Battaglie In Sintesi
19 Luglio 711
Non si conosce l'anno della sua nascita. Egli fu eletto a succedere al defunto re Witiza nel 708 o 709, contro un forte partito di nobili che sostenevano invece il principe Achilla. Sconfitti i partigiani del suo rivale, nel 710, egli si volse a guerreggiare contro i Baschi e i Franchi verso il confine dei Pirenei. Ma residui del vecchio partito di Achilla, capitanati, secondo la tradizione, dal conte visigoto di Ceuta, Giuliano, che la storiografia più recente riconosce invece come un conte bizantino unito da particolari legami con la famiglia del defunto re Witiza, chiamarono in Spagna gli Arabi e si allearono con loro contro Roderico Sconfitto il 12 luglio 711 nella battaglia del Barbate, nei pressi di Cadice, nulla si sa della sua fine. Un'antica tradizione lo fa morire in quella battaglia. Secondo un'altra tradizione sarebbe perito nella battaglia che gli Arabi vinsero due anni dopo, nel 713, a Segoyuela. Una terza tradizione lo fa morire a Viseo in Portogallo, dove sarebbe esistita la sua lapide sepolcrale.
Con la conquista dell'Hispania, la folgorante espansione araba iniziata dopo la morte del profeta
Maometto nel 632 trovò il suo culmine in Occidente. In soli dieci anni, gli eserciti dei califfi (i successori
del Profeta a capo della comunità musulmana) avevano conquistato l'intero Medio Oriente fino all'Egitto.
Nel resto del Nord Africa la resistenza fu invece accanita.
Le truppe arabe qui subirono le più dure sconfitte che avessero mai conosciuto. Ci vollero settant'anni
di guerra per sottomettere sia i rappresentanti dell'Impero bizantino che rimasero nell'area, sia le
tribù berbere che dominavano un territorio semidesertico, che si estendeva fino ai limiti dell'Atlantico.
Estinta quella resistenza, Ceuta, che fino ad allora era stata un'enclave bizantina, fu lasciata alla
mercé dei conquistatori. Lasciato a se stesso, il suo governatore, di nome Giuliano (o Urbano),
decise di collaborare con gli invasori.
I rapporti con Giuliano furono condotti dal nuovo governatore del Nord Africa, Musa ibn Nusayr, allora
sulla sessantina. Di origini incerte - alcuni cronisti musulmani dubitano addirittura che i suoi
antenati fossero arabi - il governatore apparteneva alla nuova classe di persone che avevano fatto
carriera all'interno dell'amministrazione imperiale dei califfi omayyadi, anche se non sempre si
distinguevano per la loro onestà. Proprietario di un territorio che tanto era costato soggiogare,
Musa scelse di integrare nel suo esercito le stesse tribù berbere che fino a quel momento lo avevano combattuto.
Molti dei soldati, appena reclutati, parlavano a malapena l'arabo ed è dubbio che la loro conversione all'Islam
sia stata qualcosa di più che superficiale. Ma il controllo di Ceuta dava la accesso allo Stretto, e la
prospettiva di nuove conquiste in cui i berberi potessero partecipare era molto allettante; inoltre
dalla Hispania arrivavano notizie che parlavano di una forte crisi interna che invitava a facili
conquiste. Musa non sembra averci pensato molto e presto iniziò a inviare spedizioni nella Penisola
iberica per perlustrare il territorio per la sua eventuale conquista.
La spedizione più importante fu affidata a Tariq ibn Ziyad, un berbero, a cui fu
assegnata una forza composta principalmente da truppe nordafricane, stimata dalle fonti in circa 12.000
uomini. Giuliano facilitò il passaggio dello Stretto con navi che andavano e tornavano da
Ceuta, e che nella Penisola sbarcavano vicino al promontorio che era noto come "monte di Tariq"
(Yabal Tariq), vale a dire Gibilterra.
I gruppi di spedizione araba si dispersero presto nella baia di Algeciras. Una delle prime enclavi che occuparono
fu Carteia (San Roque), una prospera città romana che era decaduta in epoca visigota. Fu lì che i
nuovi arrivati stabilirono la loro prima moschea. Non era un grande edificio, ma un oratorio in cui,
molti anni, dopo gli abitanti della vicina Algeciras continuarono a venire a pregare per la pioggia
durante i periodi di siccità.
Dopo aver consolidato la sua base nella baia di Algeciras, Tariq decise di aspettare in attesa di vedere
come si sarebbe evoluta la situzione nel regno visigoto.
Il re Rodrigo invece, fece esattamente il contrario. Radunò l'esercito e si diresse a sud, cercando di
forzare il nemico alla battaglia, convinto che una vittoria gli avrebbe permesso di consolidare la sua
fragile autorità. Fu un errore fatale. I predecessori di Rodrigo avevano promulgato leggi
dure contro coloro che ignoravano la chiamata alle armi del re, che potevano confiscare i loro
beni, esiliarli o addirittura metterli a morte.
È comprensibile, quindi, che nell'incertezza del momento sia gli alleati che i nemici del monarca
abbiano risposto alla sua convocazione. In vista dell'esercito radunato a Córdoba, Rodrigo potrebbe
pensare di aver affermato la sua autorità, ma la verità è che le sue forze non erano altro che una
riunione di truppe a cui avevano partecipato i magnati, portando con sé non solo i propri soldati,
ma anche i loro litigi e dissidi. Tra coloro che avevano unito le forze con il monarca c'erano membri
della famiglia del re Witiza, che si erano duramente confrontati con Rodrigo per la successione al trono.
Quel che successe poi è tuttora molto confuso. Le fonti
non sono d'accordo sul nome dei figli di Witiza destituiti dal trono da Rodrigo, cosa che ha suscitato
infinite polemiche. Ciò che è fuor di dubbio è che i parenti del precedente sovrano ebbero un ruolo
di primo piano negli eventi che stavano per precipitare la fine del regno visigoto.
Due figli, o forse fratelli, di Witiza, chiamati Sisberto e Oppa - mentre altri, invece, parlano di Artobás,
Alamundo e Agila - stipularono accordi con il nemico. Furono i primi a stabilire patti con i conquistatori,
mediante i quali i "witiziani" vedevano riconosciuto il possesso delle loro vaste proprietà. In cambio,
erano disposti a disertare il combattimento nel bel mezzo della battaglia.
Probabilmente Rodrigo marciò da Córdoba in direzione di Siviglia, con l'intenzione di reclutare più
forze durante il tragitto, e da lì prese la direzione che lo avrebbe portato a trovare le forze di Tariq.
Quest'ultimo, dal canto suo, aveva deciso di spostare le sue truppe verso Siviglia, magari cercando un terreno
adatto: un famoso racconto lo mostra arringare i suoi uomini, ai quali fa notare che non c'è spazio
per la fuga perché dietro di lui c'è solo il mare. Entrambi gli eserciti si incontrarono nei pressi del fiume
Guadalete; ed è lì, che cominciò allora una feroce lotta, che forse durò diversi giorni partendo con
scaramucce e agguati tra le due parti.
In quello che divenne il combattimento decisivo, Rodrigo comandava il centro dell'esercito, mentre le ali erano state affidate a Sisberto e Oppa. Rodrigo resistette con le sue truppe davanti a Tariq al centro della formazione, ma i "witiziani" disertarono dai fianchi visigoti nel bel mezzo del combattimento, cosa che causò il collasso del centro nonchè la disfatta e la sconfitta del resto dell'esercito visigoto. Le vittime furono numerose e tra queste ci fu anche quella del re Rodrigo, il cui corpo però non fu mai ritrovato. In seguito alla battaglia furono trovati solo il suo cavallo e uno stivale ornato di pietre preziose. Questo fatto lasciò spazio a varie congetture, tanto che, secoli dopo, vi erano ancora delle persone che aggiungevano nuovi elementi alla leggenda affermando di aver visto un epitaffio a Viseo (nord del Portogallo) che proclamava: "Qui giace Rodrigo, ultimo re dei Visigoti".
La clamorosa vittoria convinse Tariq che era ora di passare all'offensiva. Il suo primo obiettivo
era Écija, dove si erano rifugiati i resti dell'esercito sconfitto. Forse la città non era murata,
motivo per cui l'esercito visigoto combatté ancora una volta una nuova battaglia campale che portò
a un'altra completa sconfitta. Con l'esercito visigoto decimato, con parte dell'aristocrazia
disposta a collaborare con i conquistatori e in una confusione politica generale, si verificò
una situazione che si era già verificata nell'Oriente bizantino durante le grandi conquiste arabe: non vi
furono più tentativi di difesa unitaria, tanto che città e territori furono lasciati al loro destino.
Di fronte a questa situazione, Tariq prese una decisione rischiosa ma epocale.
Seguendo il consiglio di Giuliano, divise il suo esercito in diverse colonne, una delle quali si
diresse verso Córdoba e le altre verso Elvira (vicino a Granada) e Malaga. Nessuna di queste
città oppose una seria resistenza. Solo a Córdoba un manipolo di difensori resistette per
qualche tempo nella chiesa di San Acisclo, finché non furono decimati dai conquistatori che
erano entrati in città attraverso una breccia nelle mura. Da parte sua, Tariq continuò ad
avanzare fino ad occupare Toledo, la capitale visigota.
Questa successione di trionfi raggiunse presto le orecchie di Musa. Accompagnato da un
esercito composto principalmente da arabi, sbarcò ad Algeciras desideroso di fare le
proprie conquiste, e prese una rotta che lo portò a conquistare Siviglia e Mérida, dopo brevi
assedi. Quando finalmente incontrò Tariq a Toledo, l'incontro fu tutt'altro che cordiale. Tra
i rimproveri del governatore a Tariq per aver oltrepassato i suoi ordini e la sfiducia di
Musa nei confronti di possibili appropriazioni illecite del bottino da parte di Tariq, la
tensione tra i due uomini esplose con virulenza.
Nonostante quanto affermano alcune fonti, è dubbio che, una volta unite le forze, sarebbero
arrivate anche a Saragozza. Presto fu ordinato a Musa di riferire a Damasco, dove il califfo
era preoccupato per l'indipendenza con cui agiva il suo governatore. Quando partì in direzione
dell'Oriente, per non tornare più, lasciò il figlio Abd al-Aziz a capo del nuovo territorio.
La conquista di al-Andalus non era finita, ma molti avevano cominciato a capire che l'antico
regno visigoto era stato sepolto sul campo di battaglia di Guadalete.