Battaglie In Sintesi
508
Fu alleato del re degli Ostrogoti Teodorico il Grande. Descritto da Paolo Diacono di carattere arrogante, era spesso influenzato dai suoi notabili nella guida del suo regno e nell'impossibilità di stabilirsi con continuità e pacificamente in un preciso luogo. Nel 508, fu ucciso in battaglia dal re dei Longobardi, Tatone. La sua sconfitta, nel "Feld" (presso l'antico Norico), segnò in pratica la scomparsa degli Eruli dalla storia.
Figlio (sec. 5º-6º) del re Claffo, condusse il suo popolo verso i campi patentes della pianura ungherese, scontrandosi vittoriosamente con gli Eruli. Gli successe (510 circa) il nipote Vacone.
Rodolfo regnava ora su tali Eruli, arrogante verso gli stranieri; ma i suoi lo punivano
con orribili dispregi se gli fosse venuto in mente di dir loro una parola
di moderazione o di prudenza. La perfetta uguaglianza fra essi, della quale i
guerrieri degli Eruli si fregiavano, toglieva qualunque autorità di comando ed
anche di consiglio al Re. Il coraggio, in mezzo a tali costumi, era individuale
di ciascun guerriero e non dell'esercito nel complesso. Gran conto faceano tuttavia
della regia stirpe de loro Principi. Oltre Rodolfo e suo fratello, Procopio ricorda
tre altri, che vissero ai suoi tempi, e che lontani dal loro popolo furono con avidità
da esso richiesti per regnare. Grandi onori si prestavano parimente al Re, se non
dissentisse dalle opinioni dei più avventati ; ma quando egli giudicava di doversene
discostare, i colpi e non di rado le guanciate l'ammonivano della natura de' suoi
sudditi. Così avvenne a Rodolfo, quando a lui parve che gli Eruli si dovessero accontentare
delle molte vitiorie conseguite fino ad ora sulle nazioni vicine, di volersi
coltivar l'amicizia con Anastasio Augusto e a godere dei frutti della pace.
Morto Gedeoc, il quinto Re de Longobardi, che condotti li aveva nel Rugiland,
gli succedette Claffone, prole di lui: spento il quale, venne al regno
il suo figliuolo Tatone. Sotto costui, uscirono dal Rugiland e vennero ad abitare nei
campi che nella Germanica lingua chiamavansi e si chiamano Feldi, ovvero pianura dov'erano
i Longobardi. Molti credettero di ravvisare nel bel mezzo dell' odierna Ungheria una tale pianura;
ma ella sembra essere stata piuttosto al Settentrione di Vienna. Che che sia di
ciò, i Longobardi si trovarono in mal punto vicini degli Eruli, da'quali narra Procopio
che insieme con altre genti fossero debellati e resi tributarj. Non tardarono molto
a vendicarsi; cosa che venne lor fatta, secondo lo stesso Procopio, nel terzo anno
dell' Imperio d'Anastasio.
Fin qui, dopo la morte di Zenone, gli Eruli di Rodolfo avevano sopportato con gran
fatica la pace. Troppo lunga sembrò ad essi tanta quiete; laonde si rivolsero
contro Rodolfo, chiamandolo effeminato e molle: indi proruppero in contumelie
sino al punto d'osar percotergli la guancia. Commosso egli da si fiera ingiuria
decretò di ripigliar l'armi contro i Longobardi, non per alcun torto fattogli
ma per pura libidine di guerra. Il Longobardo Tatone spedi Ambasciadori
per chiedere tre volte agli Eruli quali fossero le ragioni di tale minaccia e
promettendo un tributo maggiore del consueto e qualunque altra onesta condizione,
purchè ogni minaccia di guerra si dileguasse. Ma tutto fu vano; e gli eserciti
s'apparecchiarono alla battaglia.
Invece di questa causa del combattere, procedeute dalla temerità degli Eruli,
Paolo Diacono ne racconta un'altra in mezzo, mirabile in se stessa, ma men decorosa
per la sua propria gente Longobarda. Ma egli giudicò per avventura, che quel fatto
tornasse loro in onore, traendone senza dubbio i particolari da qualche canzona
antica del suo popolo. Tacque delle viitorie degli Eruli; tacque del tributo imposto,
ignorando i contrarj racconti, seppur non volle dissimularli, dal contemporaneo
Procopio.
Narrò quindi che nel 496 Tatone avesse nel Felda una figliuola per nome Rometruda,
e che Rodolfo, re degli Eruli, spedisse un suo germano a Tatone per formare i patti
della pace tra i due popoli. Di piccola persona era questo fratello di Rodolfo
(ciò che in vero difficilmente si crederà d'un Principe tra gli Eruli); perciò
Rometruda l'ebbe a disdegno quando egli passava dinanzi all'abitazione di lei
nell'atto di tornarsene dagli Eruli, dopo aver concluso gli accordi. Rometruda
non sapeva chi si fosse costui, ma veggendolo seguitato da nobile stuolo di scelti
guerrieri, ne fece inchiesta e, chiaritasi, mandò a lui messaggio s'egli
lei volesse ber nella coppa.
L'Erulo venne senza sospetto, ma Romelruda prese a proverbiarlo ed a metterlo
per la breve statura in novella, del che l'altro s'adirò e le disse villaníe,
della quale promise Rometruda doverne tosto pagare, fingendo con lieto
volto d'aver motteggiato per diletto. Raddolcitolo indi con soavi parole,
lo fece sedere, quasi a cagione d'onore, con le spalle volte ad una finestra,
coperta con prezioso velo. E, quasi ponesse le mani ad apparecchiare il banchetto,
diè subito comando ai servi che l'ammazzassero con le lance, non appena ch'ella
dicesse loro di mescere. Non indugiarono: e la rea donna vide cadere trafitto ai
suoi piè il fratello del Re degli Eruli, cagione, se si presta fede al Diacono,
della fiera pugna in cui coloro furono convinti.
Qui Paolo si ricongiunge con Procopio, ed espone poco credibili cose intorno
alla gente degli Eruli, affermando che Rodolfo non degnò neppure d'esser presente
alla battaglia, ma che, sicuro della vittoria, si mise a giocar sul tavoliere, dopo
aver fatto cenno ad un suo famiglio di salir sopra un albero: da lì doveva dargli
segno del vicino trionfo e, se altro avesse detto, gli avrebbe reciso la testa.
Quegli, scorgendo approssimarsi la folla, non fece un fiato; ma quando videla già
consumata, cominciò a dolorare: "guai a te, misera Erulia". Riscosso Rodolfo dal
suo gioco domandò come mai non fosse stato avvertito che i suoi guerrieri fuggissero:
ma il servo rispose "così tu dicesti". Troppo tardi accorse allora il Re nella
mischia la battaglia già era stata vinta dai Longobardi che gli si fecero
addosso e l'uccisero.
Procopio, sebbene più schivo e guardingo di Paolo, non tralasciò di riferire
alcune circostanze della battaglia, le quali possono sembrar ideale dopo il
combattimento e quasi' valevoli testimonianze della celebrità di quella giornata.
Scrivea che un'alta e densa nube coprì parte del cielo, sotto la quale stavano
i Longobardi, mentre nell'opposta parle tutt'i segni naturali prediceano la ruina
degli Eruli; ma questi, ciechi nella lor vanità, s'eran beffati de' più tristi
presagj, che offeriti si fosser mai agli occhj de Barbari; aver tanto potuto
l'orgoglio nei loro cuori, che senza niuna precauzione si sospinsero al macello,
e senza niuna fortezza sperperaronsi nell'avversità. Ucciso Rodolfo, gli altri
fuggirono feriti da tergo: il più gran numero perì e pochi affatto, narra Procopio,
camparono.
Nuove favole soggiunge Paolo Diacono in questo luogo, affermando che gli Eruli nel fuggire pervennero a non so quali campi verdeggianti di lino, i quali parvero loro essere acque da nuotarvi. Distese le braccia, spiccarono un salto sperando salute: ma sul suolo, dove giacquer boccone, furono tanto più agevolmente trafitti alle spalle con le lance. Un fatto di gran rilievo s'impara nondimeno presso il Diacono, che i Longobardi, fatti più ricchi, accrebbero il loro esercito di varie tribù superate da essi e cominciarono volentieri a cercar la fortuna delle guerre per ogni dove, allargando la fama del proprio valore. Fra queste tribù furono i vinti Eruli, che dopo Rodolfo, a senno del Diacono, più non ebbero alcun Re. In ciò s'ingannava egli; o volea parlar solo degli Eruli, che caddero in mano de'Longobardi. Tatone prese per sè il vessillo di Rodolfo (lo chiamavano il bando) ed il cimiero, che questi solea portare nelle battaglie.