Battaglie In Sintesi
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Re dei Longobardi, figlio di Audoino e di Rodelinda, è,
secondo Paolo Diacono, il decimo re dei Longobardi, i quali,
sotto la sua guida, invasero l'Italia. Di grande corporatura,
forte guerriero, feroce e generoso, audace e scaltro, egli
fu esaltato fin dal sec. X nei canti di guerra dei Germani,
come un eroe nazionale. Realmente la sua figura, pur avvolta
nei veli della leggenda, spicca con molto rilievo nella storia
dei Longobardi, come quella di un condottiero fortunato, abile e accorto.
Successo al padre Audoino, verso la metà del sec. VI, quando
i Longobardi erano già da tempo stanziati in Pannonia in qualità
di foederati dell'impero bizantino, egli si volse subito a
combattere contro i Gepidi, contro i quali i Longobardi fin
dai tempi di Audoino avevano dovuto lottare per il possesso
della Pannonia. Stretta una alleanza perpetua con gli Avari,
che invasero subito i confini dei Gepidi, egli si gettò sui
nemici, presi così fra due fuochi, e li distrusse quasi
completamente. I superstiti perdettero la loro autonomia
e furono incorporati nell'esercito longobardo. Nella battaglia,
Alboino uccise il re dei Gepidi Cunimondo, come già, da giovinetto,
aveva ucciso il fratello di Cunimondo, Turismondo; e, secondo
la barbara usanza del suo popolo, del teschio del re ucciso
fece fare quella coppa che si usava nei banchetti solenni
e che presso i Longobardi veniva detta skala. Essendogli
intanto morta la prima moglie Clotsuinda, figlia di Clotario
re dei Franchi, sposò Rosmunda, la bella figlia di Cunimondo,
catturata come prigioniera di guerra dopo la rovina dei suoi.
Ma nell'animo del fiero guerriero, imbaldanzito dalla vittoria,
sorse ben presto il desiderio di più vaste conquiste.
Secondo la tradizione, ampiamente riportata da Paolo Diacono,
egli sarebbe stato invitato ad invadere l'Italia dal generale
bizantino Narsete, il quale avrebbe così voluto trarre vendetta
dell'essere caduto in disgrazia della corte di Bisanzio.
Questo in ogni modo è certo: che i Longobardi conoscevano
l'Italia, perché già al tempo del re Audoino avevano combattuto
contro i Goti come foederati dell'esercito di Narsete, e il ricordo
della bella e ricca regione doveva essere un incentivo non piccolo
per la loro voglia di conquiste. Sempre secondo la tradizione,
nell'aprile del 568 Alboino, alla testa di un esercito composto
di Eruli, Rugi, Gepidi, Alani, Sassoni e prevalentemente di
Longobardi, si sarebbe gettato verso l'Italia attraverso i facili
passaggi della Venezia Giulia. Recentemente si è creduto di dovere
spostare la data dell'ingresso dei Longobardi in Italia dall'aprile
del 568 al maggio del 569, appoggiandosi specialmente alla testimonianza
di Secondo, vescovo di Trento. Lo spostamento avrebbe importanza
sostanziale; poiché, se si accetta il 568, i Longobardi sarebbero
entrati in Italia come foederati dell'Impero, e solo in un secondo
tempo si sarebbero dati alla conquista violenta della penisola;
se si accetta il 569, sarebbero invece entrati in aperta rivolta
contro l'Impero. La questione non può ancora considerarsi risolta.
Giunto al Piave quasi senza colpo ferire, dopo aver saccheggiato
Cividale del Friuli, Alboino affidò il paese conquistato al nipote
Gisulfo che fu il primo duca del Friuli, e proseguì verso Milano,
dove era, sicuramente, verso l'autunno del 569 e dove fu proclamato
dai suoi re d'Italia (dominus Italiae). Intanto anche Vicenza e
Verona cadevano sotto il dominio degli invasori. Pavia resistette
per tre anni all'assedio, ma alla fine dovette aprire le porte ad
Alboino, che, ammonito da una miracolosa caduta del suo cavallo,
risparmiò la vita dei cittadini. L'invasione dei Longobardi dilagò
quindi nella Tuscia, nell'Esarcato, nella Pentapoli e in quasi tutta
l'Italia centrale, eccettuate Roma e Ravenna, e fu segnata da violenze,
saccheggi, orrori. Paolo Diacono tende a mostsrarci in Alboino,
oltre il conquistatore, anche il re generoso che risparmia la vita
dei difensori di Pavia e conferma al vescovo di Treviso, Felice, i
beni della sua chiesa; ma è probabile che questi episodî siano il
frutto di una tarda tradizione, quando già i Longobardi erano divenuti
cattolici e si erano in parte fusi con i popoli conquistati. Alboino
regnò in Italia tre anni e sei mesi e morì in Verona il 28 giugno del
572. Una tradizione notissima narra che, avendo il re costretto
Rosmunda a bere nella tazza fatta col teschio del padre ucciso, questa
decise di vendicarsi ad ogni costo; e, accordatasi con Elmichi scudiero
del re e Peredeo uomo fortissimo, riuscì a far uccidere Alboino mentre
questi, disarmato, giaceva immerso nel sonno. Con molta probabilità,
Elmichi era un pretendente al trono, e certamente uno di quei violenti
e potentissimi duchi contro i quali dovette per gran tempo lottare
incessantemente la debole monarchia longobarda.
Paolo Diacono, unico e contemporaneo cronista dei Longobardi, dà ad essi un'origine scandinava: lo stesso dicasi dell'antico Scaldo di Gottland. Secondo Paolo i Longobardi , emigrando dalla Scandinavia, eran guidati da una donna, Gambara. Pare si dicesser Vinili, Vinnuli, Venduli. Venuti in guerra co' Vandali, che secondo alcuni hanno la medesima origine, questi pregarono Wodan per la vittoria. Rispose il Dio, la darebbe a chi primo a lui si presentasse al sorgere del nuovo sole. Freia moglie di Wodan ne avvisò Gambara , indicandole il balcone ove questi solea affacciarsi: Gambara fece la schierare uomini e donne co'capelli arrovesciati sul petto. Affacciatosi Wodan e veduti quei Vinli, chiedea chi fossero que' Longo-barbi; ond'essi aveano il nome e la vittoria. Questo è un frammento dell'antica mitologia germanica; una di quelle tradizioni religiose che appartengono al ciclo teocratico di tutti i popoli. Primo re de'Longobardi pare forse Agelmundo; questi fu ucciso in battaglia. A lui successe Lamisso, la cui vita appartiene alla poesia e alla storia come quelle degli eroi omerici. Ei nacque da impure nozze con altri sette bambini ad un sol parto ; la madre li buttò tutti in una piscina: videli a caso il re Agelmundo, ed immerse la sua asta nelle acque: afferrolla uno dei bambini e fu salvo. Il re, quasi presago del futuro, volle quel bambino fosse allevato con ogni cura, e lo chiamò Lamisso, che suona figlio della piscina. Lamisso dette ben presto prove del suo valore, e tra le sue gesta notasi la vittoria da lui riportata sulla più valorosa delle Amazzoni germaniche. Questa è poesia, e non istoria; ma, ove la cronaca tace, i fatti dei popoli non si possono osservare che attraverso i fiori dell'epopea. I Longobardi, guidati da Lamisso, si vendicarono crudamente de' Bulgari: la loro potenza si accrebbe, e a richiesta di Giustiniano, occuparono il Norico e la Pannonia. Quivi ebbero lunghe contese co' Gepidi, abitatori della Dacia, altri alleati dell'Impero; e l' astuto Giustiniano, che questi e quelli temea, con oscure ed ambigue sentenze prolungava la guerra, rinfocolava le ire.
Una giornata campale, in cui perirono quarantamila barbari, distrusse la potenza dei Gepidi, fondò quella dei Longobardi, e dette nome e gloria al giovine Alboino futuro conquistatore d'Italia. Alboino, figlio di Audoino re de' Longobardi, in quella memorabile giornata trapassò di lancia da parte a parte Turismondo figliuolo del re de' Gepidi.
Plaudirono i guerrieri longobardi, chiesero il re facesse sedere al banchetto festivo il prode giovinetto; ma Audoino, rigido osservatore delle patrie consuetudini, rispose: «Sapete non usarsi presso di noi che un figlio di re sieda alla tavola del padre suo, prima di aver ricevuto le armi da un re straniero». Alboino tacque, e scelti quaranta giovani guerrieri per suoi compagni, andò a Turisendo re de'vinti Gepidi, e gli espose. Al che questi accoglievalo cortesemente, non essendo a' barbari ignota la cortesia, e sel facea sedere a destra, nel luogo istesso in cui solea sedere Turismondo. Desinando, il vecchio re non potè più tenere a freno il suo dolore, e sospirando disse: «Questo luogo mi è caro, ma colui che vi siede mi è troppo doloroso a vedere». I detti di Turisendo commossero i suoi guerrieri, e Cunemundo fratello dell' ucciso sentì divamparsi nel petto il desio della vendetta. Per fare ingiuria a'Longobardi li disse somiglianti nell'aspetto e nell'odore alle giumente sarmatiche. Un Longobardo rispose: « Vieni nel campo d'Asfeld, ove son le ossa di tuo fratello, e vedrai se queste giumente sappiano sprangar calci potenti ». A quell' insulto i Gepidi balzavano in piedi; i Longobardi mettevan mano alle spade; ma il vecchio re interponea la sua autorità, salvando nel tempo stesso la vita agli ospiti e l'onore a' suoi guerrieri. Si riassiedevano a tavola, soffocavan l'ire nelle tazze: terminato il banchetto, Turisendo cingea allo straniero la spada dell'ucciso figliuolo , ed Alboino tornava a' suoi, i quali lodarono l'ardire di lui e la somma fede di Turisendo