Battaglie In Sintesi
663
Figlio (m. 687) di Grimoaldo. Ebbe il governo del ducato (662-63), quando il padre divenne re dei Longobardi. Con l'aiuto del padre resisté all'assedio di Costante II, e, credendo la vittoria frutto delle preghiere del prete Barbato, volle che questi fosse il primo vescovo cattolico di Benevento, e si convertì con molti dei suoi. Aggiunse ai suoi possessi Taranto e Brindisi.
Sedeva allora sul trono di Costantinopoli l'imperatore Costante persecutore
per causa di fede di papa Martino. Questo costante era un tiranno dubitoso,
il quale sospettando del fratello Teodosio, lo costrinse a farsi chierico,
e poco dopo lo fece morire. Quindi era odiato per la sua crudeltà, e
insieme tenuto a vile, perchè non aveva mai saputo vincere i nemici esterni,
tanto che nel tempo del suo governo l'impero aveva perduta gran parte dell'Africa,
per ribellione prima, poi per invasione dei Saraceni. Dopo avere ucciso il
fratello egli era tormentato da orribili rimorsi; gli pareva sempre di
vederlo in atto di offrirgli una tazza di sangue, e dirgli:
Bevi fratello! È sangue mio. Costantinopoli gli era divenuto soggiorno
increscioso; odiava il popolo e sapeva di esserne odiato. Decise pertanto
di cercare altra residenza , e raccolto il suo tesoro, sciolse le vele.
Quando fu lungi dal lido mando a prendere la moglie e i figli; ma il senato
e il popolo si opposero alla partenza della famiglia imperiale, e vollero
tenerla in ostaggio. Costante adirato sputò verso la città , e continuò il
suo viaggio. Dopo essersi fermato ad Atene veleggiò verso l'Italia, e infine
approdo a Taranto nella primavera dell'anno 665. Quivi avendo udito che Grimoaldo
duca di Benevento era partito per Pavia, e aveva lasciato a governare il ducato
il giovinetto Romualdo suo figlio, gli parve questa una buona occasione per
menare una impresa contro i Longobardi. A tal fine, raccolti aiuti dalle città
marittime d'Italia che serbavano fede all'impero, e dalla Sicilia, entrò nel ducato.
Prese di primo colpo parecchie citta, saccheggið e disfece Luceria (Nocera); lasciò
Acheronzia (Acerenza) perchè troppo forte, e andò a porre l'assedio a Benevento.
Il giovane Romualdo aveva già mandato al padre il suo balio , ossia precettore,
Sensualdo, acciocchè quegli accorresse in aiuto suo e dello Stato. Intanto si
difendeva con gran valore; faceva sortite coi più valorosi de' suoi soldati,
rovinava i lavori d'assedio, faceva strage
dei nemici. Ma il fedele Sensualdo nel suo ritorno a Benevento cadeva in mano
degl'imperiali. Costante gli promise salva la vita, purchè condotto sotto le
mura dicesse a Romualdo che non aspettasse il soccorso di suo padre, perchè
non sarebbe venuto. Il prigioniero disse che l'avrebbe fatto; ma invece quando
comparve sulle mura Romualdo gli gridò di resistere animoso, perchè poco
tarderebbe a giungere il suo genitore. Nel tempo stesso gli disse di aver
cura della moglie e dei figli ch'esso lasciava , poichè non tarderebbe a morire.
E infatti il fedele uomo fu subito ucciso; e la sua testa balestrata
dentro la città fu baciata da Romualdo e bagnata di pianto.
Temente per l'avvicinarsi di Grimoaldo, l'imperatore levò l'assedio da Benevento,
e parti recando seco in ostaggio una sorella del duca, che poi morì lungo il viaggio.
Marciava egli co'suoi alla volta di Napoli, quando presso il fiume Calore fu raggiunto
da Mittola conte di Capua, e pati una grave sconfitta in un luogo, che lungamente
serbo il nome di Pugna.
Avvenne in quel tempo a Benevento un fatto degno di nota. I Longobardi, quantunque
fatti cristiani, ritenevano sempre le superstizioni della mitologia settentrionale.
In Benevento tenevano in grande venerazione un vecchio albero, da cui derivò forse
quel noce famoso, sotto al quale la mezzanotte del sabbato andavano le streghe a
far tregenda. San Barbato vescovo della città , dopo avere inutilmente predicato
contro quella superstizione, nel tempo dell'assedio aveva ottenuto dal duca Romualdo
un voto, cioè ch'egli avrebbe permesso che si atterrasse quell'albero, se Dio gli
concedesse la vittoria. E quando l'assedio fu levato, subito Barbato accorse sul
luogo armato di scure, e di sua propria mano abbatté l'albero fatale. Per mezzo
della duchessa Teodorata, moglie di Romualdo, il vescovó ottenne anche che il duca
rinunziasse ad un'altra superstizione, cioè a una grossa vipera d'oro, che soleva
tenere come oggetto sacro nella sua stanza ; e con quell'oro fece fare un calice
e una larga patena.
Quando l'imperatore fu giunto a Napoli, uno dei suoi grandi, certo Suburro, gli
disse che con ventimila uomini si sarebbe fidato di vincere Romualdo ; li ebbe
infatti, e mosse contro al nemico. Grimoaldo che già era in Benevento, voleva
uscire a combatterlo; ma il figlio chiese ed ottenne di condurre egli le schiere,
colle quali affrontò i Greci a Forino.
Lunga e sanguinosa durava la mischia, quando un poderoso Longobardo, infilzato colla sua lancia in Greco, lo levò in alto a guisa di bandiera. Fu tanto allora il terrore dei soldati imperiali, che si diedero a fuga precipitosa; e Romualdo ritornò vincitore a Benevento.
L'imperatore non volle ritentare altre prore, e volse sui sudditi la collera e la rapina. Nel luglio passò a Roma, dove a papa Martino era succeduto Eugenio, poi Vitaliano. L'imperatore fu incontrato onorevolmente a sei miglia dalla città, dal papa, dal clero e dal popolo.