano
che Stilicone scopriva maggiormente il fianco ai colpi degli avversarî, dato che il suo contegno di fronte ad Alarico non era stato mai
incontestatamente approvato, e ora si gridava apertamente al tradimento. La posizione di Stilicone si faceva perciò sempre più critica
verso il 408, e varî elementi concorrevano alla sua rovina. Gli si rimproverava di aver provocato e reso insanabile il conflitto
con l'Oriente; inoltre agli elementi più ortodossi poco piaceva la sua tiepidezza nelle questioni religiose. Era ancora l'odio da
vario tempo accumulatosi contro i Germani e contro l'elemento militare. Stilicone si difendeva sempre come meglio poteva. Morta
l'imperatrice Maria, diede l'altra sua figlia Ermanzia in sposa ad Onorio, al figlio Eucherio fidanzò la giovane ed intelligente
sorella di Onorio, Galla Placidia; morto Arcadio nel 408, aveva già ottenuto il consenso dell'imperatore per recarsi in persona
a Costantinopoli a regolare la successione. Si diceva ora che egli mirasse a soppiantare i Teodosidi e a collocare sull'Oriente,
cinto del diadema imperiale, il figlio Eucherio. Un giorno tra le truppe romane di stanza in Ticinum, sobillate dai suoi nemici,
scoppiò una rivolta, durante la quale furono massacrati i dignitarî suoi amici o creature. Egli si trovava a Bologna: le truppe
germaniche a lui fedeli avrebbero voluto marciare sugl'insorti, decisione che egli non volle prendere. Si ritirò invece a Ravenna.
Anche qui rinunziò ad ogni resistenza e si rinchiuse in un asilo. Ne fu tratto con false assicurazioni, e dopo un processo
sommario giustiziato (22 agosto 408).
Alarico non tardò a ricomparire con poderoso esercito in Italia , gagliardamente secondato da'moti de' popoli della Rezia, i quali eransi ribellati contro i Romani. Stilicone, fatto venir di Brettagna una legione, rinnovò i trattati co' Sicambri, co' Catti e co' Cherusci , cioè co' popoli spettanti alla lega de Franchi di Germania, e, senza perdere d'occhio gli Alemanni, accorse nel cuor dell'inverno ad opprimere la rivoluzione de' Reti, ciò che gli venne fatto con rara felicità e prestezza; i Reti anzi s'unirono a lui contro Alarico, mentre in Italia lo spavento si metteva da per ogni dove negli animi all'appressarsi de' fieri nemici del Danubio. I più ricchi cercavano tutti fuggire celeremente in Corsica, in Sardegna od in Sicilia. E l'imperatore Onorio, non ritenendosi sicuro in Ravenna, s'affrettò d'andarsi a rinchiudere in Asti, allora città della Liguria. Fu nondimeno inaspettata ventura che gli Alemanni ed altri popoli di Germania non avessero pigliato quell'opportunità per molestare l'Imperio; i popoli del Reno si rimasero tranquilli, tuttochè i limiti romani fossero mal custoditi; e ben tosto valido nerbo d'Alani condotti da Saule (se pur questo fu il vero suo nome) sopraggiunse a confortar le speranze d'Italia. Nè più le Alpi Giulie od i contorni d'Aquileia sopratteneano Alarico, superbo pe' responsi propizj di bugiardi oracoli, che gli prometteano immaturamente la conquista dell'Urbe, ovvero di Roma. Ma l'Urbe, oggi creduto il Bordo, fiume vicino ad Asti, ov'era chiuso l'imperatore, dovea questa volta essere il termine della spedizione dell'animoso guerriero de' Balti. Dopo aver superato i passaggi men difesi de' monti, era egli pervenuto al Po, e lo avea baldanzosamente passato, approssimandosi alla Liguria. Ivi allora, sul Tanaro, sorgea Pollenza o Potenza nella regione che oggi chiamasi del Monferrato. Non lungi da questa città fu fiaccato da Stilicone l'ardire d'Alarico.
I Goti disfecero da prima l'antiguardia degli Alani, ed uccisero il lor capo, rovesciando il rimanente; ma i cavalli romani s'innoltrarono, ed avendo ristabilita la fortuna della battaglia diedero il tempo a' fanti di piombar sul Goto, e di metterlo in fuga, dopo aspra e micidiale mischia.
Immensi tesori egli lasciò nelle mani de'vincitori, frutto di grandi saccheggi; numerose schiere di romani prigionieri, fatti servi da' nemici, riebbero la libertà; ed i figliuoli d'Alarico e le sue nuore caddero invece nelle mani di Stilicone