Battaglie In Sintesi
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Figlio primogenito di Pipino il Breve, re dei franchi, e di Bertrada. Alla morte del padre (768) ebbe l'Austrasia e la Neustria a N dell'Oise, e l'Aquitania in comune col fratello minore Carlomanno, re della Neustria a S dell'Oise, della Borgogna, ecc.; alla morte di Carlomanno (771), invase i suoi Stati e nello stesso anno ripudiò la moglie, figlia di Desiderio re dei longobardi, di nome forse Desiderata. Desiderio allora accolse nella sua corte la vedova e i partigiani di Carlomanno. C., sollecitato dal papa Adriano I, impose a Desiderio di abbandonare al papa le terre che aveva occupato nell'esarcato e nel ducato romano; avuto un rifiuto, attraversò (773) le Alpi col suo esercito, per i passi del Cenisio e del S. Bernardo, superò per aggiramento la chiusa di Val di Susa, s'impossessò di tutta l'Italia settentrionale e, occupata Pavia (774), si intitolò re dei franchi e dei longobardi. Ritornò (776) per reprimere la cospirazione dei duchi longobardi del Friuli, di Chiusi, Spoleto e Benevento; poi (780-781) per far consacrare dal pontefice, come re d'Italia, il figlio Carlomanno che fu ribattezzato col nome di Pipino. Contro i musulmani di Spagna condusse in questi anni una serie di spedizioni: quella del 778, dopo il fallimento dell'assedio di Saragozza, si concluse con il massacro della retroguardia franca al passo di Roncisvalle. Miglior successo ebbero le spedizioni del 785, 797, 801, 811, che permisero la creazione della Marca hispanica fra i Pirenei e l'Ebro, con capitale Barcellona, primo nucleo della riconquista cristiana della Spagna. Inoltre a E, in trent'anni di guerre (772-804), riuscì a occupare le terre dei sassoni, minacciosi per le loro incursioni continue: violenta fu particolarmente la guerra contro il capo sassone Vitichindo (778-785). La lotta per la sistemazione del confine orientale ebbe anche altri sviluppi: contro i bavari e il loro duca Tassilone che, vinto nel 787, lasciò il Paese in potestà di C.; e, dalla Baviera, contro gli avari, di cui con una serie di spedizioni (791-96) distrusse l'impero. Affermato così il suo dominio dall'Elba all'Atlantico, al Tibisco, al Danubio, all'Ebro, a Roma, apparve egli allora il vero e solo capo della cristianità. Questa sua posizione, corroborata dalla sua attività nel campo religioso, come difensore e propagatore della fede, e nel campo della cultura (che conobbe una vera rinascita, detta appunto carolina), ebbe la piena consacrazione ufficiale nel Natale dell'anno 800, a Roma: C. vi si era recato per esaminare le accuse contro papa Leone III, che, cacciato nell'apr. 799 da una congiura di nobili, da C. era già stato rimesso sul trono. Il papa, dopo la messa in S. Pietro, pose il diadema imperiale sul capo di C., che fu acclamato dai presenti, evidentemente già informati, «imperatore». Forse, il fatto che sul trono degli imperatori d'Oriente vi fosse una donna, Irene, che nel 798 aveva destituito il figlio Costantino VI, agevolò il gesto di Carlomagno. Più che la restaurazione dell'impero romano d'Occidente era la creazione del nuovo impero cristiano, quale lo concepivano gli uomini del Medioevo. L'elemento religioso vi era predominante; infatti più che uno Stato vero e proprio, l'impero era un ideale politico-religioso, che dava dignità e forza di difensore della cristianità al consacrato, strettamente unito perciò nel suo compito al papato. Il carattere dell'impero, dopo un'offerta di matrimonio inviata da C. all'imperatrice Irene e caduta per la destituzione di quest'ultima, venne poi a determinarsi (802) per le reazioni di Niceforo, nuovo legittimo imperatore col quale veniva a cessare la vacanza imperiale, che era stata il pretesto per l'iniziativa di Leone III. Si venne a un conflitto con l'impero bizantino, svoltosi nell'Adriatico (805-806) e terminato (812) con un accordo che mentre a Bisanzio lasciava Venezia, l'Istria e la Dalmazia, a C. riconosceva il titolo di imperatore dell'impero romano-cristiano d'Occidente. C. attese così a riordinare i suoi vari Stati con criteri unitari, dividendoli in circoscrizioni dette contee e, se di confine, marche, mentre, a reprimere ogni abuso, creava le visite periodiche di missi dominici. Riunioni generali o provinciali, dette placiti, ogni anno provvedevano alla legislazione, che si concretò principalmente in un'ottantina di capitolari; oltre a ciò l'opera legislativa di C. comprende la redazione scritta, da lui ordinata dove non vi si fosse già prima provveduto, delle svariate leggi popolari (barbariche) conservate in vigore nelle varie parti del suo impero. Prode e operoso, resistente alle fatiche e avido di cultura, dotato di eminenti capacità politiche e militari - così la tradizione - C. apparve agli stessi contemporanei come il degno capo della società occidentale, romano-germanica e cristiana, onde l'appellativo di Magno e le leggende che lo fissarono nella poesia e nell'agiografia. C. si sposò cinque volte: con la franca Imiltrude, da cui ebbe Pipino il Gobbo (m. 811); con la longobarda Desiderata (Ermengarda) nel 770; poi con la sveva Ildegarda (m. 783), da cui ebbe Carlo, Pipino, Ludovico, Lotario (m. 779), Adelaide, Rotruda, Berta, Gisela e Ildegarda; con la franca austrasica Fastrada, da cui ebbe Teoderada e Iltrude; con la sveva Liutgarda. Dalle concubine ebbe: da Madelgarda, Rotilde; da Gerwinda, Adaldruda; da Regina, Drogone e Ugo; da Adalinda, Teodorico.
Il Longobardo allora, negli ultimi mesi del 772, levossi al tutto la maschera e mando a depredare in ogni parte lo stato della Chiesa. Sinigaglia, Montefeltro, Urbino, Gubbio videro desertate le proprie terre; non bastevoli a resistere le forze della Chiesa, ma fedele il duca di Sinigaglia al Papa, combattendo fino all'estremo, morendo per difendere la città. Non pare i Longobardi si perdessero ad espugnare le città; piuttosto davano il guasto e mettevano a ruba la campagna; sicchè quantunque non prendessero neppur Cesena. Si spinsero assai più innanzi, mentre dalla parte di Toscana corsero fin presso Roma, occuparono Blera dopo avere assalito i cittadini che, sicuri della pace, stavano nei campi, raccogliendo le messi ; posero tutto a ferro ed a fuoco trascinando seco animali ed uomini, macellando i più potenti, là, ad Otricoli, in gran parte della campagna Romana. Inutili con Desiderio le preghiere, i messaggi, le lettere del Papa; inutili persino le suppliche dell'Abate Probato e dei monaci di Farfa mandati al re da Adriano, Unico frutto, il proporsi da Desiderio un colloquio del quale era troppo chiaro lo scopo; Adriano disse verrebbe al re, dope che fossero state restituite le città di S. Pietro; prima non tratterebbe. Non ostinazione questa, come la dissero certi scrittori non capaci dl stimare la nobiltà dell'animo intrepido, si magnanima fermezza, singolarmente trattandosi di un re che fino allora avea dato tante prove di mentire e di farsi spergiuro facilmente, di promettere sempre con deliberato proposito di non mantenere le promesse. Nè si ristette il Papa dal mandare altri messaggi all'ostinato re, se prima non ebbe perduta ogni speranza, col sapere che Desiderio stesso moverebbesi in persona contro Roma. Allora, e dovette essere sul principio del 773, Adriano ricorse finalmente a chi avea dovere di difendere la chiesa, a Carlo re dei Franchi, e patrizio dei Romani. A Carlo doleva allora dover scendere in Italia; quindi cerco ogni via per terminare la querela senza le armi; ritornato appena dalla sua celebre spedizione di Sassonia colla quale era penetrato nel cuore della nazione nemica, avea preso Eresburgo ed atterrato l'idolo di Irminsul, trovavasi a Thionville quando ricevette il nunzio del Papa e poco dopo due nunzi di Desiderio che dicevano mentitore Adriano, già restituite tutte le terre a S. Pietro. Carlo mandò tre de' suoi in Italia a vedere come stavano le cose, questi seppero che nulla era stato restituito, molto ritolto, videro il Papa, poi andarono a Pavia, richiesero Desiderio di restituire davvero le giustizie, ne ebbero aspro rifiuto. Ultima prova ancora tentò allora Carlo, mandò offrendo 14.000 soldi d'oro a Desiderio perchè restituisse le giustizie, il Longobardo rifiutò e mosse in persona contro Roma. Allora Carlo risolse far guerra e subito mando alcune schiere a guardare le Chiuse Franche. Intanto il Papa raccolse quante genti d'armi potè per difendere Roma; sicche la città fu presidiata da uomini della Pentapoli, dell' Esarcato, di Perugia, della Campania; le cose preziose e sante delle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo fuor delle mura furono traite in Roma per salvarle dal nemico e le porte di S. Pietro furono chiuse e sbarrale internamente colle spranghe di ferro; poi, siccome Desiderio era già vicino al confine, Adriano gli mando incontro i tre vescovi Eustrazio di Albano, Andrea di Palestrina, Teodosio di Tivoli col comando di mano propria scritto, che non osasse entrare sulle terre romane pena la scomunica. L'ira e l'ambizione non aveano ancora spento nel re ogni principio cristiano; sicchè alla terribile intimazione da Viterbo, dove era giunto, tornò a Pavia, ma non piegossi ad accordi. Ne forse fu solo il rispetto pel Papa che lo consigliò al quasi precipitoso ritorno, ma certo vi entrò per qualche cosa il sapere come i Franchi preparavansi a scendere in Italia e quindi il bisogno di vegliare sui passi e di chiuderli. Giacchè Carlo, ottenuto nel campo di Varzo il consenso dei Franchi, avea dato mano subitamente ai preparativi, risoluto di entrare in campo nell' autunno di quell'anno stesso 773, e avea assegnata Ginevra come luogo di ritrovo di tutte le schiere. Desiderio munì tutti i passi e più che altro quello delle Chiuse fra monte Porcariano e Vico Cabrio, là dove due sproni di Alpe restringono la via e dove i Longobardi aveano innalzata grossa muraglia, munita e rafforzata da Desiderio con ogni argomento di guerra, dacchè la esperienza di Astolfo avea insegnato che i Franchi, padroni della valle di Susa, quella via sceglievano ad entrare in Italia. Oggidi ancora il villaggio della Chiusa resta a memoria del luogo e la villa delle Capre che si trova nel Medio Evo è appunto il Vico Cabrio dei tempi di Desiderio. Facilmente inespugnabile diveniva il passo, per la angustia sua resa peggiore dalla Dora che scorre nel mezzo e per la selvatica asprezza dei monti vicini; più munito facevalo forse anche il torrente di Sessi, dietro al quale si doveva elevare il muro longobardo che non sappiamo se fosse di un solo o di due giri, forse divisi dal torrente. Carlo, giunto a Ginevra, ordinò il disegno della guerra, divise l'esercito, una parte ne diede allo zio Bernardo che dovea calare pel monte Giove (Gran S. Bernardo) nella valle di Aosta, l'altra prese con se per condurla diritta alle chiuse longobarde pel Cenisio seguendo la via già tenuta da Pipino.
Come andassero le cose, è oscuro, non interamente esatto parendo il racconto dello scrittore della vita di Papa Adriano e troppo brevi ed asciutti essendo gli altri. Difficile fu lo sforzare le Chiuse e già Carlo disperava riuscirvi e offriva patti i più larghi a Desiderio perchè restituisse le città pontificie e già, avuti nuovi rifiuti da lui, preparavasi a tornare in Francia, quando i Longobardi, sia che si tenessero troppo sicuri, sia che l'esercito di Bernardo fosse riuscito a passare nella valle d'Aosta e seguendo il corso della Dora Baltea minacciasse le spalle dei difensori alle Chiuse, sia finalmente che qualche traditore fosse tra loro, abbandonato d'improvviso il passo si diedero a precipitosa fuga ed i Franchi passarono senza contrasto.
Desiderio non si fermò prima di essere giunto in Pavia dove si chiuse, mentre suo figliuolo Adelchi si recò a Verona, ponendo ogni speranza nei baluardi di quella città.