Battaglie In Sintesi
1 febbraio 1702
Nato a Parigi il 18 ottobre 1663, morto a Vienna il 21 aprile 1736. Quartogenito di Eugenio Maurizio conte
di Soissons (figlio di Tommaso Francesco di Carignano e di Maria di Borbone-Soissons) e di Olimpia Mancini, romana, nipote del cardinal Mazzarino. A nove anni perdette
il padre; non ne aveva ancora quindici quando la madre, prima dama di corte, per gl'intrighi del Louvois fuggiva da Parigi sotto l'accusa di astrologia e
avvelenamento, riparando a Bruxelles, poi in Spagna, in Germania e di nuovo a Bruxelles (dove morì il 9 ottobre 1708). Restavano sette figli orfani, con la madre esule
e perseguitata, affidati alle cure di una nonna (Maria di Borbone-Soissons) hisbetica e prepotente. Per volere di costei e dello stesso re, il principe Eugenio avrebbe
dovuto seguire la carriera ecclesiastica. Ma non vi si sentiva portato, e studiava di preferenza matematiche e scienze positive e cercava d'irrobustire il gracile
corpo. Nel febbraio 1683 dichiarò esplicitamente alla nonna che non avrebbe vestito l'abito talare; ai primi di marzo ancora diciannovenne, esponeva a Luigi XIV il
desiderio di entrare nell'esercito con un grado adeguato al suo rango di principe. Non ottenne risposta. Intanto il fratello Luigi Giulio, passato da poco al servizio
austriaco contro i Turchi, col grado di colonnello, moriva di ferite il 12 giugno 1683; avuta la notizia, Eugenio decise di occupare il posto lasciato dal fratello e
vendicarne la morte; lasciò Parigi e ad onta dell'esortazione del re e della stessa madre, che temeva per la sua gracilità, si metteva al servizio dell'imperatore
Leopoldo I, partecipando come volontario alle operazioni per la liberazione di Vienna assediata dai Turchi, col reggimento dragoni di Savoia. Tre mesi dopo, l'11
dicembre 1683, l'imperatore dava al ventenne principe il comando del reggimento diagoni di Küfstein. Si disse che a questa notizia Luigi XIV esclamasse ironicamente,
rivolto a dei cortigiani: "Non vi pare che io e la Francia abbiamo fatto una grande perdita?". Già nel 1684 il principe Eugenio si distingueva nella campagna contro i
Turchi, e così pure l'anno seguente, tanto da esser promosso maggior generale. Si recava poi con la madre a Madrid, ma ad onta degli onori e delle profferte spagnole,
preferiva rimanere al servizio dell'imperatore. Nel 1687 era fatto tenente generale e il papa premiava le benemerenze nella lotta contro i Turchi assegnandogli alcune
abbazie del Piemonte. L'anno dopo era ferito gravemente sopra il ginocchio, da una fucilata, davanti a Belgrado.
Nel 1689 Eugenio inizia quell'attività diplomatica che anche in seguito saprà proficuamente alternare con l'attività guerresca, e contribuirà all'alleanza del duca di
Savoia con l'imperatore. Nel 1690, promosso generale di cavalleria, è mandato in Piemonte con cinque reggimenti di cavalleria; ma Vittorio Amedeo II attacca battaglia
senza aspettarli, ed è vinto a Staffarda dai Francesi: il principe Eugenio può solo proteggere la ritirata con la gendarmeria del duca. L'anno dopo però Eugenio si
distingueva liberando l'assediata Cuneo; nel 1693 era nominato feld-maresciallo. Sempre a lato del duca, ma sempre in posizione subordinata e mediocremente ascoltato,
non riusciva a evitare la battaglia di Marsaglia, e solo poteva coprire la ritirata degli Austro-Piemontesi. Sembra che allora Luigi XIV gli offrisse il bastone di
maresciallo e il governatorato della Champagne, con 20.000 scudi annui di pensione, e che ne avesse uno sdegnoso rifiuto. Pure la vera affermazione del genio militare
del principe non era ancora avvenuta, ma doveva manifestarsi nella campagna del 1697 contro i Turchi: con marcia abilissima, agendo a massa e senza la preoccupazione
di tutto coprire, riusciva a sorprendere i Turchi al passaggio del Tibisco, presso Zenta, e ad annientarli (11 settembre 1697). La pace di Carlowitz (26 gennaio 1699)
assicurava all'impero la Transilvania e la Slavonia. Eugenio ebbe in dono vasti possessi fra Drava e Danubio; e a Vienna faceva costruire palazzi, fra cui il famoso
Belvedere, dimora estiva nei dintorni, e iniziava la raccolta di libri e d'opere d'arte. Di nuovo, nonostante le insistenze materne, rifiutava di passare al servizio
spagnolo.
In vista della guerra di successione di Spagna, il 21 novembre 1700 il principe Eugenio era nominato comandante supremo delle forze destinate al teatro di guerra
italiano. Non gli fu possibile prevenire i Francesi in Lombardia: l'esercito era privo di tutto: "il più pericoloso nemico era quello che si trovava nella cancelleria
di Vienna e negli uffici provinciali", scrisse egli stesso. Così che trovò i Francesi pronti a sbarrargli il passo nelle forti posizioni tra Garda e Adige. Li
comandava il Catinat, il vincitore di Staffarda e di Marsaglia. Eugenio, senza aspettare conferma da Vienna, con grande abilità e decisione conduceva il grosso
dell'esercito da Ala per Val Fredda e Breonio a S. Martino presso Verona, quindi scendeva lungo la sinistra dell'Adige fin presso Legnago e Carpi, dove era raggiunto
da due altre colonne scese per Val Leogra e Val Posina; quindi forzava il passaggio del fiume presso Carpi, obbligando per manovra il Catinat a ripiegare all'Oglio
(maggio-giugno 1701). Davanti a questo fiume Eugenio doveva sostare; il Villeroy, successo al Catinat, prendeva a sua volta l'offensiva, ma era battuto a Chiari (1°
settembre); e il 1° febbraio 1702 Eugenio con un audacissimo colpo di mano riusciva a catturarlo in Cremona, obbligando i Francesi a ripiegare dietro l'Adda. Luigi XIV
mandava allora in Italia il Vendôme che nel maggio iniziava con forze doppie una grandiosa offensiva, tentando un'ampia manovra avvolgente lungo le rive del Po. Ma
Eugenio, portatosi sulla riva destra del fiume, riusciva con la battaglia di Luzzara (15 agosto 1702) a rompere una delle branche della tenaglia, evitando il "ferreo
abbraccio". Ma la troppa inferiorità di uomini e di mezzi gl'impediva la conquista del Milanese, vero scopo delle sue operazioni; al principio del 1703 egli era a
Vienna per evitare che ancora lo si nutrisse di "vane parole". Ma dové superare non poche difficoltà, la cricca di corte l'accusava di voler sciupare "l'andamento
tradizionale e tranquillo della veneranda macchina governativa". Dal canto suo il principe asseriva: "Parler à ces ministres et à une muraille, c'est la même chose...
ce n'est que menteries et cabales". Il 27 giugno 1703 però Eugenio, almeno in parte, trionfava, con la nomina a presidente del Consiglio aulico di guerra.
Nel 1704 Eugenio comandò l'esercito del Reno; unitosi col Marlborough contribuì a dare alle operazioni in Baviera un ritmo assai più accelerato, che doveva portare
alla grande vittoria di Hochstadt (12 agosto). L'anno dopo tentava nuovamente la conquista della Lombardia, ma ad onta di abili manovre era battuto dal Vendôme a
Cassano d'Adda, data l'inferiorità delle sue forze (16 agosto 1705). L'anno dopo tentava di nuovo l'impresa, in una situazione divenuta sempre più difficile e quasi
disperata. Un esercito francese si disponeva ad assediare Torino, un altro esercito copriva la Lombardia. Eugenio avrebbe voluto prender l'iniziativa delle operazioni,
ma, al solito, l'esercito non fu pronto (e neppure tutto) che tre mesi più tardi; i Francesi prendevano prima l'offensiva occupando le posizioni dal Garda all'Adige
come nel 1701, e fortificando con ogni cura la destra del fiume fino al mare. Ad onta di ciò Eugenio riusciva, come nel 1701, a condurre l'esercito da Ala per Val
Fredda, sotto Verona, e a passare di sorpresa l'Adige quasi al suo sbocco al mare, presso Piacenza d'Adige (6 luglio 1706); quindi passava il Canal Bianco, e, a
Polesella, il Po, puntando subito su Finale Emilia. Con marcia straordinariamente rapida, ad onta del caldo, dell'arsura, della penuria di viveri, e contro le norme di
guerra del suo tempo, fondate sulla preoccupazione di tutto coprire, e d'avere buoni magazzini e sicure linee di ritirata, marciava per la destra del Po, giungendo il
22 agosto a stradella, il 23 a Voghera, il 29 a Nizza Monferrato. Lo stesso giorno Eugenio, precedendo l'esercito, s'incontrava a Carmagnola con Vittorio Amedeo II. I
Francesi avevano gran parte dell'esercito di copertura della Lombardia ancora disseminato nei varî presidi e accampamenti; l'esercito che assediava Torino aveva subito
gravi perdite ed era col grosso raccolto a cavallo della strada di Francia, con le spalle protette da una solida linea di circonvallazione. Eugenio e Vittorio Amedeo
decisero di girare la posizione francese, e la relativa circonvallazione, portando lo sforzo nel tratto fra Stura e Dora. Il 4 settembre passavano il Po a Carignano,
il 6 erano con 30.000 uomini fra i due predetti fiumi. In tutta fretta i Francesi cercarono di trincerare il lato così impensatamente minacciato: pure il grosso restò
nelle vecchie posizioni: il 7 settembre i due cugini attaccavano tra Stura e Dora 17.000 Francesi; respinti dapprima, riuscivano a girare la posizione all'estrema
destra francese: una sortita della guarnigione di Torino completava la rotta; dopo di che il grosso dei Francesi, che non aveva partecipato alla battaglia, si dava a
ritirata precipitosa. Grande vittoria, battaglia con fronte del tutto rovesciato, d'un'arditezza che rasenta la temerità. Con questa battaglia il Milanese, dopo sei
anni di vani sforzi, era, d'un colpo, assicurato alla casa d'Austria. Eugenio ne divenne il governatore.
Nel 1707 Eugenio invade la Francia meridionale e assedia Tolone, ma deve poi ritirarsi davanti alla minaccia di preponderanti forze nemiche. In quella stessa estate
Pietro il Grande proponeva che il trono di Polonia, abbandonato da Federico Augusto di Sassonia, vinto da Carlo XII di Svezia, fosse dato a Eugenio. L'imperatore si
opponeva per non tirarsi addosso l'ostilità degli Svedesi ed Eugenio dichiarava che nulla avrebbe accettato senza il consenso imperiale. Nel 1708 in Fiandra, insieme
col Marlborough, Eugenio contribuiva alla vittoria di Audenarde (11 luglio), quindi prendeva Lilla. In questo mentre gli moriva la madre a Bruxelles. Nel 1709 sempre
col Marlborough, Eugenio proseguiva le operazioni nelle Fiandre contro i Francesi e contribuiva alla sanguinosa e contrastata vittoria di Malplaquet (11 settembre).
Intanto aumentava ancora la sua autorità a Vienna; nel Consiglio aulico veniva creata una sezione per le quistioni riservate, formata da lui e da altre quattro persone
di sua fiducia. Si proponeva anche di farlo duca di Mantova, ma egli rifiutava. Nel 1710 Eugenio è di nuovo in Fiandra col Marlborough, ma invano sprona il collega ad
agire energicamente. Questi del resto è alla fine della sua fortuna politica: l'Inghilterra sta per staccarsi dalla coalizione. Nel gennaio-marzo 1711 il principe
Eugenio fu a Londra in missione diplomatica, ma con esito sfortunato; e abbandonato dagl'Inglesi nell'estate perdeva nelle Fiandre varie piazze. Dopo la pace di
Utrecht (11 aprile 1713) l'imperatore volle continuare la guerra da solo; ma Eugenio, troppo inferiore di forze, non poté tenersi che sulla difensiva, perdendo Landau
e Friburgo. La pace di Rastatt (7 marzo 1714), negoziata dallo stesso Eugenio, poneva termine finalmente alla lunga guerra. Ora Eugenio per un po' riposava; per
intrighi di corte gli era però tolto il governatorato di Milano e sostituito con quello delle Fiandre.
I Turchi intanto, imbaldanziti dal successo sul Prut contro Pietro il Grande, avevano nel 1715 strappato la Morea ai Veneziani e adesso miravano a riconquistare le
provincie ungheresi e transilvane. Il 5 agosto 1716 Eugenio li sbaragliava a Petervaradino, quindi il 18 ottobre prendeva Temesvár. L'anno dopo moveva all'impresa di
Belgrado: al suo quartier generale erano una quarantina di principi d'ogni parte d'Europa. Il 16 giugno 1717 passava il Danubio e poneva l'assedio alla città. Il 30
luglio però un grosso esercito turco si trincerava non lungi dalla città, così che lo stesso Eugenio parve serrato fra due fuochi. Nella notte sul 17 agosto il
principe moveva contro il nemico e all'alba lo attaccava ponendolo in piena rotta. Due giorni dopo il presidio di Belgrado capitolava. Allora sorse la nota canzone:
Prinz Eugen, der edel Ritter. Alla pace di Passarowitz (21 luglio 1718) l'Austria otteneva il Banato, Belgrado e la Serbia settentrionale. Proprio allora si sviluppava
il famoso tentativo del cardinale Alberoni contro i possessi di casa d'Austria in Italia; ed Eugenio contribuiva a far entrare l'imperatore nella coalizione
antispagnola. Eugenio era al colmo della gloria e della fortuna; l'imperatore Carlo VI era geloso di lui; a corte si brigava e sparlava. Eugenio faceva però ben tosto
destituire il conte Nimptsch da ciambellano e consigliere aulico e bandire l'abate Tedeschi, vero tipo d'avventuriero. Moriva poi nel 1722 un suo avversario, capo del
partito spagnolo a corte, l'arcivescovo di Valenza. Tuttavia nel 1724 doveva dimettersi da, governatore delle Fiandre, ed era in compenso nominato vicario in Italia.
In questo lungo periodo di pace (1720-1733) Eugenio attese a riordinare l'esercito, e molto si dedicò pure a raccogliere quadri, sculture, stampe, oggetti artistici, e
a riattivare relazioni con scienziati, letterati e filosofi quali il Leibniz, il Giannone, il Fresnoy, il Ferrand, il De Banville. Sistemò pure nella villa del
Belvedere un notevole giardino zoologico. Scoppiata la guerra di successione polacca, Eugenio, ormai settantenne, assunse contro voglia il comando delle forze sul
Reno. Ma per la troppa inferiorità di forze dové limitarsi a una stretta difensiva e non poté impedire la caduta di Philippsburg. Nulla di decisivo presentò anche la
campagna dell'anno successivo; fu tuttavia non piccolo merito del vecchio principe l'aver tenuto in rispetto un nemico molto preponderante. E il 7 novembre 1735 era
conchiusa la pace, anche per le vive istanze di Eugenio.
Ma ormai la salute era completamente scossa; ed Eugenio visse sempre più ritirato per alcuni mesi. Il 20 aprile 1736 interveniva a una conferenza segreta che presto
interruppe dicendo: "Basta per oggi; serbiamoci il resto a domani, se sarò vivo". E nella notte spirava nel sonno con tranquillo trapasso.
Il principe Eugenio va annoverato fra i più grandi capitani della storia. La campagna di Zenta del 1697, quella di Torino del 1706, quella infine di Belgrado del 1717
resteranno sempre come modelli insuperati di condotta di guerra. Se il Marlborough gli fu forse superiore come tattico, egli lo supera, come supera tutti i
contemporanei condottieri francesi, nel campo strategico. Con uno strumento di guerra spesso imperfetto e insufficiente, ottenne i maggiori risultati. Carattere
schietto, leale, energico, seppe infondere nuova vita in un organismo burocratico torpido e lento. Coraggiosissimo, pagò sempre di persona e rimase ferito ben tredici
volte. Per questo egli poté anche esigere molto dai suoi soldati. La sua signorilità appare anche dalla modestia con cui circondò sempre l'opera sua personale. Come
statista, l'opera sua si distinse per chiarezza d'idee, equilibrio, visione realistica delle situazioni. A lui la casa d'Austria deve il trionfo nella politica
italiana e in quella orientale; ben a ragione a Vienna e a Budapest due statue equestri eternano la memoria del nobile cavaliere.
Diventato più circospetto dalla sconfitta patita per mano imperiale nella battaglia di Chiari, il maresciallo francese François de Neufville de Villeroy, che, nell'ambito della guerra di successione spagnola, a partire dal 1701 era stato inviato in Italia per sostituire alla guida dell'esercito Nicolas de Catinat de La Fauconnerie, si barricò in un buon accampamento a Urago, nei pressi di Chiari, dove poteva tenere a lungo in scacco il nemico. Ma dopo che due mesi erano passati senza che alcun intervento degno di nota fossestato stato richiesto, i francesi, con difficoltà di approvvigionamento, e con l'incombenza della difesa di un territorio su cui non c'era più effettiva volontà di controllo, smantellarono il campo il 12 novembre e si trasferirono sull'altra sponda del fiume Oglio, per accamparsi proprio davanti alla città di Cremona.
Nella stessa città di Cremona, nel frattempo, ci si preparava a contenere l'impeto frances. Un acquedotto sotterraneo, utilizzato per evacuare la sporcizia verso
l'esterno, che passava sotto l'abitazione di un parroco schierato con gli imperiali, permise di portare in città 300 granatieri e alcuni operai, che si recarono verso
la vecchia porta di Santa Margherita, e ne demolirono il muro, aprendo così la strada alla cavalleria, che occupò rapidamente il centro di Cremona.
Un reggimento francese, quello di Vaisseaux, che aveva compiuto manovre sin dall'alba, sparò sui corazzieri imperiali che si dirigevano verso la breccia, ma in seguito
si riparò tra le rovine circostanti chiedendo immediati soccorsi. Gli Imperiali nel frattempo avanzavano altrove, penetrando in parte delle baracche, dove fecero
prigioniere diverse compagnie nemiche. Tuttavia, i francesi riuscirono a riorganizzarsi e riguadagnare terreno, con l'aiuto delle truppe irlandesi al servizio di Luigi
XIV; e fu così che la situazione capovolse, poiché il reggimento Vaisseaux riuscì a forzare il parapetto costruito dagli Imperiali all'ingresso della città, vicino al
punto in cui si svuotava l'acquedotto.
Da allora Eugenio di Savoia non controllò più Cremona. Aveva appena fallito nel tentativo di prendere la porta del Po, le sue truppe erano per la maggior parte
distrutte dai combattimenti di strada, ed inoltre i magistrati della città si rifiutavano di dichiararsi a suo favore. Pensando quindi di ritirarsi, pose le truppe di
guardia alla porta di Santa Margarita e si ritirò verso questa uscita; infine, dopo un furioso combattimento in una chiesa, evacuò la città.
La maggior parte dei resoconti relativi alla battaglia di Cremona ipotizzano perdite, per parte, che ammontano a circa 1.200 uomini, tra feriti e morti. Eugenio di Savoia raccolse, grazie agli abili preparativi effettuati, il successo iniziale della battaglia; ebbe la soddisfazione di essere andato vicino a compiere un'impresa delicata, tuttavia, avendo commesso l'errore di portare più cavalieri che fanti in città per combattere, fallì, e fu quindi costretto ad abbandonare quella che sembrava una facile conquista. Dal canto loro, le truppe francesi, colte alla sprovvista, mostrarono sangue freddo, energia e perseveranza. La loro ricompensa fu la conservazione del controllo sulla città di Cremona. Quanto al maresciallo de Villeroy, il meno esperto dei capi dell'esercito francese, colpevole della negligenza con cui veniva svolto il servizio d'armi nella piazza, e reo anche di non aver assistito ai movimenti delle truppe di Eugenio di Savoia, venne fatto prigioniero dallo stesso comandante imperiale. Inoltre, durante la ritirata, Eugenio di Savoia si impossessò di notevoli quantitativi di approvvigionamento e bagagli vari lungo il fiume Oglio. Successivamente tornò alla sua caserma e fortificò Mantova, dopo che 15.000 uomini erano arrivati lì come rinforzi. Dopo la cattura di Villeroy Louis-Joseph de Vendôme prese il comando dell'esercito francese.