Battaglie In Sintesi
3 settembre 1041
Figlio di Tancredi d'Altavilla e della sua prima moglie Munella, giunse nell'Italia
meridionale verso il 1037 con Normanni affluìti per rinforzare le schiere di
Rainulfo Drengot, allora creato conte d'Aversa.
L'Altavilla, insieme con i due fratelli Drogone e Unfredo, segui Rainulfo, quando questi
aderì a Guaimaro IV, principe di Salerno, e prese parte alle operazioni militari
contro Pandolfo IV, principe di Capua, devastandone il territorio. In tal modo
i fratelli Altavilla acquistavano con rapidità un esatto orientamento della
situazione politica locale, pur rimanendo ancora, per qualche anno, in una
posizione di secondo piano.
Intanto l'Altavilla, sempre con i fratelli, lasciato Rainulfo, come sembra, passava
alle dipendenze dirette di Guaimaro, che lo mandò, agli ordini di Arduino, col
contingente bizantino che doveva nioccupare la Sicilia musulmana. L'Altavilla rimase
così in Sicilia tra il settembre 1038 e il 1040, distinguendosi specialmente
nella vittoriosa battaglia alle pendici dell'Etna, tra Randazzo e Troina.
Secondo le fonti normanne, che riferiscono notizie epicamente ingrandite, l'Altavilla
avrebbe ucciso un alto personaggio musulmano ed avrebbe compiuto altre gesta
grandiose, che, del resto, sembra siano state riprese e raccontate anche in
saghe nordiche.
Per il mancato pagamento del soldo e per l'ingiusta divisione delle prede, l'Altavilla,
coi suoi compagni d'arme normanni, lasciò il corpo di spedizione bizantino, del
resto già minato da discordie interne, ritornando agli ordini di Guaimaro e di
Rainulfo. Esplosa, però, la rivolta pugliese del 1040-41, l'Altavilla e altri capi
normanni, tra cui suo fratello Drogone, chiamati a Melfi dal loro antico capo
Arduino, furono gli artefici delle vittorie di Montemaggiore, il 4 maggio 1041, e
di Montepeloso, il 3 settembre dello stesso anno, in cui le forze bizantine
furono disfatte.
Nella rivolta che, dopo queste vittorie, accrebbe di violenza, e nei torbidi e contrasti
successivi l'Altavilla, che era riuscito a tener stretti intorno a sé gli altri Normanni,
acquistò una preminenza sempre maggiore, che, in occasione della ripartizione dei
territori occupati, lo fece eleggere conte dai suoi compagni nel settembre 1042. Capo
riconosciuto dalla maggior parte dei Normanni, per consolidare le conquiste compiute,
chiese ed ottenne l'appoggio di Guaimaro IV di Salerno, che, per prevenire ritorni
offensivi dei Bizantini, riconobbe a lui (come ai suoi compagni) i territori pugliesi
e gli diede in moglie la nipote, figlia del fratello Guido, duca di Sorrento, mentre
l'Altavilla a sua volta si dichiarava suo vassallo.
Da Melfi, che divenne centro dell'espansione normanna, l'Altavilla mosse contro Bari, ancora
in mano bizantina; non avendo ottenuto nessun risultato, spostò i suoi attacchi in
Lucania e Calabria, dove nel 1044 fece costruire il castello di Stridula (in località
oggi sconosciuta). L'Altavilla morì poco dopo, tra il maggio e il settembre del 1046.
Era il mese di maggio (1041) tempo propizio alle fazioni guerriere, quando Doceanó raccotse il suo poderoso esercito presso Canne dove l'Osanto era guadabile, e raccoltosi nell'opposto lido presso Montemaggiore, si pose di rincontro all'armata degl'insorti, questa volta capitanata da: Atenolfo di Benevento, ed eran questi intorno a tremila la maggior parte Normanni; mentre Doceano ne comandava almeno sei volte tanti di gente raccogliticcia. Tremenda fu la pugna, e breve: poichè l'armata pugliese attaccò i greci con tanto impeto, che ne fece orribile carneficina, ed i fuggitivi si volsero a guadar' l'Ofanto, unico scampo che allor rimaneva: ma si tenne per miracolo che il fiume subitamente si fosse gonfiato per piena sopravvenuta, essendo sereno l'aere. In tal modo chi non era morto di ferro venne annegato, ed i due vescovi furono fra i morti. I pochi scampati con Cedreno si raccoglievano in Bari, mentre le primcipali città pugliesi, libere da' greci, elevavano il vessillo dell'insurrezione. Raccolse ancor questa volta il catapano gli avanzi del disfatto esercito, e raccozzati alcuni Psidi e Licaoni spediti da Grecia, oso attaccar la zuffa per la terza volta e fu per la terza volta disfatto dall'armata italiana rinforzata dai lombardi, venuti dal Po e dalle Alpi a'primi rumori della guerra, per combattere le battaglie nazionali contro l'odioso straniero. Doceano non si mostrò avvilito dalla nuova disfatta, concentrò i suoi armati nelle città marittime d'onde poteva ricevere i soccorsi di Grecia, richiamo di Sicilia i Museri i Macedoni ed i Pauliciani, chiese militi e soccorsi a' Calabresi, e si mostro pronto a combattere. Ma la corte bizantina áddolorata delle ripetute disfatte ritirò in quel momento la sua grazia da Doceano, e nomino catapano Esaugusto ch' era figlio di Boioanni, il quale aveva lasciato nome temuto nelle puglie. Egli portava seco oltre un forte soccorso di varangi, anche molto oro, arnese necessario nelle guerre, poiché talora ferisce meglio del ferro. Ma i vincitori non erano stati inerti, e nel breve riposo ch'era succeduto alle prime battaglie bandirono nelle vicine terre d'Italia che avrebbero fornito armi cavalli vesti e danaro a chiunque venisse dalla loro parte, ed avrebbero diviso frai combattenti le ricchezze de' greci e le terre della conquista. Questo bando aveva prodotto il suo effetto e non solo dai principali , longobardi e dalle città venute nelle loro mani, ma dalle più lontane parti d'Italia per avidità di preda e per amor sacro, di patria venivano i combattenti. Esaugusto dopo riordinato l'avanzo dell'antico con quelli che aveva portati seco, ben provveduto de più necessarii arnesi portati da Costantinopoli, prometteva larghi compensi, oltre quelli larghissimi che si ripromettevano rapinare dalle città e dalle famiglie insorte. Mosse cosi pieno di speranze l'esercito greco per la via di Melfi, ove erano raccolti gl'italiani con Atenolfo: ma questi ultimi stimarono meglio andarli ad incontrare fuori della loro sede, e lasciando un presidio in Melfi, il rimanente dell'armata s'avviò verso Montepeloso dove si era fermato Esaugusto.
Ma in quel che dava opera a siffatti apparecchi, eccoti giunto
a Bari in agosto il nuovo calapano, di nome Exaugusto Bugiano, figliuolo a
quel Basilio, che sconfisse Melo a Canne, e per le restaurate e fondate città
lasciò il nome del suo maestralo alla regione, che giace a piè del Gargano. La
fama paterna gli meritò quest'onore. Appena giunto, significò da parte dell'imperatore
al Dulchiano di tosto partire per Costantinopoli a render ragione di sue opere,
chiaritosi cosi cattivo maestro di guerra.
Guaranci ed altri barbari venuti seco in buon dato , fecero massa a Montepeloso
con l'altre genti già raccoltevi; ed il di terzo di seltembre su posto alla battaglia.
Dalle loro stanze scesero in una spezie di valle molto ampla, e quivi convennero
i Normanni dai monti vicini. Settecento di numero (se dicono vero gli storici),
diecimila quelli. Exaugusto valente di mano e di lingua non lasciò modo a spronare
i suoi sì con la ferma sicurezza del viso, e sì con le parole: rammentò i più chiari
guerrieri del suo paese, che in ogni tempo alla Grecia acquistarono gloria immortale,
esagerò la dappocaggine e viltà, che di essi erasi indonnata in queste ultime guerre,
la vergogna di essersi tante volte precipitati a fuga in faccia a pochi barbari del
settentrione: « esser quelli, aggiungeva, un piccol numero d'avventurieri, a cui
l'insolenza tien luogo di forza , inatti ad esser da loro medesimi guidali, e
da a duci italiani farsi reggere; a sterminarli non bisognar altro, a che opporre
valorosa resistenza. Però stessero fermi, mostrassero non esser mancata nelle
passate sciagure la virtù e ne'guerrieri, ma si ne' capitani; e saper essi vincere,
quando chi dee pugnare il primo, non fugge ».
Fiero e sanguinoso da ambe le parti fu il combattere; dubbia e varia la fortuna
per lunga pezza. Or gli uni, or gli altri s'incalzavano, respingevano, tornavano
alla zuffa; nè si voleano lasciare, se decisa la battaglia non fosse. Era un orrore
d'inferno: diverse lingue, urli orribili, cozzare e scintillar d'armi, sangue,
morti; e sopra i corpi morti o moribondi si combatteva. Fu un istante, in che i
Normanni sopraffatti dal numero, quasi accerchiali, già piegavano stracchi,
allorchè Guglielmo Braccio-di-ferro, che travagliato dalla febbre quartana non
avea presa parte alla battaglia, ma pure aveva voluto esserne spettatore,
veggendo i suoi in manifesto pericolo, brandì l'armi, e come furibondo
leone vi si cacciò in mezzo gridando, ed all'usata virtù
richiamandoli. Tanto ardire quelle grida e quella vista infusero ne' petti
normanni, che risolsero o vincere o morir tutti e finalmente i pochi vinsero.
Grande la strage de Greci, massime di Macedoni, che più sensitivi agli stimoli
d'onore più resistettero, furono tutti tagliati a pezzi: Exaugusto fu preso
vivo, e con le braccia dopo le terga ligale procedette innanzi al cavallo di
Atenolfo, che aveva comandate tutte le fazioni di quella giornata; a Melfi lo
menarono, e di là a Benevento, facendone un dono al lor comandante: e così
suggellarono la terza vittoria , chè tre riportate ne avevano in un anno solo.
Ma Atenolfo, desideroso di oro, non seppe contenersi alle grandi profferte del
catapano, e fattone traffico di molto prezzo, rimandollo libero a Costantinopoli.
Ciò seppe reo a tutti i collegati, e sopra gli altri ai Normanni, che indignati
della vilissima azione , da lui affatto si separarono; e congregatisi coi
Baresi, coi Materani, ed altri Pugliesi , elessero a lor capo il nostro Argiro,
e nel febbraio del 1042 con unanimi acclamazioni il confermarono principe di Bari,
e duca di Puglia
Da questa sconfitta può contarsi l'agonia del dominio greco in Italia. Poco dopo morì Michele Paflagone, e gli successe il nipote Michele V calefato, uomo ignobile e brutale, che occupato degl'intrighi di palazzo non pensò all'Italia. I pochi greci superstiti rinchiusi ne'castelli più forti vi si tenevano appeva; le principali città di Puglia, fra le quali Bari, Monopoli, Giovinazzo e Matera vennero a'patti co'vincitori, ed era venuto il momento in cui, deposte le armi, il senno civile doveva ordinare la nazione: ma il senno mancò