Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Battaglia del Capo Bon

457

Il condottiero vandalo

GENSERICO, o, più esattamente, Geiserico o Gaiserico (Geiserix) re dei Vandali e degli Alani

Bastardo di re Godigiselo, successe nel 428 al fratellastro Gunderico, al quale già Bonifazio aveva rivolto l'invito di passare dalla Spagna nell'Africa, e trascinò all'impresa i suoi riluttanti. Già iniziato il passaggio, dovette combattere i Suebi e li vinse a Capo Bon; poi traversò lo stretto su navi romane con 80 "millene" di combattenti, se pure il numero non fu da lui esagerato ad arte (429). Avanzò nell'Africa, saccheggiando, bruciando le chiese, uccidendo gli ecclesiastici; vinse e assediò in Ippona Bonifazio, che troppo tardi si era, per esortazione di S. Agostino, accinto alla difesa (430). Genserico levò poi l'assedio perché stretto dalla fame; ma poté impadronirsi della città abbandonata. Per assicurare le sue prime conquiste, conchiuse con l'imperatore dell'Occidente un accordo (435), ottenendo ai Vandali come federati il riconoscimento della Numidia che già possedevano; ma occupò per inganno Cartagine (439) e la sua flotta saccheggiò la Sicilia (440), mentre una flotta dell'Oriente non osava nemmeno tentare di attaccarlo (442). Forse ritenendosi poco sicuro nel regno, nel quale aveva dovuto reprimere con ferocia una congiura di nobili, conchiuse con l'Occidente una nuova pace, per la quale riconosceva la sovranità dell'imperatore e assicurava un invio annuo di grano (442); ottenne anzi, come fidanzata per il figlio Unerico, Eudossia, la figliola settenne di Valentiniano III, e aspirava per lui al comando supremo dell'esercito romano. Ma pressoché tutta l'Africa, la più ricca provincia dell'Impero, era ormai in effettivo potere del barbaro; le terre tolte agli antichi possessori erano in parte dominio regio, in parte sortes dei guerrieri; i Romani erano o costretti ad uscirne o obbligati ad altissimi tributi, sebbene conservassero le curie, il reggimento civile delle provincie, le leggi; l'ariano intollerante, che dicevano apostata dalla fede ortodossa, perseguitava atrocemente i cattolici: fuori la sua flotta correva il mare predando. Il nome di Genserico, dell'Anticristo, era poco meno pauroso del nome dell'alleato suo Attila. L'uccisione di Valentiniano III l'elevazione di Petronio Massimo, le nozze tra il figlio di questo e la fidanzata di Unerico spinsero Genserico alla vendetta, anche se non gli giunse l'invito di Eudossia, la vedova dell'ucciso. Egli apparve fulmineo alle porte di Roma e il 2 giugno 455 entrò nella città indifesa. Papa Leone Magno osò farglisi incontro e ottenne che fossero risparmiate le stragi e gl'incendî: ma la città fu saccheggiata per quattordici giorni e ne furono tratti immensi tesori e migliaia di prigionieri, tra cui Eudossia e le figlie. Genserico si considerò allora come indipendente, conquistò il resto dell'Africa e le isole del Mediterraneo, saccheggiò a più riprese le coste d'Italia e di Grecia, affamò l'Italia. Furono infruttuose le vittorie di Ricimero ad Agrigento e in Corsica (456), come più tardi (463 o 464) quella di Marcellino in Sicilia; una grande spedizione disegnata da Maioriano fallì, essendo Genserico riuscito per tradimento a distruggere gran parte della flotta romana a Cartagena (460); un triplice poderoso assalto delle forze dell'Oriente e dell'Occidente verso le isole, verso Tripoli e la stessa Cartagine condusse solo alla conquista di Tripoli, perché Marcellino, rioccupata per poco la Sardegna, fu ucciso in Sicilia e la flotta bizantina fu in gran parte arsa e distrutta innanzi a Cartagine per tradimento o imperizia del suo comandante Basilisco (468). Genserico conchiuse trattati con l'Oriente (468) e con l'Occidente (476); lasciò a Odoacre la Sicilia, ma volle un tributo. Morì nel 477. Mediocre di statura, zoppo, scarso nelle parole, seppe eccitare fino al fanatismo un popolo non coraggioso; fu intollerante, crudele, sleale, ma severo per i costumi proprî e per gli altrui, prontissimo all'opera, abile creatore e ordinatore di regni.

La genesi

Istoria delle guerre persiane e vandaliche, Procopio di Cesarea, trad. Giuseppe Rossi, Milano 1833

A tanta arroganza de' Vandali sdegnatosi altamente l'imperatore bizantino deliberò guerreggiarli da terra con un esercito forte, giusta il grido comune, di centomila combattenti, e da mare con immenso navilio congregato da tutto l'oriente; si profuse inoltre molto danaro ad arredare marinai e soldati, in causa della grande lontananza de' barbari contro cui eran diretti, non essendo costati meno di trecento aurei gli apprestamenti di quella spedizione; ed, a soqquadrare il tutto, ne fu dato per mala ventura il comando a Basilisco, fratello dell'imperatrice Verina, personaggio non meno avidissimo dell'imperio che certo di ottenerlo perseverando nell'amicizia d'Aspare, il quale sendo zelantissimo sostenitore delle ariane dottrine potea inalzare altrui ma non se stesso al trono. Egli pertanto, mostrandosi già palesemente avverso a Leone in vendetta di qualche torto ricevutone, e forse allora mosso da tema non costui riuscendo vittorioso nelle armi addivenisse di soverchio potente, suggerì con segretezza a Basilisco di favorire i nemici. Leone aveva dapprima inviato Antemio, senatore di nobilissimo legnaggio ed assai dovizioso, a reggere l'imperio d'occidente col patto di averne aiuto nella guerra vandalica. Se non che Gizerico domandato avendo quel diadema a pro di Olibrio suo affine per parte di Placidia figliuola di Valentiniano, al vedersi uscito di speranza incollerì e prese a travagliare l'imperio dall'uno all'altro confine.

Eravi di quel tempo in Dalmazia un Marcelliano, personaggio assai probo, il quale dopo la uccisione del suo amico Aezio aveva scosso il giogo romano, e provveduto in guisa alla conservazione dell'usurpato dominio che nessuno più ardiva contrastargliene. L'imperatore adunque volendo trarre profitto anche da lui nell'assalire i barbari, il carezzò cotanto che indusselo a mover contro la Sardegna per discacciarne gli usurpatori, come di leggieri e prestamente egli face. Eraclio inoltre venuto con armata navale da Bizantio all'africana Tripoli vi sconfisse i Vandali, e lasciate le navi marciò per terra colle truppe verso Cartagine; così ebbe principio quella guerra.

Tra questo mezzo Basilisco approdò con tutto il suo navilio ad una cittadetta soli dugento ottanta stadj lontana da Cartagine, ed Ermea nomata da un tempio ab antico erettovi a questo nume. Ora se il duce, in cambio di temporeggiare, fosse di lancio andato contro la metropoli avrebbene per certo espugnate le mura e ridotto i barbari in servitù, essendosi Gizerico, all'udire la perdita della Sardegna e di Tripoli ed al mirare la formidabile armata navale de'Romani, lasciato sorprendere da grave spavento di Leone imperatore, giudicandolo principe invittissimo e di una insuperabile potenza; ma il lento procedere e la pigrizia del romano duce, o se pur vuoi il suo tradimento fe perdere la opportunità di sì grande vittoria. Imperciocchè il barbaro vedutane la trascuraggine subitamente arma tutto il suo popolo e ne riempie le navi maggiori; fatta quindi approntare quantità di barche vuote, destinate pur queste a tener dietro le prime, spedisce al nemico per averne soli cinque giorni di tregua, nel correre dei quali risolverebbe se obbedir debba a Leone e venire agli accordi seco; taluni però vorrebbero che inviasse a mercatare questa dilazione ed a cattivarsi con molto danaro la soldatesca romana: il suo desiderio poi d'indugiare la pugna fondava sulla speranza di veder sorgere nel chiesto intervallo un propizio vento. Basilisco adunque sia per secondare i voti di Aspare, sia compro dal barbaro, sia anche per sua intima persuasione di ben fare vi acconsentì, rimanendosi tranquillo nel campo ad attendere l'occasion favorevole ai nemici.

La battaglia

Istoria delle guerre persiane e vandaliche, Procopio di Cesarea, trad. Giuseppe Rossi, Milano 1833

Così i Vandali al soffiare di propizio vento navigarono alla volta degli assalitori, e fattisi loro dappresso metton fuoco alle vuote fuste avvisatamente condotte, e spingonle contro dei vascelli romani, i quali per essere molti di numero soggiacquero a gravissimo danno. Allo sparpagliarsi inoltre delle fiamme tra questi, tutto fu disordine, grida e sbigottimento, mirando ognuno a campare da quel terribile incendio; ma i barbari parandosi loro innanzi non cessano di ferire, d'imprigionare, e di sommergere nelle onde chiunque ha cuor di resistere, o tenta salvarsi con disperata fuga.

Le conseguenze

Istoria delle guerre persiane e vandaliche, Procopio di Cesarea, trad. Giuseppe Rossi, Milano 1833

Non mancaronvi tuttavia parecchi esempi dell'antico valor romano, ed, a ridirne alcuno, abbia qui onorevole menzione Giovanni vicegerente di Basilisco, il quale vedendo il suo vascello attorniato dai barbari ne sostiene coraggiosamente l'impeto, e ridotto agli estremi, anzichè incorrere nelle mani loro, gettasi armato in mare. Terminata siffattamente la guerra Eraclio ripatriò, Marcellino ebbe morte da un perfido, e Basilisco rifuggi in Bizanzio entro la chiesa del divin Salvatore, o, con altro nome, di S. Sofia, e quindi ai prieghi dell'imperatrice Verina ottenne grazia, ma non potè di subito ascendere in trono, come fortemente desiderava, avendo Leone tolto di mezzo Aspare ed Ardaburio, insospettitosi che ei tendessero insidie alla sua vita.